Numero3582.

da  QUORA

 

Scrive Armando La Torre, corrispondente di QUORA

 

 

Quel divieto non era un test d’amore, ma la clausola capestro di un contratto firmato da due analfabeti.

Dio non ha proibito di mangiare quel frutto per proteggere Adamo ed Eva. Lo ha fatto per proteggere se stesso e il suo status di dittatore assoluto. Nel Giardino dell’Eden, Adamo ed Eva non erano esseri umani. Erano animali domestici, automi biologici che vivevano in uno stato di beata e totale insipienza. Non conoscevano la vergogna, la paura, il dolore o la morte. La loro unica funzione era obbedire a un’unica, arbitraria regola. Il divieto non era un test di lealtà. Era un meccanismo di controllo. Finché obbedivano ciecamente, senza capire il perché, rimanevano i suoi perfetti e inconsapevoli schiavi.

L’albero non dava la conoscenza del bene e del male in senso filosofico. Dava una cosa molto più pericolosa. Dava la coscienza di sé e la capacità di giudizio autonomo. Prima di mangiare il frutto, “bene” era ciò che Dio ordinava, e “male” era ciò che Dio proibiva. La loro moralità era un software preinstallato. Dopo aver mangiato, hanno acquisito la capacità di guardare un’azione, o un ordine, e di giudicare da soli se fosse giusta o sbagliata. Hanno potuto guardare se stessi, nudi, e provare vergogna. Hanno potuto guardare Dio e, per la prima volta, pensare “Quello che stai facendo è ingiusto”. Questo è il vero peccato originale. Non la disobbedienza, ma l’acquisizione della facoltà di critica. Un essere che può giudicarti non è più un tuo schiavo. È un tuo pari, o un tuo nemico.

La cacciata dall’Eden non fu una punizione. Fu una necessità logica per un tiranno che aveva perso il controllo dei suoi esperimenti. Adamo ed Eva erano diventati inutili, contaminati. Erano diventati umani. Complessi, fallibili, capaci di mentire, di soffrire e, soprattutto, di ribellarsi. Dio non ha cacciato due peccatori. Ha buttato via due giocattoli che si erano rotti, due animali da laboratorio che avevano sviluppato una coscienza imprevista. L’intera storia non è una lezione sulla tentazione e la caduta dell’uomo. È il racconto di un esperimento fallito, la cronaca di come un despota cosmico ha preferito condannare le sue creature a una vita di sofferenza piuttosto che tollerare la loro indipendenza.

Numero2966.

 

da QUORA

 

A N C O R A    S U L L ‘    A T E I S M O

 

Scrive Tere Riboli, corrispondente di QUORA.

 

L’ateismo e in generale il non credere in Dio ha sempre fatto paura al potere religioso, perché chi non crede in Dio è una persona che si pone delle domande e non accetta passivamente ciò che viene detto loro dalla religione.

In passato i pensatori liberi erano chiamati eretici dalla Chiesa e venivano uccisi o peggio ancora bruciati sulla pubblica piazza come monito alla popolazione: chi si ribellava avrebbe fatto la stessa fine.

Uno degli esempi più lampanti è Giordano Bruno bruciato perché non si è piegato al Papa.

In occidente il progresso e le conquiste sociali hanno permesso la libertà di potersi esprimere liberamente e la libertà di non seguire alcuna religione.

Mentre nel mondo islamico chi mette in dubbio i dettami della religione o si professa ateo viene frustato ed imprigionato.

Nel mondo occidentale chi si professa ateo fortunatamente non subisce conseguenze penali, ma e ancora molto forte l’ostilità verso chi non crede in Dio.

La Chiesa da secoli ha inculcato nel credente l’equazione “ateo = malvagio”, di conseguenza molti credenti si sentono autorizzati ad insultare chi non è credente.

L’ateo è un libero pensatore e non è allineato al pensiero religioso: non è controllabile, allora va attaccato, insultato e denigrato. Quantomeno suscita diffidenza e sospetto.

 

 

Scrive Roberto Piazzolla, corrispondente di QUORA

 

Qualcuno mi ha convinto a diventare ateo?

Si, un prete.

Ero poco più che bambino quando mi è morto il cane con cui ero cresciuto, che per me era praticamente un fratello.

All’epoca andavo a catechismo perché avrei dovuto fare a breve la cresima. Approfittai quindi per chiedere al prete-catechista se il mio cane sarebbe andato in paradiso.

Rispose di no, perché gli animali non hanno anima.

Mi sembrò profondamente ingiusto che Dio, dopo averlo condannato ad una vita troppo breve in rapporto alla mia, non avesse neppure concesso l’anima a mio fratello.

Questo pensiero aprì le prime crepe, che si ingrandirono molto rapidamente nei giorni successivi. Man mano che riflettevo su una simile insensatezza, mettevo in dubbio l’intero impianto della fede a cui mi avevano insegnato molto bene a credere, fino a quel momento.

Arrivato il giorno della cresima, alla fine della cerimonia, il prete raccomandò a tutti di non smettere mai di andare a messa, anche se ormai eravamo cresimati.

Ho ancora l’esatto ricordo di me bambino, che scendo le scale del sagrato fuori dalla chiesa pensando: “col cavolo che mi rivedrete”.


Peraltro, molti anni dopo, la chiesa in parte cambiò idea. Adesso infatti alcuni ecclesiasti sono possibilisti sul fatto che anche gli animali vadano in paradiso.

Era quello che mi serviva per capire definitivamente che la religione non viene da Dio, ma la inventano gli uomini, che poi la modificano al bisogno, a seconda delle variazioni dei costumi e delle convinzioni sociali.

 

Scrive Diego Lovato, corrispondente di QUORA

 

Le persone non diventano atee.

RITORNANO ad essere atee. L’uomo nasce ateo, e poi viene “educato” a credere in qualcosa che viene elaborato da istituzioni che sono a tutti gli effetti umane, anche se queste millantano autoispirazione divina.

Bisogna specificare un particolare: è vero che tutti nasciamo atei, ma con alcune caratteristiche che la psicologia chiama distorsioni cognitive.

