Numero2894.

 

D E F I N I T I O N    O F    H E A L T H

Definizione di Salute

 

A state of complete physical, mental and social well-being and not only the absence of disease and infermity.

Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non puramente l’assenza di malattia ed infermità.

 

BENESSERE   FISICO

Sensi acuti, buona performance cardiovascolare, sistema immunitario efficace, condizioni di vita salutari.

SI : stile di vita attivo, dieta equilibrata, sonno ristoratore, esposizione al sole, igiene personale.

NO : abuso di alcol, fumo e droghe, esposizione ad inquinanti e tossine ambientali.

 

BENESSERE   MENTALE

Personalità emotivamente equilibrata, capacità di pensare lucidamente, buona autostima, approccio positivo agli eventi.

SI : allenamento mentale, adeguato sfogo di sentimenti ed emozioni.

NO : preoccupazioni costanti, stress cronico, incapacità di gestire lo stress.

 

BENESSERE   SOCIALE

Qualità delle relazioni con gli altri, partecipazione ad una vita sociale soddisfacente, buone capacità di relazioni interpersonali, rete di supporto per i momenti di crisi.

SI : relazioni sociali gratificanti, contatto fisico e sessuale, condivisione delle esperienze.

NO : livello di educazione o status socioeconomico inadeguati a svolgimento di vita sociale appagante.

 

 

 

Numero2880.

 

L’ I N F L U E N Z A

 

Mio figlio Ale, che festeggia l’Anno Nuovo 2024 con un po’ di influenza e raffreddore, mi manda questa chicca:

 

“L’ INFLUENZA è un naturale processo di disintossicazione del corpo,

in risposta ad una eccessiva tossicità nelle cellule.

Non c’è mai stata una cura per l’influenza,

perché l’influenza È  LA CURA”.

 

Dottor Herbert Sheldon   1944.

 

 

Numero2517.

 

Ce ne sono tante altre ancora, e tutte sorprendenti e poco conosciute, ma qui di seguito mi diverto ad elencare quelle che più mi hanno colpito.

 

P A R T I C O L A R I T     D E L    C O R P O    U M A N O

 

La lunghezza totale dei nervi in un corpo umano (sistema nervoso) è di 75 Km.

Una persona media consuma circa 35 Tonnellate di cibo nell’arco della vita.

Nel nostro cervello si verificano 100.000 reazioni chimiche ogni secondo.

Un essere umano fa circa 20.000 respiri al giorno.

Le orecchie crescono continuamente: circa 1/4 di mm all’anno.

Il cuore batte 35 milioni di volte all’anno. cioè circa 3 miliardi di volte in tutta la vita.

I nostri polmoni contengono circa 2400 Km di vie respiratorie e coprono una superficie totale di 70 mq.

Ogni giorno produciamo dalle 2 alle 6 tazzine di saliva.

Il nostro corpo contiene, più o meno, la stessa quantità di sale che c’è nel mare, cioè il 35 per mille, ovvero 35 gr per ogni Kg o Litro di acqua.

Ci vogliono dai 2 ai 5 giorni prima che un cibo venga digerito completamente.

Gli astronauti possono tornare a casa più alti anche di più di 5 cm.

Il nostro cervello può resistere fino a 6 minuti senza ossigeno. Dopo, il cuore cessa di battere.

I nostri reni filtrano 190 Litri di sangue ogni giorno.

Ogni giorno nel nostro corpo nascono 300 miliardi di nuove cellule.

Lo stress provoca o aggrava 9 malattie su 10.

In una persona dal peso medio di 70 Kg, lo scheletro ne pesa 10.

Passiamo un terzo della nostra vita dormendo.

La nostra pelle si rigenera completamente ogni 28 – 30 giorni, ha un’estensione di circa 1,3 – 2 mq, e pesa circa 5 Kg.

 

Infine, una particolarità che, scommetto, nessuno conosce: il piccolo spazio fra le sopracciglia ha un nome e si chiama GLABELLA.

 

 

Numero2490.

 

PERCHÈ  LA  MEDICINA  SI  BASA  SUL  CONSUMO  DI  FARMACI  E  NON SULLA  PREVENZIONE  DELLE  CAUSE  DELLE  MALATTIE ?

 

Bellissima domanda.

Una domanda che vale letteralmente centinaia di miliardi su scala mondiale.
Risponde uno studente di Medicina al VI anno che si vuole specializzare in Igiene e Prevenzione, la cui “futura” professione sarà focalizzata sull’evitare le malattie, non sulla loro cura.
Per rispondere darà 3 chiavi di lettura:

STORICA,

ECONOMICA,

PROFESSIONALE/MEDICA.

Tutte e 3 hanno un minimo comune denominatore.
Un rumore di fondo comune, un bias cognitivo di cui si parlerà alla fine.
Procediamo con ordine.

