PERCHÈ LA MEDICINA SI BASA SUL CONSUMO DI FARMACI E NON SULLA PREVENZIONE DELLE CAUSE DELLE MALATTIE ?
Bellissima domanda.
Una domanda che vale letteralmente centinaia di miliardi su scala mondiale.
Risponde uno studente di Medicina al VI anno che si vuole specializzare in Igiene e Prevenzione, la cui “futura” professione sarà focalizzata sull’evitare le malattie, non sulla loro cura.
Per rispondere darà 3 chiavi di lettura:
STORICA,
ECONOMICA,
PROFESSIONALE/MEDICA.
Tutte e 3 hanno un minimo comune denominatore.
Un rumore di fondo comune, un bias cognitivo di cui si parlerà alla fine.
Procediamo con ordine.
STORICA
Il dottor John Snow, Inglese, è tra i padri dell’Igiene e della Medicina Preventiva.
Siamo a Londra nel 1854 e nella città c’è una epidemia di colera: nessuno riesce a fermarla. Tutti i medici sono impegnati a salvare il salvabile dei malati. Snow, un giorno, decide di fare un passo che cambierà per sempre la Medicina.
Prende la mappa di Londra e si ferma a guardare dove sono registrati più casi di colera. Scopre che gran parte dei casi sono concentrati nel quartiere di Soho, in particolare c’è un picco anomalo intorno ad una pompa d’acqua.
Allora Snow blocca la pompa d’acqua: si blocca l’epidemia. Aveva intuito che il problema fosse in alcune parti del sistema idrico londinese inquinato. Pubblica i suoi risultati nel suo “On the Mode of Comunication of Cholera”.
Risultato? Il The Lancet (la rivista più autorevole di Medicina) lo ricoprì di critiche. Il suo lavoro fu rifiutato dalla comunità scientifica.
Non morirà in disgrazia solo perché era anche tra i padri della Anestesiologia.
ECONOMICA
Quanto vale tutto il settore Biomedico? (dalla siringa al farmaco chemioterapico, passando per la ricerca e sviluppo del settore pubblico e privato).
Tra il 10% e il 15% del PIL degli Stati.
Rimaniamo umili (pur sapendo che negli U.S.A. la partita vale il 16% del PIL) e diciamo il 10% del PIL globale.
In termini assoluti si tratta di circa di 8000 Miliardi di Dollari.
Se il comparto biomedico fosse uno Stato, sarebbe il terzo più ricco del mondo.
Ovviamente, non tutte le patologie influiscono nello stesso modo dal punto di vista economico.
Quali sono le patologie più remunerative?
Sono quelle croniche. Durano decadi e il paziente è costretto a terapie costanti e, prima o poi, andrà incontro ad un qualche intervento chirurgico e ad ospedalizzazioni.
Quali sono le patologie croniche più diffuse?
Sono quelle cardiovascolari.
Per l’amor del vero, ci sarebbero da citare le patologie genetiche rare, come le sindromi metaboliche, estremamente costose e “non prevenibili”, che colpiscono una piccola percentuale della popolazione. Ci sarebbe da parlare delle patologie psichiatriche ed oncologiche, che spesso e volentieri sono prevenibili, ma così, esce fuori una Tesi di Laurea.
Quali sono i fattori che determinano le patologie cardiovascolari?
1 Fumo (prevenibile)
2 Dislipidemie (gran parte dei casi prevenibile)
3 Ipertensione (gran parte dei casi prevenibile)
4 Diabete (gran parte dei casi prevenibile)
5 Inattività fisica ( gran parte dei casi prevenibile)
6 Obesità (gran parte dei casi prevenibile).
In altre parole, con una dieta controllata ed uno stile di vita adeguato, non esisterebbero gran parte delle patologie che affliggono l’umanità oggi.
Se tutti vivessimo in modo più ragionevole, tutto il comparto biomedico collasserebbe su se stesso.
Per dirlo nella maniera più esplicita possibile: una Medicina Preventiva efficiente farebbe chiudere gran parte degli Ospedali, dei Laboratori e delle Industrie Biomediche come oggi le conosciamo. Liberando risorse utili per nuove sfide per migliorare l’Umanità.
Il problema non sarebbe solo biomedico. Si pensi all’Industria Alimentare: McDonalds e CocaCola che fine farebbero?. Sarebbe un terremoto a 360° mal digeribile per molti.
E qui, ahimè, si apre una triste parentesi personale.
Il nostro studente del VI anno va da10 medici e dice loro che vuol diventare un medico specializzato in Medicina Preventiva e chiede loro cosa pensano del Medico Igienista/Preventivo.
Il 90% gli risponde così (commenti veramente ricevuti da Professori Universitari, parenti Medici o Medici Ospedalieri ecc.):
il Medico Preventivo è solo un burocrate;
per me non è Medicina se non cura i malati;
è un lavoro inutile;
serve solo a fare il manager dell’Ospedale;
wow, davvero una Specializzazione Medica hai scelto ( con sorriso in faccia);
hai studiato 6 anni per poi non fare il Medico?
Solo una piccola parte abbraccia l’idea che la Medicina Preventiva abbia un vero valore medico.
N.d.R. : invito tutti i lettori a riflettere sui concetti di SALUTE e SANITÂ. E a non confonderli.
QUAL È IL PROBLEMA DI FONDO?
I problemi vengono gestiti sempre dopo. Solo di fronte a delle conseguenze gravi ed imminenti ci si attiva. Mai di fronte a dei rischi potenziali e lontani. E questo vale soprattutto per la Medicina, dove girano 8000 Miliardi di dollari su questo “bias cognitivo”.
Il bias cognitivo (pronuncia inglese [ˈbaɪəs]) o distorsione cognitiva è un pattern (modello) sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nei processi mentali di giudizio. In psicologia indica una tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppata sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio.
I bias cognitivi sono forme di comportamento mentale evoluto: alcuni rappresentano forme di adattamento, in quanto portano ad azioni più efficaci in determinati contesti, o permettono di prendere decisioni più velocemente quando maggiormente necessario; altri invece derivano dalla mancanza di meccanismi mentali adeguati, o dalla errata applicazione di un meccanismo altrimenti positivo in altre circostanze. Questo fenomeno viene studiato dalla scienza cognitiva e dalla psicologia sociale.
L’etimologia del termine bias è incerta: in italiano arriva dall’inglese, col significato di “inclinazione”, ma a sua volta discende dall’antico francese biais e ancora prima dal provenzale, col significato di “obliquo” o “inclinato”.
Il bias è una forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio. La mappa mentale di una persona presenta bias laddove è condizionata da concetti preesistenti non necessariamente connessi tra loro da legami logici e validi.
Il bias, contribuendo alla formazione del giudizio, può quindi influenzare un’ideologia, un’opinione e un comportamento. È probabilmente generato in prevalenza dalle componenti più ancestrali e istintive del cervello.
