Numero2991.

 

da  QUORA

 

Scrive Simo, una corrispondente di QUORA

 

Cosa ti ha detto un prete che non dimenticherai mai?

 

In una delle rare confessioni che ho fatto, ho detto al prete di aver mentito a mio padre sul suo cancro terminale e sul fatto che stava morendo.

È stata una bugia concordata con mia madre che per me fu un atto d’amore, tenuto conto della sua fragilità di nervi e della sua facile tendenza alla depressione.

Si trattava di tre mesi di vita e finché è stato cosciente ho fatto del tutto per convincerlo che aveva una grave epatite, piuttosto che un tumore al fegato e che doveva fare delle terapie sperimentali.

Tutto questo solo per cercare di dargli più serenità possibile in quel breve tempo.

Di tutto ciò, il prete mi disse che avevo sbagliato e che ogni persona ha diritto di sapere che sta morendo.

Una risposta che mai e poi mai mi sarei aspettata da un uomo di chiesa che, a prescindere da ciò che poi realmente faccia nel suo privato (…), dovrebbe predicare l’amore verso il prossimo.

Ci sono rimasta talmente male, ma talmente male, anzi proprio di merda diciamolo, che non l’ ho mai dimenticato, né perdonato.

Eppure era un prete giovane e mi era sembrato anche molto appassionato e bravo.

Per fortuna non l’ho mai più rivisto, perché mi ha fatto veramente del male, poi detto da lui.

 

N.d.R.: ….dispensatori di terrorismo psicologico….secondo i dettami della Chiesa Cattolica Cristiana.

Numero2966.

 

da QUORA

 

A N C O R A    S U L L ‘    A T E I S M O

 

Scrive Tere Riboli, corrispondente di QUORA.

 

L’ateismo e in generale il non credere in Dio ha sempre fatto paura al potere religioso, perché chi non crede in Dio è una persona che si pone delle domande e non accetta passivamente ciò che viene detto loro dalla religione.

In passato i pensatori liberi erano chiamati eretici dalla Chiesa e venivano uccisi o peggio ancora bruciati sulla pubblica piazza come monito alla popolazione: chi si ribellava avrebbe fatto la stessa fine.

Uno degli esempi più lampanti è Giordano Bruno bruciato perché non si è piegato al Papa.

In occidente il progresso e le conquiste sociali hanno permesso la libertà di potersi esprimere liberamente e la libertà di non seguire alcuna religione.

Mentre nel mondo islamico chi mette in dubbio i dettami della religione o si professa ateo viene frustato ed imprigionato.

Nel mondo occidentale chi si professa ateo fortunatamente non subisce conseguenze penali, ma e ancora molto forte l’ostilità verso chi non crede in Dio.

La Chiesa da secoli ha inculcato nel credente l’equazione “ateo = malvagio”, di conseguenza molti credenti si sentono autorizzati ad insultare chi non è credente.

L’ateo è un libero pensatore e non è allineato al pensiero religioso: non è controllabile, allora va attaccato, insultato e denigrato. Quantomeno suscita diffidenza e sospetto.

 

 

Scrive Roberto Piazzolla, corrispondente di QUORA

 

Qualcuno mi ha convinto a diventare ateo?

Si, un prete.

Ero poco più che bambino quando mi è morto il cane con cui ero cresciuto, che per me era praticamente un fratello.

All’epoca andavo a catechismo perché avrei dovuto fare a breve la cresima. Approfittai quindi per chiedere al prete-catechista se il mio cane sarebbe andato in paradiso.

Rispose di no, perché gli animali non hanno anima.

Mi sembrò profondamente ingiusto che Dio, dopo averlo condannato ad una vita troppo breve in rapporto alla mia, non avesse neppure concesso l’anima a mio fratello.

Questo pensiero aprì le prime crepe, che si ingrandirono molto rapidamente nei giorni successivi. Man mano che riflettevo su una simile insensatezza, mettevo in dubbio l’intero impianto della fede a cui mi avevano insegnato molto bene a credere, fino a quel momento.

Arrivato il giorno della cresima, alla fine della cerimonia, il prete raccomandò a tutti di non smettere mai di andare a messa, anche se ormai eravamo cresimati.

Ho ancora l’esatto ricordo di me bambino, che scendo le scale del sagrato fuori dalla chiesa pensando: “col cavolo che mi rivedrete”.


Peraltro, molti anni dopo, la chiesa in parte cambiò idea. Adesso infatti alcuni ecclesiasti sono possibilisti sul fatto che anche gli animali vadano in paradiso.

Era quello che mi serviva per capire definitivamente che la religione non viene da Dio, ma la inventano gli uomini, che poi la modificano al bisogno, a seconda delle variazioni dei costumi e delle convinzioni sociali.

 

Scrive Diego Lovato, corrispondente di QUORA

 

Le persone non diventano atee.

RITORNANO ad essere atee. L’uomo nasce ateo, e poi viene “educato” a credere in qualcosa che viene elaborato da istituzioni che sono a tutti gli effetti umane, anche se queste millantano autoispirazione divina.

Bisogna specificare un particolare: è vero che tutti nasciamo atei, ma con alcune caratteristiche che la psicologia chiama distorsioni cognitive.

Fra queste, ci terrei a sottolinearne alcune, che riguardano il nostro argomento: innanzitutto l’uomo non riesce a concepire l’annullamento del sé.

Nel senso che, sì, può immaginarsi un morto o immaginare sé stesso morto; ma dal momento che lo fa, lui ne è spettatore: quindi immagina sé stesso morto da vivo!

Dal momento che qualcuno pensa, vuol dire che neuroni e sinapsi compiono un lavoro od un movimento; pensarsi morti, nel senso di immaginare un enorme vuoto, ma che comunque nemmeno si vedrà appunto perché la rete neuronale adibita alla comprensione sarà immobile è appunto impossibile.

Insomma, pensare alla morte è un ossimoro! Quando si pensa si è vivi…quando si è morti, non si pensa.

Da questo “scherzo mentale” nasce l’idea di anima o concetti equiparabili: la percezione di una continuazione dell’esistenza anche quando il corpo e la mente sono tristemente ma evidentemente morti.

Un’altra distorsione cognitiva che caratterizza l’uomo è la pretesa di trovare uno scopo od un motivo per tutto lo svolgersi degli eventi, come la sua esistenza e l’intrinseco soffrire di questa vita terrena.

Ebbene la religione viene appresa dapprima perché viene insegnata da esegeti fin quando, da piccoli, siamo più manipolabili. E poi trova terreno fertile in molti di noi in quanto danno una conferma o una risposta alle esigenze di quelle distorsioni percettive descritte sopra.

Numero2965.

 

da QUORA

 

CHI  ERANO  GLI  ELOHIM

 

ELOHIM

 

Un nome per Dio usato frequentemente nella Bibbia ebraica.

La parola biblica per Dio è in realtà un titolo e non un nome. Questo titolo può riferirsi ad altri esseri spirituali oltre che al Dio creatore. In questo video esploriamo la terminologia biblica per gli esseri spirituali e come questo ci aiuta a capire cosa significa la Bibbia quando dice che “Dio è uno”.

Quando la maggior parte della gente pensa alla storia della Bibbia, pensa a una storia su Dio e sugli uomini.

Ma ricordate, abbiamo imparato che c’è un intero altro cast di personaggi che appare in tutta la Bibbia e gioca un ruolo davvero importante.

Giusto. Esseri spirituali: angeli, demoni e simili.

Giusto. Nella Bibbia, essi abitano il regno celeste che è parallelo alla nostra realtà terrena e si sovrappone a essa.

Tutti questi esseri spirituali hanno le loro caratteristiche uniche.

Ma ecco ciò che è affascinante.

