Numero3346.

 

da  QUORA

 

Scrive Gaetano Antonio Riotto, corrispondente di QUORA

 

U N A    S T O R I A    D I    O G G I

 

Una maestra stava correggendo i compiti dei suoi studenti.

Nel frattempo, suo marito passeggiava per casa con lo smartphone in mano, immerso nel suo gioco preferito.

Quando arrivò all’ultimo compito da correggere, la maestra iniziò a piangere in silenzio.

Il marito, vedendola, le chiese:

— Cosa è successo?

La moglie rispose:

— Ieri ho dato come compito ai miei studenti di scrivere qualcosa sul tema “IL MIO DESIDERIO”.

Il marito disse:

— Va bene, ma perché piangi?

La moglie, trattenendo le lacrime, rispose:

— Correggendo l’ultimo compito, non sono riuscita a trattenere il pianto.

Il marito, incuriosito, chiese:

— Cosa c’era scritto di così commovente?

La moglie cominciò a leggere:

Il mio desiderio è diventare uno smartphone.

I miei genitori amano molto il loro smartphone.

Si prendono cura del loro smartphone al punto che a volte si dimenticano di prendersi cura di me.

Quando mio padre torna stanco dal lavoro, ha tempo per il suo smartphone, ma non per me.

Quando i miei genitori stanno facendo qualcosa di importante e lo smartphone squilla, al primo squillo rispondono subito, ma non fanno altrettanto con me…

anche se sto piangendo.

Giocano con il loro smartphone, ma non con me.

Quando parlano con qualcuno al telefono, non mi ascoltano, anche se sto dicendo qualcosa di importante.

Quindi, il mio desiderio è diventare uno smartphone.

Dopo aver ascoltato quelle parole, il marito si commosse e chiese alla moglie:

— Chi ha scritto questo tema?

La moglie, con gli occhi lucidi, rispose:

— NOSTRO FIGLIO.

 

GENITORI, ricordate:

I dispositivi elettronici sono utili, ma sono pensati per facilitarci la vita, non per sostituire l’amore verso la famiglia e le persone care.

I bambini vedono e sentono tutto ciò che accade intorno a loro.

Le esperienze si imprimono nella loro mente lasciando segni che durano per tutta la vita.

Prendiamocene cura, affinché crescano con i valori giusti e senza falsi bisogni.

Numero3345.

 

da  QUORA

 

Scrive Gaetano Antonio Riotto, corrispondente di QUORA.

 

FRIEDRICH  NIETZSCHE  E  L’ EPISODIO  DEL  CAVALLO

 

Friedrich Nietzsche fu protagonista di una delle scene più toccanti nella storia del pensiero occidentale.

Era il 1889 e il filosofo viveva in una casa di via Carlo Alberto, a Torino. Una mattina, mentre si dirigeva verso il centro della città, si trovò improvvisamente di fronte a un evento che avrebbe segnato per sempre la sua esistenza.

Vide un cocchiere che frustava con violenza il suo cavallo, perché l’animale, esausto, si rifiutava di avanzare. Il cavallo, ormai allo stremo delle forze, si accasciò a terra, ma il suo padrone continuò a colpirlo senza pietà per costringerlo a rialzarsi. Nietzsche, sconvolto dalla crudeltà della scena, si avvicinò rapidamente, rimproverò il cocchiere e poi, con un gesto disperato, abbracciò il cavallo caduto a terra.

Scoppiò in lacrime e, stringendo il collo dell’animale, gridò “Madre, Madre!”. Pochi istanti dopo perse i sensi.
Fu il collasso definitivo della sua mente.

Da quel giorno, Nietzsche smise di parlare per il resto della sua vita.
Per dieci anni, fino alla sua morte, non riuscì mai più a tornare a una condizione di lucidità.
La polizia, accorsa sul posto, lo arrestò per disturbo dell’ordine pubblico e poco dopo fu internato in un manicomio, da cui non uscì mai più.