STORICA

Il dottor John Snow, Inglese, è tra i padri dell’Igiene e della Medicina Preventiva.
Siamo a Londra nel 1854 e nella città c’è una epidemia di colera: nessuno riesce a fermarla. Tutti i medici sono impegnati a salvare il salvabile dei malati. Snow, un giorno, decide di fare un passo che cambierà per sempre la Medicina.
Prende la mappa di Londra e si ferma a guardare dove sono registrati più casi di colera. Scopre che gran parte dei casi sono concentrati nel quartiere di Soho, in particolare c’è un picco anomalo intorno ad una pompa d’acqua.
Allora Snow blocca la pompa d’acqua: si blocca l’epidemia. Aveva intuito che il problema fosse in alcune parti del sistema idrico londinese inquinato. Pubblica i suoi risultati nel suo “On the Mode of Comunication of Cholera”.
Risultato? Il The Lancet (la rivista più autorevole di Medicina) lo ricoprì di critiche. Il suo lavoro fu rifiutato dalla comunità scientifica.
Non morirà in disgrazia solo perché era anche tra i padri della Anestesiologia.

ECONOMICA

Quanto vale tutto il settore Biomedico?  (dalla siringa al farmaco chemioterapico, passando per la ricerca e sviluppo del settore pubblico e privato).
Tra il 10% e il 15% del PIL degli Stati.
Rimaniamo umili (pur sapendo che negli U.S.A. la partita vale il 16% del PIL) e diciamo il 10% del PIL globale.
In termini assoluti si tratta di circa di 8000 Miliardi di Dollari.
Se il comparto biomedico fosse uno Stato, sarebbe il terzo più ricco del mondo.
Ovviamente, non tutte le patologie influiscono nello stesso modo dal punto di vista economico.
Quali sono le patologie più remunerative?
Sono quelle croniche. Durano decadi e il paziente è costretto a terapie costanti e, prima o poi, andrà incontro ad un qualche intervento chirurgico e ad ospedalizzazioni.
Quali sono le patologie croniche più diffuse?
Sono quelle cardiovascolari.
Per l’amor del vero, ci sarebbero da citare le patologie genetiche rare, come le sindromi metaboliche, estremamente costose e “non prevenibili”, che colpiscono una piccola percentuale della popolazione. Ci sarebbe da parlare delle patologie psichiatriche ed oncologiche, che spesso e volentieri sono prevenibili, ma così, esce fuori una Tesi di Laurea.

Quali sono i fattori che determinano le patologie cardiovascolari?

1 Fumo (prevenibile)

2 Dislipidemie (gran parte dei casi prevenibile)

3 Ipertensione (gran parte dei casi prevenibile)

4 Diabete (gran parte dei casi prevenibile)

5 Inattività fisica ( gran parte dei casi prevenibile)

6 Obesità (gran parte dei casi prevenibile).

In altre parole, con una dieta controllata ed uno stile di vita adeguato, non esisterebbero gran parte delle patologie che affliggono l’umanità oggi.

Se tutti vivessimo in modo più ragionevole, tutto il comparto biomedico collasserebbe su se stesso.
Per dirlo nella maniera più esplicita possibile: una Medicina Preventiva efficiente farebbe chiudere gran parte degli Ospedali, dei Laboratori e delle Industrie Biomediche come oggi le conosciamo. Liberando risorse utili per nuove sfide per migliorare l’Umanità.

Il problema non sarebbe solo biomedico. Si pensi all’Industria Alimentare: McDonalds e CocaCola che fine farebbero?. Sarebbe un terremoto a 360° mal digeribile per molti.

E qui, ahimè, si apre una triste parentesi personale.
Il nostro studente del VI anno va da10 medici e dice loro che vuol diventare un medico specializzato in Medicina Preventiva e chiede loro cosa pensano del Medico Igienista/Preventivo.
Il 90% gli risponde così (commenti veramente ricevuti da Professori Universitari, parenti Medici o Medici Ospedalieri ecc.):
il Medico Preventivo è solo un burocrate;
per me non è Medicina se non cura i malati;
è un lavoro inutile;
serve solo a fare il manager dell’Ospedale;
wow, davvero una Specializzazione Medica hai scelto ( con sorriso in faccia);
hai studiato 6 anni per poi non fare il Medico?

Solo una piccola parte abbraccia l’idea che la Medicina Preventiva abbia un vero valore medico.

N.d.R. : invito tutti i lettori a riflettere sui concetti di SALUTE e SANITÂ. E a non confonderli.

QUAL È IL PROBLEMA DI FONDO?

I problemi vengono gestiti sempre dopo. Solo di fronte a delle conseguenze gravi ed imminenti ci si attiva. Mai di fronte a dei rischi potenziali e lontani. E questo vale soprattutto per la Medicina, dove girano 8000 Miliardi di dollari su questo “bias cognitivo”.

 

Il bias cognitivo (pronuncia inglese baɪəs]) o distorsione cognitiva  è un pattern (modello) sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nei processi mentali di giudizio. In psicologia indica una tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppata sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio.

I bias cognitivi sono forme di comportamento mentale evoluto: alcuni rappresentano forme di adattamento, in quanto portano ad azioni più efficaci in determinati contesti, o permettono di prendere decisioni più velocemente quando maggiormente necessario; altri invece derivano dalla mancanza di meccanismi mentali adeguati, o dalla errata applicazione di un meccanismo altrimenti positivo in altre circostanze. Questo fenomeno viene studiato dalla scienza cognitiva e dalla psicologia sociale.

L’etimologia del termine bias è incerta: in italiano arriva dall’inglese, col significato di “inclinazione”, ma a sua volta discende dall’antico francese biais e ancora prima dal provenzale, col significato di “obliquo” o “inclinato”.