Gli autori biblici hanno una parola che può riferirsi a tutti gli abitanti del regno spirituale.

Nell’ebraico dell’Antico Testamento la parola è “Elohim”.

Nel Nuovo Testamento greco è “Theos”.

Ma il fatto è questo.

Questa parola viene tradotta in molti modi diversi, a seconda dell’essere a cui si fa riferimento:

angeli, dio con la “d” minuscola, o anche dio con la “D” maiuscola.

Aspetta, una parola può riferirsi a uno qualsiasi di questi esseri?

Sì.

È perché Elohim è un titolo di categoria.

Può designare qualsiasi essere spirituale che appartiene al regno celeste.

Ok, un titolo, non un nome.

Come la parola “mamma”.

Sì, giusto!

La parola mamma può riferirsi a molti tipi di persone veramente diverse, ma tutte hanno in comune lo stesso ruolo in una famiglia.

Poi, diciamo che un gruppo di fratelli e sorelle stanno parlando e uno dice: “Ehi, è il compleanno della mamma!

Usano il titolo come se fosse un nome.

Ma è chiaro che non si riferiscono a nessuna mamma, ma alla loro mamma.

Sì. E lo stesso vale per gli autori biblici.

Hanno chiamato il loro Dio “Yahweh”, che è il nome rivelato a Mosè.

Ma a volte si riferiscono a lui anche con il titolo di categoria “Elohim”,

Usato come un nome perché tutti sanno a chi si riferiscono.

Va bene, ma gli autori biblici non pensano che Yahweh sia in una classe tutta sua, non come gli altri?

Lo pensano.

Per questo dicono cose del tipo: “Yahweh è l’Elohim di Elohim”.

Cioè, l’Elohim capo tra tutti gli altri.

Oppure, diranno: “Non c’è nessun Elohim oltre a Yahweh”.

Significa che nessun altro essere spirituale è paragonabile a lui, perché solo lui è il sovrano e il creatore di tutte le cose.

Ok, vi seguo. Ma pensavo che la Bibbia insegnasse il monoteismo, il che significa che c’è un solo Dio.

Bene, gli autori biblici sostengono che tra tutti gli esseri spirituali là fuori, solo uno è la fonte e il creatore di tutte le cose, incluso l’Elohim.

Questo è il monoteismo biblico: che un solo Elohim, Yahweh, è al di sopra di tutti gli altri Elohim.

Cioè gli altri esseri spirituali.

Ora, con tutto ciò che è stato detto, siamo pronti a sapere di più su chi sono questi altri Elohim

e come si inseriscono nella storia biblica.

C’è un gruppo affascinante di Elohim a cui la Bibbia dà molti titoli:

le “schiere del cielo”, “i figli di Dio” o anche “il consiglio divino”.

Gli Elohim sono esseri spirituali.

 

Secondo molti studiosi i primi ebrei non erano monoteisti, ma politeisti e veneravano un pantheon di divinità simile a quello di altre popolazioni del Medio Oriente come i Fenici e i Cananei, in cui Yahweh era il capo, come Zeus o Odino per Greci e Norreni. Di conseguenza Yahweh aveva anche una moglie di nome ASHERAH.

Solo in seguito gli Ebrei avrebbero adottato il monoteismo ed eliminato il culto degli altri dèi minori, tra cui Asherah.

Il suo nome è simile a quello della dea Astarte o Ishtar e potrebbe significare “Colei che cammina sui mari”.

 

 

 

Numero2954.

 

da QUORA

 

Scrive Domenico Zampaglione, laureato in Filosofia, corrispondente di QUORA.

 

QUAL  È  IL  MESSAGGIO  NASCOSTO  DELLA  BIBBIA?

 

A sentire Mauro Biglino la Bibbia non parla di Dio ma degli Elohim, tra i quali uno sarebbe quello in contatto con gli ebrei.

Gli Elohim poi non sarebbero altro che gli alieni, il cui intervento sulla terra avrebbe dato l’avvio alla civiltà umana.

Questo per dimostrare che nella Bibbia si può leggere qualsiasi cosa, dato che è un libro in cui c’è di tutto: mito delle origini, poesia, riflessioni filosofiche sulla natura umana, discorsi politici, imprese di eroi mitici ai quali Dio fornisce aiuti soprannaturali molto più improbabili di quelli forniti dagli Dei agli eroi greci sotto Troia, principi morali, effettive vicende storiche del popolo ebraico.

Tutto ciò fornito con un linguaggio sapienziale, altisonante, che impressiona il lettore ingenuo per la sua carica profetica.

E nessuno si chiede la cosa più ovvia: come possono storie elaborate nella tarda età del bronzo e poi raccolte insieme cinquecento anni prima di Cristo, quando non si aveva alcuna conoscenza reale del mondo fisico ed una visione mitica della nascita e sviluppo dell’umanità avere altra importanza per l’uomo moderno al di là del fatto di costituire un documento storico di tempi primitivi?

La Bibbia è questo documento, è l’Iliade e l’Odissea degli Ebrei, è il libro delle Upanishad, il Canone buddista, tutti testi riflessivi sulla natura e il destino dell’uomo, nati in un tempo in cui, oltre alle religioni, prese l’avvio anche la filosofia greca.

Numero2952.

 

da  QUORA

 

A N C O R A     S U    C R E D E N T I    E    A T E I

 

Scrive Guido Capuani, corrispondente di QUORA.

 

Sono credente. Più precisamente mi considero un teista agnostico: credo che Dio esista, ma che non sia possibile conoscerlo per via esclusivamente razionale. Dio è al di fuori del campo di applicazione della scienza.

Nel confronto con gli atei, do più importanza all’agnosticismo che al teismo. Dopotutto, posso fornire prove razionali in favore dell’uno, ma non dell’altro. L’ateismo agnostico (“non credo che Dio esista, ma non posso dimostrare razionalmente che non esiste”) è una posizione assolutamente legittima, secondo me. Discutere con un ateo agnostico è per me spesso più proficuo che discutere con un teista, perché mi costringe a mettere in discussione i presupposti della mia fede. Essere agnostici non vuol dire essere irrazionali: significa piuttosto sapere che qualsiasi argomento razionale in favore o contro l’esistenza di Dio non è conclusivo. Per questo è sano esporre i propri argomenti soggettivi alla critica di chi la pensa diversamente.

Quello che faccio fatica a capire è l’ateismo gnostico: “Dio non esiste, io ne ho le prove”. Le dimostrazioni “razionali” della non esistenza di Dio non sono meno fallaci delle dimostrazioni di esistenza, e spesso sono più ingenue dal punto di vista filosofico (penso soprattutto alla propaganda del cosiddetto New Atheism). Per me non vale la pena discutere con un ateo gnostico: posso rispettare le sue argomentazioni, ma non me ne faccio nulla. Così come non mi faccio nulla delle argomentazioni di un teista gnostico.

Mentre scrivo, mi risuona in testa il versetto evangelico in cui Gesù invita a “sforzarsi di entrare per la porta stretta”: forse è un’interpretazione eterodossa, ma mi sembra che si possa intendere come un invito a non considerare mai conclusa la propria “lotta” con l’idea di Dio. Gli gnostici, teisti o atei, ritengono di aver risolto la questione in un senso o nell’altro (“sono entrato per la porta stretta” o “non esiste alcuna porta”). Gli agnostici, al contrario, ritengono che l’importante sia continuare a sforzarsi.

A quanto pare, l’ateismo fa crescere la barba.

Numero2950.

 

da  QUORA

 

Scrive Corrado Montoro, corrispondente di QUORA

 

Friederich  Nietzsche e il superUomo (o Oltreuomo)

 

L’Oltreuomo di cui parla Nietzsche, soprattutto nello Zarathustra, è la conseguenza di alcune riflessioni che devono prima essere introdotte per comprendere il concetto di Übermensch.

