Di ciò che si riceve,
si sopravvive.
Ma si vive
di ciò che si dona.
Carl Gustav Jung
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
Di ciò che si riceve,
si sopravvive.
Ma si vive
di ciò che si dona.
Carl Gustav Jung
Dei Kinder Brioche e della Nutella
non siamo i pivelli,
della rosetta con la mortadella,
sì, noi eravamo quelli.
C’era un tempo in cui si aveva poco,
ma si era più felici,
perché si dava valore al gioco
da fare con gli amici.
Ora, non si ha niente da inventare,
lo fanno gli altri per te.
A te tocca soltanto comprare
senza sapere perché.
Tu ti senti un tubo digerente,
un vuoto da buttare?
non ti deve fregare un bel niente:
continua a lavorare.
Se, tuttavia, un lavoro non ce l’hai,
nessuna rimostranza,
con un reddito ti realizzerai,
ma di cittadinanza.
01 Febbraio 2022
Chiunque può simpatizzare
col dolore di un amico.
Ma solo un animo nobile
riesce a simpatizzare
col successo di un amico.
Oscar Wilde.
Preferisco
essere felice,
che dignitosa.
Charlotte Bronte.
Essere se stessi
in un mondo che cerca
continuamente di cambiarti,
è la più grande delle conquiste.
Ralph Waldo Emerson.
Ogni giorno, qualcosa di meno,
non qualcosa di più.
Sbarazzati di ciò che
non è essenziale.
Bruce Lee.
Non c’è una via per
raggiungere la felicità.
La felicità è la via.
Buddha.
Lascia andare,
o sarai trascinato
Proverbio ZEN
The best gifts
are the ones
we buy ourselves.
I migliori regali
sono quelli che
ci compriamo da noi stessi.
I grandi non temo,
gli umili non sdegno.
Niccolò Paganini.
Siddhartha Gautama BUDDHA (566 avanti Cristo – 488 avanti Cristo) monaco, filosofo, mistico e asceta indiano così diceva, due millenni e mezzo fa:
Non credere in qualcosa semplicemente perché l’hai sentito. Non credere in qualsiasi cosa semplicemente perché se ne parla da parte di molti. Non credere in qualsiasi cosa semplicemente perché si trova scritto nei tuoi libri religiosi. Non credere in qualsiasi cosa soltanto per l’autorità dei tuoi insegnanti e degli anziani. Non credere nelle tradizioni perché sono state tramandate per molte generazioni.
Ma, dopo l’osservazione e l’analisi, quando scopri che qualcosa è d’accordo con la ragione e favorisce il bene a beneficio di tutti, allora accettala e vivi su di essa.
BUDDHA.
N.d.R. : In tutti questi anni, non abbiamo ancora imparato né capito niente!
“La bellezza salverà il mondo”.
Afferma il Principe Miskin
ne “L’idiota” di Feodor Dostoevskij.
Ma la bellezza del mondo
non ha mai salvato gli uomini,
e non li salverà in futuro,
perché gli uomini non sono capaci
di salvare la bellezza del mondo.
R I F L E S S I O N I
L’altro giorno, una ragazza giovane mi ha chiesto:
“Cosa provi nell’essere vecchia?”
Mi ha sorpreso molto la domanda,
dato che non mi sono mai ritenuta vecchia.
La ragazza, vista la mia reazione,
immediatamente si è dispiaciuta, però
le ho spiegato che era una domanda interessante.
E poi ho riflettuto, ho pensato
che invecchiare è un regalo.
A volte mi sorprende la persona che vedo
nel mio specchio. Ma non mi preoccupo
di lei da molto tempo.
Io non cambierei nulla di quello che ho
per qualche ruga in meno e un ventre piatto.
Non mi rimprovero più perché
non mi piace riassettare il letto,
o perché non mangio alcune “cose”.
Mi sento finalmente nel mio diritto
di essere disordinata, stravagante
e trascorrere le mie ore contemplando i fiori.
Ho visto alcuni cari amici andarsene
da questo mondo, prima di aver goduto
della libertà che viene con l’invecchiare.
A chi interessa se scelgo di leggere
o giocare sul computer fino alle quattro
del mattino e poi dormire fino a chissà che ora?
A chi interessa se ballo da sola ascoltando
la musica anni 60? E se dopo voglio
piangere per un amore perduto?