Il bias è una forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio. La mappa mentale di una persona presenta bias laddove è condizionata da concetti preesistenti non necessariamente connessi tra loro da legami logici e validi.

Il bias, contribuendo alla formazione del giudizio, può quindi influenzare un’ideologia, un’opinione e un comportamento. È probabilmente generato in prevalenza dalle componenti più ancestrali e istintive del cervello.

Dato il funzionamento della cognizione umana, il bias non è eliminabile, ma si può tenerne conto “a posteriori” (per esempio in statistica e nell’analisi sperimentale) o correggendo la percezione per diminuirne gli effetti distorsivi.

Un’applicazione alla sociologia è il modello di propaganda, che vuole spiegare le distorsioni (dette media bias) delle notizie nei mezzi d’informazione.

 

Del bias cognitivo si parla più approfonditamente nel Numero2489. che segue.

 

 

Numero2468.

 

Da WIKIPEDIA

Ergotismo    

 

L’intossicazione da ergot, detta «ergotismo», era conosciuta nel medioevo con il nome di «fuoco di Sant’Antonio» (soprannome in seguito attribuito anche all’herpes zoster), «fuoco sacro» o «male degli ardenti». Il fenomeno era noto già fin dal XVII secolo, tanto che nel 1676 gli scienziati francesi riuscirono a convincere le autorità a proibire l’uso della segale in luogo del frumento per preparare il pane.

Claviceps purpurea  è un ascomicete del genere Claviceps parassita delle graminacee. Il suo nome comune è il termine francese ergot, che in italiano significa “sperone” Detta specie, infatti, genera nelle piante infette degli sclerozi simili a speroni o spesso — come nel caso della segale — delle escrescenze a forma di corna, da cui anche il nome comune di segale cornuta per indicare il cereale affetto da ergotismo.

Claviceps purpurea è la specie più studiata e conosciuta per i suoi rilevanti effetti nella contaminazione di alimenti confezionati con cereali da essa attaccati. Gli speroni della segale cornuta sono corpi fruttiferi del fungo stesso contenenti diversi alcaloidi velenosi o psicoattivi del gruppo delle ergotine (tra cui l’acido lisergico) che presentano vari tipi di effetti sui soggetti che li assumono. Tali alcaloidi, essendo vasocostrittori, compromettono la circolazione; inoltre interagiscono con il sistema nervoso centrale, agendo in particolare sui recettori della serotonina.

L’ergotismo era spesso fatale e aveva sempre effetti devastanti sulle comunità che ne erano colpite. Esso poteva presentarsi in due forme: ergotismus convulsivus, caratterizzato da sintomi neuroconvulsivi di natura epilettica, oppure ergotismus gangraenosus, che provocava gangrena alle estremità fino alla loro mummificazione.

Gli alcaloidi della segale cornuta sono resistenti anche alle alte temperature dei forni di cottura del pane e ciò è ritenuto essere all’origine di molti fenomeni di allucinazione e superstizione tipici di realtà campestri in epoca preindustriale. Pare infatti riconducibile a ergotismo l’ondata di fenomeni registrati a fine Seicento a Salem, nel Massachusetts, che diedero origine alla più grande caccia alle streghe mai vista sul suolo americano. Parimenti attribuibili a effetti allucinatori da ergotismo sono, altresì, presunti eventi soprannaturali quali le cosiddette apparizioni (si citino a esempio Lourdes o Fátima), caratterizzate dall’accadere, sempre in un contesto socio-economico di estrema povertà e di scarsa alfabetizzazione, in cui il nutrimento più diffuso era il pane di segale verosimilmente infetto da ergotismo e in cui i fenomeni allucinatori erano pesantemente influenzati dalle esperienze pregresse e dalla credulità popolare.

Una possibile ipotesi circa il nome “Fuoco di Sant’Antonio” è che nel Nord Europa, dove il pane veniva fatto con la segale, spesso si contraeva questa malattia, dovuta al fungo che infettava la segale. I malati, recandosi in pellegrinaggio verso i santuari di sant’Antonio in Italia, man mano che scendevano verso Sud cambiavano alimentazione mangiando pane di grano, e ciò attenuava o eliminava i sintomi dell’intossicazione. Tale effetto veniva attribuito a un miracolo per opera di sant’Antonio.

 

N.d.R. : Rilevo con stupore che spiegazioni scientifiche (che riguardano medicina, tossicologia, chimica, nutrizionismo) di questo tipo siano così poco conosciute, anche oggi. Io stesso sono venuto a conoscenza di questi fatti storici solo per vie traverse, senza un preciso intento o preconcetto.
Ho approfondito un termine e mi sono imbattuto in un’ipotesi  storica che spiegherebbe gli stati allucinatori di “miracoli” come quelli di Lourdes e Fàtima, come dovuti al tipo di alimentazione con il consumo quotidiano di pane di segale cornuta. Capisco, tuttavia, molto bene perché questa ipotesi, che continuo a considerare tale, non sia di pubblico dominio. Su ciò che non conviene parlare, non si parli.

Numero2431.

 

In questo periodo, di una cosa mi meraviglio: che il nome di PUTIN ( che si comporta come un RAS) non sia mai stato accostato, per assonanza, a quello di RASPUTIN.

