Numero3031.

 

L A    M O R T E    N E L    C U O R E

 

1 Luglio 2024

 

È la sera del giorno del mio compleanno.

E sto scrivendo perché, nella mia vita, non ho mai passato questa ricorrenza in modo peggiore.

Pur ricevendo da tutte le parti, da parenti, amici e persone care tanti messaggi e chiamate per farmi gli auguri, non ricordo di essermi sentito mai così male come oggi.

Ho la morte nel cuore.

Il mio spirito è vicino alle sofferenze di una persona cara, una delle persone che più mi sono state vicine e amiche in questi ultimi tempi.

Lei sta lottando contro un male inesorabile in un letto di ospedale e né io, né alcun altro può fare nulla, se non attendere la conclusione, naturale e spietata, delle sue vicende terrene.

Voglio esserle vicino, in questi tremendi momenti, con il ricordo di lei, adesso che forse un filo di vitalità, ancora può intercettare e percepire le onde di energia positiva che, dalla mia mente, le sto indirizzando.

Voglio che il suo spirito, ancora desto e presente, venga pervaso dall’afflato affettuoso di questo suo vecchio amico.

Lei è stata con me e per me come una madre o una sorella, mi ha dato e regalato tanto, senza chiedere e ricevere niente, rifiutando addirittura alcunché in contraccambio.

Il suo cuore è, perché ancora batte, pieno colmo di generosità, di buoni pensieri, di attenzioni e disponibilità.

È stata per me come un angelo custode, in questa vita, e sono sicuro che lo sarà anche dall’aldilà, dal cielo dove sicuramente sta per migrare.

Lei, amica mia carissima, sta per lasciare le sue spoglie mortali su questa piccola porzione dell’universo e volerà dove devono volare gli spiriti migliori, quelli più eletti, quelli che vivranno per sempre.

L’ accompagna, in questo suo trapasso, il mio pensiero grato e riconoscente.

Il dolore che provo in queste ore, in questi giorni, mi parla di quanto lei è, ed è stata, importante nella mia vita.

Prima che tutto si compia, voglio che al suo spirito arrivi, con tutto il mio affetto, una parola sola.

Grazie!

Numero2961.

 

A D D I O,    E F R E M

 

Sui campi in terra celeste, giocheremo insieme il doppio …. ancora.

 

Addio, Efrem, addio amico mio.

 

Addio a Efrem Cosmacini, padre dell’istituto Kennedy a Udine

Il professionista aveva fondato, negli anni Settanta, il Kennedy, uno dei primi istituti scolastici paritari in Italia e a Udine in cui proponeva il recupero di anni scolastici per i vari indirizzi degli istituti superiori

MARISTELLA CESCUTTI

 minuto di lettura
Addio a Cosmacini, padre dell’istituto Kennedy 

Addio a Efrem Cosmacini, papà dell’istituto Kennedy di Udine. Cosmacini aveva 77 anni. Il suo cuore si è fermato nella sua casa dopo l’acutizzarsi di una patologia della quale soffriva da tempo.

Il professionista aveva fondato, negli anni Settanta, il Kennedy, uno dei primi istituti scolastici paritari in Italia e a Udine in cui proponeva il recupero di anni scolastici per i vari indirizzi degli istituti superiori. Una delle prime sedi del Kennedy è stata in via Poscolle e in via Santa Giustina per poi essere unificate in nuovo edificio in via Pieri, oggi sede staccata dell’ospedale Santa Maria della Misericordia.

Imprenditore lungimirante, Cosmacini negli anni ha investito sempre sulle proprie potenzialità e sul suo team che lo affiancava , condividendo con esso la stessa passione per la scuola . Quest’ultima, infatti, era da lui concepita in un modo completamente innovativo. Gli Istituti Kennedy in Regione sono stati, infatti, i primi ad introdurre uno studio interattivo legato alla nascente tecnologia digitale. Il liceo linguistico come percorso di studi privato in Friuli non esisteva è stato introdotto dal Kennedy, utilizzando un laboratorio linguistico all’avanguardia, mentre per le altre discipline era anche disponibile un laboratorio di informatica, tra i primi in Italia negli anni Ottanta. Cosmacini ha, infine, condotto tutti gli studenti al termine del loro percorso scolastico chiudendo l’attività nei primi anni Duemila.

«Mi ha insegnato la vita, a lavorare. Oggi sono un imprenditore di un’azienda che opera nel campo dell’astronomia – ricorda il figlio Marco –. Un papà che mi ha trasmesso i valori corretti della vita, l’importanza della famiglia, del lavoro e dell’onestà. Il carattere era forte; un uomo generoso con tutti, anche con le famiglie dei suoi studenti. Quando è nato il suo nipote Leonardo è diventato un nonno affettuoso. La sua passione oltre al lavoro era lo sport: il tennis, che ha continuato a praticare fino a pochi mesi fa, e la sua Udinese».

Numero2925.

 

I N    M O R T E    D I    U N    E X    C O M P A G N O    D I    C L A S S E           (TRENO O EPICEDIO)

 

Caro Pierluigi, vecchio compagno di scuola al Liceo Classico Stellini di Udine, nella seconda metà degli anni ’60, mentre io sto scrivendo, si stanno svolgendo le meste esequie per l’estremo saluto a te, morto da alcuni giorni, dopo lunga malattia per un male incurabile.
Casualmente, circa un mese fa, la cara Giuliana, amica mia da oltre quarant’anni, nominò, con nome e cognome, te, suo amico e sodale nella pratica della fede, e subito le ho chiesto se si trattava di quella persona che avrebbe potuto essere il mio ex compagno di classe, ai tempi del Liceo Classico.
Abbiamo appurato che si trattava veramente di te e, senza esitazione, le ho chiesto di darmi il tuo numero di telefono perché intendevo chiamarti per ripristinare un contatto, dopo oltre 65 anni. Me l’ha dato insieme ad alcune notizie, per sommi capi, sulla tua situazione e sulle tue condizioni di salute.
Ma tu stesso, per primo, avendo avuto da Giuliana il mio numero, mi hai preceduto con un messaggio WhatsApp. Eccolo:

Caro Alberto.
Sono molto contento di averti rintracciato grazie alla Giuliana Belotti.
Mi dicono che giochi a tennis e questo dimostra che stai bene.
Abbiamo passato anni insieme…. ma io di te sapevo solo che eri il più dotato della classe.
Spero tu sia sereno.
Ti auguro ogni bene.
Io sono ammalato di cancro non operabile,
ma sono ben curato.
La mia vita è stata piena di soddisfazioni a tutti i livelli.
Anche oggi sono contornato da mille attenzioni delle tre figlie; il figlio Roberto invece è morto a 32 anni per tumore allo stomaco nel 2006. Mia moglie Mimi mi ha lasciato per un tumore al cervello nel 2015.
Ricordo le tue sonore risate.
Un abbraccio.
Pierluigi

Ti ho risposto così: Ciao, Pierluigi, sono contento di poter ripristinare un contatto con te. Nel pomeriggio, ti chiamo. Mandi.

