…. ognuno col suo mondo,
ognuno diverso,
ognuno, in fondo, perso
dentro i fatti suoi….
Vasco Rossi Vita spericolata 1983.
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
…. ognuno col suo mondo,
ognuno diverso,
ognuno, in fondo, perso
dentro i fatti suoi….
Vasco Rossi Vita spericolata 1983.
12 Ottobre 2020 Da IL FATTO QUOTIDIANO
Marco Marzano
E’ lo schema usato in altre circostanze storiche per descrivere il rapporto tra i sovrani e la loro corte, tra i dittatori e il loro seguito. “Il re e è puro e ama il suo popolo – questo è l’adagio – ma i perfidi cortigiani tramano alle sue spalle e approfittano della sua immensa bontà per compiere il male”. Oppure “il duce è onesto, sono i suoi collaboratori ad essere corrotti”. E’ questo anche lo schema adoperato all’inizio di Tangentopoli da quei leader politici che cercavano disperatamente di scaricare tutte le responsabilità degli affari illeciti dei loro partiti sui “mariuoli”, sui segretari amministrativi, su chi gestiva i cordoni della borsa.
In questo scenario, la curia romana viene descritta come una sorta di associazione di liberi professionisti indipendenti, in cui ciascuno fa un po’ quel che gli pare mentre il capo pensa solo a pregare e a celebrare messa. Quando si concludono affari di centinaia di milioni di euro quest’ultimo non viene nemmeno consultato.
Ho il sospetto che la realtà sia un po’ diversa. La Chiesa Cattolica è la più centralizzata e gerarchica delle istituzioni esistenti. Il monarca che la guida è dotato di poteri immensi e assoluti e la curia è il principale apparato organizzativo al suo diretto servizio.
Se così stanno le cose, i casi sono due: o Bergoglio si trova nella stessa posizione che fu di Ratzinger e ha perso completamente il controllo della situazione e allora siamo di fronte ad un vuoto di potere che immaginiamo sarà colmato al più presto (casomai grazie a un gesto di responsabilità, un autopensionamento del monarca) oppure il papa regna e governa a tutti gli effetti e allora qualche responsabilità l’avrà anche lui nelle vicende di cui sopra.
Quel che in ogni caso sarebbe bello sentirgli dire è che, per risolvere il problema alla radice, andrebbe direttamente soppressa la curia romana, che la struttura di governo accentrata e autoritaria ereditata dall’impero romano non funziona più, che non ha senso che un’organizzazione religiosa amministri una tale quantità di denaro e che lo investa cercandone di fare profitti, che è venuto il momento per delegare poteri, risorse e responsabilità alle periferie, facendo seguire una volta tanto alle parole i fatti. Sarebbe bello. Ma temiamo di dover aspettare ancora qualche secolo.
Le religioni sono come le lucciole,
per risplendere hanno bisogno delle tenebre.
Arthur Schopenhauer.
Domenica, 11 Ottobre 2020,
In un telegiornale ascolto, esterrefatto, queste parole di Papa Francesco, pronunciate durante la “predica” domenicale, dal balcone su Piazza San Pietro:
“….. il clericalismo deturpa il volto della Chiesa….”.
IPSE DIXIT….se lo dice lui…..
Se pensi che una cosa è impossibile,
la rendi impossibile.
Dal film Gli uomini d’oro.
Rispondo all’amico Efrem pubblicando il suo contributo, prezioso e condiviso, a commento del Numero2067.
Ritenere che la morte
sia la fine della vita
è come credere che
l’orizzonte sia la fine del mare.
…. e commento, a mia volta: perfetta sintonia di pensiero.
Grazie e a presto sul campo da tennis.
Pensare che c’è sempre
qualcosa da aggiungere
e, spesso, …..da togliere.
Giorgio Armani.
La lingua italiana cambia, cangia,
sì, è cangiante, è mutante:
cangia ‘e mutande.
Enrico Brignano Dialetti italiani.
Pubblicato il 19 Giugno 2012 da Antonio Santantoni.
Affronto con qualche trepidazione questo ultimo appuntamento con Fabrizio de André, il quale si prefigge, ora, un compito ambizioso: salire sul Sinai, per riscrivere nientemeno, che le Tavole della Legge di Mosè, umanizzandone alcune voci, abrogandone altre.