Dato il funzionamento della cognizione umana, il bias non è eliminabile, ma si può tenerne conto “a posteriori” (per esempio in statistica e nell’analisi sperimentale) o correggendo la percezione per diminuirne gli effetti distorsivi.
Un’applicazione alla sociologia è il modello di propaganda, che vuole spiegare le distorsioni (dette media bias) delle notizie nei mezzi d’informazione.
Del bias cognitivo si parla più approfonditamente nel Numero2489. che segue.
Antonietta Fagnani Arese: chi era costei?
Era una contessa Milanese, ben conosciuta nel giro della Nobiltà Meneghina, amica ed amante, per qualche tempo (1800 – 1803) di Ugo Foscolo, il nostro poeta, noto esponente del Neoclassicismo del Primo Ottocento, di cui abbiamo studiato a scuola odi e sonetti.
A questa gentile Signora, il Foscolo ha dedicato un’Ode, pubblicata nel 1802, dal titolo ALL’AMICA RISANATA, un polpettone ottocentesco e neoclassico, che oggi farebbe ridere, ma che allora, secondo i criteri didattici dei nostri tempi giovanili, si doveva studiare come esemplare storico della nostra Letteratura. È un omaggio all’innamorata che usciva da un periodo di malattia e ritornava alla vita normale. Evito ogni ulteriore dettaglio sull’opera: non varrebbe la pena approfondire.
Invece, la cito qui, come aggancio e riferimento, per il suo titolo, che mi è venuto in mente oggi, 1 Giugno 2022, dopo aver giocato l’ennesimo doppio di tennis, avendo come avversario il mio caro amico “biondo”. Detto per inciso, anche per la brillante prestazione del giocatore ora citato, che mi giocava contro, ne sono uscito, seppur di poco, sconfitto. E lo riferisco con grande piacere perché, dopo tanti mesi di traversie, lui, “il biondo”, ha oggi dimostrato di essere pienamente recuperato ad una condizione fisico – atletica accettabile e soddisfacente. La sua palla malefica ha ricominciato a tormentarmi e a mettermi in difficoltà: complimenti e congratulazioni, con l’augurio che questa condizione di benessere si prolunghi per tanto tempo ancora.
Ma, Ugo Foscolo scrisse l’ODE “ALL’AMICA RISANATA”.
Io scrivo, invece, questa LODE ALL’AMICO RISANATO.
L’essere umano ha una naturale preferenza per lo zucchero, il sale e il grasso, sostanze che sono essenziali per la sopravvivenza della nostra specie e l’industria alimentare lo sa bene.
In passato queste sostanze non erano di facile reperibilità ma adesso che sono disponibili in abbondanza, va fatta attenzione a non introdurli nella nostra alimentazione in quantità eccessive. Se mangiati in eccesso possono essere concausa di numerose malattie tra cui obesità, diabete, ipertensione, cardiopatie, ictus e malattie del fegato.
Queste sostanze creano “dipendenza”, perché? Perché sono 3 nutrienti essenziali per la nostra sopravvivenza. Il grasso e lo zucchero sono fonte di energia; lo zucchero è una benzina a rapido assorbimento mentre il grasso è assorbito più lentamente e il sale è essenziale per l’equilibrio idro salino delle cellule.
ZUCCHERO
Già nella vita intrauterina il feto viene a contatto con lo zucchero; il feto infatti è in grado di “bere” il liquido amniotico che è salato ma alcune ricerche dimostrano che se viene aggiunto zucchero, il ritmo con cui il feto lo beve aumenta. Successivamente, il primo vero alimento con cui veniamo a contatto è il latte materno che ha un sapore dolciastro grazie alla presenza di lattosio, lo zucchero del latte.
Un’altra informazione interessante è che il cervello umano, che rappresenta solo 1/50 del peso corporeo totale, è la struttura che richiede più glucosio rispetto al resto del corpo nell’insieme.
Insomma lo zucchero è la principale fonte di energia tanto che un’alimentazione equilibrata dovrebbe apportare circa il 50% dell’energia dai carboidrati.
GRASSO
Il grasso è la fonte di energia più grande nel nostro corpo perché si deposita come tessuto adiposo nel sottocute e negli organi; è di fondamentale importanza per le donne in gravidanza e in allattamento ad esempio e per i nostri antenati, il grasso corporeo, era la fonte di energia principale durante i lunghi inverni. Il nostro istinto a immagazzinare carburante è la ragione per cui amiamo il grasso: il grasso cremoso della crema pasticcera, il grasso croccante delle patatine fritte, il grasso della cioccolata….questo è il motivo per cui i Comfort foods (cibi consolatori) sono così ricchi di grassi.
SALE
Anche il sale stimola parecchio le nostre papille gustative perché, come lo zucchero e il grasso, è essenziale alla sopravvivenza umana. In condizioni normali perdiamo sodio, il componente del sale insieme al cloro, attraverso la sudorazione, l’urina e le feci, quantità che deve essere rintrodotta per mantenere inalterato l’equilibrio idro salino del corpo e la corretta funzionalità cellulare. Per rimanere in salute è quindi necessario assumerlo dall’alimentazione. La dose media raccomandata è di 1500mg/die, facilmente raggiungibile con una corretta alimentazione. Il fatto è che è stato calcolato che un italiano medio consuma 10 volte più sodio di quello che dovrebbe a causa dell’abuso di sale da cucina e del sale aggiunto nelle preparazioni industriali.
In conclusione, lo zucchero, il grasso e il sale hanno un potente effetto sul nostro stato di salute in positivo, se assunti in quantità adeguate, e in negativo, se assunti in quantità eccessive o insufficienti.
Inoltre il loro potere può avere affetti anche sullo stato mentale. Ti è mai capitato di sentire un bisogno irrefrenabile di mangiare un particolare cibo? Cerchiamo queste sostanze anche perché hanno il potere di cambiare il nostro umore. Mangiare questi alimenti ogni volta che ne hai il desiderio è una soluzione a lungo termine? Che conseguenza determina il mangiarli ogni volta che senti il desiderio di farlo? Ci sono rischi?
Lascio a te la possibilità di riflettere…
I cibi industriali sono comodi, pratici, invitanti e molto saporiti, ma non ci accorgiamo di cosa nascondono. Sono molto ricchi di zucchero, grasso e sale ingredienti poco salutari che sono alla base di molte malattie come la sindrome metabolica, l’epidemia del 21° secolo, di cui soffrono la metà degli italiani. La loro grande disponibilità nei negozi alimentari ci invita a consumarli subito ad ogni ora senza doverli preparare, senza sapere che favoriscono sovrappeso e obesità. Infatti sono un cibo povero di nutrienti fondamentali, di sali minerali, vitamine e fibre e diventano un vero Junk-food (cibo spazzatura). Bisogna riscoprire il piacere dei cibi cucinati in casa al momento e dei piatti semplici, sapendo che il tempo impiegato non è perso, ma è tempo guadagnato. Vediamo allora come fare.