 

Grigor Efimovich RASPÙTIN (1869-1916) è stato un personaggio molto controverso e inquietante nella storia della Russia Zarista, prima della Rivoluzione d’Ottobre. Della sua biografia, reperibile facilmente dovunque, nulla dirò se non che aveva un influenza nefasta e malvista alla corte dello Zar Nicola II, perché si era proposto come guru mistico carismatico e guaritore, con cure discutibili, del piccolo principe Alexei, sofferente di emofilia.
In realtà, succedeva che, per alleviare i malesseri e i pericoli di questa patologia, allora non curabile perché genetica, si somministrava al ragazzino l’aspirina, farmaco da poco scoperto e che pareva essere la panacea per tutti i mali. Ma, come ben si sa, l’aspirina è un potente fluidificante del sangue, quindi, anziché curare il malato, ne aggravava le condizioni: ogni piccola ferita esterna od ematoma interno non guariva mai, ancora di più. Non si sa bene come, questo specie di sciamano aveva capito la deleteria complicanza del farmaco per il piccolo principe. Normalmente, l’aumentata fluidità del sangue favorisce la ridistribuzione di ogni ristagno infettivo e quindi il suo assorbimento a livello dell’intero sistema circolatorio: da cui i suoi effetti benefici. Rasputin, semplicemente, ne proibì la somministrazione. Col tempo, le condizioni del piccolo migliorarono, pur senza guarire, e, per questo, la figura del mistico contadino Siberiano crebbe in attendibilità e in potere, nell’ambito della corte, specialmente per il credito di fiducia della Zarina Alessandra. Ma, di malefatte, lui ne perpetrava quotidianamente, con ogni sorta di dissolutezza. Era diventato l’anima nera della Russia, mal sopportato, anzi odiato dall’entourage della nobiltà cortigiana. Dopo diversi tentativi, un commando di nobili, guidati dal principe Jussupov, riuscì ad ammazzarlo. Neanche un anno dopo, scoppiava la Rivoluzione d’Ottobre.

Non ci sono accostamenti storici di rilievo, le similitudini sono inesistenti o incongruenti ma, oltre al nome, questi due personaggi, chissà perché, mi suggeriscono una stessa conclusione nefasta delle loro gesta che, forse, li potrebbe accomunare. Non c’è niente di buono in simili personalità: stanno dalla parte sbagliata della storia.

Numero2159.

LA  NOTTE  DELLE  NINFEE

 

Trascrizione dal libro, che ha lo stesso titolo, di Luca Ricolfi.

Parla della Pandemia da Coronavirus.

 

“Chiedo scusa al lettore se inizio con una digressione.
Ma è una digressione assolutamente necessaria. Anzi, forse è il centro del libro.
Se vogliamo capire dove, quando e perché si è sbagliato nella lotta all’epidemia, è assolutamente indispensabile comprendere come un’epidemia funziona. Qual è la sua aritmetica.
Non vi spaventate. L’aritmetica dell’epidemia è semplicissima, il problema è soltanto che è tremendamente controintuitiva. Ti insegna che dovresti fare il contrario di quel che il senso comune ti indurrebbe a fare.
Provo a spiegarla, questa benedetta aritmetica, con un esempio che si usa talora a scuola per spiegare ai ragazzi che cos’è una crescita esponenziale.
C’è uno stagno, e dentro lo stagno c’è una ninfea.
Come si sa, il numero di ninfee raddoppia ogni notte. Lo stagno ne può contenere fino a un migliaio, prima di saturarsi e far soffocare tutto ciò che contiene.
Il contadino – pescatore che custodisce lo stagno si sveglia al mattino e nota che, al posto della ninfea del primo giorno, ce ne sono 2.
Il giorno dopo, nota che sono 4. Il giorno dopo ancora, che sono 8. Dopo una settimana sono 128, e occupano poco più di un decimo della superficie dello stagno. Il custode non è preoccupato: penserà domani a ripulire lo stagno, in fondo in sette giorni le ninfee sono cresciute lentamente, meno di 20 ninfee al giorno.
Ma l’indomani è domenica, e il contadino – pescatore pensa: no, nel week end mi riposo, lo stagno lo ripulirò lunedì.
Lunedì le ninfee sono 512, ma il contadino – pescatore rimanda ancora una volta la pulizia al giorno dopo, e in una sola notte le ninfee diventano1024, riempiendo tutto lo stagno: ora è troppo tardi, perché in una sola notte le ninfee sono cresciute di numero quanto nei nove giorni precedenti. Lo stagno è saturo, tutta la vita animale e vegetale che conteneva è morta o sta morendo.