In Così parlò Zarathustra, Nietzsche narra del Profeta Zarathustra, saggio Eremita che, dopo essersi ritirato per dieci anni, scende dalla montagna in cui viveva per dispensare la sua saggezza.

Questo profeta scende e porta con se “il grande annuncio”: la morte di Dio (di cui aveva già parlato nella Gaia Scienza).

Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che l’Oltreuomo viva» – questa sia un giorno, nel grande meriggio, la nostra ultima volontà! (Così parlò Zarathustra)

Alla già enigmatica affermazione della morte di Dio, egli aggiunge che sono stati proprio gli uomini ad ucciderlo:

Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso! (Ecce homo)


  • Morte di Dio

Perché Nietzsche ci accusa di essere gli assassini di Dio?

Perché Nietzsche non vuole tanto provare la non-esistenza di Dio, quanto affermare che la fede cristiana non è più la guida etica delle persone. Sono le persone che stanno mano a mano diventando atee e così facendo hanno ucciso Dio.

Nietzsche fu così lucido da vedere i germi del secolarismo e da capire che esso sarebbe avanzato e rimasto. In questo senso, l’annuncio della morte di Dio è l’annuncio della fine dei valori religiosi come pilastro della nostra società.

Ma non è tutto.

Dio rappresenta la più antica delle bugie che gli uomini si raccontano per non affrontare la vita. Ci rassicuriamo al pensiero che la vita sia ordinata, sensata e che ci sarà una ricompensa per le buone azioni. Dio è la speranza che il mondo abbia un perché, ma purtroppo è solo una nostra invenzione.

Pensa l’uomo: d’altra parte, la sofferenza deve pur avere un senso. Perché dovrei alzarmi ogni mattina per mungere la vacca, se no? Che senso avrebbe mettere al mondo – un mondo pieno di sofferenza – un figlio? E, poi, tutti i miei cari che non sono più qui con me, saranno pur da qualche parte ad aspettarmi. In un bel posto, una realtà metafisica, una realtà altra, diversa da questo mondo imperfetto. Un paradiso, pieno di luce e senza dolore, governato da Dio.

No. Queste sono solo bugie. Menzogne che ci diciamo da sempre, calunnie che ci servono a sopportare le difficoltà della vita. Gli uomini, ritrovandosi in un mondo pieno di incertezze, si sono rifugiati in esse.

La differenza tra l’Oltreuomo e l’uomo consiste proprio nel coraggioso rifiuto delle menzogne millenarie.


  • La morale del Gregge e la morale dei Signori

Ma questa verità non può essere accettata da tutti, scrive Nietzsche. Di sicuro non dal gregge (il popolino).

Il Gregge ha assorbito acriticamente la cultura in cui si trova. Il Gregge non si chiede neanche perché giudica una certa cosa buona o cattiva. Semplicemente segue quello che gli è stato insegnato, la religione, la tradizione e la cultura di cui è impregnato.

La morale dell’Occidente (quella Cristiana) è una morale “anti-naturale”, la quale va contro l’istinto vitale, contro lo spirito di chi può affermare la propria Volontà di Potenza. Secondo Nietzsche, come abbiamo detto, questa moralità cristiana sta declinando, ma questo non significa che si imporrà quella dei Signori (morale di un’ipotetica Aristocrazia, basata su valori vitali).

Anzi, Nietzsche capì che si sarebbe comunque imposta una morale del Gregge: “il pericolo dei pericoli”, secondo lui, è la vittoria della morale dei deboli, di quelli guidati dal Ressentiment verso chi riesce a imporsi nella vita, verso chi affronta la vita con coraggio.

La morale del Gregge impedisce agli individui di sviluppare i propri talenti, considera tutti uguali e non riconosce il merito dell’impegno e che, così facendo, spinge tutti gli individui con il potenziale di elevarsi sopra le masse a diventare:

Un più piccolo, quasi ridicolo, animale del gregge, un qualcosa facile da compiacere, malaticcio, e mediocre (Al di là del bene e del male)

Anche dovesse cadere l’apparato valoriale cristiano, il Gregge continuerà ad odiare chi si mette in gioco, chi dedica ogni sua energia ad uno scopo e passa la vita alla ricerca di un obiettivo più alto.

Una delle più belle descrizioni del comportamento del popolino nei confronti di chi si riesce ad elevare al di sopra della mediocrità è data dalla figura del funambolo.


  • Il funambolo

Il Profeta Zarathustra è ormai sceso della montagna e si trova al mercato. Lì si è radunato il popolo perché è giunta la voce che si sarebbe esibito un funambolo.

Il funambolo diventa simbolo dell’uomo che tenta di superare se stesso. Un funambolo prende la vita coraggiosamente. Il suo non è un mestiere in cui si possa fingere. Egli si è messo in gioco veramente: o riesce ad attraversare la corda o cade e si spezza l’osso del collo.

La corda del funambolo diventa simbolo del percorso tra uomo e Oltreuomo, tra l’inerzia e il sì alla vita:

L’uomo è una corda annodata fra l’animale e il Superuomo, una corda tesa sopra un abisso (Così parlo Zarathustra).

Nonostante il funambolo cada e fallisca, Zarathustra lo loda. Il popolo però non capisce le sue parole e ride.

Quando Zarathustra ebbe pronunciate queste parole, guardò di nuovo gli uomini e tacque. «Eccoli – disse al suo cuore – essi ridono: essi non mi comprendono, io non sono bocca per queste orecchie.

Perché questa è la punizione che riservano gli altri a chi cerca di elevarsi al di sopra della massa, a chi cerca di essere diverso, di non accettare il mos maiorum (costume della maggioranza): la derisione. Come a dire: tu sei solo un poveraccio, che cosa ti eri messo in mente di fare? Nessuno può uscire dal Gregge, nessuno può pensare di essere autonomo, libero dal passato e dal pensiero comune.

Ma come si fa, volendolo, ad uscire dal Gregge? Nietzsche lo spiega attraverso tre figure quella del cammello, del leone e del fanciullo.


  • Piegarsi a Dio: il Cammello

Il primo simbolo di reazione verso la cultura tramandata (senso di colpa e pregiudizi, religione e morale popolare) è quella del cammello.

Il cammello è colui che nutre ancora timore reverenziale nei confronti di Dio. Questa persona affronta a suo modo la vita, addossandosi carichi pesanti, prendendosi le responsabilità e chinando la testa.

C’è un non so che di dignitoso nel suo addossarsi le difficoltà. Il problema è che non lo fa per sé, ma per paura di una futura punizione divina.


  • Verso la libertà: il Leone

La figura del leone si avvicina a quella dell’Oltreuomo. Il leone rifugge la morale che gli è stata imposta.

Quale è questo drago immane che lo spirito non vuole più oltre chiamar suo padrone e suo Dio? Si chiama egli: «Tu devi». Ma contro di lui lo spirito del leone avventa le parole: «Io voglio» (Così parlò Zarathustra).

Il “drago” di cui parla è la seduzione della facile scelta di seguire ciò che ci impone la tradizione. Ma questo drago è forte e avversario temibile. Sa i suoi punti di forza e ribatte che tutti i valori sono già stati creati.

«Ogni valore fu già creato; e io tutti li rappresento. L’«io voglio» non deve più esistere». (Così parlò Zarathustra).

Il leone può solo limitarsi a dire il suo “sacro no” ai valori tramandati, ma la parte destruens (che smantella) non basta.


  • Volere il proprio destino: il Bambino

E’ la figura dello spirito che vuole la sua propria volontà. Se il leone era la figura della “libertà da…”, il fanciullo è “libertà di…”.

Perché il fanciullo è l’innocenza, è l’oblio: un ricominciare, un gioco, una ruota che gira per sé stessa, un primo movimento, una santa affermazione.