Molto spesso sento dire: ” Io non uso mai il sale e lo zucchero, non metto mai burro e olio”, ma non ci si rende conto quanto di questi cibi è contenuto nei più comuni alimenti industriali. Zuccheri, sale e grassi si trovano dappertutto: dai sughi per la pasta, alle salse più comuni, dai grissini, alle merendine, dai pop-corn ai corn-flackes, dalle patatine ai piselli in scatola, per non dire dei succhi di frutta..
I cibi confezionati hanno un gusto piacevole ed invitante, sono buoni e non si finirebbe più di mangiarne. Questo gusto lo ottengono con ingredienti comuni usati in cucina, da molto tempo conosciuti anche dalle nostre nonne sono: il sale, i grassi e lo zucchero. Non sono neanche molto costosi e sembrano non avere niente di male.
Il fatto è che per attrarre sempre più, ne contengono in quantità enormi: può succedere che un comune snack abbia dentro da solo quasi tutta la quantità di sale, zuccheri e grassi permessa in un giorno e si tratta del sostituto di un panino che si mangia in cinque minuti. Le conseguenze sono aumento di malattie cardiovascolari, (infarti, ictus) ipertensione e diabete, malattie articolari.
Ci pare strano, ma è vero: il sale c’è nel gelato industriale ed in quello “semiartigianale”, negli snack al cioccolato, nei succhi industriali. La dose consigliata per il sale alimentare, secondo le indicazioni nutrizionali del governo Americano è di 2,3 g di sodio pari ad un cucchiaino al giorno, mentre l’americano medio ne consuma almeno due cucchiaini: se si riducesse la dose di mezzo cucchiaino, sarebbe sufficiente a prevenire 92 mila infarti, 59 mila ictus e 81 mila decessi (Dietary Guidelines of Americans 2010).
Lo zucchero non è esclusiva dei dolci: c’è nei prodotti da forno (pane, grissini e affini) viene aggiunto al pane, alla salsa di pomodoro, alle patatine fritte, ai piselli in scatola. Anche i cereali per la colazione, che hanno una fama di prodotto naturale, sono pieni di zucchero; alcuni sono caramellati, cioè rivestiti di zucchero. Naturalmente tutto questo contribuisce ad aumentare le calorie e soprattutto ad alzare la glicemia predisponendo al diabete.
Il grasso viene messo per dare un senso di morbidezza e pastosità sia ai dolci che ai prodotti da forno e quando sono coperti dal gusto del sale o dello zucchero non ci si accorge di quanto ce n’è e contribuiscono in modo massiccio alle calorie e alle malattie cardio vascolari in quanto sono per lo più dei grassi saturi o ancora peggio dei grassi idrogenati.
Si tratta di un vero “junk-food” cibo spazzatura che fa mangiare a dismisura, fa aumentare di peso e causa il diabete, l’obesità, l’ipertensione e le malattie cardiovascolari. Sono una serie di malattie che spesso vengono assieme e, con una unica espressione, vengono chiamate “sindrome metabolica” che è la vera epidemia del XXI secolo. Questa sindrome è in grande crescita in tutti i paesi industrializzati e anche in quelli emergenti. In Italia siamo a circa il 20% della popolazione, negli USA siamo quasi al 50%. Se continua questa crescita il sistema sanitario non riuscirà a garantire l’assistenza per un numero così grande di patologie.
Come possiamo salvarci?
Bisogna prendere coscienza del cibo spazzatura così pieno di sale, zucchero e grassi da risultare dannoso alla salute e sapere che possiamo porvi rimedio con cibo fatto da noi o da chi lo fa con metodi casalinghi.
Quindi dedicando più tempo in cucina: non è tempo perso, è tempo guadagnato in salute. Consumare un cibo preparato da noi ci da più soddisfazione, e la sensazione di fare qualcosa per noi e per i nostri familiari. Anche chi lavora e fa turni impegnativi, cercando di organizzarsi, il tempo lo trova.
Sapendo le insidie dei cibi pronti, impariamo a cucinare con meno sale usando erbe aromatiche e spezie. Cucinare con pochi grassi e poco zucchero, abituandoci ai sapori naturali dei cibi, si ritrova la salute ed i vecchi sapori di una volta. Così si guadagna in salute e si risparmia il tempo necessario per le cure mediche e gli esami.
N.d.R. : Perché le industrie alimentari si sono fatte interpreti di questa religiosa missione di confezionare cibi così carichi di queste sostanze il cui eccesso, a lungo andare, ed instaurandone l’abitudine e la dipendenza, ci procura così tanti guai?
Il loro scopo primario, subdolamente ed attentamente nascosto, è quello, appunto, di creare dipendenza, come da una droga: si fanno allenare i consumatori a certi livelli di gusto e sapidità che, una volta assaporati, risvegliano il piacere della riassunzione, pensando che nulla di male ci sia in questo. E noi, atleti del consumo che, oltretutto, troviamo comodo e pratico l’acquisto dei cibi confezionati, che ci permettono più tempo disponibile e meno fatica, facciamo il nostro dovere, non dico di buon grado, acriticamente o ignorantemente, ma ohibò, con una certa colpevole complicità ed assuefazione.
Quello che ci dicono le pubblicità di questi cibi spazzatura è solo fumo negli occhi. Provo a diradare un po’ la nebbia, a modo mio.
Il problema più importante dei cibi industriali è la loro conservazione e durata. Certe confezioni giacciono sugli scaffali dei punti di acquisto per molti mesi , se non per anni. Per evitare la non commestibilità, è evidente il ricorso ai conservanti. Questi possono essere di tipo fisico, come la surgelazione, di tipo chimico, cioè il ricorso a sostanze della chimica organica od inorganica, il cui uso è più o meno severamente regolamentato e controllato (bisogna elencarli nelle etichette, non devono superare certi valori ecc.), oppure ….
…. oppure, si può ricorrere all’uso di zucchero, grasso, e sale, i nostri tre amici. Questi sono , a tutti gli effetti, delle sostanze naturali ed organiche: provengono dal mondo vegetale, animale, minerale. Quindi sono compatibili con una sana, naturale conservazione. Ma qui sta l’inghippo.
Queste sostanze sono, al contempo, insaporenti e conservanti. Non mi dilungo a parlare dei grassi: l’olio è adoperato molto per la confezione e la conservazione di verdure e pesce, ma non incide quanto a sapore: ha un gusto neutro.