Questa, all’osso, è l’aritmetica di un’epidemia. I giorni del nostro apologo sono le settimane che, quando il contagio è in corso, un governo ha di fronte per intervenire. Lo scopo del governo, logicamente, è ripulire lo stagno in modo che ci siano poche ninfee. Il governo sa benissimo che non può eliminare tutte le ninfee ( il virus non si può azzerare ), ma vuole che lo stagno sia ragionevolmente pulito. Se no la vegetazione imputridisce, i pesci muoiono, le barche dei pescatori non riescono a muoversi. Fuor di metafora: l’economia muore.
Il governo è perplesso. Quando comincia a vedere un po’ troppe ninfee, vorrebbe ripulire lo stagno, ma per ripulirlo deve interdire la pesca per un certo tempo. I pescatori sono contrarissimi, preferiscono pescare zigzagando tra le ninfee piuttosto che stare fermi. il governo esita, pensando: aspettiamo ancora un po’, vediamo come va domattina. La mattina dopo ci sono ancora più ninfee, ma i pescatori non cedono: guai se fermate la pesca. Il governo non vuole irritare i pescatori e aspetta ancora un po’, sperando che le nuove ninfee non siano troppe, ma ancora una volta l’aritmetica non perdona: le ninfee raddoppiano ogni notte.
Un bel giorno, tutti vedono che lo stagno è quasi completamente coperto da ninfee. La pesca è diventata difficilissima, perché i pesci boccheggiano e non abboccano ( fuor di metafora: i consumatori non si muovono e non comprano ). A quel punto, e solo a quel punto, il governo trova il coraggio di intervenire: sospende la pesca, e comincia a ripulire lo stagno.
C’è un piccolo problema, però: ora che lo stagno è quasi tutto ricoperto di ninfee, per ripulirlo non basta una settimana, ma ci vogliono due mesi ( fuor di metafora: gli esercizi commerciali devono star chiusi due mesi, anziché una settimana soltanto ).

Per capire perché, dobbiamo parlare dell’aritmetica della ripulitura. Torniamo dal custode dello stagno, e supponiamo che la sua “capacità di ripulitura” sia di 16 ninfee al giorno. Supponiamo anche che le ninfee siano in parte nascoste, e che – per bene che vada – lo “spazzino di ninfee” possa eliminarle tutte meno un paio (questa ipotesi riflette il fatto che è difficilissimo scovare tutte le persone contagiose ).
Se lo spazzino interviene dopo sette giorni, ci sono 128 ninfee da eliminare e – a ritmo di 16 ninfee al giorno – per eliminarle quasi tutte occorrono circa otto giorni di sospensione della pesca (*) Ma, se lo spazzino interviene anche solo un giorno dopo, le ninfee da eliminare sono, nel frattempo, diventate 256, e occorreranno sedici giorni di sospensione della pesca. Se poi aspetta un altro giorno, le ninfee da eliminare diventano 512, e di giorni di sospensione ne occorreranno trentadue.
In breve, ogni giorno di ritardo costa otto giorni di sospensione della pesca. I pescatori – esercenti non sono stati lungimiranti: hanno convinto lo spazzino – governo a ritardare di due giorni la sospensione della pesca, e si ritrovano con una sospensione di trentadue giorni anziché di otto. Per guadagnare due giorni ora, ne perderanno trentadue ( anziché solo otto ) domani. Il bilancio costi – benefici è catastrofico.

Questa, in estrema sintesi, è la logica del governo di un’epidemia. Le cifre possono cambiare un po’ perché i contagiati non sono ninfee, e l’interazione governo – economia è più complicata di quella spazzino – pescatori. Ma il nucleo logico è implacabilmente lo stesso. Perché la legge fondamentale dell’epidemia è una sola: se vuoi fare qualcosa, più tardi lo fai più costerà caro a tutti.
Fuor di metafora: più il governo ritarda oggi a intervenire, più lungo e duro sarà il lockdown che dovrà imporre domani.
È precisamente questo che è capitato all’Italia, con la prima ondata e ancor più con la seconda. Il governo ha tergiversato a lungo, prima di decidere. E, quando ha deciso, ha ancora a lungo atteso prima di varare le misure più efficaci.
Ritardare gli interventi ci è costato decine di migliaia di morti non necessarie, e ci ha regalato la seconda ondata. Un evento che molti, con un misto di fatalismo e ingenuità concepiscono come ineluttabile, come un destino cieco cui nessun paese del mondo sarebbe potuto sfuggire.
Non è così. La seconda ondata era evitabile, tanto è vero che, fra le società avanzate, finora ben 10 su 25 non ne sono state colpite.
È ora di chiedersi come tutto questo sia stato possibile.”

(*)  N.d.R.: mi permetto di chiosare criticamente l’algoritmo dell’autore Luca Ricolfi. Quando afferma che per eliminare 128 ninfee ci vogliono 8 giorni al ritmo di 16 ninfee al giorno, lui non tiene conto del fatto che, mentre in un giorno lo “spazzino di ninfee” elimina 16 ninfee, le altre presenti e vitali (128 – 16 = 112) continuano a prolificare e duplicarsi ogni notte. Schematicamente, lui supporrebbe che la replicazione si arresti, non si sa in virtù di cosa: la realtà è molto diversa dalla pura teoria. La metafora, tuttavia, rende molto bene l’idea.

Numero2145.

 

Dal FATTO QUOTIDIANO 25.01.2021

 

I morti Covid in Italia e i paragoni con altri Paesi: dalla letalità all’eccesso di mortalità, quali dati guardare e cosa sappiamo finora

 

Qual è la verità sul numero dei decessi nel nostro Paese? Per capirlo bisogna innanzitutto distinguere tra tasso di mortalità e tasso di letalità. Bisogna anche tenere presente che il numero di morti non è di per sé un valore molto attendibile, mentre lo è di più l’eccesso di mortalità. Finora sappiamo che l’Italia ha pagato la prima ondata, ma da settembre in poi il tasso di letalità è identico a quello tedesco. Inoltre, pure il nostro eccesso di mortalità nel 2020 è in linea con quelli registrati da altri Paesi europei.