Il fanciullo è appena nato, non ha i preconcetti degli adulti. Quello che Nietzsche aveva in mente era un individuo libero dal peso delle norme sociali, dei costumi e dogmi della società. Ma non solo: il bambino è anche pieno di gioia per la vita, si meraviglia per le scoperte e ama creare cose nuove. E’ quello che Nietzsche chiama il “sacro sì” alla vita.


  • Eterno ritorno e Amor Fati (Amore o accettazione del Destino)

L’Oltreuomo ama la vita. Riesce a superare le vecchie concezioni e le limitazioni religiose. Ma c’è un’ultima caratteristica che lo contraddistingue: il vivere la vita con l’idea dell’eterno ritorno e con l’Amor Fati.

Il concetto di eterno ritorno è stato spesso travisato, dandogli una lettura metafisica che semplicemente non ha. Quello che Nietzsche invita a fare è vivere la vita come se fossimo condannati a riviverla all’infinito. Con questa idea sicuramente saremmo più invogliati a non perderci in inutili questioni, risentimenti senza senso e invidia nei confronti degli altri.

Questo modo di vivere ci consente di vivere a pieno, ci consente di amare ogni singolo avvenimento e ogni nostro gesto, a prescindere dal fatto che nella vita esistano sia gioie che dolori. Anzi, accettando il brutto della vita senza per questo doversi rifugiare nei dolci sogni di paradisi lontani. E se avessimo già sprecato molto tempo prezioso? Poco male, l’amore per la vita di un Oltreuomo consiste anche nell’accettare il proprio passato.

La mia formula per la grandezza dell’uomo è Amor Fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l’eternità.

Numero2949.

 

da  QUORA

 

Scrive un corrispondente di QUORA

 

Perché gli atei non credono che Dio esista?

 

In verità “la gente” crede che dio esista. Gli atei/agnostici come me sono solo il 15%.

La fede è quindi un sentimento diffuso seppur sbagliato e inconsistente. Ho già scritto mille volte delle contraddizioni della bibbia, dell’incoerenza dei principi religiosi, dell’impossibilità di stabilire quale sia la fede religiosa corretta, per non parlare della mostruosità dei campioni della fede… non ci torno sopra e rispondo al perché alcune persone non credono.

Chi non crede non lo fa per pigrizia o per fare come gli pare o per stuprare i bambini (a questo ci pensano altri). Sarebbe molto più comodo credere, soprattutto quando muore un genitore o un amico. Sarebbe comodo avere tutta una serie di regole morali già belle che pronte, e se fai una porcata con un pater ave gloria ti sei già perdonato. La moralità di un ateo è molto complessa perché esercita la propria libertà di giudizio e sceglie davvero, non per paura dell’inferno, quello che è bene.

Chi non crede lo fa perché comprende che il concetto di divinità è una bugia illogica e insensata. Dio è un racconto per bambini su cui gli adulti hanno costruito un potere immenso sugli altri uomini. E poi se uno non ci crede non ci crede, è inutile che ci guardiate come mostri, non ci crediamo. Siamo diversi? Si siamo una minoranza con un QI discretamente alto.

 

Scrive un altro corrispondente di QUORA, Nicolas Mattos

 

Ti parlo della mia esperienza personale.

Io ero religioso. Ma proprio un casino. La mia massima aspirazione a 7 anni era diventare papa. Si, mentre gli altri bambini volevano fare il calciatore io volevo diventare il pontefice. Ero uno di quelli che passava davanti alle chiese e si faceva il segno della croce così come pregavo inginocchiato al mio letto ogni mattina ed ogni sera.

A catechismo, il prete della mia parrocchia vista la mia devozione parlò con i miei genitori per far presente loro che una carriera ecclesiastica per me sarebbe stata non solo possibile, ma anche consigliabile!

Ero, insomma, una persona molto religiosa.

Alla fine della mia comunione, a tutti i bambini del mio corso di catechesi venne regalato un libro: la “Bibbia dei bambini” e di questo dono fui molto grato. Era un libricino giallo, abbastanza grosso e colorato dentro, e conteneva una versione edulcorata sia dell’antico testamento sia del nuovo. Purtroppo non ricordo su quale Vangelo si basasse il nuovo. Quel libro non lo lessi in quei giorni.

Passano gli anni. Io cresco e comincio ad pensare al mio futuro.

Avevo più o meno 11 o 12 anni ed iniziavo a creare i miei primi videogiochi su RPG Maker e simili. Mi si aprì un mondo di logica davanti in cui ad ogni azione corrisponde una reazione, un mondo in cui C ha come requisiti A e B. Imparare per la prima volta a programmare è un trauma per chiunque anche su Python, ed anche lì logica a manetta. Non succede B se prima non si verifica A. Da Pontefice ero passato a Programmatore.

Poi ritrovai quel libro. Ed ovviamente lo lessi.

Rimasi traumatizzato dalla quantità di decisioni illogiche fatte da Dio nel corso dell’antico testamento. Decisioni che secondo me non avevano senso e logica. Ne parlai con il mio parroco e lui mi disse che “Dio agisce per vie misteriose” e che “Dio ha sempre un disegno per tutto e non pensa come noi”.

Dio però ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, non dovremmo quindi essere in grado di fare gli stessi suoi ragionamenti?

Ricordo un momento molto specifico, in cui pensai “Dio non può essere così cattivo”. Pensiero SUBITO auto-censurato dalla mia mente.

Per pura curiosità quindi, cominciai ad analizzare criticamente l’operato di Dio, smettendo quindi di “fidarmi” del  giudizio della chiesa e della gente. Rimasi meravigliato dalla quantità di gente uccisa dalle sue azioni durante l’antico testamento quando esistevano infinite alternative atte a “salvare” i suoi figli. Le le sue continue richieste barbare come “sacrifica tuo figlio” erano semplicemente troppo assurde per avere dei motivi logici in grado di giustificare queste decisioni.

Subito dopo abbiamo Gesù Cristo, che si palesa come figlio di Dio e allo stesso tempo Dio. Dio stesso cambia personalità e da “ammazza tuo figlio per me” diventa “va beh sta volta il figlio lo ammazzo io”. Almeno non uccide tutti i primogeniti questa volta…

Subito dopo la morte di Gesù, Dio sparisce dalla circolazione, quasi come nella canzone “La Paranza”. Vedo il cielo e non ci trovo più Dio perché manca qualsiasi segno della sua esistenza. E non mi vengano a parlare di miracoli perché credo più ad una anomalia scientifica o al fatto che qualcuno vinca la lotteria Divina, perché per ogni buon cristiano che guarisce miracolosamente dal cancro (che attenzione, succede in natura che il cancro regredisca da solo, raramente ma succede), MILIONI muoiono pregando.

La gente MUORE pregando nelle chiese in certi paesi. Bambini africani MUOIONO DI FAME e la soluzione di Dio è contare sulla (poca) generosità del mondo nel donare soldi ai più poveri per giunta spesso di altre religioni (ah, forse per questo Dio le ignora?).

Da quando DIO ha bisogno dell’essere umano per risolvere i problemi?

Questo fottuto pianeta è un posto di merda in cui vivere e Dio non fa ASSOLUTAMENTE UN CAZZO. Il nostro Padre che così tanto ci ama non si fa vedere da duemila anni. Duemila cazzo di anni!

E non mi si venga a raccontare la storia del libero arbitrio perché è una puttanata colossale.