 

Ti ho chiamato, infatti, e abbiamo parlato, in una lunga telefonata, tu di te e io di me ricordando tante cose e tanti compagni di classe dei nostri bei tempi. A differenza di te, io non ho mai tenuto i contatti con i nostri compagni del Liceo. Tu, invece, anche perché a Udine li avevi vicini, sapevi un po’ tutto di loro. Di alcuni mi hai parlato, ma ti sei ripromesso, dopo una ricognizione nella tua memoria, di richiamarmi per farmi una relazione aggiornata e più accurata su tutta la classe: mi avrebbe fatto piacere.
Sono passate ben più di due settimane, ma da te nessuna chiamata e nessuna notizia. Ci siamo visti con Giuliana ad un pranzo in trattoria, una domenica fa. Mi ha chiesto se avevo proseguito nel contatto con te e le ho detto che da un po’ non ti sentivo e che stavo ancora aspettando che tu mi chiamassi. Lei mi ha raccomandato di essere io a chiamarti, se tu non ti facevi sentire. Tre giorni dopo da Giuliana mi è arrivato questo messaggio:

Albert oggi è morto Pierluigi Presacco…purtroppo…

La mia risposta:

Avevo avuto un presentimento. Non capivo perché non chiamava più. Purtroppo….

 

E così ci hai lasciati.

 

Giuliana mi ha fatto sapere quando ci sarebbe il tuo funerale e mi ha chiesto se volevo essere presente anch’io:  sarebbe passata a prendermi per venirci insieme.
Le ho risposto: “No, non ci sarò. Io non sono l’uomo dei funerali. Non vorrei partecipare neanche al mio, di funerale”. Lei si è messa a ridere, ma mi conosce e mi perdona. Perdonami anche tu. Ma, invece che una presenza pubblica, ho preferito dedicarti il ricordo di un episodio che ci ha visti insieme, in altri e migliori tempi.
Mentre in chiesa ci saranno i rituali funebri, io sto scrivendo alla tastiera, pensando a te.

Ieri, abbiamo fatto un pranzo a casa di Rita, sia perché era rientrato dall’Ospedale suo fratello, reduce da un intervento chirurgico, sia perché oggi è il compleanno di Rita e abbiamo avuto una piccola riunione di famiglia.
Sono venuti a trovarci anche mio figlio Ale e la sua compagna e con loro, fra le altre cose, ho parlato anche di te, di come ci siamo ritrovati e subito ripersi.
Ho letto loro il tuo messaggio e hanno voluto sapere di più. E ho raccontato ….
Nel messaggio tu scrivi: “Ricordo le tue sonore risate”.
Ecco, questa frase mi ha fatto ripensare ad un aspetto del mio carattere che quasi avevo cancellato nei miei ricordi.
Da giovane studente, io ero sì, un gran secchione, ma non ero un tetro, barboso, introverso cultore di libri e vocabolari, bensì un monello un po’ “Giamburrasca”, un creativo animatore, un organizzatore di scherzi, anche ai danni di insegnanti. Mi prestavo anche a passare compiti, esercizi, traduzioni, versioni in classe ai compagni che me li chiedevano.
Ricordo che a casa tua ci sono stato più di qualche volta. Ho perfino dormito da te, perché tu mi avevi chiesto di studiare insieme, in qualche weekend.
Poi, mi è saltato in mente che, una volta, a casa tua, una bella casa grande, con bei mobili e tanta luce, c’è stato un “festino”, di quelli che si organizzavano al sabato, per festeggiare un compleanno. Tutta la classe era invitata.

Ebbene, verso la fine della festa, sono arrivati due uomini, uno dei quali era tuo padre e l’altro non ricordo bene chi fosse, forse un tuo parente o un suo amico oppure il padre di una nostra compagna di classe che era venuto a prendere la figlia.
Si sono intrattenuti un po’ con noi, parlando del più e del meno, e quest’ultimo signore, distinto e con una certa cultura, ad un certo punto si è rivolto a noi dicendo più o meno questo:

“Voi, giovani studenti di latino, che ormai masticate da quasi 8 anni, vediamo chi riesce a interpretare e tradurre il significato di una frase latina che adesso vi dico. Guardate che molti illustri latinisti ci hanno provato, ma di soluzioni attendibili poco o niente….
Nel corso di scavi nel sito archeologico del Foro a Roma, è venuta alla luce una lastra di pietra che su una facciata, quella in vista, era liscia e vuota, ma sul retro portava una scritta, che nessuno aveva notato prima perché nascosta.
La scritta era scolpita in caratteri latini e ben leggibile. Eccola:

OLIM

ORTA

OCCISVA

AEDISTI

FIDEM

IGNOTA.

Chi mi sa dire cosa significa?

Punti nell’orgoglio per la sfida, tutti noi ci siamo messi a pensare per trovare la soluzione del rebus che non appariva per niente semplice.
Sono spuntati fuori, fogli di carta, penne, matite, vocabolari e grammatiche latine. Non si sentiva volare una mosca.

Per orientarci, scrivo qui alcuni significati delle 6 parole latine scritte sopra.

OLIM = un tempo, in passato, anticamente.

ORTA = participio passato femminile del verbo “orior” che vuol dire sorgere, alzarsi, spuntare, nascere, cominciare.

OCCISVA = dal verbo “occido” che significa morire, estinguersi, tramontare, svanire, sparire, essere distrutto, cadere, crollare. Bisognava tenere presente l’anomalia della V che si doveva leggere U e che complicava ulteriormente le cose. Cominciò a girare fra i partecipanti al test, la voce che doveva trattarsi di “voce tardo latina”.

AEDISTI = qui il termine era controverso: sembrava il passato remoto di un verbo non conosciuto che aveva la radice di = casa, abitazione, costruzione, “edificio” e simili.

FIDEM = Accusativo singolare femminile del termine fides- ei = fede, fiducia, credenza, lealtà, fedeltà, credulità ecc.

IGNOTA = aggettivo/participio al nominativo (o vocativo, o ablativo) singolare femminile, forse concordabile con ORTA = ignota, sconosciuta.

 

Era passata mezz’ora e nessuno era riuscito a cavare un ragno dal buco.

Io me ne stavo in disparte, un po’ lontano dai miei compagni, che sapevo mi avrebbero avvicinato per chiedermi sicuramente chiarimenti o le miei interpretazioni. Mi sarei deconcentrato se davo retta a loro.
Dopo un po’ arrivai alla conclusione che questo doveva essere uno scherzo, perché la frase non aveva un senso compiuto con i significati di quelle parole.

Mi è venuta l’ispirazione di scrivere le parole tutte in orizzontale e vicine fra loro, le une di seguito alle altre. Così:

OLIMORTAOCCISVAAEDISTIFIDEMIGNOTA:

Allora ho capito che, dopo aver applicato le crasi o elisioni di certe vocali di inizio e fine parola, cosa assai comune nei versi della metrica poetica latina, si poteva scandire la frase in questo modo:

O / LI / MORTACCI / SUA / E / DI / STI / FI / DE / MIGNOTA

Ecco svelato l’arcano!
Si trattava di una frase comune e popolare del vernacolo romanesco, burino e caciottaro, che qualcuno si era divertito a trascrivere con truffaldina maestria su una pietra, per prendere per il culo i lettori.