Fra queste, ci terrei a sottolinearne alcune, che riguardano il nostro argomento: innanzitutto l’uomo non riesce a concepire l’annullamento del sé.

Nel senso che, sì, può immaginarsi un morto o immaginare sé stesso morto; ma dal momento che lo fa, lui ne è spettatore: quindi immagina sé stesso morto da vivo!

Dal momento che qualcuno pensa, vuol dire che neuroni e sinapsi compiono un lavoro od un movimento; pensarsi morti, nel senso di immaginare un enorme vuoto, ma che comunque nemmeno si vedrà appunto perché la rete neuronale adibita alla comprensione sarà immobile è appunto impossibile.

Insomma, pensare alla morte è un ossimoro! Quando si pensa si è vivi…quando si è morti, non si pensa.

Da questo “scherzo mentale” nasce l’idea di anima o concetti equiparabili: la percezione di una continuazione dell’esistenza anche quando il corpo e la mente sono tristemente ma evidentemente morti.

Un’altra distorsione cognitiva che caratterizza l’uomo è la pretesa di trovare uno scopo od un motivo per tutto lo svolgersi degli eventi, come la sua esistenza e l’intrinseco soffrire di questa vita terrena.

Ebbene la religione viene appresa dapprima perché viene insegnata da esegeti fin quando, da piccoli, siamo più manipolabili. E poi trova terreno fertile in molti di noi in quanto danno una conferma o una risposta alle esigenze di quelle distorsioni percettive descritte sopra.

Numero2952.

 

da  QUORA

 

A N C O R A     S U    C R E D E N T I    E    A T E I

 

Scrive Guido Capuani, corrispondente di QUORA.

 

Sono credente. Più precisamente mi considero un teista agnostico: credo che Dio esista, ma che non sia possibile conoscerlo per via esclusivamente razionale. Dio è al di fuori del campo di applicazione della scienza.

Nel confronto con gli atei, do più importanza all’agnosticismo che al teismo. Dopotutto, posso fornire prove razionali in favore dell’uno, ma non dell’altro. L’ateismo agnostico (“non credo che Dio esista, ma non posso dimostrare razionalmente che non esiste”) è una posizione assolutamente legittima, secondo me. Discutere con un ateo agnostico è per me spesso più proficuo che discutere con un teista, perché mi costringe a mettere in discussione i presupposti della mia fede. Essere agnostici non vuol dire essere irrazionali: significa piuttosto sapere che qualsiasi argomento razionale in favore o contro l’esistenza di Dio non è conclusivo. Per questo è sano esporre i propri argomenti soggettivi alla critica di chi la pensa diversamente.

Quello che faccio fatica a capire è l’ateismo gnostico: “Dio non esiste, io ne ho le prove”. Le dimostrazioni “razionali” della non esistenza di Dio non sono meno fallaci delle dimostrazioni di esistenza, e spesso sono più ingenue dal punto di vista filosofico (penso soprattutto alla propaganda del cosiddetto New Atheism). Per me non vale la pena discutere con un ateo gnostico: posso rispettare le sue argomentazioni, ma non me ne faccio nulla. Così come non mi faccio nulla delle argomentazioni di un teista gnostico.

Mentre scrivo, mi risuona in testa il versetto evangelico in cui Gesù invita a “sforzarsi di entrare per la porta stretta”: forse è un’interpretazione eterodossa, ma mi sembra che si possa intendere come un invito a non considerare mai conclusa la propria “lotta” con l’idea di Dio. Gli gnostici, teisti o atei, ritengono di aver risolto la questione in un senso o nell’altro (“sono entrato per la porta stretta” o “non esiste alcuna porta”). Gli agnostici, al contrario, ritengono che l’importante sia continuare a sforzarsi.

A quanto pare, l’ateismo fa crescere la barba.

Numero2949.

 

da  QUORA

 

Scrive un corrispondente di QUORA

 

Perché gli atei non credono che Dio esista?

 

In verità “la gente” crede che dio esista. Gli atei/agnostici come me sono solo il 15%.

La fede è quindi un sentimento diffuso seppur sbagliato e inconsistente. Ho già scritto mille volte delle contraddizioni della bibbia, dell’incoerenza dei principi religiosi, dell’impossibilità di stabilire quale sia la fede religiosa corretta, per non parlare della mostruosità dei campioni della fede… non ci torno sopra e rispondo al perché alcune persone non credono.

Chi non crede non lo fa per pigrizia o per fare come gli pare o per stuprare i bambini (a questo ci pensano altri). Sarebbe molto più comodo credere, soprattutto quando muore un genitore o un amico. Sarebbe comodo avere tutta una serie di regole morali già belle che pronte, e se fai una porcata con un pater ave gloria ti sei già perdonato. La moralità di un ateo è molto complessa perché esercita la propria libertà di giudizio e sceglie davvero, non per paura dell’inferno, quello che è bene.

Chi non crede lo fa perché comprende che il concetto di divinità è una bugia illogica e insensata. Dio è un racconto per bambini su cui gli adulti hanno costruito un potere immenso sugli altri uomini. E poi se uno non ci crede non ci crede, è inutile che ci guardiate come mostri, non ci crediamo. Siamo diversi? Si siamo una minoranza con un QI discretamente alto.

 

Scrive un altro corrispondente di QUORA, Nicolas Mattos

 

Ti parlo della mia esperienza personale.

Io ero religioso. Ma proprio un casino. La mia massima aspirazione a 7 anni era diventare papa. Si, mentre gli altri bambini volevano fare il calciatore io volevo diventare il pontefice. Ero uno di quelli che passava davanti alle chiese e si faceva il segno della croce così come pregavo inginocchiato al mio letto ogni mattina ed ogni sera.

A catechismo, il prete della mia parrocchia vista la mia devozione parlò con i miei genitori per far presente loro che una carriera ecclesiastica per me sarebbe stata non solo possibile, ma anche consigliabile!

Ero, insomma, una persona molto religiosa.