Invece, quando un cibo preparato deve avere una determinata caratteristica di gusto, cioè deve essere salato oppure dolce, deve venire aggiunta nella preparazione una quantità congrua di sale o di zucchero per esaltare il sapore finale voluto. Ma questa aggiunta è necessaria per il gradimento di questo cibo solo per il sapore, mentre non è sufficiente per la sua conservazione. Se io ad un cibo salato, per ottenere una conservazione naturale, aggiungo altro sale, ecco che il gusto cambia, e di brutto. Se, d’altro lato, sto preparando un cibo dolce, che è tale per la presenza e l’aggiunta di sostanze dolci o dolcificanti, e voglio pure conservarlo nel tempo senza ricorrere ai conservanti artificiali, devo aggiungere dell’altro zucchero. Ma questo può essere uno sgradevole eccesso.: il troppo dolce non piace! Come si fa?
Lo zucchero ed il sale sono spesso usati in funzione del contrasto dei loro sapori, ovverosia, perché un cibo non sia troppo salato, si aggiunge zucchero, non sempre ma spesso; se si vuole che un cibo non sia troppo dolce, si aggiunge del sale: è tutta una questione di dosaggi, ma gli chef ed i tecnici dell’alimentazione trovano sicuramente le quantità giuste. Così facendo ottengono anche lo scopo, ricercato e necessario, della conservazione, oltre che del sapore, anche del cibo stesso. Se si tratta di un cibo che deve conservare il suo sapore originale e caratteristico, la conservazione si ottiene con una miscela, accuratamente dosata, dei due conservanti, zucchero e sale, contemporaneamente presenti per annullarsi come sapore, ma dal sinergico effetto conservante. Ecco la mia domanda. Avete idea di che carico di aggiunte di sale e di zuccheri o dolcificanti c’è bisogno per preparare e conservare un cibo? Quando lo mangiamo, non ce ne accorgiamo! Nelle etichette, viene indicata la presenza di sale e di zucchero, nelle varie specie e formulazioni, ma non ne vengono indicate le quantità. Se solo le conoscessimo nel dettaglio, ci sarebbe una sollevazione popolare.
L’unica via di salvezza sta nelle preparazioni quotidiane del cibo di mamme, nonne, mogli amorose e volenterose che, ahimè, sono sempre più rare.
Per concludere, trovate, qui sotto, alcune indicazioni sui consumi raccomandati di queste tre sostanze che, nella giusta dose, fanno bene, nella quantità eccessiva, fanno malissimo.
Non è facile destreggiarsi tra i tantissimi prodotti alimentari che con grande facilità possiamo portare sulla nostra tavola. Sono facili da reperire e alcuni di questi sono già pronti, permettendoci così di risparmiare tempo. Tuttavia ce ne sono alcuni che possono contenere buone quantità di sale o di zucchero, superando a volte il fabbisogno giornaliero.
Zucchero, sale e olio sono fondamentali per il normale funzionamento dell’organismo, ma bisogna prestare attenzione agli eccessi. Questi a lungo andare, possono infatti influire negativamente sul girovita, come anche sulla salute dei denti e dell’apparato cardiocircolatorio, portando allo sviluppo di patologie spesso fatali come:
malattie cardiovascolari;
obesità;
sindrome metabolica;
diabete;
carie e disturbi del cavo orale.
Come fare quindi? Per prima cosa è bene leggere attentamente le etichette presenti sulle confezioni dei prodotti. Si tratta infatti di un ottimo modo per rendersi conto dei quantitativi e quindi per poter scartare quei prodotti contenenti sale e zuccheri aggiunti. In secondo luogo, bisogna conoscere le dosi giornaliere consigliate di sale, zucchero, ma anche di olio per evitare di immagazzinarne più del dovuto.
Indice
Quanto sale si deve assumere al giorno
Il sale è perfetto per insaporire le pietanze, ma occhio a non esagerare. Come indicato dal Ministero della Salute, in Italia la maggior parte del sale assunto proviene da prodotti da forno, formaggi e salumi, ma è presente in modo naturale in tantissimi alimenti. Ci sono poi alcuni prodotti, come il ketchup o il dado pronto per il brodo, ricchi di sodio.
Limitare il consumo di sale è il primo passo da compiere per preservare la propria salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha rivelato che la maggior parte delle persone consuma in media 9-12 grammi al giorno di sale, ovvero circa il doppio di quanto raccomandato. Per tenere lontano il rischio di malattie cardiovascolari, infarto coronarico e ictus, l’OMS raccomanda di assumere una quantità di sale inferiore ai 5 grammi al giorno, ovvero meno di 2 grammi di sodio.
Quanto zucchero si deve assumere al giorno
Anche lo zucchero si nasconde in tantissimi alimenti, alcuni insospettabili. Ketchup, pizza surgelata, smoothies, yogurt alla frutta, miele, sciroppi sono tra questi, ma la lista è davvero molto lunga. È vero, lo zucchero è dolce e rende i dessert irresistibili, ma le insidie sono dietro l’angolo. È infatti fonte di calorie per cui il corpo ben presto può risultare appesantito se non si agisce praticando un’adeguata attività fisica.
Allo stesso tempo si può andare incontro allo sviluppo di patologie ben più importanti come l’obesità e il diabete con gravi ripercussioni sulla salute dell’organismo. Gli zuccheri inoltre sono un vero pericolo per i nostri denti: senza un’igiene dentale accurata si rischia la formazione di malattie parodontali. Un esempio? La comune, ma tanto fastidiosa carie.
Per quanto riguarda le quantità di zucchero che è bene assumere quotidianamente onde evitare di incorrere in problemi di salute, l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è espressa così: al massimo il 10% delle calorie giornaliere dovrebbero essere assunte sotto forma di zuccheri. Nel concreto questo si traduce in circa 25 grammi di zucchero, ovvero circa 6 cucchiaini.
Si può rinunciare del tutto agli zuccheri?
Gli zuccheri sono indispensabili per l’organismo, per cui la scelta ideale è di inserirli nelle giuste quantità seguendo una dieta sana ed equilibrata. Frutta e verdura ad esempio rappresentano un’ottima alternativa al classico dolce, perché contengono fruttosio, ovvero la forma naturale di zucchero. Eliminarli del tutto è invece controproducente e l’organismo potrebbe risentirne. Il consiglio quindi è di iniziare a ridurre le quantità giornaliere (se solitamente si tende ad eccedere):
evitando bevande gassate;
riducendo il consumo di prodotti preconfezionati;
evitando merendine e dolci contenenti tanto zucchero.
Quanto olio si deve consumare al giorno
Ecco un alimento protagonista della dieta mediterranea, perfetto per condire piatti cotti e crudi e indicato per contrastare l’invecchiamento cellulare e mantenere il colesterolo a livelli normali: l’olio extravergine di oliva.