  • Se il libero arbitrio esiste, Dio presentandosi non influenzerebbe nessuno, avremmo tutti la possibilità di capire che lui c’è e potremmo davvero credere in lui, senza fidarci di un libro scritto da persone interamente per sentito dire.
  • Se il libero arbitrio non esiste, tutto questo non ha importanza. Veniamo creati già destinati al paradiso o all’inferno e non abbiamo margine di manovra. In poche parole o Dio ci ama o ci odia e questo già dal momento del nostro concepimento.
  • In ogni caso, l’onnipotenza e l’onniveggenza di Dio fotte tutto perché lui sa già cosa faremo e cosa penseremo ancora prima di farlo e di pensarlo. In poche parole sa già prima della nostra nascita come vivremo e come moriremo, e se andremo in paradiso o in inferno.

Per poi arrivare al fatto che il cristianesimo sia l’unica vera religione. Davvero siamo così arroganti? Vuol dire che altre 8 miliardi di persone si stanno sbagliando…

Se fossero gli ebrei ad avere ragione? Se fossero gli induisti? Se fossero gli islamici?

Qualcuno qui sta sbagliando, e considerando la quantità incredibile di religioni nel mondo, ANCHE quelle estinte perché non più praticate, quante possibilità abbiamo di vincere la lotteria delle religioni?

Ti immagini la scena? Muori e sali al cielo, attorno a te nuvole ed isole galleggianti. Ad un tratto noto che c’è un tizio alto 6 metri che ti guarda incazzato. Lui è Zeus e ti dice “hai sbagliato religione stronzo!” e ti fulmina. A dire il vero, fulmina chiunque da duemila anni a questa parte.

Insomma, per farla breve, io non sono diventato ateo per via della sofferenza. La sofferenza fa parte della vita. Ogni cosa su questo pianeta è sofferenza. La fame è sofferenza. La sete lo è. Il sonno, il desiderio sessuale, tutto! Tutto è sofferenza altrimenti non ne avremo bisogno.

Il problema è che la sofferenza nella Bibbia è assolutamente immotivata ed inutile. E quando realizzi ciò diventa tutto pericoloso, perché cominci a farti domande sulla coerenza di tutta la baracca teologica, e questo tipo di costituzioni mentali tendono a collassare appena metti alla prova una qualsiasi colonna portante…

Invidio i credenti, almeno loro hanno qualcosa per cui credere in un domani migliore.

Io neanche facendo finta ci credo…

 

Numero2938.

 

A T E I    E    R E L I G I O N I

 

Gli atei pensano che la dottrina teologica

e la religione siano artefatti umani, ossia,

risultati di leggende ed opere letterarie UMANE.

Pertanto, non vi attribuiscono alcun valore

di “comandamento divino”, ma soltanto

di “legge umana scritta per un certo luogo e tempo”.

Essa, però, è stata ed è strumentalizzata

per scopi nient’ affatto “divini”,

ma solo per detenere e gestire poteri terreni.

Numero2925.

 

I N    M O R T E    D I    U N    E X    C O M P A G N O    D I    C L A S S E           (TRENO O EPICEDIO)

 

Caro Pierluigi, vecchio compagno di scuola al Liceo Classico Stellini di Udine, nella seconda metà degli anni ’60, mentre io sto scrivendo, si stanno svolgendo le meste esequie per l’estremo saluto a te, morto da alcuni giorni, dopo lunga malattia per un male incurabile.
Casualmente, circa un mese fa, la cara Giuliana, amica mia da oltre quarant’anni, nominò, con nome e cognome, te, suo amico e sodale nella pratica della fede, e subito le ho chiesto se si trattava di quella persona che avrebbe potuto essere il mio ex compagno di classe, ai tempi del Liceo Classico.
Abbiamo appurato che si trattava veramente di te e, senza esitazione, le ho chiesto di darmi il tuo numero di telefono perché intendevo chiamarti per ripristinare un contatto, dopo oltre 65 anni. Me l’ha dato insieme ad alcune notizie, per sommi capi, sulla tua situazione e sulle tue condizioni di salute.
Ma tu stesso, per primo, avendo avuto da Giuliana il mio numero, mi hai preceduto con un messaggio WhatsApp. Eccolo:

Caro Alberto.
Sono molto contento di averti rintracciato grazie alla Giuliana Belotti.
Mi dicono che giochi a tennis e questo dimostra che stai bene.
Abbiamo passato anni insieme…. ma io di te sapevo solo che eri il più dotato della classe.
Spero tu sia sereno.
Ti auguro ogni bene.
Io sono ammalato di cancro non operabile,
ma sono ben curato.
La mia vita è stata piena di soddisfazioni a tutti i livelli.
Anche oggi sono contornato da mille attenzioni delle tre figlie; il figlio Roberto invece è morto a 32 anni per tumore allo stomaco nel 2006. Mia moglie Mimi mi ha lasciato per un tumore al cervello nel 2015.
Ricordo le tue sonore risate.
Un abbraccio.
Pierluigi

Ti ho risposto così: Ciao, Pierluigi, sono contento di poter ripristinare un contatto con te. Nel pomeriggio, ti chiamo. Mandi.

 

Ti ho chiamato, infatti, e abbiamo parlato, in una lunga telefonata, tu di te e io di me ricordando tante cose e tanti compagni di classe dei nostri bei tempi. A differenza di te, io non ho mai tenuto i contatti con i nostri compagni del Liceo. Tu, invece, anche perché a Udine li avevi vicini, sapevi un po’ tutto di loro. Di alcuni mi hai parlato, ma ti sei ripromesso, dopo una ricognizione nella tua memoria, di richiamarmi per farmi una relazione aggiornata e più accurata su tutta la classe: mi avrebbe fatto piacere.
Sono passate ben più di due settimane, ma da te nessuna chiamata e nessuna notizia. Ci siamo visti con Giuliana ad un pranzo in trattoria, una domenica fa. Mi ha chiesto se avevo proseguito nel contatto con te e le ho detto che da un po’ non ti sentivo e che stavo ancora aspettando che tu mi chiamassi. Lei mi ha raccomandato di essere io a chiamarti, se tu non ti facevi sentire. Tre giorni dopo da Giuliana mi è arrivato questo messaggio:

Albert oggi è morto Pierluigi Presacco…purtroppo…

La mia risposta:

Avevo avuto un presentimento. Non capivo perché non chiamava più. Purtroppo….

 

E così ci hai lasciati.

 

Giuliana mi ha fatto sapere quando ci sarebbe il tuo funerale e mi ha chiesto se volevo essere presente anch’io:  sarebbe passata a prendermi per venirci insieme.
Le ho risposto: “No, non ci sarò. Io non sono l’uomo dei funerali. Non vorrei partecipare neanche al mio, di funerale”. Lei si è messa a ridere, ma mi conosce e mi perdona. Perdonami anche tu. Ma, invece che una presenza pubblica, ho preferito dedicarti il ricordo di un episodio che ci ha visti insieme, in altri e migliori tempi.
Mentre in chiesa ci saranno i rituali funebri, io sto scrivendo alla tastiera, pensando a te.

Ieri, abbiamo fatto un pranzo a casa di Rita, sia perché era rientrato dall’Ospedale suo fratello, reduce da un intervento chirurgico, sia perché oggi è il compleanno di Rita e abbiamo avuto una piccola riunione di famiglia.
Sono venuti a trovarci anche mio figlio Ale e la sua compagna e con loro, fra le altre cose, ho parlato anche di te, di come ci siamo ritrovati e subito ripersi.
Ho letto loro il tuo messaggio e hanno voluto sapere di più. E ho raccontato ….
Nel messaggio tu scrivi: “Ricordo le tue sonore risate”.
Ecco, questa frase mi ha fatto ripensare ad un aspetto del mio carattere che quasi avevo cancellato nei miei ricordi.
Da giovane studente, io ero sì, un gran secchione, ma non ero un tetro, barboso, introverso cultore di libri e vocabolari, bensì un monello un po’ “Giamburrasca”, un creativo animatore, un organizzatore di scherzi, anche ai danni di insegnanti. Mi prestavo anche a passare compiti, esercizi, traduzioni, versioni in classe ai compagni che me li chiedevano.
Ricordo che a casa tua ci sono stato più di qualche volta. Ho perfino dormito da te, perché tu mi avevi chiesto di studiare insieme, in qualche weekend.
Poi, mi è saltato in mente che, una volta, a casa tua, una bella casa grande, con bei mobili e tanta luce, c’è stato un “festino”, di quelli che si organizzavano al sabato, per festeggiare un compleanno. Tutta la classe era invitata.