Alla fine della mia comunione, a tutti i bambini del mio corso di catechesi venne regalato un libro: la “Bibbia dei bambini” e di questo dono fui molto grato. Era un libricino giallo, abbastanza grosso e colorato dentro, e conteneva una versione edulcorata sia dell’antico testamento sia del nuovo. Purtroppo non ricordo su quale Vangelo si basasse il nuovo. Quel libro non lo lessi in quei giorni.

Passano gli anni. Io cresco e comincio ad pensare al mio futuro.

Avevo più o meno 11 o 12 anni ed iniziavo a creare i miei primi videogiochi su RPG Maker e simili. Mi si aprì un mondo di logica davanti in cui ad ogni azione corrisponde una reazione, un mondo in cui C ha come requisiti A e B. Imparare per la prima volta a programmare è un trauma per chiunque anche su Python, ed anche lì logica a manetta. Non succede B se prima non si verifica A. Da Pontefice ero passato a Programmatore.

Poi ritrovai quel libro. Ed ovviamente lo lessi.

Rimasi traumatizzato dalla quantità di decisioni illogiche fatte da Dio nel corso dell’antico testamento. Decisioni che secondo me non avevano senso e logica. Ne parlai con il mio parroco e lui mi disse che “Dio agisce per vie misteriose” e che “Dio ha sempre un disegno per tutto e non pensa come noi”.

Dio però ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, non dovremmo quindi essere in grado di fare gli stessi suoi ragionamenti?

Ricordo un momento molto specifico, in cui pensai “Dio non può essere così cattivo”. Pensiero SUBITO auto-censurato dalla mia mente.

Per pura curiosità quindi, cominciai ad analizzare criticamente l’operato di Dio, smettendo quindi di “fidarmi” del  giudizio della chiesa e della gente. Rimasi meravigliato dalla quantità di gente uccisa dalle sue azioni durante l’antico testamento quando esistevano infinite alternative atte a “salvare” i suoi figli. Le le sue continue richieste barbare come “sacrifica tuo figlio” erano semplicemente troppo assurde per avere dei motivi logici in grado di giustificare queste decisioni.

Subito dopo abbiamo Gesù Cristo, che si palesa come figlio di Dio e allo stesso tempo Dio. Dio stesso cambia personalità e da “ammazza tuo figlio per me” diventa “va beh sta volta il figlio lo ammazzo io”. Almeno non uccide tutti i primogeniti questa volta…

Subito dopo la morte di Gesù, Dio sparisce dalla circolazione, quasi come nella canzone “La Paranza”. Vedo il cielo e non ci trovo più Dio perché manca qualsiasi segno della sua esistenza. E non mi vengano a parlare di miracoli perché credo più ad una anomalia scientifica o al fatto che qualcuno vinca la lotteria Divina, perché per ogni buon cristiano che guarisce miracolosamente dal cancro (che attenzione, succede in natura che il cancro regredisca da solo, raramente ma succede), MILIONI muoiono pregando.

La gente MUORE pregando nelle chiese in certi paesi. Bambini africani MUOIONO DI FAME e la soluzione di Dio è contare sulla (poca) generosità del mondo nel donare soldi ai più poveri per giunta spesso di altre religioni (ah, forse per questo Dio le ignora?).

Da quando DIO ha bisogno dell’essere umano per risolvere i problemi?

Questo fottuto pianeta è un posto di merda in cui vivere e Dio non fa ASSOLUTAMENTE UN CAZZO. Il nostro Padre che così tanto ci ama non si fa vedere da duemila anni. Duemila cazzo di anni!

E non mi si venga a raccontare la storia del libero arbitrio perché è una puttanata colossale.

  • Se il libero arbitrio esiste, Dio presentandosi non influenzerebbe nessuno, avremmo tutti la possibilità di capire che lui c’è e potremmo davvero credere in lui, senza fidarci di un libro scritto da persone interamente per sentito dire.
  • Se il libero arbitrio non esiste, tutto questo non ha importanza. Veniamo creati già destinati al paradiso o all’inferno e non abbiamo margine di manovra. In poche parole o Dio ci ama o ci odia e questo già dal momento del nostro concepimento.
  • In ogni caso, l’onnipotenza e l’onniveggenza di Dio fotte tutto perché lui sa già cosa faremo e cosa penseremo ancora prima di farlo e di pensarlo. In poche parole sa già prima della nostra nascita come vivremo e come moriremo, e se andremo in paradiso o in inferno.

Per poi arrivare al fatto che il cristianesimo sia l’unica vera religione. Davvero siamo così arroganti? Vuol dire che altre 8 miliardi di persone si stanno sbagliando…

Se fossero gli ebrei ad avere ragione? Se fossero gli induisti? Se fossero gli islamici?

Qualcuno qui sta sbagliando, e considerando la quantità incredibile di religioni nel mondo, ANCHE quelle estinte perché non più praticate, quante possibilità abbiamo di vincere la lotteria delle religioni?

Ti immagini la scena? Muori e sali al cielo, attorno a te nuvole ed isole galleggianti. Ad un tratto noto che c’è un tizio alto 6 metri che ti guarda incazzato. Lui è Zeus e ti dice “hai sbagliato religione stronzo!” e ti fulmina. A dire il vero, fulmina chiunque da duemila anni a questa parte.

Insomma, per farla breve, io non sono diventato ateo per via della sofferenza. La sofferenza fa parte della vita. Ogni cosa su questo pianeta è sofferenza. La fame è sofferenza. La sete lo è. Il sonno, il desiderio sessuale, tutto! Tutto è sofferenza altrimenti non ne avremo bisogno.

Il problema è che la sofferenza nella Bibbia è assolutamente immotivata ed inutile. E quando realizzi ciò diventa tutto pericoloso, perché cominci a farti domande sulla coerenza di tutta la baracca teologica, e questo tipo di costituzioni mentali tendono a collassare appena metti alla prova una qualsiasi colonna portante…

Invidio i credenti, almeno loro hanno qualcosa per cui credere in un domani migliore.

Io neanche facendo finta ci credo…

 

Numero2938.

 

A T E I    E    R E L I G I O N I

 

Gli atei pensano che la dottrina teologica

e la religione siano artefatti umani, ossia,

risultati di leggende ed opere letterarie UMANE.