Le risate e i complimenti tennero banco per il resto della serata.

Te lo ricordi questo episodio?

 

Caro Pierluigi, antico compagno di classe, perduto, ritrovato e, adesso, di nuovo, ma questa volta per sempre, riperduto, mi perdonerai se ho rievocato un po’ spensieratamente questo episodio della nostra bella gioventù.
Oggi, nel giorno del tuo funerale, io, come allora, goliardico burlone e clown un po’ sfrontato, ho voluto ricordarti e ricordarci insieme, come ai bei tempi, con la rievocazione di questo aneddoto di vita studentesca.

Dall’alto di quel cielo celeste, che hai tanto e sempre cercato e adesso raggiunto, per la  tua specchiata rettitudine morale e per la tua profonda devozione religiosa, ridi anche tu con me, a questo ricordo.
Forse, in quel cielo dove il tempo e lo spazio non ci sono più, dove le anime si possono trovare liberamente, magari ci rincontreremo, come non siamo riusciti a fare qui sulla terra. E rideremo insieme. E mi racconterai di quello di cui non sei riuscito a ragguagliarmi. come mi avevi promesso.

E, a proposito di “latinorum”, simpaticamente, come in una “lectio non magistralis”, ti saluto con la locuzione “In manu Dei” (nella mano del Signore) che viene compendiata magnificamente, con una sintetica commistione etimologica, nella più bella parola della nostra lingua friulana: MANDI!

 

 

 

Numero2917.

 

Come si fa a capire chi è veramente un buon amico?

 

da QUORA

 

Scrive Emanuele De Feo, corrispondente di QUORA

 

Papà mi diceva…
per capire chi è un buon amico
organizza una festa
fai una festa bellissima
prendi buone birre
e dei vini sopra i tredici
prendi del buon cibo
e che la musica di sottofondo
sia bella, che possa accogliere tutti
mettila alta
ma non troppo
lascia che i vostri dialoghi
non vengano coperti dagli assoli,
invita amici, mi diceva, invitane tanti,
invita tutti gli amici che conosci

e poi finita la festa
lascia che ognuno prenda la via
che preferisce,
non forzare nessuno a rimanere
non convincere
non prolungare mai la festa
che le feste hanno origini più antiche di noi,
sanno loro quando finire,
tu saluta e augura la buonanotte a tutti
e osserva

osserva bene chi di sua volontà
resta ad aiutarti,
chi ti aiuterà a lavare i piatti
chi ti aiuterà a rimettere a posto
a sistemare le cose,
questi saranno i tuoi buoni amici,
quelli che non ti staranno accanto
solo quando la musica e il vino
gioiranno con le tue buone lune,

i buoni amici
sono quelli che rimarranno
anche quando la tua vita
avrà da offrire solo briciole e disordine

e alla fine di tutto,
mi diceva papà
ricorda, alla fine di ogni bellissima festa
alla fine di ogni momento epico
di ogni grande successo
e di ogni impresa riuscita,
vedrai che accanto a te
resteranno sempre pochissime persone,
ma quelle pochissime
ricordalo sempre,
valgono tutto.

Questo è il metodo che suggerisce Gio Evan, noto scrittore italiano.

Se capisci chi rimane quando la vita ha da offrire solo disordine, allora capirai veramente chi potrai chiamare “amico”.

Numero2869.

 

Frasi tipiche delle persone invidiose

Ana Maria Sepe    Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi.   

 

L’amicizia è una relazione preziosa che ci accompagna lungo il percorso della vita, ma purtroppo, talvolta, può capitare di imbattersi in un amico invidioso. L’invidia è un sentimento complesso e negativo che può minare i rapporti più profondi. Questo testo esplorerà i comportamenti tipici di un amico invidioso, offrendo una comprensione più approfondita di questa dinamica e suggerimenti su come affrontarla.

Ecco alcuni fattori che possono contribuire alla nascita dell’invidia:

  1. Confronto sociale: L’invidia può sorgere quando ci confrontiamo con gli altri e percepiamo una disparità tra le nostre vite o realizzazioni e quelle degli altri. Questo confronto può generare insoddisfazione e invidia se sentiamo di essere in svantaggio rispetto agli altri.
  2. Desiderio di possesso: L’invidia può nascere quando desideriamo qualcosa che un’altra persona ha, come successo, fama, ricchezza, bellezza o relazioni. Questo desiderio può alimentare l’invidia se percepiamo che gli altri hanno ciò che vorremmo avere.
  3. Sensazione di inferiorità: L’invidia può derivare da una bassa autostima o da sentimenti di insicurezza. Se ci sentiamo inferiori agli altri o pensiamo di non essere all’altezza, potremmo sviluppare invidia verso coloro che percepiamo come superiori.
  4. Rivalità e competizione: La competizione può alimentare l’invidia quando siamo in competizione con qualcuno per raggiungere obiettivi simili. La paura di essere superati o superate dall’altra persona può generare invidia e risentimento.
  5. Mancanza di gratitudine: L’invidia può sorgere quando non riusciamo ad apprezzare ciò che abbiamo e ci concentriamo solo su ciò che ci manca. La mancanza di gratitudine può alimentare la sensazione di invidia verso coloro che sembrano avere di più.

Comportamenti tipici dell’amico invidioso

L’invidia è un sentimento umano comune, ma quando si manifesta tra amici, può diventare un problema serio. Di seguito sono elencati alcuni dei comportamenti tipici che un amico invidioso potrebbe mostrare.

Un amico invidioso può comportarsi in modi che mettono in discussione la solidità del legame che si è instaurato. Uno dei comportamenti più evidenti è la costante competizione. L’amico invidioso tende a considerare l’amicizia come una sorta di sfida personale, cercando costantemente di dimostrare di essere migliore in ogni ambito. Questa continua competizione può generare tensioni e creare una sensazione di costante confronto.

Accanto alla competizione, gli amici invidiosi spesso si manifestano attraverso critiche costanti. Indipendentemente da quanto bene ti stia andando o da qualsiasi successo tu possa ottenere, l’amico invidioso troverà il modo di sminuire i tuoi risultati o di criticare le tue scelte. Queste critiche possono essere velate o esplicite, ma hanno lo scopo di ridimensionare la tua autostima e di farti dubitare delle tue capacità.

Un altro comportamento tipico di un amico invidioso è la mancanza di gioia per i tuoi successi. Mentre gli amici genuini sono felici per le tue realizzazioni e ti supportano in ogni passo del tuo percorso, l’amico invidioso sembra non provare alcuna gioia per te. Potrebbero evitare di congratularsi o addirittura cercare di minimizzare l’importanza dei tuoi traguardi. Questa mancanza di supporto può lasciarti con un senso di solitudine e insoddisfazione nel momento in cui avresti bisogno di condividere le tue vittorie con chi ti sta accanto.