Per la società dell’epoca, il gesto di Nietzsche – abbracciare il cavallo e piangere su di lui – fu visto come una prova della sua follia. Tuttavia, mentre alcuni lo considerarono una semplice manifestazione di irrazionalità dovuta alla sua malattia mentale, altri vi lessero un significato più profondo e consapevole.

Lo scrittore Milan Kundera, nel romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, riprende questa scena e la interpreta come una richiesta di perdono. Secondo Kundera, Nietzsche avrebbe sussurrato al cavallo una richiesta di scusa, a nome di tutta l’umanità, per la brutalità con cui l’uomo tratta gli altri esseri viventi. Un atto di pentimento per averli ridotti a nemici e servi.

Nietzsche non era mai stato un attivista per i diritti degli animali, eppure quel gesto di empatia assoluta segnò il punto di non ritorno nella sua vita. Quel cavallo fu l’ultimo essere con cui stabilì un contatto reale e affettivo. Non si identificò solo con l’animale, ma con il suo dolore, trovando in esso qualcosa che andava oltre la semplice compassione: una connessione profonda con la vita stessa.

Numero3344.

 

da  QUORA

 

Scrive Jason Deglianelli, corrispondente di QUORA.

 

R I C C H I    E    P O V E R I

 

“Non sono povero, sono sobrio. I poveri sono quelli che lavorano solo per mantenere uno stile di vita costoso e per accumulare cose.

Non siamo nati solo per consumare, siamo nati per creare, per amare, per sognare, per costruire.

La felicità non sta nell’avere, ma nell’essere. Non si è felici se si vive per comprare cose inutili.

Vivo con poco, ma vivo bene. La libertà si conquista riducendo i bisogni superflui.

Il vero lusso non è avere tante cose, ma avere tempo per ciò che conta: la famiglia, gli amici, la natura.

Ci hanno insegnato a consumare, e il consumo ci domina. Ma dobbiamo capire che non è questa la vera essenza della vita.

Il denaro può comprare comfort, ma non la felicità. La vera ricchezza è vivere con ciò di cui si ha davvero bisogno.”

 

Josè Mujica

Numero3343.

 

L A’

 

Là dove sprofonda il mare

che il cielo partorisce,

là sono pronto ad andare,

là dove lo spazio finisce,

che il tempo inghiotte,

come fa il firmamento

con le stelle della notte.

Mi manca un momento:

è quasi arrivata l’ora.

Comincio a prepararmi.

Quanto mi resta ancora?

Non voglio interrogarmi.

Numero3342.

 

QUATTRO  PASSI  NEL  MONDO  DI  VOLTAIRE.

da un articolo di Alessia Alfonsi

 

Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet, è stato uno dei pensatori più brillanti, controversi e influenti dell’Illuminismo. Satirico, razionalista, polemico, amava la verità quanto detestava il fanatismo. La sua arma preferita? La parola affilata, una voce che brucia ancora oggi, tagliente come una lama, arguta come una satira, viva come una risata nel mezzo dell’ipocrisia.

Uomo di teatro, romanziere, storico, polemista, intellettuale engagé ante litteram, ha attraversato il Settecento da protagonista e da provocatoreIl suo pensiero è un inno alla libertà di espressione, alla tolleranza religiosa, alla battaglia contro il fanatismo, l’ignoranza e la superstizione. Ma non lo ha fatto con il tono grave del predicatore: ha scelto l’arma dell’ironia, dello sberleffo, dell’intelligenza acuta.

Voltaire non credeva nelle verità assolute, ma nella necessità di interrogare ogni autorità, ogni dogma, ogni certezza comoda. Diceva: “La libertà consiste nel poter dire che due più due fa quattro. Se ciò è concesso, tutto il resto segue.”