Quando ho pensato alle bestemmie devote come titolo di questa piccola serie di articoli, avevo in mente primariamente proprio le parole di questo ultimo canto: un vero manifesto della laicità: dell’uomo che non ha più bisogno di Dio, anzi dell’uomo che per affermare veramente sé stesso e la propria umanità, ha bisogno di sostituirsi a Dio. Non più la tentazione dell’Eden «sarete come Dio», ma proprio: «prenderete il posto di Dio», sostituendovi a lui.
De André come nuovo Mosè, che riscrive la Legge, ma non più sulla pietra, ma sulle corde d’una chitarra: come non pensare al profeta Ezechiele: «toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne» (Ez 11,19)?
Intanto il titolo: Il Testamento di Tito.
Chi è il Tito della canzone? È Il buon ladrone secondo un vangelo apocrifo di origine araba. Dunque non il ladrone blasfemo: quello era l’altro: Disma, secondo la stessa fonte.
Tito è quello che chiese a Gesù «ricordati di me quando sarai nel tuo regno»: e per queste poche parole meritò di sentirsi dire «oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43).
Ma qui il buon ladrone cambia decisamente pelle. E si trasforma in un severo accusatore di Dio: seguirò passo passo le sue accuse e le sue proposte per una revisione del testo della Legge:
Perché poi, sembra domandarsi De André: che differenza farebbe? Ne ho conosciuti tanti che adorano un Dio con un nome diverso dal tuo. Non mi hanno fatto alcun male. Venivano dall’Est: forse mussulmani? Loro lo chiamano Allah, ma non mi hanno fatto niente di male. Perché non dovremmo lasciare che ognuno adori il suo Dio? Se non ci fanno del male! Forse non son tanto gli dei a essere malvagi, quanto…Lasciamo stare!
Qui De André non si accontenta di dire che pregare è inutile, ma carica la sua critica di un’ironia che arriva al sarcasmo. Anzi, ha detto: ma forse era distratto, forse un po’ addormentato… Comunque il risultato non sarebbe cambiato: davvero lo nominai invano. Come dire: date retta a me: non perdeteci tempo!
Qui il gioco comincia a farsi duro davvero. Io non so se Fabrizio racconti qui qualcosa che è accaduto a lui, o a un suo amico, o se parli così solo perché sa che questo può accadere, anche molto più spesso di quanto non si pensi. Tuttavia l’attacco è diretto: quel padre e/o quella madre che rompono il naso al figlioletto che gli chiedeva un boccone, fanno tanto pensare a un padre o/e a una madre-padrona (si noti che il testo dice del loro non del suo bastone, come dire che bastonare dove essere uno sport bisex in quella casa. Chissà se il genovese De André, che ha molto amato e praticato la Sardegna di Gavino Ledda (l’autore di Padre padrone), stava pensando a lui e alla sua storia, mentre scriveva quei versi? E come non pensare qui alle parole di Gesù, in tanto netto contrasto con tutto quanto precede: «Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del _pesce una serpe? (Lc 11,11).
Confesso qualche mia difficoltà nel fare un’esegesi di questo testo non chiarissimo. Dal momento che chi parla, Tito, è per l’appunto uno dei due ladroni, non sarebbe improprio pensare che stia parlando di sé stesso. Ma il testo si svuoterebbe di senso. Più congruo forse, dato lo spirito dell’intero brano, pensare che qui Tito, o meglio De André, stia alludendo a qualcun altro, forse ai sacerdoti che del tempio vivono e con il Tempio si ingrassano. A meno che non sia da vederci anche qui una greve ironia: per noi ladroni, era in realtà una pacchia entrare nei templi che rigurgitano salmi che tutti insieme, schiavi e padroni, tutti ugualmente abbindolati e contenti, elevano al Dio onnipotente, intanto che i sacerdoti se la ridono. In questa bolgia dove si vende e si compra di tutto, noi ladroni andavamo a nozze: senza rischiare né la vita né il taglio della mano.