Sarcasmo e commenti negativi sono anche segni rivelatori di un amico invidioso. Invece di sostenerti con parole incoraggianti, l’amico invidioso potrebbe usare il sarcasmo per mettere in ridicolo le tue azioni o le tue scelte di vita. Questi commenti negativi possono ferire profondamente, mettendo in discussione la fiducia che hai nell’amicizia stessa. Un amico invidioso può anche cercare di instillare un senso di superiorità nei confronti degli altri. Questo atteggiamento può essere utilizzato come mezzo per nascondere i sentimenti di invidia che provano. L’amico invidioso può cercare di dimostrare di essere superiore, sia che si tratti di aspetti personali o professionali, per alimentare il proprio ego e mascherare la propria insoddisfazione.

Il sabotaggio sottile è un altro comportamento che può caratterizzare un amico invidioso. Questo sabotaggio può essere subdolo e difficile da individuare. L’amico invidioso potrebbe cercare di ostacolare i tuoi sforzi o minare le tue opportunità in modo da impedirti di raggiungere il successo. Questo comportamento manipolativo può essere estremamente dannoso e influire negativamente sulla tua autostima e sulla tua capacità di perseguire i tuoi obiettivi. Inoltre, l’amico invidioso può distorcere la realtà per giustificare i suoi sentimenti di invidia. Possono diffondere voci o informazioni errate su di te per screditarti o farti apparire negativo agli occhi degli altri. Questo atteggiamento può danneggiare la tua reputazione e minare la fiducia che gli altri hanno nei tuoi confronti.

Infine, un amico invidioso può manifestare disinteresse per i tuoi problemi o difficoltà. Mentre gli amici veri saranno presenti e ti supporteranno nei momenti difficili, un amico invidioso potrebbe non mostrare alcun interesse per i tuoi problemi o addirittura trarre una sorta di soddisfazione nel vedere che stai attraversando una fase difficile. Questo comportamento può generare una sensazione di isolamento e solitudine, poiché ti accorgi che l’amico su cui contavi non è disposto a offrire un sostegno genuino.

Ecco alcune frasi tipiche che potrebbero essere pronunciate da una persona invidiosa:

  1. “Sei sempre così fortunato/a, tutto ti viene servito su un piatto d’argento.”
  2. “Non so come tu riesca ad ottenere tutto ciò che vuoi, mentre io devo lottare per ogni cosa.”
  3. “Devi avere qualche trucco sotto mano per essere così bravo/a in tutto.”
  4. “La tua vita sembra un sogno, vorrei poter avere la tua fortuna.”
  5. “Tutti sembrano amarti e apprezzarti, mi chiedo perché.”
  6. “Non ti preoccupare, non tutti possono avere successo come te.”
  7. “Sono sicuro/a che hai imbrogliato per ottenere quel risultato.”
  8. “Mi piacerebbe essere al tuo posto, ma purtroppo la vita non mi sorride come a te.”
  9. “Non so cosa hai fatto per meritarti tutto questo.”
  10. “Le tue abilità sembrano essere innaturali, nessuno può essere così talentuoso come te.”

Riconoscere un amico invidioso può essere un passo difficile ma necessario per preservare la tua felicità e il tuo benessere. Affrontare la situazione richiede coraggio e determinazione. È importante stabilire dei confini sani e comunicare apertamente con l’amico invidioso, cercando di comprendere le sue motivazioni e i suoi sentimenti. In alcuni casi, potrebbe essere necessario allontanarsi da questa relazione tossica per proteggere il proprio equilibrio emotivo. L’amicizia dovrebbe essere un legame basato sulla fiducia, il rispetto e la reciprocità, e nessuno dovrebbe permettere all’invidia di minare tale connessione preziosa.

Ricorda sempre

Se una persona è buona e ti ama, vorrà sempre il meglio per te. Non sminuirà i tuoi risultati, non ti ricorderà i tuoi fallimenti quando sei felice, non ti consiglierà cose che potrebbero metterti in chiaro pericolo. Quando la frase “Te lo sto dicendo per il tuo bene” viene da qualcuno a cui non importa affatto di te o ha un comportamento invidioso, per favore non prendere le sue parole completamente sul serio.

Una persona è in grado di ferirci soltanto se noi gli diamo la possibilità di farlo!

Se inizi a vederli per quelli che sono (delle persone tristi e frustrate che non potendo godere delle proprie gioie cercano far cadere in basso gli altri), a quel punto non darai più molto peso alle loro male lingue.

Non permettere alle persone che vogliono farti sentire piccolo e sbagliato di riuscire nel loro intento, tu hai un valore e devi difenderlo. Concentrati a coltivare la tua autostima, ad amarti per quello che sei veramente e non per quello che vogliono farti credere gli altri. Avere una alta considerazione di sé è come indossare un armatura leggera ma resistente, non ci appesantisce ma ci ripara dai colpi della vita.

Hai degli obiettivi o dei sogni che vuoi raggiungere? Bene, focalizzati su questi e inizia a lavorare per portarli a termine. La vita è breve per perdere tempo a guardarsi intorno e dare importanza a queste sciocchezze…certo a volte la salita è lunga e faticosa, ma il panorama ne vale la pena!

Numero2819.

 

mandato da mio figlio Ale questo “argomento” che lo riguarda molto da vicino.

 

L’intervento del Ceo* di Google in 60 secondi sulle “5 palline della vita”

  • CEO = Chief Executive Officer : è come dire Amministratore Delegato

 

Nei giorni scorsi molti hanno definito incredibile (per efficacia e sinteticità) un intervento del Ceo di Google Sundar Pichai espresso in appena 60 secondi. La sua tesi è questa: “Immagina la tua vita come se fossero 5 palline da far girare in aria cercando di non farle cadere. Una di queste palline è di gomma, altre 4 sono di vetro: rappresentano il lavoro, la famiglia, la salute, gli amici, e l’anima. Il lavoro è la pallina di gomma.”

In pratica, secondo Pichai, il lavoro, una volta perso, si può ritrovare. Se invece a cadere sarà una delle altre, non ritornerà più alla sua forma originaria. L’amministratore delegato del motore di ricerca più noto al mondo invita dunque a “diventare consapevoli di questo il prima possibile e adattare adeguatamente le nostre vite” e indica una via: “Gestisci con efficacia il tuo orario di lavoro, concediti del tempo per te, per la tua famiglia, per gli amici, per riposarti e per prenderti cura della tua salute”.

Tutto vero e condivisibile a condizione che il mercato del lavoro a livello globale sia una macchina perfetta. Ma non è così: la disoccupazione (inclusa quella strutturale e di lunga durata), la precarietà, la sottoccupazione, i bassi tassi di occupazione, la produttività stagnante, le difficoltà nella ricerca di una nuova occupazione per i lavoratori anziani, gli aspetti di genere, come noto, sono tra gli altri fenomeni caratterizzanti di molti paesi al mondo, tra i quali l’Italia. Ma nell’intervento di Pichai, intriso di retorica, per questi aspetti non c’è spazio. Anzi, non c’è tempo.