Questo alimento vanta un potere antiossidante e contrasta l’insorgere della sindrome metabolica e dei suoi fattori di rischio. Inoltre, protegge le arterie e di conseguenza contribuisce a mantenere i livelli di colesterolo che circolano nel sangue nella media. In presenza di alti livelli di colesterolo cattivo (LDL), si può andare più facilmente incontro alla formazione di placche che restringono le arterie causando ad esempio l’ictus e l’infarto.
Assumere le giuste quantità di olio invece, ci protegge da questi rischi. Anche in questo caso, attenzione agli eccessi e a come lo si consuma. La scelta più sana è quella di condire con olio crudo ed è anche quella che ci permette di apprezzarlo a pieno. Per quanto riguarda le quantità da assumere invece, in condizioni normali si consigliano 3 cucchiai al giorno, ma le quantità possono variare in base anche alle esigenze personali. Nello specifico, possono diminuire anche a 3 cucchiaini al giorno, se si sta seguendo una dieta ipocalorica.
In generale, per mantenersi in forma e tenere lontane malattie come quelle cardiache, è bene seguire uno stile di vita sano con un occhio di riguardo all’alimentazione. Zucchero, sale e olio di oliva sono infatti preziosi alleati dell’organismo se assunti nelle giuste quantità.
Mi sono venuti in mente questi meravigliosi versi della canzone “Sogna ragazzo, sogna” di uno dei miei autori di poesie in musica preferiti, Roberto Vecchioni, perché, nel cortiletto davanti a casa mia, ho appena collocato, non dico messo a dimora, perché era già in vaso da qualche decennio, una pianta di ulivo, valendomi della consulenza preziosa di una cara amica, che di ulivi se ne intende e che mi ha aiutato. Mi sono interrogato se mai fossi ancora convinto di poterne vedere la fioritura ed i frutti e, chissà perché, con una coincidenza alchemica e profetica, sono successe proprio oggi due fatti di vita e di morte che, per quanto non mi coinvolgano in prima persona, mi sono tuttavia balzati alla mente come momenti di riflessione.
Mi telefona mio figlio Alexis, in giro per l’Italia per lavoro, che avrebbe dovuto incontrarsi con il suo titolare Alessandro, uno dei due ingegneri giovani che hanno fondato l’Azienda per la quale lui lavora, per andare insieme da certi clienti. È arrivata invece la ferale notizia che il padre di Alessandro era stato trovato senza vita a causa di arresto cardiaco. Il padre era ancora giovane, appena settant’anni, ed era stato un medico, ora in pensione, una persona equilibrata ed attenta ad una condizione e conduzione di vita rispettose della salute. Eppure, la falce lo ha rasato con un colpo secco, senza pietà.
Mio figlio era sconvolto. Mi ricordava quanto questo medico gli fosse stato vicino recentemente per consigliarlo su come uscire presto ed indenne dalla recente pandemia: lo aveva seguito, seppur telefonicamente, giorno per giorno, informandosi costantemente sul suo stato di salute. E mi ha detto: “Papà, non è giusto. Senza avvisaglie, senza trasgressione alcuna delle precauzioni di una sana procedura di vita, come può avvenire una cosa di questo genere?”.
Cercava, il mio ragazzo, una motivazione razionale, un appiglio consequenziale, un rapporto credibile di causa ed effetto fra la vita e la morte.
È uno di quei momenti in cui la mente corre, senza freni, alla ricerca di una risposta nella volontà superiore di un destino o di un Dio.
Ma, se Dio esiste, perché non elargisce quaggiù, su questa terra ed in questa vita, un premio od un castigo alle persone a secondo dei loro meriti o demeriti, con una appendice di esistenza terrena, risarcitoria o punitiva e, comunque, riparatrice ed equiparatrice di ogni male provocato o subito?
Il sillogismo porterebbe alla scontata conclusione che le buone e brave persone meriterebbero di raggiungere la parte finale della loro esistenza, in salute ed in pace, e di andarsene senza traumi, né per loro stessi, né per i loro cari. E, al contrario, chi ha sprecato la propria esistenza dietro futili chimere, o spregiudicate avventure, per non dire esecrabili scopi delittuosi, potrebbe trovarsi a scontare le proprie malefatte, subendo un accorciamento della propria aspettativa di vita. Se io fossi Dio, così farei. E applicherei la “giustizia divina” in questa vita, dove a tutti è palese ogni merito o demerito, a seconda del premio o castigo maturato: un “surplus” o un “surminus” di vita. Sarebbe, oltre tutto, molto più illuminante e didascalico, cioè insegnerebbe a tutti, senza bisogno di prediche e moralismi ipocriti, come si sta a questo mondo.
Per felice contrappasso, mi giunge anche la bellissima notizia che un mio caro amico, di cui altrove ho parlato, e la cui salute mi sta veramente a cuore, eviterà un ulteriore intervento chirurgico, che si era prospettato come probabile, qualora si fossero verificate certe condizioni. Per fortuna o per suo merito, queste condizioni non si sono presentate, perciò niente operazione e …. la vita continua.
Anche questa, per me, è una riprova di quanto sia auspicabile che la vita sia elargita, anche solo come prolungamento, a chi l’ha ben vissuta e, meritoriamente, ha accumulato crediti e bonus. A patto che la vita sia un piacere e non una pena da vivere, e non sempre è così. Anzi, io renderei piacevole, come non mai, la vecchiaia, cioè proprio questa prosecuzione di vita, per chi l’ha ben meritata, ed escluderei, come indegni, coloro che la propria vita hanno passato malamente per se e per gli altri.
Se solo ci fosse Dio. Un Dio giusto.
Chiudo questa breve riflessione con alcuni altri versi della stessa poesia-canzone che l’ha cominciata, e li dedico a mio figlio:
non ti nomino per il rispetto della tua privacy e della particolarità del momento che stai attraversando, tuttavia, sento il bisogno di farti sentire la mia vicinanza. Sul tuo ricovero in ospedale avevo tentato di sdrammatizzare, definendolo “tagliando”, un po’ per celia, tu sai che l’ironia è il mio pane e mi scuserai, un po’ per una sorta di esorcismo apotropaico, e mi scuserai anche i paroloni, ma so che con te li posso adoperare. So, adesso, anche da fonti indirette, che hai subito un altro dei tuoi interventi operatori che ti restituirà, vivamente lo spero, la tua salute normale e che tutto è andato bene. Non mi permetto di entrare nella specificità dell’evento, per gli stessi motivi prima accennati, ma è importante che tu sappia che sono stato in pensiero ed in ansia per le tue condizioni, nonostante l’ironica minimizzazione. Solo adesso mi sento confortato e aspetto che tu mi contatti, in prima persona, anche con poche parole, per dirmi di te e di come va.