Dietro il suo sarcasmo, si nascondeva una visione del mondo umanista e profondamente etica: non basta pensare, bisogna agire, coltivare il proprio giardino, esercitare la ragione come forma di giustizia.

Chi lo legge oggi, scopre un autore che parla alla nostra epoca con una chiarezza disarmante. Che ci ricorda quanto la libertà non sia solo un diritto, ma un dovere di coscienza. E quanto la parola, anche quella più ironica, possa cambiare la storia.

Con i suoi scritti, i suoi pamphlet e le sue lettere, ha scardinato dogmi, smascherato ipocrisie e difeso la libertà di pensiero con un’ironia acuminata ma profonda.

In tempi oscuri, Voltaire ha saputo ridere dell’assurdo senza rinunciare alla lotta: il suo pensiero ci ricorda ancora oggi quanto pensare liberamente sia un atto rivoluzionario.

Curiosità su Voltaire:

 

Il suo vero nome era François-Marie Arouet. Adottò il nome Voltaire probabilmente anagrammando il cognome Arouet e aggiungendo qualche lettera: era già un personaggio.

Fu imprigionato più volte per le sue parole. Venne incarcerato alla Bastiglia per aver offeso un nobile e poi esiliato: usava la satira come arma politica e intellettuale.

Amava l’Inghilterra (più della Francia). Nel suo “Lettere filosofiche”, elogiò la tolleranza religiosa inglese, scatenando scandalo in patria.

Fu un instancabile epistolare. Scrisse più di 20.000 lettere, corrispondendo con sovrani, filosofi, scienziati e intellettuali di tutta Europa.

Morì da libero pensatore, ma… Non fu sepolto in terra consacrata. I suoi resti furono portati al Panthéon decenni dopo, come simbolo della libertà di pensiero.

Libro consigliato: “Candido, o l’ottimismo”. Una satira pungente e irresistibile sul mondo, sull’illusione della filosofia ottimista, sulla crudeltà umana e sul bisogno di agire, non solo di pensare.

 

10 Frasi di Voltaire sulla libertà

Voltaire ci insegna che il pensiero è un atto civile. Che la libertà non si eredita: si difende. Che l’ironia è una forma altissima di resistenza, e che coltivare la propria mente è il primo passo per essere davvero liberi. In un mondo ancora pieno di dogmi e chiusure, le sue frasi restano armi leggere e precise: fanno sorridere, pensare, e a volte svegliare.

1.
Non condivido la tua opinione, ma darei la vita perché tu possa esprimerla.
– Attribuita, sintesi del suo pensiero sulla libertà di espressione

Una delle più celebri frasi sull’importanza della tolleranza e del dissenso: la libertà vale più della vittoria.

 

2.
Dio ha fatto l’uomo a sua immagine, e l’uomo gliel’ha restituita.
– Dizionario filosofico

Una critica lucidissima all’antropocentrismo religioso: creiamo Dio come riflesso dei nostri limiti.

 

3.
Chi sa parlare bene, pensa bene.
– da Lettere e discorsi

Il linguaggio come strumento di chiarezza mentale e libertà.

 

4.
Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola.
– Lettere filosofiche

Una lezione di umiltà intellettuale: meglio dubitare che affermare per dogma.

 

5.
Coltiviamo il nostro giardino.
– Candido

Una delle frasi chiave del pensiero voltairiano: non fuggire nel pensiero astratto, ma agire nel reale.

 

6.
Ogni uomo è colpevole di tutto il bene che non ha fatto.
– Zadig

La responsabilità morale non è solo evitare il male, ma anche fare il bene quando possiamo.

 

7.
Il fanatismo è un mostro che osa chiamarsi figlio della religione.
– Trattato sulla tolleranza

Una condanna senza appello: la fede senza ragione è pericolosa.

 

8.
La superstizione è alla religione ciò che l’astrologia è all’astronomia.
– Dizionario filosofico

La superstizione distorce la fede come l’astrologia distorce la scienza.