Numero2752.

 

da  QUORA

 

A  PROPOSITO  DI  FAKE  NEWS

 

 

Il seguente testo è intitolato “Il test dei tre setacci di Socrate”. Si tratta di una conversazione immaginaria tra Socrate e uno dei suoi studenti, poiché molto probabilmente questo dialogo non è mai avvenuto ed è stato completamente inventato da qualcuno. Tuttavia, nonostante la sua origine dubbia, nasconde uno dei più splendidi messaggi che si possono trovare in rete ed è un peccato non condividerlo.


Nell’antica Grecia Socrate aveva una grande reputazione di saggezza.

Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse:

– Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?

– Un momento – rispose Socrate. – Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci.

– I tre setacci?

– Ma sì, – continuò Socrate. – Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Lo chiamo il test dei tre setacci.

Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è vero?

– No… ne ho solo sentito parlare…

– Molto bene. Quindi non sai se è la verità.
Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di buono?

– Ah no! Al contrario.

– Dunque, – continuò Socrate, – vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere.
Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setaccio, quello dell’utilità. E’ utile che io sappia cosa mai avrebbe fatto questo amico?

– No, davvero.

– Allora, – concluse Socrate, – quello che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile; perché volevi dirmelo?

Se ciascuno di noi potesse meditare e metter in pratica questo piccolo test… forse il mondo sarebbe migliore.

Numero2592.

 

Ricevo da Rita

 

“GLI ANZIANI”

 

“Siamo nati nel 40-50-60”.

“Siamo cresciuti negli anni 50-60-70”.

“Abbiamo studiato negli anni 60-70-80”.

“Ci frequentavamo negli anni 70-80-90.”

“Ci siamo sposati e abbiamo scoperto il mondo negli anni 70-80-90”.

Ci siamo avventurati nell’80-90.

Ci siamo stabilizzati negli anni 2000.

“Siamo diventati più saggi negli anni 2010”.

E stiamo andando con decisione fino al 2030.

“Si scopre che abbiamo vissuto OTTO decadi diverse…”

“DUE secoli diversi…”

“DUE millenni diversi…”

“Siamo passati dal telefono con operatore per le chiamate interurbane alle videochiamate in qualsiasi parte del mondo, siamo passati dai cinema a YouTube, dai dischi in vinile alla musica online, dalle lettere scritte a mano alle email e WhatsApp”.

“Dalle partite in diretta alla radio, alla TV in bianco e nero, e poi alla TV HD”. siamo andati al Video Club e ora guardiamo Netflix.

“Abbiamo conosciuto i primi computer, schede perforate, dischetti e ora abbiamo gigabyte e megabyte in mano sui nostri telefoni cellulari e IPad”.

“Indossiamo pantaloncini per tutta la nostra infanzia e poi pantaloni lunghi, stringate, bermuda, ecc.”

“Abbiamo evitato la paralisi infantile, la meningite, l’influenza H1N1 e ora il COVID-19”.

“Abbiamo guidato su pattini, tricicli, auto inventate, biciclette, motorini, auto a benzina o diesel e ora guidiamo ibridi o elettrici al 100%.”

“Sì, ne abbiamo passate tante ma che bella vita abbiamo avuto!”

Potrebbero classificarci come “essenziali”; persone nate in quel mondo degli anni Cinquanta, che hanno avuto un’infanzia analogica e un’età adulta digitale.

“Siamo una specie di Yeh-seen-it-all.” (Si, visto tutto)

La nostra generazione ha letteralmente vissuto e testimoniato più di ogni altra in ogni dimensione della vita.

È la nostra generazione che si è letteralmente adattata al “CAMBIAMENTO”.

Un grande applauso a tutti i membri di una generazione molto speciale, che sarà UNICA”.

IL TEMPO NON SI FERMA

“La vita è un compito che ci siamo portati a fare a casa.

Quando guardi… sono già le sei del pomeriggio; quando guardi… è già venerdì; quando guardi… il mese è finito, quando guardi… l’anno è finito; quando guardi… sono passati 50, 60 e 70 anni!
Quando guardi… non sappiamo più dove sono i nostri amici.
Quando guardi… abbiamo perso l’amore della nostra vita e ora è troppo tardi per tornare indietro.
Non smettere di fare qualcosa che ti piace per mancanza di tempo. Non smettere di avere qualcuno al tuo fianco, perché i tuoi figli presto non saranno tuoi e dovrai fare qualcosa con quel tempo rimanente, dove l’unica cosa che ci mancherà sarà lo spazio che può essere goduto solo con i soliti amici. Quel tempo che, purtroppo, non torna mai…”_
È necessario eliminare il “DOPO”…
A seguito di
ti chiamerò.
A seguito di
Io faccio.
A seguito di
lo dico.
A seguito di
Io cambio.
Lasciamo tutto per Dopo,
come se il Dopo
fosse il meglio…
perché non lo capiamo…
A seguito di
il caffè si raffredda
A seguito di
la priorità cambia,
A seguito di
il fascino è perso
A seguito di
presto si trasforma in tardi,
A seguito di
la nostalgia passa,
A seguito di
le cose cambiano,
A seguito di
i bambini crescono
A seguito di
la gente invecchia,
A seguito di
il giorno è notte,
A seguito di
la vita è finita

Non lasciare niente per Dopo,
perché in attesa del Dopo,
puoi perdere
i  momenti più eccitanti
le migliori esperienze,
gli amici più cari,
i più grandi amori.
Ricorda che Dopo potrebbe essere in ritardo.
Il giorno è oggi!
NON SIAMO PIÙ IN UN’ETÀ PER RIMANDARE NULLA.

Spero che tu abbia tempo per leggere e poi condividere questo messaggio… oppure lascialo per Dopo e vedrai che non lo condividerai mai!

Sempre insieme
Sempre uniti
Sempre Fratelli
Sempre amici

Passalo ai tuoi dieci migliori amici e a “me” se sono tra loro e vedrai come non tutti rispondono. Perché lo lasciano per dopo 😉😉😉

Numero2466.

 

LODE ALL’ AMICO RISANATO.

 

Antonietta Fagnani Arese: chi era costei?
Era una contessa Milanese, ben conosciuta nel giro della Nobiltà Meneghina, amica ed amante, per qualche tempo (1800 – 1803) di Ugo Foscolo, il nostro poeta, noto esponente del Neoclassicismo del Primo Ottocento, di cui abbiamo studiato a scuola odi e sonetti.
A questa gentile Signora, il Foscolo ha dedicato un’Ode, pubblicata nel 1802, dal titolo ALL’AMICA RISANATA, un polpettone ottocentesco e neoclassico, che oggi farebbe ridere, ma che allora, secondo i criteri didattici dei nostri tempi giovanili, si doveva studiare come esemplare storico della nostra Letteratura. È un omaggio all’innamorata che usciva da un periodo di malattia e ritornava alla vita normale. Evito ogni ulteriore dettaglio sull’opera: non varrebbe la pena approfondire.
Invece, la cito qui, come aggancio e riferimento, per il suo titolo, che mi è venuto in mente oggi, 1 Giugno 2022, dopo aver giocato l’ennesimo doppio di tennis, avendo come avversario il mio caro amico “biondo”. Detto per inciso, anche per la brillante prestazione del giocatore ora citato, che mi giocava contro, ne sono uscito, seppur di poco, sconfitto. E lo riferisco con grande piacere perché, dopo tanti mesi di traversie, lui, “il biondo”, ha oggi dimostrato di essere pienamente recuperato ad una condizione fisico – atletica accettabile e soddisfacente. La sua palla malefica ha ricominciato a tormentarmi e a mettermi in difficoltà: complimenti e congratulazioni, con l’augurio che questa condizione di benessere si prolunghi per tanto tempo ancora.