E se cammino sulla spiaggia in costume da bagno,
portando a spasso il mio corpo paffuto
e mi tuffo fra le onde lasciandomi cullare,
nonostante gli sguardi di quelle
che indossano ancora il bikini:
saranno vecchie anche loro se avranno fortuna.
È vero che negli anni il mio cuore ha sofferto
per la perdita di una persona cara, ma
è la sofferenza che ci dà forza e ci fa crescere.
Un cuore che non si è rotto è sterile e non
saprà mai della felicità di essere imperfetto.
Sono orgogliosa di aver vissuto abbastanza
per far ingrigire i miei capelli e per conservare
il sorriso della mia giovinezza, di quando ancora
non c’erano solchi profondi sul mio viso.
Quindi, per rispondere alla domanda con sincerità,
posso dire che mi piace essere vecchia,
perché la vecchiaia mi rende più saggia, più libera!
So che non vivrò per sempre, ma mentre sono qui,
voglio vivere secondo le mie leggi, quelle del mio cuore.
Non voglio lamentarmi per ciò che non è stato,
né preoccuparmi di quello che sarà.
Nel tempo che rimane, semplicemente amerò
la vita come ho fatto fino ad oggi,
il resto lo lascio a Dio.
A N Z I A N I N E L 2 0 2 0
Liberamente ispirato da un articolo della scrittrice Lidia Ravera.
Cinquant’anni fa, ad ogni persona che aveva più di 65 anni, ne corrispondevano 4 con meno di 25 anni.
Oggi il rapporto è di uno a uno. Oggi noi, over 65, siamo numerosi come non siamo mai stati. Loro, gli under 25, non sono mai stati così pochi.
Da quando la pandemia ci ha costretti a pensare alla malattia, all’ospedalizzazione e alla morte, con la stessa frequenza con cui, una volta, si pensava ai viaggi, alle vacanze, a organizzare una memorabile serata di pizza e cinema, noi “anziani” ( metto le virgolette perché la parola non mi piace) viviamo un’esperienza inutilmente depressiva. Ci sentiamo superflui: “Se ci siete bene, se non ci siete più fa lo stesso”. Tanto, di vita ve ne rimane comunque poca. Tanto, siete in pensione. Tanto, non siete più né fertili né produttivi.
Ci hanno detto più volte, nel corso di questo sciagurato 2020, che non dovevamo uscire di casa, perché, se ci fossimo ammalati, avrebbero scelto di curare persone più giovani. Non dovevamo uscire di casa perché eravamo fragili, e i fragili è meglio se si levano dai piedi. È meglio se non intralciano la vita difficile dei forti. Ci hanno detto che il virus cavalca sui corpi robusti dei giovani, ma poi si scarica, come un fulmine, su quelli usurati dei vecchi. Ci hanno fatto sentire in pericolo, ma anche in scadenza, quasi fossimo una specie particolarissima di “persone – alimenti”, con la data di scadenza sulla confezione, oltre la quale vanno depositate nelle apposite discariche.
È stata dura mantenere quel minimo comune buonumore che ci permette di vivere. Ce l’abbiamo fatta? Lo chiedo a voi. Ce l’avete fatta?
Adesso, dopo mesi di conteggio dei morti e dei contagi, dopo che ho passato – come tutti – quasi un anno a considerare gli altri esseri umani come portatori di rischio da tenere a distanza, come si fa a progettare la piccola felicità di un incontro? Come ci si può nutrire la vita con il nettare della curiosità?
A R T U R O O V V E R O L’ E L O G I O D E L L A P E N S I O N E.
Gastone è una commedia musicale teatrale di Ettore Petrolini, rappresentata per la prima volta nel 1924 al teatro Arena del Sole di Bologna. Si tratta di una satira, ironica ed amara, della società dello spettacolo degli anni venti, e dei personaggi meschini, avidi, invidiosi e gretti che vi fanno parte. Esemplare rappresentante di questo mondo di presunti artisti è il protagonista, appunto Gastone, istrionico e carismatico attore di varietà di infima categoria, dalla affabulante parlantina romanesca, squattrinato, demodè, dedito a mille vizi, corteggiatore di tutte le soubrette e ballerine, dai modi esagerati e teatrali ma fondamentalmente malinconico e solo.