“Siamo il Paese al mondo con il più alto numero di morti Covid in rapporto alla popolazione”. “I dati purtroppo dicono che siamo i primi per morti”. La prima frase è di Matteo Renzi, la seconda di Matteo Salvini: martedì nell’Aula del Senato entrambi hanno citato il numero dei decessi per attaccare il governo sulla gestione della pandemia. Ma qual è la verità sul numero dei morti Covid nel nostro Paese? Per capirlo bisogna innanzitutto distinguere tra tasso di mortalità (rapporto tra decessi e abitanti) e tasso di letalità (rapporto tra decessi e malati). Bisogna anche tenere presente che il numero di morti e la mortalità non sono valori molto attendibili, mentre lo è di più l’eccesso di mortalità, ovvero la differenza tra i decessi registrati nel 2020 e la media degli anni precedenti. Quel che sappiamo finora è che l’Italia ha pagato – soprattutto in termini di morti – il fatto di essere il primo Paese occidentale colpito dalla pandemia. Ma sappiamo anche, come ha spiegato il professor Massimo Galli, che da settembre in poi il tasso di letalità italiano è identico a quello di uno degli Stati più virtuosi, la Germania. Inoltre, pure il nostro eccesso di mortalità nel 2020 (gli ultimi dati consolidati disponibili arrivano a fine ottobre) è in linea con quelli registrati da altri Paesi europei, come SpagnaFrancia e Regno Unito.

Morti e mortalità: perché non sono attendibili – Un primo dato certo è che i due Matteo dicono il falso: il Regno Unito ha avuto più decessi dell’Italia in rapporto alla popolazione, così come BelgioSlovenia e Repubblica Ceca (senza considerare San Marino, troppo piccolo). Un’altra certezza è che parlare di numero di morti assoluto o in rapporto alla popolazione (il cosiddetto tasso di mortalità), è quanto meno superficiale, se non semplicemente sbagliato. Infatti, questi numeri non tengono conto di una serie infinita di fattori. Dai più intuitivi, come l’età della popolazione e le abitudini sociali, fino ai più complessi, come il modo in cui i decessi vengono conteggiati. Alcuni esempi? Nel computo francese non entrano i decessi avvenuti in casa. In Russia a fine dicembre il conteggio è stato aggiornato in base ai criteri Oms: da 55mila morti ufficiali si è passati a 186mila. In Spagna l’istituto di statistica ha calcolato 29mila morti in più rispetto a quelli comunicati dal ministero della Sanità, che però non ha mai aggiornato i suoi dati. Inoltre, un altro difetto del tasso di mortalità è quello di non considerare quanto un Paese è stato colpito dalla pandemia, quanti contagi ha avuto.

Il tasso di letalità e la seconda ondata – Per questo il tasso di mortalità non va confuso con il tasso di letalità, ovvero il rapporto tra il numero di morti e il totale dei positivi diagnosticati. Come ha spiegato il professore Massimo Galli, il tasso di letalità è il parametro più corretto per calcolare la “capacità di cura” di un Paese. Misura infatti quanti decessi ci sono stati rispetto al numero di persone che hanno contratto il Covid. “Se prendiamo i dati nel periodo tra settembre e gennaio in Italia abbiamo il 2% circa della letalità tra i casi confermati, esattamente in linea con i dati della Germania“, ha sottolineato sempre Galli nei giorni scorsi. La spiegazione del professore è stata citata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la sua replica a Palazzo Madama. Il tasso di letalità in Italia da inizio pandemia è del 3,5%, quello della Germania è del 2,4%. Perché allora Galli cita i dati da settembre ad oggi? Non è per far “allineare” i due valori, ma perché la fine dell’estate è il periodo in cui l’Italia e gli altri Paesi europei hanno aumentato notevolmente la loro capacità di effettuare tamponi. Di conseguenza, durante la seconda ondata il numero di positivi diagnosticati (la base su cui si calcola il tasso di letalità) è diventata più aderente al numero di contagiati reali. Durante la prima ondata, invece, in Italia molto più che in Germania si riuscivano a rintracciare solamente i casi più gravi. Questa circostanza ha “drogato” nei primi mesi il tasso di letalità del nostro Paese, rendendolo poco significativo.