Ma, Ugo Foscolo scrisse l’ODE “ALL’AMICA RISANATA”.
Io scrivo, invece, questa LODE ALL’AMICO RISANATO.

Numero2428.

 

IN QUESTA VITA, MORIRE NON È UNA NOVITÀ,

MA, DI CERTO, NON LO È NEMMENO VIVERE.

 

 

I Russi stanno scrivendo col sangue ( Ucraino) alcune delle più brutte pagine della storia dell’umanità.

 

Scrivere col sangue (proprio) per, poi, impiccarsi ad appena 30 anni, è stata la macabra performance di un elevato ed eletto spirito, interprete della cultura artistica Russa, il poeta Sergéj Esénin.

 

 

La notte del 27 dicembre 1925, in un albergo di San Pietroburgo, il poeta russo Sergei Esenin (o Sergej Yesenin, 1895-1925, pronuncia: Serghiéi Iessénin) si tagliava le vene e col sangue appena sgorgato scriveva la sua ultima composizione. 

È una poesia d’amore e d’addio per il poeta Anatoli Marienhof (o Anatolij Mariengof), che era stato suo amante (e per un certo tempo anche convivente) negli ultimi quattro anni della sua vita.

Quelle righe, l'”Addio a Marienhof“, sono spesso citate da chi parla di Esenin, ma sempre nascondendo il fatto che sono l’estremo saluto all’uomo amato:

 

Arrivederci, amico mio, arrivederci,
tu sei nel mio cuore.
Una predestinata separazione
un futuro incontro promette.
Arrivederci amico mio, 
senza strette di mano e parole,
non rattristarti e niente
malinconia sulle ciglia:
morire in questa vita non è nuovo,
ma più nuovo non è nemmeno vivere 

Quella notte, fosse questa l’ultima chance offertagli dal destino o fosse imperizia, il taglio delle vene non risultò fatale: Esenin sopravvisse. Come spesso avviene in questi casi egli fece allora un ultimo gesto di richiesta d’aiuto, cercando di farsi bloccare dagli altri prima di compiere il gesto irreparabile: la poesia scritta col sangue fu consegnata a un amico, Elrich, che però non ebbe il tempo per leggerla immediatamente.Fu così che nessuno arrivò in tempo per fermarlo la notte successiva, quando nel medesimo albergo Esenin ripeté con successo il tentativo di suicidio, impiccandosi. Aveva appena trent’anni.

La sua carriera era stata folgorante e aveva toccato i vertici della fama mondana: un destino questo che arride a pochissimi poeti. Eppure quando morì la fama mondana, incostante, iniziava ad abbandonarlo con la stessa capricciosa rapidità con cui lo aveva toccato, complice anche la soffocante atmosfera della Russia di Stalin.


Figlio di contadini benestanti, Esenin era cresciuto in campagna, presso i nonni assai tradizionalisti. Fu la descrizione e la nostalgia di questo mondo agricolo e arcaico (destinato a sparire pochi anni dopo nel dramma della Rivoluzione sovietica) che gli fece toccare le sue corde più sentite e lo rese celebre.

Esenin è un classico esempio di uomo “che si è fatto da sé”, o quasi, usando per farsi strada ora il talento artistico e ora (molto) la bellezza, due doti che la sorte gli aveva concesso con pari generosità:

 

Bello, affascinante e grande opportunista, Esenin arrivò a Pietroburgo nel 1915 all’età di vent’anni fermamente deciso a diventare un poeta famoso.
Per ottenere questo scopo Esenin si servì del suo fascino, dell’origine contadina (molto di moda in quel periodo) e, quando necessario, dell’attrattiva che esercitava sugli omosessuali. Le brevi relazioni con Sergej Gorodetskij e con Rjurik Ivnev gli aprirono molte strade letterarie.Nell’aprile 1915 Esenin scrisse al già celebre poeta Nikolaj Kljuev una lettera piena di ammirazione esprimendo il desiderio di incontrarlo. Come le memorie di Gorodetskij rivelano, Kljuev venne a Pietroburgo e “si impadronì di Esenin diventandone l’esclusivo possessore“.Nei due anni seguenti i due poeti lavorarono in coppia, ostentando simili e sgargianti costumi folkloristici, dando insieme letture di poesia e passando insieme molto del loro tempo. Le raccolte di poesie di Esenin di solito includono tre poesie d’amore per Kljuev del 1916, ma non specificano a chi queste poesie sono rivolte.Sergej Esenin fu bisessuale e per tutta la vita non seppe decidersi fra uomini e donne. Alla fine si staccò da Kljuev e si orientò verso i matrimoni molto pubblicizzati con l’attrice Zinaida Raich, con Isadora Duncan e con la nipote di Leone Tolstoj, per non parlare degli affari di cuore con signore e dei clandestini coinvolgimenti con uomini. Quello più duraturo di questi ultimi fu la relazione durata quattro anni con il poeta Anatolij Marienhof, al quale Esenin rivolse la bellissima poesia “Addio a Marienhof“.
Kljuev non riuscì mai a rassegnarsi alla perdita di Esenin, cantando nelle sue poesie la speranza che Esenin sarebbe tornato da lui, affermando che essi sarebbero rimasti coniugi negli annali della poesia” 

La carriera di Esenin inizia dunque grazie a relazioni con uomini in grado di “lanciarlo” sulla scena letteraria.La cerchia a cui si indirizza è ovviamente quella dei “poeti-contadini” della quale il giovane poeta Sergei Gorodecki (o Gorodeckij, 1884-1967) è un po’ il teorico.
Oltre tutto, suo amante e protetto era già stato in precedenza un altro poeta gay che cantava la Russia rurale, il già citato Nikolai Kljuev (o Nikolaj Kluev, 1887-1937).