Ho deciso di scrivere quanto stai leggendo, sul BLOG: ho pensato che tu, nelle lunghe, interminabili ore della degenza, avrai sicuramente il tempo di dare una scorsa alle mie ultime novità pubblicate, cosa che fai, e assiduamente, da sempre. Di questo ti ringrazio, ma mi fa gioco approfittare della tua frequenza per trasmetterti il mio messaggio diretto, se non altro che per farti un po’ di compagnia. Il BLOG è diventato, per noi due, un luogo di incontro, qualche volta anche di scontro, ma quasi sempre di confronto e di evoluzione, mentale ed amichevolmente sentimentale, circa i tanti argomenti e problemi che la vita ci ha dato e che abbiamo affrontato e risolto, ciascuno a modo suo, traendone personale esperienza. Magari, ci era mancata la tribuna, l’agorà, dove dare la stura alle nostre esternazioni, fosse anche soltanto inter nos. Il BLOG mi fa pensare, in qualche modo, a Platone e al suo “mondo delle idee”, che abbiamo studiato nella Storia della Filosofia. Ecco, è un sito virtuale/digitale dove ci si può, liberamente, esprimere: penso alla etimologia pura di quest’ultima parola, e mi viene in mente un tubetto di dentifricio che, per dare la sua pasta, deve essere spremuto.
Anzi, meglio, a furor di metafora, penso ai tubetti di colori diversi che i pittori usano per stenderli, prima sulla tavolozza e poi sulla tela, con le loro artistiche pennellate, dando forma e significato visivo alle immagini. Così, tu spremi il tuo colore, io il mio e insieme diamo corpo ad un miscuglio variegato di istoriazioni. Non siamo mica artisti, ma esperti della vita sì, e possiamo dire la nostra dipingendola, con le nostre personali interpretazioni.
Amico mio, ti aspetto, fuori dal BLOG, al più presto nella tua forma migliore, per condividere con te, ancora, le partite di doppio a tennis e i discorsi in compagnia. Recupera la salute e rinnova la gioia di vivere, che so non ti è mai venuta meno. Uomini come te non possono mai permettersi il lusso di dare default.
Altrove, in passato, ti ho salutato con la formula di congedo “Ave atque vale” che, mai come in questo caso, è formula di augurio sincero: ti saluto e stammi bene. È un saluto e la parola stessa evoca il concetto di salute, che il cielo ti deve concedere a larghe mani.
E poi, ancora, lo ripeto anche qui, con sentita e orgogliosa deferenza: “In manu Dei” (nelle mani di Dio), oppure “Mane diu” (Rimani a lungo) sono le interpretazioni etimologiche che si riassumono e compendiano nel più bel saluto che io conosco: MANDI.
Trascrizione dal libro, che ha lo stesso titolo, di Luca Ricolfi.
Parla della Pandemia da Coronavirus.
“Chiedo scusa al lettore se inizio con una digressione.
Ma è una digressione assolutamente necessaria. Anzi, forse è il centro del libro.
Se vogliamo capire dove, quando e perché si è sbagliato nella lotta all’epidemia, è assolutamente indispensabile comprendere come un’epidemia funziona. Qual è la sua aritmetica.
Non vi spaventate. L’aritmetica dell’epidemia è semplicissima, il problema è soltanto che è tremendamente controintuitiva. Ti insegna che dovresti fare il contrario di quel che il senso comune ti indurrebbe a fare.
Provo a spiegarla, questa benedetta aritmetica, con un esempio che si usa talora a scuola per spiegare ai ragazzi che cos’è una crescita esponenziale.
C’è uno stagno, e dentro lo stagno c’è una ninfea.
Come si sa, il numero di ninfee raddoppia ogni notte. Lo stagno ne può contenere fino a un migliaio, prima di saturarsi e far soffocare tutto ciò che contiene.
Il contadino – pescatore che custodisce lo stagno si sveglia al mattino e nota che, al posto della ninfea del primo giorno, ce ne sono 2.
Il giorno dopo, nota che sono 4. Il giorno dopo ancora, che sono 8. Dopo una settimana sono 128, e occupano poco più di un decimo della superficie dello stagno. Il custode non è preoccupato: penserà domani a ripulire lo stagno, in fondo in sette giorni le ninfee sono cresciute lentamente, meno di 20 ninfee al giorno.
Ma l’indomani è domenica, e il contadino – pescatore pensa: no, nel week end mi riposo, lo stagno lo ripulirò lunedì.
Lunedì le ninfee sono 512, ma il contadino – pescatore rimanda ancora una volta la pulizia al giorno dopo, e in una sola notte le ninfee diventano1024, riempiendo tutto lo stagno: ora è troppo tardi, perché in una sola notte le ninfee sono cresciute di numero quanto nei nove giorni precedenti. Lo stagno è saturo, tutta la vita animale e vegetale che conteneva è morta o sta morendo.
Questa, all’osso, è l’aritmetica di un’epidemia. I giorni del nostro apologo sono le settimane che, quando il contagio è in corso, un governo ha di fronte per intervenire. Lo scopo del governo, logicamente, è ripulire lo stagno in modo che ci siano poche ninfee. Il governo sa benissimo che non può eliminare tutte le ninfee ( il virus non si può azzerare ), ma vuole che lo stagno sia ragionevolmente pulito. Se no la vegetazione imputridisce, i pesci muoiono, le barche dei pescatori non riescono a muoversi. Fuor di metafora: l’economia muore.
Il governo è perplesso. Quando comincia a vedere un po’ troppe ninfee, vorrebbe ripulire lo stagno, ma per ripulirlo deve interdire la pesca per un certo tempo. I pescatori sono contrarissimi, preferiscono pescare zigzagando tra le ninfee piuttosto che stare fermi. il governo esita, pensando: aspettiamo ancora un po’, vediamo come va domattina. La mattina dopo ci sono ancora più ninfee, ma i pescatori non cedono: guai se fermate la pesca. Il governo non vuole irritare i pescatori e aspetta ancora un po’, sperando che le nuove ninfee non siano troppe, ma ancora una volta l’aritmetica non perdona: le ninfee raddoppiano ogni notte.
Un bel giorno, tutti vedono che lo stagno è quasi completamente coperto da ninfee. La pesca è diventata difficilissima, perché i pesci boccheggiano e non abboccano ( fuor di metafora: i consumatori non si muovono e non comprano ). A quel punto, e solo a quel punto, il governo trova il coraggio di intervenire: sospende la pesca, e comincia a ripulire lo stagno.
C’è un piccolo problema, però: ora che lo stagno è quasi tutto ricoperto di ninfee, per ripulirlo non basta una settimana, ma ci vogliono due mesi ( fuor di metafora: gli esercizi commerciali devono star chiusi due mesi, anziché una settimana soltanto ).
Per capire perché, dobbiamo parlare dell’aritmetica della ripulitura. Torniamo dal custode dello stagno, e supponiamo che la sua “capacità di ripulitura” sia di 16 ninfee al giorno. Supponiamo anche che le ninfee siano in parte nascoste, e che – per bene che vada – lo “spazzino di ninfee” possa eliminarle tutte meno un paio (questa ipotesi riflette il fatto che è difficilissimo scovare tutte le persone contagiose ).