Pertanto, non vi attribuiscono alcun valore

di “comandamento divino”, ma soltanto

di “legge umana scritta per un certo luogo e tempo”.

Essa, però, è stata ed è strumentalizzata

per scopi nient’ affatto “divini”,

ma solo per detenere e gestire poteri terreni.

Numero2914.

 

da QUORA

scrive Paolo Lo Re, corrispondente di QUORA

 

 

Cosa diresti a qualcuno per convincerlo a credere in Dio?

 

 

Anche se argomentati con garbo e capacità espositiva, questi sono gli argomenti del “disegno intelligente”, contro cui valgono tutte le risposte date con intelligenza da Richard Dawkins in The god delusion (La delusione di Dio) o in The blind watchmaker (L’orologiaio cieco).

Con meno capacità e brillantezza espositiva, e con argomentazioni più rozze ma fondamentalmente analoghe, è espresso da ogni testimone di Geova che bussa alla porta di qualcuno.

Si chiama principio antropico.

Noi esistiamo perché l’Universo è fatto in modo da permettere la nostra esistenza. Questo è sicuro. Se alcune costanti fisiche fossero diverse, tutto l’Universo sarebbe diverso, e non sarebbe possibile la vita nella forma che conosciamo.

Ma da questo, alle idee che l’Universo sia così perché realizzato da qualcuno in base a un progetto specifico, e che questo progetto contempli la (o addirittura sia centrato sulla) nostra esistenza, è un passo molto lungo.

E’ parecchio più realistico (e onesto!) dire che l’Universo è fatto come è fatto, e perché è fatto così non si sa.

E che, per come è fatto l’Universo, è tecnicamente possibile lo sviluppo della vita come la conosciamo.

E che, seppure con probabilità bassissime, la vita come la conosciamo può evolvere verso lo sviluppo di intelligenza ed autocoscienza.

E che anche un evento a probabilità bassissime si verifica, se c’è un numero sufficiente di tentativi.

Osservo che la probabilità di centrare un 6 al superenalotto è all’incirca una su 600 milioni, eppure c’è regolarmente chi vince. E’ bassa e trascurabile la probabilità che una specifica persona vinca ma, dato il numero di tentativi (schedine giocate) è quasi certo che qualcuno vincerà.

Allo stesso modo era a priori particolarmente bassa la probabilità che si sviluppasse vita intelligente sulla sola base di reazioni chimiche naturali proprio sul terzo pianeta proprio della nostra stella ma, considerato l’immane numero di galassie, stelle e pianeti, era quasi certo che da qualche parte sarebbe potuto succedere.

Non si vede la necessità di introdurre una variabile indipendente come una causa prima non creata. Anzi, i principi di economia in logica come l’Ockham razor (rasoio di Ockham) raccomandano di NON farlo.

E l’argomento di trovare per “il tutto” una “causa prima” si scontra con la ovvia necessità di giustificare l’esistenza della “causa prima”. La risposta standard che la necessità di una causa prima non si applica alla causa prima stessa è una discreta arrampicata sugli specchi.

Equivale a dire: “Applichiamo la logica: l’Universo esiste, e sappiamo che tutto ha un inizio, quindi qualcuno lo ha creato, secondo logica deve aver avuto un inizio. Ma questo qualcuno da dove è venuto fuori? No, su questo non si applica più la logica. Questo qualcuno c’è sempre stato, non ha un inizio.”.

Possibile che chi ricorre all’argomento della creazione non veda la contraddizione? Si usa la logica solo quando sembra serva al proprio scopo e, quando genera una contraddizione, invece di ammettere l’errore intrinseco dell’argomento la si abbandona?

Quanto ai miracoli, se confrontiamo i dati rilasciati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla percentuale di casi di remissione spontanea di malattie (sul totale dei casi di malattia) con i dati ufficiali su numero e qualità di miracoli definiti tali dalla chiesa e avvenuti a Lourdes, in confronto al numero di pellegrini, se ne deduce semmai che, se si ha un cancro, si ha più probabilità di guarire se si resta a casa e non ci si cura, che se si va a Lourdes e si prega tanto tanto.

Spiacente, ma non credo che esistano argomenti che possano convincere dell’esistenza di dio un ateo che sappia ragionare…

Numero2912.

 

C R E D O    I N    D I O ?         OVVERO  IL  DUBBIO  CATEGORICO

 

Ovviamente, ognuno è libero di credere quel che gli pare, ma lo riservi alla sua sfera individuale senza pretese di possedere e di dover insegnare qualcosa di universale e di assoluto: lo smentisce qualsiasi osservazione quotidiana del reale e delle persone intorno a noi, raccontando e mostrando sempre tutt’altro da quanto atteso e voluto per fede, autoconvincimento, idealismo, bisogno di sicurezze, paura della morte ed altre pulsioni terra-terra che si pretendono trascendentali. Perché, si sa, ci vengono molto meglio, più comode e più piacevoli le illusioni.

Quello che non sappiamo è assai più di quello che crediamo di sapere.
La scienza naturale è lo strumento migliore di cui disponiamo per illuminare l’universo intorno a noi, ma sarebbe assai arrischiato costruire su di essa una “metafisica”: non possiede certezze assolute ed è in un processo di continua evoluzione.
Non esistono prove schiaccianti per non credere, come non ne esistono per credere.
Per decidere, ognuno deve consultare il suo cuore e mettere in gioco la sua libertà.

Lascio certamente il giusto spazio al libero esercizio intellettuale e alla immaginazione di chi dissente da me.

Seppur le considerazioni scientifiche, ed in particolare quelle socio-antropologiche moderne, debbano necessariamente essere il fondamento per ogni pensiero e giudizio razionale in merito al presente quesito, realizzo, tuttavia, che un certo grado di “trascendentale” possa verosimilmente permeare la nostra vita, eludendo funzioni reali come la ragione.

Rimango diffidente di santoni, predicatori o pensatori/pifferai magici di qualsiasi sorta, come anche delle forme più diffuse ed organizzate di culto, orbitanti attorno ad ogni assetto arbitrario di elementi sacri, salvifici ed imperativi. Ma, per onestà intellettuale, non mi sento di condannare  il “credere” in qualcosa di più grande e di metafisico, così come riconosco giustificata la necessità di “umanizzarlo” e renderlo compatibile con la propria cultura e accettabile per il proprio cuore.