Nelle sue Memorie Gorodecki descrive il suo incontro con Esenin in termini trasparenti: Esenin

 

era incantevole, con quella sua voce melodiosa da monello, con quei suoi riccioli biondo chiarissimo, (…) con quei suoi occhi blu… Esenin venne a stare a casa mia. Alleviai le sofferenze del suo cammino con le mie lettere di presentazione per tutte le relazioni che conoscevo

Le “lettere di presentazione” del primo amico furono sfruttate al meglio, e in breve, come abbiamo visto, Esenin divenne (dal 1915 al 1917) partner inseparabile di Kljuev, assieme al quale mise in piedi veri show folkloristico-poetici (accompagnati dalla fisarmonica suonata da Esenin), che fecero discutere la società “bene” e portarono fama al giovane poeta (la cui carriera non fu danneggiata dalla chiamata alle armi)
In quegli anni e in quelli successivi Esenin fece di tutto per conquistarsi una fama da “teppista“, concedendosi atteggiamenti genettiani che riempirono di deliziato scandalo i salotti pietroburghesi. 
Le pose di Kljuev ed Esenin vanno insomma viste come una vera attività “promozionale” che centrò il bersaglio: se i due vivessero oggi sarebbero di certo star televisive

Così un contemporaneo, Cerniavskij, descrisse nel dicembre 1915 il sodalizio fra i due:

Kljuev ha completamente sottomesso il nostro Sergej: gli lega la cintura, gli accarezza i capelli, se lo mangia con gli occhi” 

Lo stesso si affretta però ad aggiungere che la sana virilità di Esenin fu tale che non è nemmeno concepibile che egli abbia reciprocato le attenzioni erotiche di Kljuev e degli altri omosessuali!
 In realtà la disinvoltura erotica di Esenin fu molto maggiore di quanto Cerniavskij pensasse. Non appena ebbe ottenuto dagli uomini quel “lancio” che desiderava, Esenin passò infatti senza esitazioni a costruirsi una fama più “regolare”, usando le donne nello stesso modo in cui fin lì aveva usato gli uomini. 
Esenin passò così attraverso tre matrimoni: le mogli avevano tutte nomi tali da garantire l’interessamento delle cronache mondane.

Dalla prima moglie, l’attrice Zinaida Raich, Esenin ebbe due figli, ma il matrimonio, avvenuto nel 1917, nel 1920 era già fallito, e si concluse con un divorzio.

La seconda moglie, la danzatrice americana lesbica Isadora Duncan (1878-1927) lo conobbe nel 1921. Nonostante i due non parlassero nessuna lingua comprensibile a entrambi, fu “amore a prima vista”: le nozze avvennero nel 1922.

Fu un’astuta mossa promozionale per entrambi.

La Duncan si garantì l’attenzione del pettegolezzo mondano esibendo per il mondo quel folcloristico pezzo di marcantonio di poeta russo scapigliato, mentre per Esenin essere “marito della grande Isadora Duncan”, idolatrata in tutto il mondo, non costituì certo uno svantaggio…

Tuttavia

molto si è discusso sull’amore di Esenin per Isadora, se amò lei o la sua fama. 
Forse però sarebbe meglio cogliere come naturalmente si integrino nel poeta la compiaciuta astuzia contadina, la filosofia da arrampicatore sociale e l’esibizionismo da gran parvenu
Comechessia il periodo estero del rapporto non solo distrusse la possibilità di vivere insieme, ma disintegrò durevolmente la vita di entrambi” 

In effetti già nel 1923 arrivò il divorzio dalla Duncan e il ritorno definitivo in Russia, dove però attendeva Esenin un periodo sempre più cupo (il poeta ebbe fra l’altro seri problemi di alcolismo e subì un internamento in clinica psichiatrica).Poco prima di morire Esenin fece un estremo sforzo di regolarizzare la propria vita, sposando il 18 settembre 1925 Sofija Andreevna Tolstaja, ma il tentativo fu vano. 

Eppure, nonostante le vicissitudini, la produzione poetica di Esenin si mantenne di alto livello fino all’ultimo.


Pur avendo, come tutti, i suoi limiti, Esenin fu indubbiamente una persona di gran fascino, capace di suscitare quelle passioni che lasciano per sempre un segno. Basti pensare a come, dopo tanti anni di separazione, alla notizia della sua morte Kljuev scrivesse una lunga poesia in cui vibra ancora l’amore d’un tempo:

 

Bambino mio carissimo, dolce disgraziato,
ogni difetto ha nascosto il coperchio della bara;
perdona me, uomo disonesto, che per troppa rozzezza
non ti ho pianto con un suono dorato di campane.
(…)
Oh, seppellirsi con te nella bara,
nella rena gialla, ma senza quel laccio al collo!…
Ma è vero o no, che lungo le strade della Russia
si può trovare un fiore più azzurro dei tuoi occhi?
Sconsolato, mi è rimasto solo un amaro assenzio:
vedovo sono rimasto, come un forno senza scopino” .

La fama del poeta-contadino, che era stato così celebre in vita, subì un’eclisse dopo la morte: Stalin mise addirittura al bando la sua opera e non c’è dubbio che se Esenin fosse vissuto più a lungo avrebbe condiviso il fato di Kljuev, che fu deportato in Siberia e vi morì nel 1937.Solo con la “destalinizzazione” la poesia di Esenin ha potuto circolare di nuovo anche in patria (“ovviamente” depurata da ogni allusione omosessuale) ed esservi riconosciuta come una delle più importanti della letteratura russa (e non solo) del Novecento.

Negli ultimi decenni l’opera di Esenin ha goduto nuovamente di un buon successo di pubblico: in Italia una sua poesia del 1920, la “Confessione d’un malandrino”, è addirittura diventata un best-seller popolare, nella traduzione di Renato Poggioli, come canzone musicata e cantata da Angelo Branduardi:

 

Mi piace spettinato a camminare
col capo sulle spalle come un lume
e così mi diverto a rischiarare
il vostro triste autunno senza piume” .

Insomma: anche da morto Esenin ha conservato il dono di piacere. Segno che il suo fascino andava ben al di là dei ricci biondi e degli occhi azzurrissimi che lo hanno fatto amare dagli uomini e dalle donne.

 

Per chi volesse approfondire la conoscenza di questo giovane poeta Russo, SERGÈJ ESÈNIN (1895-1925), pubblico qui, da WIKIPEDIA, un trattato di LEV TROTSKY ( 1879-1940), il famoso politico, rivoluzionario della Rivoluzione d’Ottobre, nato nell’Ucraina allora ancora Russa, sulla sua figura e personalità artistica:

 

“Abbiamo perso Esenin, un poeta così meraviglioso, così fresco, così vero. E in che modo tragico l’abbiamo perso! È andato via da solo, ha salutato col sangue l’amico indefinito, magari tutti noi. Questi suoi versi sono impressionanti per quanto riguarda la loro dolcezza e leggerezza! Ha abbandonato la vita senza un grido di rancore, senza una nota di protesta – non sbattendo la porta, ma accompagnando la chiusura con la mano, una porta dalla quale grondava sangue. In questo posto l’aspetto poetico e umano di Esenin è scoppiato in un’indimenticabile luce di addio. Esenin componeva scottanti canti ”di un teppista” e tradiva i versi nelle maliziose osterie di Mosca. Lui non di rado ha fatto uso del gesto violento, della parola aggressiva. Ma nonostante ciò rimaneva in lui la dolcezza particolare di un animo insoddisfatto, indifeso. Esenin si nascondeva dietro l’aggressività, si nascondeva ma non è riuscito a nascondersi. Non ce la faccio più, ha detto il poeta il 27 dicembre vinto dalla vita, ha detto senza gesta di sfida e senza rimproveri… Ci tocca parlare della sua insolenza perché Esenin non scriveva solo poesie ma mutava il suo modo di comporre a causa delle condizioni del nostro tempo non del tutto delicato e assolutamente rigido.