Le curve a confronto e il “prezzo” della prima ondata – Resta comunque un fatto: al 21 gennaio la Germania ha superato i 50mila decessi dall’inizio della pandemia di coronavirus, la Spagna è a 54mila, la Francia a 71mila. L’Italia invece è oltre quota 84mila e in Europa solo il Regno Unito supera i 94mila. Dimenticando per un attimo tutte le premesse fatte finora e concentrandosi solo sul numero di morti – come fanno Renzi e Salvini – emerge tuttavia un altro aspetto che spiega perché guardare al valore assoluto è ancora una volta fuorviante. Il grafico sottostante (elaborato da Our World in Data) mostra visivamente come il “gap” tra l’Italia e il Paese europeo più virtuoso, la Germania, si sia quasi esclusivamente originato durante la prima ondata. A marzo, mentre gli ospedali del nostro Paese erano già stati travolti dal virus, Berlino ancora non aveva sperimentato il picco dei contagi e aveva già messo in sicurezza le sue cliniche: il fattore tempo ha giocato un ruolo determinante. L’effetto è tutto mostrato nel grafico: al primo giugno l’Italia ha 25mila morti in più della Germania. Durante l’estate le due curve proseguono quasi piatte. Poi, in autunno e in inverno, sono sostanzialmente sovrapponibili. Da inizio settembre, infatti, entrambe tornano a risalire: qui torna utile proprio il tasso di letalità spiegato dal professor Galli. Dal primo settembre al 21 gennaio l’Italia registra 48,711 morti e 2.159.007 contagi, la Germania comunica 41.569 decessi a fronte di 1.861.460 positivi: la letalità è praticamente identica, 2,256% contro 2,233%.

 

N.d.R. : Letto ed assimilato quanto sopra, mi manca un dato, semplice ma significativo, almeno per la mia curiosità.

Prendiamo l’anno 2019: quanti sono stati i morti complessivi in Italia, in quell’anno in cui non c’era il COVID? (in subordine si potrebbe considerare anche la media degli ultimi 5 anni).
Prendiamo l’anno 2020: quanti sono stati i morti complessivi in Italia, in quell’anno in cui il COVID c’è stato, seppure a fasi non omogenee?
Facciamo la differenza: prendendo come assunto che la popolazione Italiana non sia cambiata granché ( o, se è variata, si tenga conto di tale variazione interpolando numericamente), dovrebbe risultare, a grandi numeri, quanti sono stati i morti in più, presumibilmente ascrivibili alla pandemia. Questo per capire quanto maggior danno ha provocato il contagio in termini di decessi.
Ogni anno, negli ultimi decenni, abbiamo avuto un aumento della mortalità in generale a causa di varie piccole o grandi epidemie o influenze, che interessano l’apparato respiratorio, normalmente diffuse nei periodi invernali. Il COVID è una di queste, evidentemente di proporzioni esorbitanti, ma della stessa specie.

Sono andato a cercare sulla rete i dati dell’ISTAT.

Secondo gli Indicatori Demografici ISTAT, nel 2019 sono morte in Italia 647.000 persone, ossia l’1,07% circa della popolazione residente che al 1° gennaio 2019 si stimava essere pari a 60.391.000.

“Non è ancora finito il 2020, ma una valutazione ragionevole fa pensare che quest’anno supereremo il confine dei 700mila decessi complessivi, che è un valore preoccupante perché una cosa del genere l’ultima volta, in Italia, era successa nel 1944. Eravamo nel pieno della seconda guerra mondiale”. A illustrare i numeri dai quali si deduce anche il peso della pandemia Covid, è stato, durante la trasmissione Agorà su Rai Tre, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo. “Nel 2019 – precisa – il dato era stato di 647.000 morti”.

Dunque, ad una grossolana valutazione, risulterebbe che oltre 50.000 morti in più ci sarebbero stati proprio a causa del COVID, nello scorso anno 2020.

Numero2124.

 

C’era una volta (1992) il libro “Il paziente inglese” di Michael Ondaatje.

Poi (1996), il film, con lo stesso titolo, di Anthony Minghella tratto da questo romanzo, con Kristin Scott Thomas, Juliette Binoche, Ralph Fienness, Colin Firth, Daniel Defoe ecc..

Adesso (fine 2020), è arrivata anche la “variante inglese” del COVID19.

Ci mancava….

Numero2094.

 

Ho qualcosa da dire sulla PANDEMIA DA CORONAVIRUS.

 