Non tutti, però, hanno l’acume o la forza interiore di accettare l'”incertezza” con vera serenità, sia essa fideistica oppure atea. Coltivare una fede è già, di per sé, padroneggiare una certezza. Scade  quasi a istanza secondaria, ma non è meno importante, il particolare che essa sia fondata o meno.

Io ho imparato a farlo proprio dalla mia vita: vivo nella “fede del dubbio”, senza certezza alcuna che non sia la morte, ne ho fatto un oracolo di coscienza e un blasone di obiettività mentale e comportamentale e mi ci trovo bene.

Non “credere”, ma “dubitare” è il paradigma di ogni mio passo nel cammino dell’esistenza e, tuttavia, ho passato il mio tempo alle prese con il feroce e martellante assillo del problem solving (metodo per risolvere i problemi), che è per me, in definitiva, il vero e giusto modo di saper vivere. Parodiando Renè Descartes (Cartesio), grande uomo di scienza e filosofo della prima metà del XVII secolo, invece che “Cogito, ergo sum” (Penso, dunque esisto), dico semplicemente: “Dubito, ergo sum” (Dubito, quindi esisto).

Modestamente e umilmente, considero le “certezze” ( non dico solo quelle della fede) un lusso intellettuale che non mi appartiene e che non ho mai preso in considerazione, ancor più quando e perché esse sono dogmatiche, apodittiche, indimostrabili e indimostrate. Esse sono persino un approccio fasullo, una distorsione della realtà ed un allontanamento da essa che inducono a inquadrare l’esistente entro schemi preconfezionati, entro scatole chiuse dove il diverso della natura, l’inatteso della morale, il nuovo del sociale, il razionale del contraddittorio speculativo non trovano mai ospitalità.

Sono un “comodo” rifugio preservativo e consolatorio ed affrancano apparentemente da ogni rischio ed azzardo: sono una specie di salvifica “assicurazione sulla vita”, risarcitoria a beneficio indeterminato, illusorio e tranquillizzante antidoto contro le sorprese squilibranti delle vicende umane.
E queste sono un pericoloso, ma meraviglioso “divenire” in costante aggiornamento.

Oggi semplificherei col dire: “sono agnostico”. Forse in fondo, oltre i miei filtri critici, spero davvero che ci sia “qualcosa” di più grande e vivo, di conseguenza, in pace con me stesso, se non altro perché non vorrei che la vita fosse priva di un significato, se non di un sogno. Se ce n’è uno anche per me, non sia il delirio reazionario di chi ha gli occhi per contemplare la propria natura e la coscienza di non accettarla coerentemente.

E questo é, forse, un modo saggio di vedere la vita. Ma ho, come sempre, i miei dubbi: sono ancora  e tuttora un apprendista degli imperscrutabili algoritmi di questo stupendo viaggio che è la mia esistenza. E di questo itinerario, il percorso è non meno importante e affascinante della sua destinazione e della sua meta che rimane, per quanto certa, sconosciuta e misteriosa.

 

O sol che sani ogne vista turbata,

tu mi contenti sì quando tu solvi,

che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.

 

O sole (riferito a Virgilio), che rendi chiara ogni vista disturbata,

tu mi soddisfi tanto quando risolvi (i dubbi)

che dubitare mi piace non meno che sapere.

 

Dante, Inferno canto XI, vv 91-93

Numero2911.

 

da QUORA

 

Scrive Heisenberg, corrispondente di QUORA

 

In che modo gli atei dimostrano che non esiste Dio?

 

L’onere della prova spetta a chi afferma che esiste e, come insegna il buon Russell, non è tecnicamente possibile dimostrare l’inesistenza di un umanoide con poteri divini che gioca a nascondino nei dintorni della nostra stella madre.

Ma poi quale Dio? Ne “esistono” letteralmente a migliaia.

Se intendi il Dio delle religioni abramitiche, cioè il tizio onnipotente, quello che ti posso obiettare è al massimo l’illogicità della cosa, ma puntualmente verrei smentito dai fedeli con il solito bla, bla, bla della mente che non può capire Dio. Big Bang, evoluzione, relatività e meccanica quantistica, ma capire una superstizione no; vabbè annuiamo e sorridiamo.

Rivolgendomi però a chi volesse eventualmente utilizzare gli oltre dieci miliardi di neuroni del lobo frontale per qualcosa di più consono alla sua funzione specifica, propongo invece la seguente riflessione.

Onnipotente al mio paese vuol dire ” di potere illimitato”. E potere illimitato, significa energia infinita.

Per cui, se esiste un Dio onnipotente, dev’esserci di conseguenza una quantità infinita di energia; il tutto però non si osserva allo stato attuale delle cose, anche perché una condizione del genere farebbe collassare con ogni probabilità l’intero Universo.

Ergo, in questo contesto, un Dio onnipotente non può esistere.

E se anche esistesse al di fuori non potrebbe comunque interagire, poiché in qualsiasi modo lo faccia trasferirebbe energia infinita e l’Universo, come lo conosciamo, smetterebbe di esistere.

Tra l’altro, pur ammesso che esista al di fuori, il fatto stesso di non poter interagire con la nostra realtà, lo renderebbe irrilevante e pertanto praticamente inesistente anche in questo caso.

Questo è solo uno dei tanti paradossi che vengono a generarsi quando la mente associa proprietà impossibili a determinati personaggi letterari. Io ne ho pensato uno un attimo più interessante, ma basterebbe una riflessione da prima media del tipo:

Dio può creare un muro indistruttibile che neanche lui può distruggere?

No → non è onnipotente. Si → non è onnipotente.

Cioè boh. Sarò strano io, ma non ho mai capito come fa la gente a credere in certe cose.

Numero2892.

 

da QUORA

 

A T E I S M O    E    M O R A L I T A’

 

Alla domanda: Gli atei vogliono fare quello che gli pare senza vincoli morali?

 

Risponde Domenico Zampaglione, corrispondente di QUORA.