Si nascondeva dietro ad una maschera spavalda pagando questa sua scelta volontariamente con la corruzione dell’anima. Esenin si sentiva sempre estraneo. Non è per lodarlo, proprio a causa di questa estraneità abbiamo perso Esenin. Ma non è nemmeno per rimproverarlo: ha senso lanciare il rimprovero affinché raggiunga il più lirico dei poeti, che non siamo riusciti a proteggere per noi? Il nostro tempo è un tempo severo, magari uno dei più severi della storia dell’uomo cosiddetto civilizzato. E lui invece di essere un rivoluzionario, nato per vivere in questi decenni, era ossessionato da un severo patriottismo della sua epoca, della sua patria, del suo tempo. Esenin non era un rivoluzionario. Autore di Pugacev e de La Ballata dei ventisei era un poeta lirico. E la nostra epoca non è lirica. È questa la causa fondamentale per cui autonomamente e così presto, si è allontanato per sempre da noi e dalla sua epoca. Le radici di Esenin sono profondamente popolari e, come ogni sua cosa, la sua identità popolare era autentica. Di questo, senza dubbio, vi è testimonianza non in un poema che narra della rivoluzione, ma ancora una volta in una sua lirica:

”Silenziosamente nel bosco folto di ginepri vicino al dirupo

l’autunno, giumenta arancione, si gratta la criniera”

L’immagine dell’autunno e molte altre immagini lo hanno plasmato sin dall’inizio, come l’immotivata spavalderia. Ma il poeta ci ha posti di fronte alle radici cristiane della propria cultura e ci ha obbligati accoglierle dentro di noi. Fet non avrebbe detto così e nemmeno Tjutcev. Risultano forti in Esenin le radici cristiane, riflesse e modellate dal talento. Ma è nella fortezza della sua cultura cristiana che risiede la motivazione della debolezza personale di Esenin: dal passato lo hanno strappato con le radici, radici che nel presente non hanno attecchito. La città non lo ha rafforzato, ma lo ha fatto traballare e lo ha estraniato. Il viaggio all’estero, in Europa e oltre oceano, non lo ha raddrizzato. Lo ha accolto più calorosamente Teheran rispetto a New York. La sua lirica, proveniente da Riazan, ha trovato più popolarità in Persia che nei centri culturali europei e americani. Esenin non era né ostile alla rivoluzione né etraneo ad essa; anzì, tendeva sempre verso di lei, da un lato nel 1918:

”Mia madre – Patria, sono un bolscevico”

dall’altro lato, negli ultimi anni:

”Adesso nel paese dei Soviet,

sono il più impetuoso compagno di strada”

La rivoluzione ha fatto irruzione sia nella struttura della sua poesia sia nelle immagini, soprattutto per mezzo delle citazioni, successivamente con i sentimenti. Nella catastrofe del passato, Esenin non ha perso nulla e non ha rimpianto nulla della catastrofe. No, il poeta non era estraneo alla rivoluzione – lui e la rivoluzione non erano fatti della stessa pasta. Esenin era intimo, tenero, lirico – la rivoluzione è pubblica, epica, catastrofica. Per questo la breve vita del poeta si è troncata in maniera così catastrofica. Si dice che ognuno di noi porta dentro di sé la molla del proprio destino, ma la vita dispiega questa molla fino alla fine. In questo c’è solo una parte di verità. La molla dell’attività letteraria di Esenin, dispiegandosi, si è infranta sul limite dell’epoca, si è rotta. Esenin ha tante strofe preziose, colme di avvenimenti. Di questi è circondata tutta la sua attività letteraria. Allo stesso tempo Esenin è estraneo. Non è il poeta della rivoluzione.

”Sono pronto ad andare lungo il terreno già battuto,

darò tutta l’anima all’Ottobre e al Maggio

Ma solo la lira non darò alla cara ndr. rivoluzione”

La sua molla lirica avrebbe potuto dispiegarsi fino alla fine solo a condizione di avere una società armoniosa, felice, in cui non regna il conflitto ma l’amicizia, la tenerezza, la partecipazione. Questo periodo arriverà. Dopo il periodo attuale, in cui si nascondono ancora spietati e salvifici scontri uomo contro uomo, arriveranno altri tempi, gli stessi che si stanno preparando con gli scontri odierni. L’essere umano allora sboccerà del suo autentico colore. E assieme a lui, la lirica. La rivoluzione per la prima volta non solo riconquisterà il diritto al pane per ogni uomo, ma anche alla lirica. A chi stava scrivendo Esenin col sangue prima di morire? Magari ha interloquito con un amico che non è ancora nato, con un uomo del futuro che qualcuno sta preparando con il conflitto, Esenin con i canti. Il poeta è morto perché lui e la rivoluzione non erano fatti della stessa pasta. Ma, nel nome del futuro, lei lo adotterà per sempre. Esenin era teso verso la morte sin dai primi anni della sua attività letteraria, consapevole della propria fragile condizione interiore. […]

Solo adesso, dopo il 27 dicembre, magari tutti noi, conoscendo poco o non conoscendo affatto il poeta, possiamo apprezzare fino alla fine la sincerità intima della lirica eseniana in cui quasi ogni verso è scritto col sangue delle vene tagliate. Lì c’è una pungente amarezza data dalla perdita. Ma non uscendo dal proprio circolo personale, Esenin trovava un conforto malinconico e toccante nel presentimento della sua imminente scomparsa:

”E, l’ascolto del canto nel silenzio

L’amata mia in compagnia di un altro amato

Magari si ricorderà di me

Come di un ineguagliabile fiore”

E nella nostra coscienza la ferita dolorante e non ancora completamente rimarginata si consola al pensiero che questo meraviglioso e autentico poeta a modo suo ha raccontato la sua epoca e l’ha arricchita di canti, parlando d’amore in modo innovativo, del cielo azzurro, caduto nel fiume, della luna, che come un agnello pascola nel cielo, e dell’ineguagliabile fiore, di se stesso. Durante le sue celebrazioni non vi deve essere nulla di triste o decadente. La molla, posta nella nostra epoca, è smisuratamente più forte della molla personale posta in ognuno di noi. La spirale della storia si dispiegherà fino alla fine. Non bisogna opporsi ad essa ma aiutare i pensieri e le volontà con consapevoli sforzi. Stiamo preparando il futuro! Continueremo a conquistare per ciascuno il diritto al pane e il diritto al canto. È morto il poeta. Evviva la poesia! È caduto nel burrone un bambino indifeso. Evviva la vita ricca di attività artistica, in cui fino all’ultimo minuto Sergej Esenin ha intrecciato i fili preziosi della sua poesia.”