Ebbene, verso la fine della festa, sono arrivati due uomini, uno dei quali era tuo padre e l’altro non ricordo bene chi fosse, forse un tuo parente o un suo amico oppure il padre di una nostra compagna di classe che era venuto a prendere la figlia.
Si sono intrattenuti un po’ con noi, parlando del più e del meno, e quest’ultimo signore, distinto e con una certa cultura, ad un certo punto si è rivolto a noi dicendo più o meno questo:

“Voi, giovani studenti di latino, che ormai masticate da quasi 8 anni, vediamo chi riesce a interpretare e tradurre il significato di una frase latina che adesso vi dico. Guardate che molti illustri latinisti ci hanno provato, ma di soluzioni attendibili poco o niente….
Nel corso di scavi nel sito archeologico del Foro a Roma, è venuta alla luce una lastra di pietra che su una facciata, quella in vista, era liscia e vuota, ma sul retro portava una scritta, che nessuno aveva notato prima perché nascosta.
La scritta era scolpita in caratteri latini e ben leggibile. Eccola:

OLIM

ORTA

OCCISVA

AEDISTI

FIDEM

IGNOTA.

Chi mi sa dire cosa significa?

Punti nell’orgoglio per la sfida, tutti noi ci siamo messi a pensare per trovare la soluzione del rebus che non appariva per niente semplice.
Sono spuntati fuori, fogli di carta, penne, matite, vocabolari e grammatiche latine. Non si sentiva volare una mosca.

Per orientarci, scrivo qui alcuni significati delle 6 parole latine scritte sopra.

OLIM = un tempo, in passato, anticamente.

ORTA = participio passato femminile del verbo “orior” che vuol dire sorgere, alzarsi, spuntare, nascere, cominciare.

OCCISVA = dal verbo “occido” che significa morire, estinguersi, tramontare, svanire, sparire, essere distrutto, cadere, crollare. Bisognava tenere presente l’anomalia della V che si doveva leggere U e che complicava ulteriormente le cose. Cominciò a girare fra i partecipanti al test, la voce che doveva trattarsi di “voce tardo latina”.

AEDISTI = qui il termine era controverso: sembrava il passato remoto di un verbo non conosciuto che aveva la radice di = casa, abitazione, costruzione, “edificio” e simili.

FIDEM = Accusativo singolare femminile del termine fides- ei = fede, fiducia, credenza, lealtà, fedeltà, credulità ecc.

IGNOTA = aggettivo/participio al nominativo (o vocativo, o ablativo) singolare femminile, forse concordabile con ORTA = ignota, sconosciuta.

 

Era passata mezz’ora e nessuno era riuscito a cavare un ragno dal buco.

Io me ne stavo in disparte, un po’ lontano dai miei compagni, che sapevo mi avrebbero avvicinato per chiedermi sicuramente chiarimenti o le miei interpretazioni. Mi sarei deconcentrato se davo retta a loro.
Dopo un po’ arrivai alla conclusione che questo doveva essere uno scherzo, perché la frase non aveva un senso compiuto con i significati di quelle parole.

Mi è venuta l’ispirazione di scrivere le parole tutte in orizzontale e vicine fra loro, le une di seguito alle altre. Così:

OLIMORTAOCCISVAAEDISTIFIDEMIGNOTA:

Allora ho capito che, dopo aver applicato le crasi o elisioni di certe vocali di inizio e fine parola, cosa assai comune nei versi della metrica poetica latina, si poteva scandire la frase in questo modo:

O / LI / MORTACCI / SUA / E / DI / STI / FI / DE / MIGNOTA

Ecco svelato l’arcano!
Si trattava di una frase comune e popolare del vernacolo romanesco, burino e caciottaro, che qualcuno si era divertito a trascrivere con truffaldina maestria su una pietra, per prendere per il culo i lettori.

Le risate e i complimenti tennero banco per il resto della serata.

Te lo ricordi questo episodio?

 

Caro Pierluigi, antico compagno di classe, perduto, ritrovato e, adesso, di nuovo, ma questa volta per sempre, riperduto, mi perdonerai se ho rievocato un po’ spensieratamente questo episodio della nostra bella gioventù.
Oggi, nel giorno del tuo funerale, io, come allora, goliardico burlone e clown un po’ sfrontato, ho voluto ricordarti e ricordarci insieme, come ai bei tempi, con la rievocazione di questo aneddoto di vita studentesca.

Dall’alto di quel cielo celeste, che hai tanto e sempre cercato e adesso raggiunto, per la  tua specchiata rettitudine morale e per la tua profonda devozione religiosa, ridi anche tu con me, a questo ricordo.
Forse, in quel cielo dove il tempo e lo spazio non ci sono più, dove le anime si possono trovare liberamente, magari ci rincontreremo, come non siamo riusciti a fare qui sulla terra. E rideremo insieme. E mi racconterai di quello di cui non sei riuscito a ragguagliarmi. come mi avevi promesso.

E, a proposito di “latinorum”, simpaticamente, come in una “lectio non magistralis”, ti saluto con la locuzione “In manu Dei” (nella mano del Signore) che viene compendiata magnificamente, con una sintetica commistione etimologica, nella più bella parola della nostra lingua friulana: MANDI!

 

 

 

Numero2924.

 

da QUORA

 

Che fine fanno i soldi che si danno alla Chiesa?

 

Scrive Luca Lombardi, corrispondente di QUORA

 

Che fine fanno i soldi che si danno alla Chiesa? Ce lo racconta un sacerdote cattolico, intervistato dal giornalista Emiliano Fittipaldi, in un ristorante:

Inforchettato il primo gambero, il sacerdote più anziano, quello che non avevo mai incontrato prima, va al sodo. “Devi scrivere un libro. Devi scriverlo anche per Francesco. Che deve sapere.

Deve sapere che la Fondazione del Bambin Gesù, nata per raccogliere le offerte per i piccoli malati, ha pagato parte dei lavori fatti nella nuova casa del cardinale Tarcisio Bertone.

Deve sapere che il Vaticano possiede case, a Roma, che valgono quattro miliardi di euro. Ecco. Dentro non ci sono rifugiati, come vorrebbe il papa, ma un sacco di raccomandati e vip che pagano affitti ridicoli.

“Francesco deve sapere che le fondazioni intitolate a Ratzinger e a Wojtyla hanno incassato talmente tanti soldi che ormai conservano in banca oltre 15 milioni.

Deve sapere che le offerte che i suoi fedeli gli regalano ogni anno attraverso l’Obolo di San Pietro non vengono spese per i più poveri, ma ammucchiate su conti e investimenti che oggi valgono quasi 400 milioni di euro.

Deve sapere che quando prendono qualcosa dall’Obolo, i monsignori lo fanno per le esigenze della curia romana.

“Deve sapere che lo Ior ( Istituto per le Opere di Religione = Banca del Vaticano) ha quattro fondi di beneficenza avari come Arpagone: nonostante l’istituto vaticano produca utili per decine di milioni, il fondo per opere missionarie ha regalato quest’anno la miseria di 17 mila euro. Per tutto il mondo!

Deve sapere che lo Ior non è stato ancora ripulito e che dentro il torrione si nascondono ancora clienti abusivi, gentaglia indagata in Italia per reati gravi.