 

Questa idea che la morale non possa esistere se non viene dal Dio Cristiano è il fulcro della mente zotica, dell’incultura più bieca. Ma veramente voi baciapile credete che gli antichi prima di Cristo non abbiano avuto principi morali, un timore anche dei loro dei ma pure filosofie che si ponevano il problema del Bene e del Male? Veramente credete che non esistessero anche istituzioni che garantivano uno stile di vita ordinato e delle leggi che ne dettavano i principi? Pensate che i dieci Comandamenti siano la quintessenza della saggezza e che nessuno ben prima abbia pensato a considerare l’omicidio, il furto, la falsa testimonianza e l’adulterio come comportamenti vietati e dannosi per una sana convivenza? Era necessaria una mente divina per concepire queste norme che sembrerebbero ovvie anche a un bambino di quinta elementare? Eh no, Dio le ha incise con il fuoco sulle tavole della legge. E, naturalmente, non attribuite un interesse morale neanche al pensiero laico moderno che, manco a dirlo, ignorate. Bambini siete ma non è colpa vostra, vi hanno formattato la testa come un disco fisso fin dalla più tenera infanzia, tenendovi sotto schiaffo per tutta la vita con la paura dell’inferno. Invece di aver paura dell’intelligenza artificiale dovremmo aver paura della demenza naturale.

 

Risponde Pierangelo Gold, corrispondente di QUORA

 

Questa domanda è una non-domanda. Ti svelo un segreto, pure i teisti fanno quello che vogliono senza vincoli etici e morali, anche perché, per tutte le dottrine teistiche in cui vi è una morale assoluta prescrittiva, questa è indovina un po’, decisa e imposta dal credente. Nel caso ateo hai l’uomo che dice all’uomo cosa deve e non deve fare. Nel caso teista, almeno per quanto riguarda tutte le filosofie morali teocentriche (dato che puoi avere dio senza religione, morale senza religione, religione senza morale e dio senza morale), hai l’uomo che dice a dio o agli dei cosa dire all’uomo riguardo a ciò che l’uomo può o non può fare.

L’unica differenza è che con dio o dei hai una parvenza di assolutezza dato che hai dio che fa da garante della tua morale. Ma non hai nulla che ti garantisca dio in primo luogo e per questo il ragionamento è fallace. Inoltre l’assolutezza dei tuoi principi morali la puoi usare come assioma, togliendo dio dall’equazione (ragionamento ugualmente fallace, ma perlomeno supportato dal guadagno in semplicità strutturale favorito dal rasoio di Occam).

Ma in ambo i casi hai l’uomo che dice all’uomo come comportarsi. Dato che dio non parla mai se non c’è qualcuno che parla per lui.

Quindi la domanda non solo è sbagliata perché parte da presupposti sbagliati (che gli atei vogliano fare quello che vogliono e i teisti no), ma è logicamente mal posta, in quanto si assume si possa avere vincoli etici o morali in primo luogo, quando questi esistono solo in quanto imposti da se stessi o dagli altri. Non esiste legge fisica che ti impedisca di premere il pulsante rosso di annichilazione missilistica termonucleare globale alla Casa Bianca o al Cremlino, le limitazioni sono di tipo pratico o autoimposto. E questo indipendentemente dalla tua posizione filosofica relativa all’esistenza di dio.

Come ultimo appunto voglio inoltre notare l’ipocrisia che caratterizza molti che seguono una morale prescrittiva che può essere di base teistica e/o religiosa, specie per quanto riguarda le religioni abramitiche. Molti sono i principi morali imposti chiaramente dalla dottrina che si afferma di seguire che vengono poi all’occorrenza ignorati, reinterpretati, ridimensionati o comunque piegati alle proprie convenienze. Quindi sia atei che teisti vogliono fare ciò che più pare e piace a loro (anche perché è un identità questa: uno vuole fare quello che vuole fare), senza vincoli morali/etici (che non esistono in senso assoluto), l’unica differenza è che se uno segue una dottrina filosofica che impone una morale allora si ha questo tipo di timbro/certificazione, doppio timbro se ci metti anche dio/gli dei in mezzo, che però non vale assolutamente nulla per tutti quelli che non seguono quel tipo di morale lì e che perciò non riconoscono l’autorità o il significato di quel timbro. Dopotutto se uno non è cristiano le uova benedette sono totalmente identiche e irriconoscibili dalle uova non benedette.

 

Risponde Vincenzo Chiaravalle, corrispondente di QUORA

 

Non credere che esista un dio è una questione che niente ha a che vedere con ciò che uno pensa sia giusto o sbagliato. Non viene da chiedersi qual è la fonte della morale per i vegetariani, o qual è la fonte della morale per i programmatori di software… L’ateismo non è una posizione sul bene e sul male, non è una posizione etica. Perciò, ogni ateo deriva la propria morale da quello che gli pare, come gli pare.

Non esiste per gli atei una filosofia morale univoca o vincolata. Sarebbe come chiedere qual è la fonte della moralità per i credenti in generale, mettendo da parte il fatto evidente che credenti diversi hanno fedi diverse e sistemi morali completamente diversi tra loro, spesso anche tra denominazioni diverse della medesima confessione religiosa. Non tutti i credenti aderiscono a teorie del comando divino, perciò non si può neanche dire che siano tutti concordi sull’individuare nella divinità la fonte della morale. La verità — se vuoi saperla tutta — e che non ho mai conosciuto due cristiani convinti che frequentassero la stessa chiesa tutti i giorni e che la pensassero allo stesso modo. Se vuoi farli litigare, fagli domande elementari su quello che pensano, e scopriranno in cinque minuti che non hanno un fico secco in comune…

Pensare che la religione sia morale è già una forzatura. Pensare che la religione abbia qualche particolare vantaggio dal punto di vista etico, sia un presupposto necessario della morale, o che addirittura abbia un’esclusiva sulla morale, sono stupidaggini alle quali non mi applico neanche. Chi lo pensa è libero di pensarlo, ma non voglio averci niente a che fare.

Nessuno si comporta in maniera moralmente corretta grazie alla religione. Tanti religiosi riescono a compiere buone scelte morali nonostante le imposizioni della loro fede, che è ben diverso.