Altra botta durissima per la gente del Tempio. Non c’è che dire, il grande cantautore sa picchiare duro. Su questo punto lui potrebbe anche dichiararsi pulito…forse… senza colpa; o almeno si sente di poter dire d’aver pescato sempre là dove sono solo pesci grandi. Allusione forse ai suoi ingenti guadagni, tutti perfettamente legali, certo, ma altrettanto certamente lontani da ciò che vorrebbe l’etica cristiana delle origini, secondo cui è già una cosa deplorevole guadagnare in due o tre sere più di quanto un normale dipendente ha visto entrare in tasca sua in un’intera vita di sacrifici e di fatica.
Ma la botta grossa arriva solo adesso e si abbatte ancora una volta, manco a dirlo, sugli uomini del Tempio, sulla casta dei sacerdoti e degli addetti all’altare. Perché egli tiene a far presente che lui, se anche avesse in qualche modo sbagliato, lo avrebbe fatto a suo rischio e pericolo (a nome mio): quest’altri, la gente del Tempio, lo fanno sempre facendosi belli del nome di Dio.
Qui l’Autore ce l’ha con un’idea fissa della morale sessuale della Chiesa: quella secondo cui ogni abbraccio coniugale debba portare o, almeno tendere, o almeno deve essere aperto alla concezione di una nuova vita. Niente barriere artificiose alla vita. Devi lasciare alla vita di poter fare tutta la sua strada: solo così rispetterai il precetto divino (sarai uomo di fede). Ma tu ne hai “la voglia” e le tue difese traballano? Se ti fidi di questa legge sei incastrato: si la voglia ti passa, ma il figlio rimane; e te lo dovrai “sorbettare”. con tutto quello che ne consegue per te. Qui il poeta-cantante non si è fatto incastrare:e non ha rimpianti di sorta: non ha perso l’occasione (ogni lasciata è persa!) e «non ho creato dolore» (com’era suo dovere).
Qui torna un’idea che abbiamo già incontrato, nel canto delle Tre Madri, ma qui è molto più dura, c’è quasi disprezzo: «Guardatela oggi, questa legge di Dio / tre volte inchiodata sul legno»!!! «Guardate la fine di quel nazzareno». Non aveva ammazzato nessuno: perché il Padre non lo tira giù dalla croce? E gli altri due non sono anche loro figli di mamma? La carne di un ladro non muore e non soffre meno della carne e delle ossa di un martire.
Qui De André deve ricordarsi delle sue ascendenze anarcoidi, e si dichiara contrario a ogni giudizio ideologico e forse non solo. Accusalo, denuncialo, testimonia in tribunale contro il ribelle, il terrorista: non meritano né perdono né omertà! Ma lui, De André non ci sta: piuttosto che dare una mano alla repressione «ho spergiurato su Dio e sul mio onore». No, non me ne pento.
Ancora una botta da anarchico sul desiderare una donna o la roba degli altri: due precetti, dice De André che vanno bene solo per “i pochi” che hanno “una donna e qualcosa”. Che senso avrebbe ricordarlo a chi non ha niente? Chi ha fame mangia dove trova. E poca importa se il letto dove mi aspetta una donna è ancora caldo di chi mi ha preceduto: a me va bene lo stesso. Quanto al dolore che potrei procurare: non lo sentirò io.
E al termine della mia giornata e della mia vita, credo d’aver imparato che la vita è tutta una violenza. Calando, la notte mi regala un po’ di pace e di oblìo. Potrò ancora illudermi. Il sole va a portare la guerra altrove e io posso concentrare la mia attenzione su chi sta morendo accanto a me. Anche se non so chi sia, anche se la sua carne non duole a me, madre, io provo dolore; anzi, verso di lui provo solo pietà e nessun rancore. Che sia proprio questo l’amore? Che la Pietà sia l’altro nome dell’Amore? Sarebbe facile.
«Madre, ho imparato l’amore!». Così, tutto si risolve in questo grido di vittoria.
PS. Ma chi sarà questa madre ? Forse non conosco abbastanza la poetica e la vita di Fabrizio de André, così non so sciogliere questo enigma. Io però, faccio ugualmente mio questo grido di vittoria. Io so a Chi pensare. E a me basta.
Il quinto (comandamento) dice non devi rubare
e forse io l’ho rispettato
vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato:
ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio.