Deve sapere che il Vaticano non ha mai dato ai vostri investigatori della Banca d’Italia la lista di chi è scappato con il bottino all’estero. Nonostante noi l’avessimo promesso.

Deve sapere che per fare un santo, per diventare beati, bisogna pagare. Già, sborsare denaro. I cacciatori di miracoli sono costosi, sono avvocati, vogliono centinaia di migliaia di euro. Ho le prove.

“Deve sapere che l’uomo che lui stesso ha scelto per rimettere a posto le nostre finanze, il cardinale George Pell, in Australia è finito in un’inchiesta del governo sulla pedofilia, alcuni testimoni lo definiscono ‘sociopatico’. E in Italia nessuno scrive niente. Deve sapere che Pell ha speso per lui e i suoi amici, tra stipendi e vestiti su misura, mezzo milione di euro in sei mesi.

“Francesco deve sapere che la società di revisione americana che qualcuno di noi ha chiamato per controllare i conti vaticani ha pagato a settembre 2015 una multa da 15 milioni per aver ammorbidito i report di una banca inglese che faceva transazioni illegali in Iran.

Deve sapere che la Santa Sede per guadagnare più soldi ha distribuito tesserini speciali a mezza Roma: oggi vendiamo benzina, sigarette e vestiti tax free, incassando 60 milioni l’anno.

“Deve sapere che non è solo Bertone che vive in trecento metri quadrati, ma ci sono un mucchio di cardinali che vivono in appartamenti da quattrocento, cinquecento, seicento metri quadrati. Più attico e terrazzo panoramico.

Deve sapere che il presidente dell’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), Domenico Calcagno, si è fatto un “buen retiro” in una tenuta della Santa Sede in mezzo al verde, facendo aprire una società di comodo a suoi lontani parenti.

Deve sapere che il moralizzatore Carlo Maria Viganò, l’eroe protagonista dello scandalo Vatileaks, è in causa con il fratello sacerdote che lo accusa di avergli fregato milioni dell’eredità.

Deve sapere che Bertone ha preso a noleggio un elicottero costato 24 mila euro per andare da Roma in Basilicata.

Deve sapere che il Bambin Gesù controlla allo Ior un patrimonio pazzesco da 427 milioni di euro, e che il Vaticano ha investito pure in azioni della Exxon e della Dow Chemical, multinazionali che inquinano e avvelenano.

Deve sapere che l’ospedale di Padre Pio ha trentasette tra palazzi e immobili, e che oggi hanno un valore stimato in 190 milioni di euro.

Deve sapere che i salesiani investono in società in Lussemburgo, i francescani in Svizzera, che diocesi all’estero hanno comprato società proprietarie di televisioni porno.

Deve sapere che un vescovo in Germania ha scialacquato 31 milioni per restaurare la sua residenza, e che una volta beccato è stato promosso con un incarico a Roma.

Francesco deve sapere un sacco di cose. Cose che non sa, perché nessuno gliele dice.”

Il monsignore posa la forchetta e si pulisce la bocca con il tovagliolo. Il prete che conosco bene gli versa un po’ di vino nel bicchiere, un Sacrisassi Le Due Terre. Il canuto reverendo alza il calice, strizza un occhio per osservare con attenzione il colore giallo paglierino attraverso il cristallo, beve due lunghi sorsi, poi sorride.

“Qui fuori c’è parcheggiata una macchina piena di documenti. Dello Ior, dell’Apsa, dei dicasteri, dei revisori dei conti chiamati dalla commissione referente, la Cosea.

È per questo che ho chiesto che lei venisse in auto. Non ce la farebbe a portarli via in motorino.”
Si alza di scatto. “A proposito, noi non abbiamo contanti. Stavolta il ristorante lo paga lei?”.

 

(dal libro di Emiliano Fittipaldi, Avarizia, Milano, 2015)

Numero2914.

 

da QUORA

scrive Paolo Lo Re, corrispondente di QUORA

 

 

Cosa diresti a qualcuno per convincerlo a credere in Dio?

 

 

Anche se argomentati con garbo e capacità espositiva, questi sono gli argomenti del “disegno intelligente”, contro cui valgono tutte le risposte date con intelligenza da Richard Dawkins in The god delusion (La delusione di Dio) o in The blind watchmaker (L’orologiaio cieco).

Con meno capacità e brillantezza espositiva, e con argomentazioni più rozze ma fondamentalmente analoghe, è espresso da ogni testimone di Geova che bussa alla porta di qualcuno.

Si chiama principio antropico.

Noi esistiamo perché l’Universo è fatto in modo da permettere la nostra esistenza. Questo è sicuro. Se alcune costanti fisiche fossero diverse, tutto l’Universo sarebbe diverso, e non sarebbe possibile la vita nella forma che conosciamo.

Ma da questo, alle idee che l’Universo sia così perché realizzato da qualcuno in base a un progetto specifico, e che questo progetto contempli la (o addirittura sia centrato sulla) nostra esistenza, è un passo molto lungo.

E’ parecchio più realistico (e onesto!) dire che l’Universo è fatto come è fatto, e perché è fatto così non si sa.

E che, per come è fatto l’Universo, è tecnicamente possibile lo sviluppo della vita come la conosciamo.

E che, seppure con probabilità bassissime, la vita come la conosciamo può evolvere verso lo sviluppo di intelligenza ed autocoscienza.

E che anche un evento a probabilità bassissime si verifica, se c’è un numero sufficiente di tentativi.

Osservo che la probabilità di centrare un 6 al superenalotto è all’incirca una su 600 milioni, eppure c’è regolarmente chi vince. E’ bassa e trascurabile la probabilità che una specifica persona vinca ma, dato il numero di tentativi (schedine giocate) è quasi certo che qualcuno vincerà.

Allo stesso modo era a priori particolarmente bassa la probabilità che si sviluppasse vita intelligente sulla sola base di reazioni chimiche naturali proprio sul terzo pianeta proprio della nostra stella ma, considerato l’immane numero di galassie, stelle e pianeti, era quasi certo che da qualche parte sarebbe potuto succedere.

Non si vede la necessità di introdurre una variabile indipendente come una causa prima non creata. Anzi, i principi di economia in logica come l’Ockham razor (rasoio di Ockham) raccomandano di NON farlo.

E l’argomento di trovare per “il tutto” una “causa prima” si scontra con la ovvia necessità di giustificare l’esistenza della “causa prima”. La risposta standard che la necessità di una causa prima non si applica alla causa prima stessa è una discreta arrampicata sugli specchi.

Equivale a dire: “Applichiamo la logica: l’Universo esiste, e sappiamo che tutto ha un inizio, quindi qualcuno lo ha creato, secondo logica deve aver avuto un inizio. Ma questo qualcuno da dove è venuto fuori? No, su questo non si applica più la logica. Questo qualcuno c’è sempre stato, non ha un inizio.”.

Possibile che chi ricorre all’argomento della creazione non veda la contraddizione? Si usa la logica solo quando sembra serva al proprio scopo e, quando genera una contraddizione, invece di ammettere l’errore intrinseco dell’argomento la si abbandona?

Quanto ai miracoli, se confrontiamo i dati rilasciati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla percentuale di casi di remissione spontanea di malattie (sul totale dei casi di malattia) con i dati ufficiali su numero e qualità di miracoli definiti tali dalla chiesa e avvenuti a Lourdes, in confronto al numero di pellegrini, se ne deduce semmai che, se si ha un cancro, si ha più probabilità di guarire se si resta a casa e non ci si cura, che se si va a Lourdes e si prega tanto tanto.

Spiacente, ma non credo che esistano argomenti che possano convincere dell’esistenza di dio un ateo che sappia ragionare…

Numero2912.