 

Risponde Cesare, corrispondente di QUORA

 

I vincoli morali che derivano dalla società in cui viviamo, ben più precisi e aggiornati rispetto a quelli di antiche tribù di pastori, bastano e avanzano per vivere rettamente e fare del bene.
Siete voi credenti che avete bisogno di un ente immaginario per comportarvi bene, secondo il principio del bastone (inferno) e della carota (paradiso) fondato su caratteri comportamentali tipici degli asini.

 

 

 

Numero2876.

 

A T E I S M O    E    A G N O S T I C I S M O

 

Scrive Vincenzo Chiaravalle, corrispondente di QUORA.

 

In senso corrente, come confermano in sintesi anche tanti dizionari, l’ateo sarebbe chi nega l’esistenza di Dio — chi dice “Dio non esiste” —, mentre l’agnostico sarebbe chi sospende il giudizio — chi dice “Non lo so”.

Di questo occorre dare conto, per sgombrare il campo da equivoci. Purtroppo è sbagliato. Purtroppo, le due parole si usano così, e ricevono il significato che gli viene assegnato. Purtroppo, è sbagliato!

Ateismo e agnosticismo rispondono a due domande diverse.

L’ateismo è una posizione di opinione. L’agnosticismo è una posizione di conoscenza. La conoscenza è un sottoinsieme dell’opinione. Quello che uno crede o non crede, e quello che uno sa o non sa sono due cose diverse.

Uno è ateo o teista, e poi, indipendentemente, è anche gnostico o agnostico.

Teismo/Ateismo riguardano ciò che uno crede. Chi crede che esista almeno un dio è teista. Chi non lo crede è ateo. Per essere teista, devi credere in dio, e non soltanto ammettere la possibilità della sua esistenza. Solo chi crede in dio è teista. Chi non arriva a credere, si colloca nel campo dell’a-teismo. La credenza in un dio, l’opinione che un dio esista, gli manca. La “a-”  che fa la differenza fra le due parole significa questo: si chiama “a privativo”.

Gnosticismo/Agnosticismo riguardano ciò che uno sa — che pensa o dice di sapere. Chi afferma che un dio esiste o non esiste ha un approccio gnostico: lo sa, ne è certo! Chi afferma di non saperlo, di non poterlo sapere, di non essere certo, ha un approccio agnostico, cioè non sa, non conosce.

Buona fortuna agli gnostici di entrambi i segni, perché si assumono un onere della prova che nessuno è ancora mai riuscito a soddisfare. E buona fortuna ai teisti, perché credono qualcosa che — spesso per loro stessa ammissione — non hanno nessuna ragione per credere.

Numero2875.

 

L A    T E I E R A    D I    R U S S E L L

 

La teiera di Russell (in inglese Russell’s teapot) o teiera celeste è una metafora introdotta dal filosofo britannico Bertrand Russell per confutare l’idea che spetti allo scettico, anziché a chi le propone, l’onere della prova in merito ad affermazioni non falsificabili, in particolare in ambito religioso. Essa rappresenta una delle più efficaci controargomentazioni all’assunto che spetti al non credente dimostrare l’inesistenza di una qualsiasi divinità, in quanto stabilisce che nessuna affermazione può essere aprioristicamente creduta soltanto basandosi sul fatto che non se ne può provare l’inesattezza.

Molti benpensanti si esprimono come se fosse compito dello scettico smentire i dogmi e non del credente dimostrarli.

 

Gli atei hanno prove scientifiche e tangibili che Dio non esiste?

Non servono. Perché uno dovrebbe impegnarsi a dimostrare la non esistenza di tutto ciò che non esiste?

Servirebbe che portasse prove chi ne afferma l’esistenza. Ma nessuno lo ha mai fatto.

Numero2836.

 

A T E I S M O    E    F E D E

 

Un credente, dopo aver tentato invano di spiegare ad un ateo perché crede, alla fine, in sintesi, può solo dire:
“Credo e basta, e mi va bene così”.

La stessa Chiesa, alla fine della messa, enuncia: “Mistero della fede”.
Se è un “mistero” ciò in cui credono i fedeli…. auguri!

Per un ateo non è tanto un mistero: a lui le religioni interessano moltissimo e le studia, di solito, più di molti credenti, in quanto sono un fenomeno che riguarda la natura umana.

Per l’ateo la curiosità è una virtù, per il credente è un pericolo: quello di mettere in dubbio il proprio bagaglio di “certezze” che si è caricato sulla schiena senza guardarci dentro, magari per pigrizia o per quieto vivere, per tradizione o per volontà di “buoni educatori”.

Numero2815.

 

A N T I C A    C R E D E N Z A    (non è un mobile d’antiquariato):    PROVE  DELL’ ESISTENZA  DI  DIO    (secondo le persone normali).

 

Cesare, corrispondente di QUORA, risponde:

Scusa, se uno ti viene a dire che in piazza c’è una giraffa che recita il De Rerum Natura in latino tu ti senti impegnato a dimostrare che non esiste? Non credo.

Se quello che te lo dice ci crede… fatti suoi. Se crederlo gli dà conforto… non togliamogli la sua fonte di consolazione.

Basta che non crei un sistema di potere che impone a tutti di crederci o che affermi che chi non ci crede ha un livello di moralità più basso.

Tutto qui.

 

Vincenzo Chiaravalle, corrispondente di QUORA, risponde:

Guarda che anche tu esigi le prove, in ogni altro ambito della tua vita.

Rigetti anche ogni religione che non sia la tua, perché in tutti quegli altri casi accetti le obiezioni razionali che non accetti per la tua religione.

Siccome non hai prove di nessun genere per la validità della tua religione, gli atei dovrebbero farsi bastare le tue chiacchiere e i tuoi capricci? È questo che vuoi dire?

 

Paolo Burroni, corrispondente di QUORA, risponde:

Se mi sai portare qualcosa che non siano solo parole, tipo “mi hanno insegnato che”, “si sa che”, “è scritto che”, io lo esaminerei con molto interesse perché vedo che un credente ha una vita più facile, ma non sono disposto ad affidarmi a qualcosa che è fatto solo di parole.