Il personaggio di Gastone trae origine da una delle numerose macchiette create, negli anni ’10, dalla fantasia surreale, crepuscolare e demenziale di Ettore Petrolini : Il bell’Arturo, parodia del giovane affettato, svenevole e un po’ stolido.
Il personaggio di Gastone è divenuto uno stereotipo comico, per il suo atteggiamento istrionico e per la sua presenza scenica caricaturale, ed è stato portato sul palcoscenico e sul grande schermo da alcuni grandi attori romani: al cinema, ne fu interprete Alberto Sordi nel film di Mario Bonnard nel 1960; a teatro ne hanno invece vestito i panni interpreti come Fiorenzo Fiorentini, Mario Scaccia e, il più bravo di tutti, Gigi Proietti.
Ricordandomi di questo, ho attinto l’ispirazione per adottare ed adattare l’aria musicale di “Gastone le beau”, modificandone il testo, poiché l’ho trovata, fra tante, particolarmente adeguata allo scopo.
Sicuramente alcuni di voi la ricorderanno, ma, siccome non a tutti può essere presente, ne farò una breve rievocazione.
Gastone/Petrolini si presenta sulla scena vestito con il frac, scarpe nere di vernice, camicia, sparato, panciotto, papillon tutto in bianco. In testa ha il tubo a cilindro, nella mano destra ha calzato un guanto, color bianco latte, a cui è attaccato, a penzolone, il guanto sinistro e impugna un bastone da passeggio di faggio laccato nero con pomello in finto avorio. Fra le dita della mano sinistra, tiene una sigaretta appena accesa, da cui aspira, con ricercata voluttà, una profonda boccata di fumo, che trattiene nella bocca aperta, per poi lasciarla fuoruscire molto lentamente.
Così, cattura su di sé l’attenzione generale del pubblico.
La canzonetta, è presentata e seguita da un breve parlato, che non va assolutamente trascurato perché parte integrante del testo. Ne esistono varie versioni, ognuna leggermente diversa dalle altre, perché Petrolini un po’ improvvisava dal vivo. Io ne ho fatto una sintesi, cercando di coglierne le sfumature più “saporite”.
Gastone, è la satira efferrata (efferata) del bell’artista cinematografico, fotogenico al cento per cento, pallido di cipria e di vizio, numero di centro del “varietè”, “danseur”, “diseur”, frequentatore dei “Bal – tabarins”, conquistatore di donne a getto continuo, il tre ore di buonumore, il ridere, ridere, ridere. Autore, interpetre (interprete) del suo repertorio, creatore. Creare significa mettere al mondo qualcosa che prima non c’era. Gastone, uomo incredibilmente stanco di tutto, affranto, compunto, vuoto, senza orrore di se stesso, uomo che emana fascino, uomo rovinato dalla guerra.
Gastone,
sei del cinema il padrone,,
Gastone, Gastone,
Gastone,
ho le donne a profusione,
e ne faccio collezione,
Gastone, Gastone.
Sono sempre ricercato
per le filme più bislacche,
perché sono ben calzato,
perché porto bene il fracche,
con la riga al pantalone,
Gastone, Gastone.
Tante,
mi ripeton “Sei elegante!”.
Bello,
non ho niente nel cervello!
Raro,
io mi faccio pagar caro,
specialmente alla pensione,
Gastone, Gastone. ( N.B. Non sono riportate le tre strofe della seconda parte )
(Gastone/Petrolini attraversa il proscenio con un passo di danza, che accompagna il “refrain” della canzone).
Questa camminata l’ho inventata io.
(Mostra il guanto bianco a penzolone, attaccato all’altro, che è calzato).
Anche questa è una cosuccia mia.
È una cosuccia senza pretensioni (pretese), ma è mia. Non l’ho fatta neanche registrare. È di pubblico dominio. Altri (qualcun altro) avrebbe precisato: “Made in Gastone”. È una mia trovata e me la scimmiottano tutti i comiciattoli del varietà.
I miei guanti bianco latte, elegantissimi: guardateli!
Però, il guanto bianco latte è pericoloso….Una volta, sorbendo una tazza di latte, distrattamente, …..mi son bevuto un guanto.
Ma io non ci tengo, né ci tesi mai.
Quante invenzioni ho fatto io! Discendo da una schiatta di inventori, di creatori.