Se ne sentono di tutti i colori e, purtroppo, ho la sensazione che siamo ancora molto impreparati e sprovveduti circa gli accorgimenti pratici da suggerire o imporre per il contrasto alla pandemia. Le tante analisi, diagnosi, prescrizioni precauzionali, presidi preventivi e terapeutici e via dicendo che sono stati adottati e che ci sforziamo tutti di applicare sono sicuramente adeguati allo scopo ma, credo, non sono sufficienti.
È una mia fissa, da sempre, quella che vado qui ad esporre. Io dico e chiedo di puntare l’attenzione, la più alta possibile, ai luoghi e ai veicoli chiusi che hanno i sistemi di riscaldamento, di raffrescamento e, comunque di ricambio d’aria a circolo continuo che prevedono la presenza di filtri. Ad esempio, i sistemi di condizionamento a pompa di calore o ad aria forzata con ventilazione e quant’altro. I sistemi di purificazione dell’aria sono molto delicati ed importanti e regolamentati da protocolli di manutenzione particolarmente rigidi. Ma, pur prestando la massima attenzione a questa specifica problematica, non sento che vi sia molto allarme o sollecitudine di vigilanza su questo argomento.
Dico questo perché i sistemi di filtraggio dell’aria, in caso di mancata o scarsa manutenzione e pulizia, possono diventare un vero e proprio pericolo costante e incombente: infatti, anziché dei presìdi di prevenzione e protezione, si trasformano in veri e propri diffusori di virus e batteri: untori diabolici in pianta stabile.
Succede che tutta l’aria di un ambiente chiuso, anziché essere ricambiata con aria nuova proveniente dall’esterno, viene riciclata circolando all’interno e passando attraverso i filtri dei condizionatori. In questi filtri passano e si depositano continuamente, per tutto il tempo di funzionamento, microorganismi presenti nell’ambiente emessi dalla respirazione di migliaia di persone, fra le quali, statisticamente, sono presenti un certo numero di portatori dei virus. Questi, respirando, o tossendo, emettono virus in quantità che vengono veicolati e trasportati dalle correnti convettive dell’aria e intercettati dai filtri. In questi, a lungo andare, si formano colonie formidabili di virus e batteri con notevole carica virale e batterica e da lì gli agenti infettanti vengono ridiffusi nell’ambiente addirittura rinforzati. In un supermercato, in un cinema o teatro, in una classe scolastica, in una casa di riposo, in un vagone del treno o del metrò, in un autobus o in un tram o, peggio ancora in un aereo( aria pressurizzata), si respira continuamente aria malsana, se i filtri degli impianti termici non vengono puliti, igienizzati, sanificati con il massimo scrupolo e, soprattutto, continuamente.
Volete un esempio banale? Fate un viaggio abbastanza lungo, di almeno un’ora o due, chiusi con altre persone nell’abitacolo di un’automobile. Se una di queste ha un semplice raffreddore, in un ambiente così ristretto anche gli altri passeggeri a bordo respireranno i virus emessi dal contaminato che diventa contaminante. Nessuno ci farà caso perché la contaminazione non è immediata. Lasciate che passino alcuni giorni di incubazione del virus, minimo due o tre, e vedrete che sentirete i primi sintomi, mal di gola e naso chiuso, ma non vi ricorderete quando siete venuti in contatto con il virus. Darete la colpa all’umidità, al balzo della temperatura e quant’altro. Questi sono fattori concause dell’installarsi del disturbo respiratorio, ma non la vera causa che è sempre virale. Anche i filtri della circolazione d’aria del veicolo si possono intasare dei virus presenti in dose massiccia all’interno dell’abitacolo e possono a loro volta ridiffondere i microorganismi che lì stazionano e permangono in colonie virali vive e feconde.
Avete mai sentito dire dagli organi di informazione che sono state date disposizioni stringenti e tassative in tal senso? Io no.
Perché continuiamo a dire di metterci le mascherine, che sono un rimedio, ( e anche un business ) e non ci diamo da fare per eliminare le cause della diffusione? È così che si fa la sanità in Italia. Ma non la salute.
Per questo, lancio qui un allarme a chi vuol rendersene conto e a chi vuole ascoltare: si prendano provvedimenti urgentemente, affinché questi strumenti di riscaldamento o raffreddamento, pur necessari, non diventino il più grave pericolo per la popolazione. Molto di più di altre restrizioni che limitano la libertà personale e danneggiano l’economia. Non nascondiamoci dietro una mascherina.

Riporto, qui di seguito, una notizia che ha fatto storia nella diagnostica sanitaria.

La legionella  è un genere di batteri gram-negativi aerobi. La legionella deve il nome all’epidemia acuta che nell’estate del 1976 colpì un gruppo di veterani della American Legion riuniti in un albergo di Philadelphia causando ben 34 morti su 221 contagiati (erano presenti oltre 4.000 veterani), con eziologia (studio delle cause) ignota a quel tempo; solo in seguito si scoprì che la malattia era stata causata da un batterio, denominato poi legionella, che fu isolato nel gennaio del 1977 nell’impianto di condizionamento dell’hotel dove i veterani avevano soggiornato.

Numero1963.

 

Ricevo da un’amica

 

“Se ne vanno.

Mesti, silenziosi,

come, magari

è stata umile

e silenziosa

la loro vita,

fatta di lavoro,

di sacrifici, tanti.

Se ne va una

generazione, quella

che ha visto la guerra,

ne ha sentito l’odore

e le privazioni,

tra la fuga in un

rifugio antiaereo

e la bramosa ricerca

di qualcosa per sfamarsi.

Se ne vanno mani

indurite dai calli,

visi segnati da

rughe profonde,

memorie di giornate

passate sotto

il sole cocente o

nel freddo pungente.

Mani che hanno

spostato macerie,

impastato cemento,

piegato ferro, in

canottiera e cappello

di carta di giornale.

Se ne vanno

quelli della Lambretta,

della Fiat 500 o 600,

dei primi frigoriferi,

della televisione

in bianco e nero.

Ci lasciano, avvolti

in un lenzuolo, come

Cristo nel sudario,

quelli del boom economico

che, con il sudore,

hanno ricostruito

questa nostra nazione,

regalandoci quel benessere

di cui abbiamo

impunemente approfittato.

Se ne va l’esperienza,

la comprensione,

la pazienza,

la resilienza,

il rispetto, pregi

oramai dimenticati.

Se ne vanno

senza una carezza,

senza che nessuno

gli stringesse la mano,

senza neanche

un ultimo bacio.

Se ne vanno i nonni,

memoria storica

del nostro Paese,

patrimonio della

intera umanità.

L’Italia intera deve

dirvi GRAZIE e

accompagnarvi in

quest’ultimo viaggio

con 60 milioni

di carezze…❤?

 

RICEVUTO da Dott.Begher, pneumologo ospedale S.Maurizio.