Aspetto con fiducia le tue prove, quali che siano.

 

Gianfranco Lande, corrispondente di QUORA, risponde:

Vedo che ancora non ci siamo stancati di discutere di aria fritta.

Quelle degli atei e dei credenti sono posizioni inconciliabili perché partono da assunti inconciliabili e non prevedono alcuna dialettica.

Un credente o un ateo intelligenti dicono “io credo” oppure “io non credo” e si fermano lì.

Quelli stupidi dicono “Dio esiste” o “Dio non esiste”, come se fossero in grado (o come se qualsiasi essere umano fosse in grado, con i mezzi limitati di cui disponiamo) di affermare qualcosa che per definizione non ammette prova.

Sarebbe ora che atei e credenti smettessero di fare i bambini e lasciassero che ciascuno creda (o non creda) in santa pace ciò che vuole.

Chiunque abbandoni questo precetto aureo si aspetti di venire sbertucciato a morte senza potersi difendere. Ogni affermazione (Dio esiste, Dio non esiste, Dio è amore, eccetera, eccetera) è infondata, arbitraria, indimostrabile, oziosa, presuntuosa, mendace.

Ergo (quindi) quando un ateo dice che Dio non esiste, afferma qualcosa di cui non può sapere un accidente, ma quando dice che non ci sono prove per dimostrare il contrario, ha ragione da vendere.

Ribaltiamo la frittata e diciamo che quando un credente dice che Dio esiste afferma qualcosa di cui non può sapere un accidente, ma quando dice che non ci sono prove per dimostrare il contrario ha ragione da vendere.

Numero2811.

 

da  QUORA

 

Da atei, si possono apprezzare comunque gli insegnamenti di Gesù Cristo?

 

Risponde Cesare, corrispondente di QUORA.

 

Perché no? Anche se insegnamenti simili vengono più sobriamente e più incisivamente da moltissimi personaggi che non si proclamano “figli di Dio” e non cercano di avvalorare tale affermazione con storie di “miracoli”, e sono quindi più apprezzabili e credibili.

 

Risponde Vincenzo Chiaravalle, corrispondente di QUORA.

Se proprio insisti, sì. Ma ci sono tanti di quei maestri migliori che, se non hai un impegno emotivo particolare sul Cristo, non ci stai sopra a stracciarti le vesti. Molto sopravvalutato. Gli stessi cristiani, molte volte, non si impegnano granché sugli insegnamenti del Cristo. Forse non li conoscono. Forse danno per scontato che si tratti perlopiù di pace, amore, benevolenza, perdóno, e generica “roba buona.” Peccato che, a guardare meglio, le cose non stiano esattamente così. Qualche idea buona, nel mix, si trova pure. Ma niente di esclusivo, niente che il Cristo abbia detto per primo, o che abbia detto solo lui…

Se a un cristiano citi il Discorso della Montagna, senza avvertirlo, sarà lui stesso a sollevare delle obiezioni. Se gli citi molte parabole, senza avvertirlo, sarà lui stesso a dichiararle addirittura immorali. Quindi, di cosa stiamo parlando? Prima di proporre gli insegnamenti del Cristo agli atei, bisognerebbe riproporli ai cristiani, i quali ti direbbero che la loro morale, nel frattempo, è profondamente cambiata — ammesso che sia mai stata quella del Cristo.

Ma gli atei credono che gli insegnamenti di Gesù fossero sbagliati?

Non tutti, e non necessariamente. Quando ti metti nella posizione di maestro e cerchi di dire cose sagge, qualcuna la becchi anche, non dovrebbe essere così difficile.

Devo dire che tanti insegnamenti di Gesù non piacciono a me — poco male —, ma mi pare che non piacciano nemmeno ai cristiani, a giudicare dal modo di vivere di tutti loro.

Perlopiù ti vengono a chiedere cosa farebbe Gesù quando vogliono qualcosa da te. Si guardano bene dal fare loro stessi i sacrifici che vogliono che tu faccia.

Prendiamo una delle migliori idee di Gesù: l’idea che i cristiani non debbano litigare tra loro e non debbano farsi causa tra di loro. È una delle poche cose che Gesù dice specificamente nel Discorso della Montagna, ampliando un po’ il concetto di ‘rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori‘. (Gesù ha seri problemi di falsa attribuzione, perché gli mettono in bocca pure un’infinità di cose che non ha mai detto, e neanche suggerito… Questa è scritta nero su bianco, è proprio nel testo. Puoi andare a verificare.)

Se uno si desse nella propria vita la missione di non entrare mai in un tribunale, a costo di rimetterci, probabilmente ne guadagnerebbe in salute. Non lo so, eh. Dico, è una possibilità. È un’ipotesi valida. Intesi?

Il problema è che i Paesi cristiani sono pieni di tribunali, di avvocati, di giudici, e di gente che fa causa ad altra gente a tutto spiano. Sono società tra le più litigiose al mondo.

Sarebbero tutti contenti se tu non facessi mai causa a loro — come sopra, vogliono più che altro che tu faccia quello che ha detto Gesù, gli conviene se tu fai quello che ha detto Gesù —, ma loro, per i fatti loro, non vedono l’ora di avere una buona scusa per fare causa a te, o per trasgredire i precetti cristiani. Questa è, semplicemente, ipocrisia.

Quindi, io sono spesso disposto a parlare degli insegnamenti di Gesù, anche da ateo.

 

Risponde Cristian Papi, corrispondente di QUORA.

Comunque sono le solite cose di buon senso: ama gli altri, ama te stesso, non rompere le balle al prossimo.

Cose del genere, ad esempio, le aveva dette anche il principe Siddhartha Gautama, detto Buddha, circa seicento anni prima.

Casomai non si fosse capito, sto dicendo che gli insegnamenti di Gesù erano tutt’altro che originali.

 

Risponde Ruggero Goldoni, corrispondente di QUORA.

Da ateo, non ho nulla contro Cristo, è un personaggio che, se realmente esistito, aveva il suo carisma.

Sono i suoi fans che mi preoccupano.