Mia sorella, si chiama Lina, è una creatrice: tutti lo sanno, la chiamano …..Creolina.
Mio padre ha inventato la macchina per tagliare il burro: una cosuccia da nulla, un pezzettino di legno ricurvo e, teso e legato alle estremità, un fil di ferro . Et voilà.
Mia madre, anche lei era una grande inventrice, innanzitutto ha inventato me. Mia madre studiava economia, aveva il senso del calcolo e del risparmio sviluppato fino alla genialità.
Figuratevi, io mi chiamo Gastone, lei mi chiamava Tone,….Tone, per risparmiare il Gas.
Infatti, il mio diminutivo è Tone….tutti mi chiamano Tone….quante donne si contenterebbero di mangiare pan e… Tone.
Ma io non ci tengo, né ci tesi mai.
A me mi ha rovinato la guerra. Se non era per la guerra, a quest’ora stavo a Londra. I londrini (londinesi), per me, vanno pazzi.
Dovevo andare a Londra come musicista: dovevo musicare l’orario delle Ferrovie.
Ma io non ci tengo, né ci tesi mai.
Io sono molto ricercato: ricercato nel parlare, ricercato nel vestire, ricercato dalla Questura.
Io sono molto ricercato, anche perché porto molto bene il fracche: ovunque io vado, porto quell’onda di signorilità che manca agli altri comici del varietà.
Io sono nato con il fracche. Anzi, quando sono nato, mia madre mica mi ha messo le fasce, macché! Un fracchettino. Camminavo per casa che sembravo una cornacchia (o un pinguino).
Ma io non ci tengo, né ci tesi mai.
E poi, sono il cantante aristocratico, sono grande nella dizione, sono il “fine dicitore”.
Adesso vi faccio sentire tutto il succo del mio ingegno, con un saggio della mia dizione.
Io sono, come vi ho detto, il “fine dicitore” e tutto ciò che dico è veramente profondo.
Io non ci tengo, né ci tesi mai, però fate attenzione a questo mio soliloquio così denso di pensiero.
Non fermatevi alla superficie, ascoltate bene quello che c’è dentro, quello che c’è sotto. È il mio motto: “Sempre più dentro, sempre più sotto”.
Se l’ipotiposi del sentimento personale, prostergando i prolegomeni della subcoscienza, fosse capace di reintegrare il proprio subiettivismo alla genesi delle concomitanze, allora io rappresenterei l’autofrasi della sintomatica contemporanea, che non sarebbe altro che la trasmificazione esopolomaniaca.
Che ve ne pare? Che bel talento eh?
Ma io non ci tengo, né ci tesi mai!
Questa è la parodia di Petrolini.
E quella che segue è la parodia della parodia, di Alberto per il suo amico Arturo, dal titolo:
A R T U R O O V V E R O L’ E L O G I O D E L L A P E N S I O N E.
Arturo,
ti sorriderà il futuro,
Arturo, Arturo,
Arturo,
sì, nel tempo tuo venturo,
sarà tutto meno duro,
Arturo, Arturo.
Senza andare al lavoro,
non avrai molto da fare
e, senza alcun deploro,
farai quello che ti pare :
sarà l’ ozio di Epicuro,
Arturo, Arturo.
Tanti
I momenti rilassanti,
bello
riposare il cervello.
Raro?
Per te non sarà avaro
Il tuo tempo, di sicuro,
Arturo, Arturo.
Arturo,
oramai tu sei maturo,
Arturo,Arturo,
Arturo
fai con calma, ti scongiuro,
mai a ritmo di tamburo,
Arturo, Arturo.
Se qualcuno ti ha cercato,
tu farai l’indifferente,
sarai troppo occupato
a non fare quasi niente:
il riposo è duraturo,
Arturo, Arturo.
Si dice
che ti senti già felice,
la flemma
ti risolverà il dilemma.
Domattina,
ti farai una dormitina
e dirai “non me ne curo”,
Arturo, Arturo.
Caro Arturo,
il tempo della pensione è tutto ciò che ti resta della tua vita. Utilizzalo nel modo migliore, affinché diventi il periodo più bello. Non dipende dagli altri. Finalmente, dipenderà solo da te.
Auguri!
Alberto. Con gli amici del Tennis Club Martignacco.
Martignacco, 22 Ottobre 2020.