Se lo spazzino interviene dopo sette giorni, ci sono 128 ninfee da eliminare e – a ritmo di 16 ninfee al giorno – per eliminarle quasi tutte occorrono circa otto giorni di sospensione della pesca (*) Ma, se lo spazzino interviene anche solo un giorno dopo, le ninfee da eliminare sono, nel frattempo, diventate 256, e occorreranno sedici giorni di sospensione della pesca. Se poi aspetta un altro giorno, le ninfee da eliminare diventano 512, e di giorni di sospensione ne occorreranno trentadue.
In breve, ogni giorno di ritardo costa otto giorni di sospensione della pesca. I pescatori – esercenti non sono stati lungimiranti: hanno convinto lo spazzino – governo a ritardare di due giorni la sospensione della pesca, e si ritrovano con una sospensione di trentadue giorni anziché di otto. Per guadagnare due giorni ora, ne perderanno trentadue ( anziché solo otto ) domani. Il bilancio costi – benefici è catastrofico.
Questa, in estrema sintesi, è la logica del governo di un’epidemia. Le cifre possono cambiare un po’ perché i contagiati non sono ninfee, e l’interazione governo – economia è più complicata di quella spazzino – pescatori. Ma il nucleo logico è implacabilmente lo stesso. Perché la legge fondamentale dell’epidemia è una sola: se vuoi fare qualcosa, più tardi lo fai più costerà caro a tutti.
Fuor di metafora: più il governo ritarda oggi a intervenire, più lungo e duro sarà il lockdown che dovrà imporre domani.
È precisamente questo che è capitato all’Italia, con la prima ondata e ancor più con la seconda. Il governo ha tergiversato a lungo, prima di decidere. E, quando ha deciso, ha ancora a lungo atteso prima di varare le misure più efficaci.
Ritardare gli interventi ci è costato decine di migliaia di morti non necessarie, e ci ha regalato la seconda ondata. Un evento che molti, con un misto di fatalismo e ingenuità concepiscono come ineluttabile, come un destino cieco cui nessun paese del mondo sarebbe potuto sfuggire.
Non è così. La seconda ondata era evitabile, tanto è vero che, fra le società avanzate, finora ben 10 su 25 non ne sono state colpite.
È ora di chiedersi come tutto questo sia stato possibile.”
(*) N.d.R.: mi permetto di chiosare criticamente l’algoritmo dell’autore Luca Ricolfi. Quando afferma che per eliminare 128 ninfee ci vogliono 8 giorni al ritmo di 16 ninfee al giorno, lui non tiene conto del fatto che, mentre in un giorno lo “spazzino di ninfee” elimina 16 ninfee, le altre presenti e vitali (128 – 16 = 112) continuano a prolificare e duplicarsi ogni notte. Schematicamente, lui supporrebbe che la replicazione si arresti, non si sa in virtù di cosa: la realtà è molto diversa dalla pura teoria. La metafora, tuttavia, rende molto bene l’idea.
Alla vigilia della riapertura degli impianti sciistici delle località turistiche di montagna, innevate addirittura in modo sovrabbondante e ferme dall’anno scorso, è intervenuta, a sorpresa e accolta da disappunto e proteste, la delibera del Ministro Speranza (Ministro della Sanità riconfermato da Draghi dopo l’ esperienza nel Governo Conte 2), che rinviava ancora il via agli impianti a dopo il 5 di Marzo.
Potrebbe comparire su qualche cartello di protesta di impiantisti, albergatori, commercianti ecc. del comparto sciistico:
NON TOGLIETECI LA SPERANZA.
TOGLIETECI SPERANZA.
I morti Covid in Italia e i paragoni con altri Paesi: dalla letalità all’eccesso di mortalità, quali dati guardare e cosa sappiamo finora
Qual è la verità sul numero dei decessi nel nostro Paese? Per capirlo bisogna innanzitutto distinguere tra tasso di mortalità e tasso di letalità. Bisogna anche tenere presente che il numero di morti non è di per sé un valore molto attendibile, mentre lo è di più l’eccesso di mortalità. Finora sappiamo che l’Italia ha pagato la prima ondata, ma da settembre in poi il tasso di letalità è identico a quello tedesco. Inoltre, pure il nostro eccesso di mortalità nel 2020 è in linea con quelli registrati da altri Paesi europei.
“Siamo il Paese al mondo con il più alto numero di morti Covid in rapporto alla popolazione”. “I dati purtroppo dicono che siamo i primi per morti”. La prima frase è di Matteo Renzi, la seconda di Matteo Salvini: martedì nell’Aula del Senato entrambi hanno citato il numero dei decessi per attaccare il governo sulla gestione della pandemia. Ma qual è la verità sul numero dei morti Covid nel nostro Paese? Per capirlo bisogna innanzitutto distinguere tra tasso di mortalità (rapporto tra decessi e abitanti) e tasso di letalità (rapporto tra decessi e malati). Bisogna anche tenere presente che il numero di morti e la mortalità non sono valori molto attendibili, mentre lo è di più l’eccesso di mortalità, ovvero la differenza tra i decessi registrati nel 2020 e la media degli anni precedenti. Quel che sappiamo finora è che l’Italia ha pagato – soprattutto in termini di morti – il fatto di essere il primo Paese occidentale colpito dalla pandemia. Ma sappiamo anche, come ha spiegato il professor Massimo Galli, che da settembre in poi il tasso di letalità italiano è identico a quello di uno degli Stati più virtuosi, la Germania. Inoltre, pure il nostro eccesso di mortalità nel 2020 (gli ultimi dati consolidati disponibili arrivano a fine ottobre) è in linea con quelli registrati da altri Paesi europei, come Spagna, Francia e Regno Unito.
Morti e mortalità: perché non sono attendibili – Un primo dato certo è che i due Matteo dicono il falso: il Regno Unito ha avuto più decessi dell’Italia in rapporto alla popolazione, così come Belgio, Slovenia e Repubblica Ceca (senza considerare San Marino, troppo piccolo). Un’altra certezza è che parlare di numero di morti assoluto o in rapporto alla popolazione (il cosiddetto tasso di mortalità), è quanto meno superficiale, se non semplicemente sbagliato. Infatti, questi numeri non tengono conto di una serie infinita di fattori. Dai più intuitivi, come l’età della popolazione e le abitudini sociali, fino ai più complessi, come il modo in cui i decessi vengono conteggiati. Alcuni esempi? Nel computo francese non entrano i decessi avvenuti in casa. In Russia a fine dicembre il conteggio è stato aggiornato in base ai criteri Oms: da 55mila morti ufficiali si è passati a 186mila. In Spagna l’istituto di statistica ha calcolato 29mila mortiin più rispetto a quelli comunicati dal ministero della Sanità, che però non ha mai aggiornato i suoi dati. Inoltre, un altro difetto del tasso di mortalità è quello di non considerare quanto un Paese è stato colpito dalla pandemia, quanti contagi ha avuto.