 

C R E D O    I N    D I O ?         OVVERO  IL  DUBBIO  CATEGORICO

 

Ovviamente, ognuno è libero di credere quel che gli pare, ma lo riservi alla sua sfera individuale senza pretese di possedere e di dover insegnare qualcosa di universale e di assoluto: lo smentisce qualsiasi osservazione quotidiana del reale e delle persone intorno a noi, raccontando e mostrando sempre tutt’altro da quanto atteso e voluto per fede, autoconvincimento, idealismo, bisogno di sicurezze, paura della morte ed altre pulsioni terra-terra che si pretendono trascendentali. Perché, si sa, ci vengono molto meglio, più comode e più piacevoli le illusioni.

Quello che non sappiamo è assai più di quello che crediamo di sapere.
La scienza naturale è lo strumento migliore di cui disponiamo per illuminare l’universo intorno a noi, ma sarebbe assai arrischiato costruire su di essa una “metafisica”: non possiede certezze assolute ed è in un processo di continua evoluzione.
Non esistono prove schiaccianti per non credere, come non ne esistono per credere.
Per decidere, ognuno deve consultare il suo cuore e mettere in gioco la sua libertà.

Lascio certamente il giusto spazio al libero esercizio intellettuale e alla immaginazione di chi dissente da me.

Seppur le considerazioni scientifiche, ed in particolare quelle socio-antropologiche moderne, debbano necessariamente essere il fondamento per ogni pensiero e giudizio razionale in merito al presente quesito, realizzo, tuttavia, che un certo grado di “trascendentale” possa verosimilmente permeare la nostra vita, eludendo funzioni reali come la ragione.

Rimango diffidente di santoni, predicatori o pensatori/pifferai magici di qualsiasi sorta, come anche delle forme più diffuse ed organizzate di culto, orbitanti attorno ad ogni assetto arbitrario di elementi sacri, salvifici ed imperativi. Ma, per onestà intellettuale, non mi sento di condannare  il “credere” in qualcosa di più grande e di metafisico, così come riconosco giustificata la necessità di “umanizzarlo” e renderlo compatibile con la propria cultura e accettabile per il proprio cuore.

Non tutti, però, hanno l’acume o la forza interiore di accettare l'”incertezza” con vera serenità, sia essa fideistica oppure atea. Coltivare una fede è già, di per sé, padroneggiare una certezza. Scade  quasi a istanza secondaria, ma non è meno importante, il particolare che essa sia fondata o meno.

Io ho imparato a farlo proprio dalla mia vita: vivo nella “fede del dubbio”, senza certezza alcuna che non sia la morte, ne ho fatto un oracolo di coscienza e un blasone di obiettività mentale e comportamentale e mi ci trovo bene.

Non “credere”, ma “dubitare” è il paradigma di ogni mio passo nel cammino dell’esistenza e, tuttavia, ho passato il mio tempo alle prese con il feroce e martellante assillo del problem solving (metodo per risolvere i problemi), che è per me, in definitiva, il vero e giusto modo di saper vivere. Parodiando Renè Descartes (Cartesio), grande uomo di scienza e filosofo della prima metà del XVII secolo, invece che “Cogito, ergo sum” (Penso, dunque esisto), dico semplicemente: “Dubito, ergo sum” (Dubito, quindi esisto).

Modestamente e umilmente, considero le “certezze” ( non dico solo quelle della fede) un lusso intellettuale che non mi appartiene e che non ho mai preso in considerazione, ancor più quando e perché esse sono dogmatiche, apodittiche, indimostrabili e indimostrate. Esse sono persino un approccio fasullo, una distorsione della realtà ed un allontanamento da essa che inducono a inquadrare l’esistente entro schemi preconfezionati, entro scatole chiuse dove il diverso della natura, l’inatteso della morale, il nuovo del sociale, il razionale del contraddittorio speculativo non trovano mai ospitalità.

Sono un “comodo” rifugio preservativo e consolatorio ed affrancano apparentemente da ogni rischio ed azzardo: sono una specie di salvifica “assicurazione sulla vita”, risarcitoria a beneficio indeterminato, illusorio e tranquillizzante antidoto contro le sorprese squilibranti delle vicende umane.
E queste sono un pericoloso, ma meraviglioso “divenire” in costante aggiornamento.

Oggi semplificherei col dire: “sono agnostico”. Forse in fondo, oltre i miei filtri critici, spero davvero che ci sia “qualcosa” di più grande e vivo, di conseguenza, in pace con me stesso, se non altro perché non vorrei che la vita fosse priva di un significato, se non di un sogno. Se ce n’è uno anche per me, non sia il delirio reazionario di chi ha gli occhi per contemplare la propria natura e la coscienza di non accettarla coerentemente.

E questo é, forse, un modo saggio di vedere la vita. Ma ho, come sempre, i miei dubbi: sono ancora  e tuttora un apprendista degli imperscrutabili algoritmi di questo stupendo viaggio che è la mia esistenza. E di questo itinerario, il percorso è non meno importante e affascinante della sua destinazione e della sua meta che rimane, per quanto certa, sconosciuta e misteriosa.

 

O sol che sani ogne vista turbata,

tu mi contenti sì quando tu solvi,

che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.

 

O sole (riferito a Virgilio), che rendi chiara ogni vista disturbata,

tu mi soddisfi tanto quando risolvi (i dubbi)

che dubitare mi piace non meno che sapere.

 

Dante, Inferno canto XI, vv 91-93

Numero2911.

 

da QUORA

 

Scrive Heisenberg, corrispondente di QUORA

 

In che modo gli atei dimostrano che non esiste Dio?

 

L’onere della prova spetta a chi afferma che esiste e, come insegna il buon Russell, non è tecnicamente possibile dimostrare l’inesistenza di un umanoide con poteri divini che gioca a nascondino nei dintorni della nostra stella madre.

Ma poi quale Dio? Ne “esistono” letteralmente a migliaia.

Se intendi il Dio delle religioni abramitiche, cioè il tizio onnipotente, quello che ti posso obiettare è al massimo l’illogicità della cosa, ma puntualmente verrei smentito dai fedeli con il solito bla, bla, bla della mente che non può capire Dio. Big Bang, evoluzione, relatività e meccanica quantistica, ma capire una superstizione no; vabbè annuiamo e sorridiamo.

Rivolgendomi però a chi volesse eventualmente utilizzare gli oltre dieci miliardi di neuroni del lobo frontale per qualcosa di più consono alla sua funzione specifica, propongo invece la seguente riflessione.

Onnipotente al mio paese vuol dire ” di potere illimitato”. E potere illimitato, significa energia infinita.

Per cui, se esiste un Dio onnipotente, dev’esserci di conseguenza una quantità infinita di energia; il tutto però non si osserva allo stato attuale delle cose, anche perché una condizione del genere farebbe collassare con ogni probabilità l’intero Universo.

Ergo, in questo contesto, un Dio onnipotente non può esistere.

E se anche esistesse al di fuori non potrebbe comunque interagire, poiché in qualsiasi modo lo faccia trasferirebbe energia infinita e l’Universo, come lo conosciamo, smetterebbe di esistere.

Tra l’altro, pur ammesso che esista al di fuori, il fatto stesso di non poter interagire con la nostra realtà, lo renderebbe irrilevante e pertanto praticamente inesistente anche in questo caso.

Questo è solo uno dei tanti paradossi che vengono a generarsi quando la mente associa proprietà impossibili a determinati personaggi letterari. Io ne ho pensato uno un attimo più interessante, ma basterebbe una riflessione da prima media del tipo:

Dio può creare un muro indistruttibile che neanche lui può distruggere?

No → non è onnipotente. Si → non è onnipotente.

Cioè boh. Sarò strano io, ma non ho mai capito come fa la gente a credere in certe cose.