 

9.
La lettura allarga l’anima, e una buona biblioteca è un gran tesoro.
– Lettere

La cultura come nutrimento dell’essere, non solo dell’intelletto.

 

10.
Scrivete solo ciò che vale la pena di essere letto. Fate solo ciò che vale la pena di essere scritto.
– Massima epistolare

Una frase che parla a chi crea: scrivere, vivere e pensare con intenzione.

 

ALCUNI  DEI  TANTI  SUOI  AFORISMI

 

Dio è un commediante che

si esibisce davanti a un pubblico

troppo spaventato per ridere.

 

Gli uomini si sbagliano.

I grandi uomini confessano

di essersi sbagliati.

 

Il medico abile

è un uomo che

sa divertire,

con successo,

i suoi pazienti,

mentre la Natura

li sta curando.

 

È difficile liberare

gli sciocchi dalle

catene che venerano.

 

Chi può farti credere

assurdità,

può farti commettere

atrocità.

 

 

Numero3341.

 

S O L I T U D I N E

 

La solitudine, per me,

non è vivere da solo,

ma amare inutilmente.

La mia solitudine

non è mai vuota,

è sempre piena

di tanti miei pensieri.

Ci sono solitudini

assai felici, fertili,

ironiche e creative.

Penso e scrivo,

mi nutro del mondo,

ma lo digerisco solo

sbeffeggiandolo.

La solitudine è

il prezzo della libertà.

La solitudine è vera

se mi sento libero.

Quando è coatta

dall’ignoranza,

oppure dalla paura

degli altri, o anche

dalla malattia,

è un’altra cosa,

violenta e crudele.

È un luogo buono

per fermarmi lì,

per interrogarmi

e per comprendermi,

dove le parole

si accendono come

le stelle di notte

che brillano nel

firmamento buio

e muoiono nella luce.

Solitudine mia, non

sei nemica subdola,

ma compagna fedele,

tu mi hai insegnato

ad ascoltarmi anche

quando avevo paura

della mia stessa voce.

In te, mia solitudine,

io ci sto in vacanza.

Numero3340.

 

T E M P O    E    D E S T I N O

 

Tra una rima ingenua

ed una amara risata,

la vera eleganza sta

nel fregarsene, sempre,

di tante sciocchezze,

con un po’ di dolcezza,

non con  arroganza,

ma con garbo ed ironia,

con la consapevolezza,

un poco malinconica,

di chi sa che il tempo

vola e che, se lo perdo

dietro alle cose banali,

rinuncio a tanto del resto.

Non esiste il tempo da

perdere, esiste soltanto

il tempo da vivere, per me.

Ormai, sto imparando a

non reagire a tutto ciò

che mi può dare fastidio.

Il tempo è un paradosso:

per sua natura è movimento,

ma, a volte, pare immobile.

Ed il destino è un fiume

sotterraneo, che scorre silente,

parallelo alla nostra vita.

Ogni tanto, esonda e, allora,

mi inghiotte ed io mi chiedo:

“ma perché proprio a me?”

Oh, sì, sicuro, proprio a me,

perché quel gran fiume

è il mio: lui c’era anche

quando io, intento a vivere

altrimenti, neanche lo vedevo,

e non preparavo mai argini.

Numero3339.

 

SONETTO SENZA RIMA POETICA,

MA DI VALENZA PROFETICA

 

Oggi, pochi uomini che gestiscono

strumenti di speculazione

e di controllo finanziario,

percepiscono redditi che non producono.

 

Per contro, molti, troppi uomini

che fanno fruttare denaro per questi,

solo per la propria sussistenza,

non percepiscono redditi che producono.

 

In questo drammatico sbilancio,

si sviluppano e serpeggiano,

rapidamente, due malefiche piante:

 

la tirannia e la rivoluzione.

Il disordine sociale mondiale

ne sarà la naturale conseguenza.