Il tasso di letalità e la seconda ondata – Per questo il tasso di mortalità non va confuso con il tasso di letalità, ovvero il rapporto tra il numero di morti e il totale dei positivi diagnosticati. Come ha spiegato il professore Massimo Galli, il tasso di letalità è il parametro più corretto per calcolare la “capacità di cura” di un Paese. Misura infatti quanti decessi ci sono stati rispetto al numero di persone che hanno contratto il Covid. “Se prendiamo i dati nel periodo tra settembre e gennaio in Italia abbiamo il 2% circa della letalità tra i casi confermati, esattamente in linea con i dati della Germania“, ha sottolineato sempre Galli nei giorni scorsi. La spiegazione del professore è stata citata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la sua replica a Palazzo Madama. Il tasso di letalità in Italia da inizio pandemia è del 3,5%, quello della Germania è del 2,4%. Perché allora Galli cita i dati da settembre ad oggi? Non è per far “allineare” i due valori, ma perché la fine dell’estate è il periodo in cui l’Italia e gli altri Paesi europei hanno aumentato notevolmente la loro capacità di effettuare tamponi. Di conseguenza, durante la seconda ondata il numero di positivi diagnosticati (la base su cui si calcola il tasso di letalità) è diventata più aderente al numero di contagiati reali. Durante la prima ondata, invece, in Italia molto più che in Germania si riuscivano a rintracciare solamente i casi più gravi. Questa circostanza ha “drogato” nei primi mesi il tasso di letalità del nostro Paese, rendendolo poco significativo.
Le curve a confronto e il “prezzo” della prima ondata – Resta comunque un fatto: al 21 gennaio la Germania ha superato i 50mila decessi dall’inizio della pandemia di coronavirus, la Spagna è a 54mila, la Francia a 71mila. L’Italia invece è oltre quota 84mila e in Europa solo il Regno Unito supera i 94mila. Dimenticando per un attimo tutte le premesse fatte finora e concentrandosi solo sul numero di morti – come fanno Renzi e Salvini – emerge tuttavia un altro aspetto che spiega perché guardare al valore assoluto è ancora una volta fuorviante. Il grafico sottostante (elaborato da Our World in Data) mostra visivamente come il “gap” tra l’Italia e il Paese europeo più virtuoso, la Germania, si sia quasi esclusivamente originato durante la prima ondata. A marzo, mentre gli ospedali del nostro Paese erano già stati travolti dal virus, Berlino ancora non aveva sperimentato il picco dei contagi e aveva già messo in sicurezza le sue cliniche: il fattore tempo ha giocato un ruolo determinante. L’effetto è tutto mostrato nel grafico: al primo giugno l’Italia ha 25mila morti in più della Germania. Durante l’estate le due curve proseguono quasi piatte. Poi, in autunno e in inverno, sono sostanzialmente sovrapponibili. Da inizio settembre, infatti, entrambe tornano a risalire: qui torna utile proprio il tasso di letalità spiegato dal professor Galli. Dal primo settembre al 21 gennaio l’Italia registra 48,711 morti e 2.159.007 contagi, la Germania comunica 41.569 decessi a fronte di 1.861.460 positivi: la letalità è praticamente identica, 2,256% contro 2,233%.
N.d.R. : Letto ed assimilato quanto sopra, mi manca un dato, semplice ma significativo, almeno per la mia curiosità.
Prendiamo l’anno 2019: quanti sono stati i morti complessivi in Italia, in quell’anno in cui non c’era il COVID? (in subordine si potrebbe considerare anche la media degli ultimi 5 anni).
Prendiamo l’anno 2020: quanti sono stati i morti complessivi in Italia, in quell’anno in cui il COVID c’è stato, seppure a fasi non omogenee?
Facciamo la differenza: prendendo come assunto che la popolazione Italiana non sia cambiata granché ( o, se è variata, si tenga conto di tale variazione interpolando numericamente), dovrebbe risultare, a grandi numeri, quanti sono stati i morti in più, presumibilmente ascrivibili alla pandemia. Questo per capire quanto maggior danno ha provocato il contagio in termini di decessi.
Ogni anno, negli ultimi decenni, abbiamo avuto un aumento della mortalità in generale a causa di varie piccole o grandi epidemie o influenze, che interessano l’apparato respiratorio, normalmente diffuse nei periodi invernali. Il COVID è una di queste, evidentemente di proporzioni esorbitanti, ma della stessa specie.
Sono andato a cercare sulla rete i dati dell’ISTAT.
Secondo gli Indicatori Demografici ISTAT, nel 2019 sono morte in Italia 647.000 persone, ossia l’1,07% circa della popolazione residente che al 1° gennaio 2019 si stimava essere pari a 60.391.000.
“Non è ancora finito il 2020, ma una valutazione ragionevole fa pensare che quest’anno supereremo il confine dei 700mila decessi complessivi, che è un valore preoccupante perché una cosa del genere l’ultima volta, in Italia, era successa nel 1944. Eravamo nel pieno della seconda guerra mondiale”. A illustrare i numeri dai quali si deduce anche il peso della pandemia Covid, è stato, durante la trasmissione Agorà su Rai Tre, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo. “Nel 2019 – precisa – il dato era stato di 647.000 morti”.
Dunque, ad una grossolana valutazione, risulterebbe che oltre 50.000 morti in più ci sarebbero stati proprio a causa del COVID, nello scorso anno 2020.
ANZIANO = Uomo di una certa età, non ben definibile.
C’è chi è anziano a 60 anni, chi a 70, chi, ancora, a 80, nel qual caso è più pertinente il termine “vecchio”.
ANZI …. ANO = Uomo di una certa età, che ha avuto il “culo” di raggiungerla in buone condizioni di salute.
ANZI …. NO = Uomo di una certa età che è ancora vitale, vigoroso, voglioso.
L’età anagrafica e l’età fisiologica sono, per fortuna, poco coincidenti. È un dato di fatto che ci sono giovani già “vecchi” e vecchi ancora “giovani” o giovanili.
Siete curiosi di sapere a quale delle categorie sopra specificate, ritiene di appartenere chi scrive?
Resterete delusi: lui non lo dirà mai, neanche sotto tortura.
C’era una volta (1992) il libro “Il paziente inglese” di Michael Ondaatje.
Poi (1996), il film, con lo stesso titolo, di Anthony Minghella tratto da questo romanzo, con Kristin Scott Thomas, Juliette Binoche, Ralph Fienness, Colin Firth, Daniel Defoe ecc..
Adesso (fine 2020), è arrivata anche la “variante inglese” del COVID19.