Fabrizio De André I dieci comandamenti. (Il testamento di Tito).
Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l’ami
così sarai uomo di fede.
Poi la voglia svanisce e il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l’amore:
ma non ho creato dolore.
Fabrizio De André I dieci comandamenti. (Il testamento di Tito).
He who buys
what he doesn’t need,
steals from himself.
Proverbio svedese.
Chi compra
ciò che non gli serve,
ruba a se stesso.
Mandata da Alexis.
Se conosci uno schiavo
felice della sua condizione di schiavo,
non perdere tempo a liberarlo!
Passerebbe il resto della vita
alla ricerca di un altro padrone.
Lenin (Vladimir Ilijc Ulianov)
F R I E D R I C H N I E T Z S C H E.
Nelle parole di un altro scrittore filosofo, Marcello Veneziani.
Quando morì, il 25 agosto del 1900, Friedrich Nietzsche era già morto da una decina d’anni. La sua mente aveva cessato di pensare, sragionava, era entrata nella sacra oscurità della follia. Ma la sua morte, all’esordio del Novecento, gli spalancò il secolo in cui fu il più influente pensatore, non solo e non tanto nelle ideologie e nei rivolgimenti storici, ma nella svolta antropologica e nell’affiorare delle pulsioni latenti dell’umanità. Perché Nietzsche non è stato solo un filosofo, da capire e da studiare, ma è stato soprattutto una guida per trasformare se stessi e il mondo, più di Marx e Freud.
Nietzsche fu prima considerato poeta del pensiero, letterato aristocratico, amato da altri letterati, come da noi D’Annunzio. Poi fu scoperto in chiave politica, e tra i primi vi fu il giovane socialista Mussolini. Che nel nome di Nietzsche viaggiò dal socialismo alla nascita del fascismo. Poi fu eletto, con la complicità della sorella e di suo cognato, padre putativo del nazismo. Dopo la guerra, Nietzsche riapparve nel pensiero occidentale come tentazione irrazionale, pura dinamite; fino a diventare lo scopritore delle energie vitali della terra e dell’uomo, la vita che primeggia sulla ragione, l’impulso estetico e biologico che domina sulla ratio scientifica e filosofica, l’infanzia e il gioco che prendono il sopravvento sulla maturità e il calcolo. Per lui si può coniare una nuova definizione: non filosofo ma biosofo, scopritore delle sorgenti sanguigne della vita. Nel nostro tempo nasce il superuomo di massa e sfiora il delirio estetico e dionisiaco, tra sesso, fumo e trasgressione. È lui il cattivo maestro, il deicida per eccellenza, il filosofo della Morte di Dio e dell’avvento del nichilismo. Eccolo il distruttore di tutti i valori nel nome della superba energia della vita e dell’arte, scatenata dal pericolo.
Ma non si può attribuire a quell’asceta gentile il catalogo degli errori e degli orrori del nostro tempo, dal Novecento ai giorni nostri. Nietzsche ha acceso gli animi, turbato le menti, reso intrepidi i cuori. Ma conservando l’innocenza tragica e giocosa del suo pensare. E come le fontane di cui aveva scritto non possono impedire di essere sporcate dai passanti così accadde al suo pensiero; ma grazie alla sua fluente profondità “poi torneremo di nuovo limpidi”.
Lui stesso disse che “mi si comincerà a comprendere nel Novecento ma mi si comprenderà appieno solo a partire dal terzo millennio”. Siamo ai primi passi.
Il suo pensiero va oltre la storia e i suoi scenari, la sua stessa idea di Grande Politica mira a oltrepassare la storia e l’umanità del suo tempo. Nietzsche poi non uccide Dio ma descrive la morte del cristianesimo nella nostra epoca. Anche del nichilismo Nietzsche è sismografo e profeta; non lo invoca, lo vede e lo prevede.
Benedetto XVI indicò in Nietzsche il profeta dell’ateismo e del nichilismo, del rifiuto superbo dell’umiltà e dell’obbedienza; ma il Papa poi disse che sono più vicini a Dio i non credenti irrequieti, piuttosto che i credenti di routine. In questa luce, Nietzsche sarebbe più vicino a Dio rispetto ai farisei e ai credenti spenti che seguono la fede per forza d’inerzia. E fu questa, del resto, l’idea di pensatori cristiani come Max Scheler e Gustave Thibon, ma anche Sciacca e Del Noce che non videro Nietzsche nella luce sinistra dell’Anticristo.
Quanto al superuomo di massa della nostra epoca, vaghi sono i legami tra Zarathustra e Superman, tra Dioniso e Vasco Rossi o Jim Morrison, tra il filosofo dell’Amor fati ( Amor fati è una locuzione latina che si traduce con “l’amore del fato”: una concezione del destino trattata dallo stoicismo che riprendeva l’antica visione della circolarità della storia ).o l’asceta dell’Eterno Ritorno e i Rambo, i Palestrati, i Tycoon della finanza e dell’industria, o alcuni feroci satanisti della cronaca nera. E scarsi sono i legami tra il suo superuomo e il transumanesimo. (Il transumanesimo, o transumanismo, a volte abbreviato con >H o H+ o H-plus, è un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l’invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana).
La volontà di predominio esaltata da Nietzsche non basta a spiegare la natura umana, accanto ad essa vibrano altre volontà, anche opposte: per esempio, la volontà di annientarsi, che poi Freud chiamerà istinto di morte, pulsione suicida; la volontà di trascendersi in una dimensione superiore ed impersonale; la volontà di amare e perfino di annullarsi nell’amare; e sotto tutte, la più umile e primaria volontà di vivere, che aveva descritto Schopenhauer precursore della biosofia nietzschiana. Nietzsche è un moralista, dice il mio amico e suo traduttore Sossio Giametta.
Nietzsche è stato a lungo inchiodato a una citazione, “Non esistono fatti ma interpretazioni” che sarebbe il riassunto cinico di un’epoca che nega la verità, la realtà, e insieme nega le regole, per affidarsi solo all’arbitraria soggettività. In realtà, Nietzsche in quel passo polemizzava col positivismo del suo tempo e il feticismo dei fatti; intendeva negare che i fatti isolati dal contesto, dalle cause e dai soggetti che li vivono, potessero da soli spiegare la realtà. Perfino San Tommaso, maestro di metafisica e realismo, dice che la verità è il combaciare di intelletto e realtà, non basta la sola fisica dei fatti a spiegare la vita e il mondo.
Se dunque non è il superuomo, o meglio l’oltreuomo, come dice Vattimo, se non è l’Anticristo, qual è allora la chiave nefasta del nietzscheanesimo? È la volontà di potenza, ma quel delirio di dominio è proprio quel che più unisce Nietzsche alla parabola occidentale, dal predominio al nichilismo fino alla società globale dell’ultimo uomo. Nella Volontà di Potenza Nietzsche non è originale ma diventa l’altoparlante dell’hybris moderna. (Hybris : presso gli antichi Greci, l’orgogliosa tracotanza che porta l’uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l’ordine costituito, sia divino che umano, immancabilmente seguita dalla vendetta o punizione divina ( tísis ): concetto di fondamentale importanza in alcuni scrittori greci, specialmente in Eschilo. Hybris (ˈhyːbris, in greco antico: ὕβϱις, hýbris) è un topos (tema ricorrente) della tragedia e della letteratura greca, presente anche nella Poetica di Aristotele. Significa letteralmente “tracotanza”, “eccesso”, “superbia”, “orgoglio”).
Nietzsche non invoca la distruzione dei valori ma la loro trasvalutazione e aggiunge un’osservazione decisiva: in mancanza di valori tocca a noi essere valorosi, cioè caricarci sulle nostre spalle tutto il peso della perdita di valori. Titanismo tragico per un soggetto destinato a tramontare. Alla fine non è la storia ad accogliere la sua visione ma la natura, il ritmo del cosmo, l’eterno ritorno dell’universo. L’innocenza tragica e giocosa di Nietzsche, biosofo.
MV, La Verità
. . . . M A N O N È T E N N I S
Quando, all’esame di una
qualunque materia giuridica,
non conoscete la risposta,
evitate di rispondere
secondo “buon senso”:
sarebbe, sicuramente,
una risposta sbagliata.
Perché il rovescio del diritto
è proprio il “buonsenso”.
Prof. Francesco Galgano.