Quando lascio stare
quello che sono,
divento ciò
che potrei essere.
Proverbio ZEN.
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
Quando lascio stare
quello che sono,
divento ciò
che potrei essere.
Proverbio ZEN.
Rallenta,
e ciò che
stai inseguendo
si avvicinerà
e ti prenderà.
Proverbio ZEN
6 Novembre 2021
A N N I V E R S A R I O
Il giorno 6 del mese di Novembre del 2018, cioè tre anni fa, nasceva questo BLOG.
Colgo questa occasione per fare gli auguri di Buon Anniversario al BLOG, a me stesso, e dire il mio grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno gratificato e onorato della loro presenza come seguaci ( i followers sono un’altra cosa), ai più o meno assidui lettori che hanno dedicato un po’ del loro tempo, non solo alla semplice lettura, ma anche alla partecipazione con commenti che ho sempre, immancabilmente e volentieri, pubblicato. Ad maiora.
L’unica maniera
per realizzare
i propri sogni
è svegliarsi.
Roberto Benigni
Et ventis adversis
Nonostante i venti contrari
7 R U L E S O F L I F E.
1 – Make peace with your past, so it doesn’t affect the present.
2 – What others think of you is none of your business.
3 – Time heals almost everything, give it time.
4 – Don’t compare your life to others an don’t judge them: you have no idea what their journey is all about.
5 – It’s all right not to know all the answers. They will come to you when you least expect it.
6 – You are in charge of your happiness.
7 – Smile. You don’t own all the problems in the world.
7 R E G O L E D I V I T A.
1 – Fai pace con il tuo passato, in modo che non influenzi il presente.
2 – Quello che gli altri pensano di te non sono affari tuoi.
3 – Il tempo guarisce quasi tutto, dagli tempo.
4 – Non confrontare la tua vita con quella degli altri e non giudicarli: non hai idea di cosa sia il loro viaggio.
5 – Va bene non sapere tutte le risposte. Verranno da te quando meno te lo aspetti.
6 – Sei responsabile della tua felicità.
7 – Sorridi. Non possiedi tutti i problemi del mondo.
B E L I K E A T R E E.
Be like a tree.
Stay grounded.
Connect with your roots.
Turn over a new leaf.
Bend before you break.
Enjoy your unique natural beauty.
Keep growing.
S I I C O M E U N A L B E R O
Sii come un albero.
Rimani con i piedi per terra.
Connettiti con le tue radici.
Trasformati in una nuova foglia.
Piegati prima di spezzarti.
Goditi la tua bellezza naturale unica.
Continua a crescere.
P R O V E R B I O C I N E S E
He who blames others, has a long way to go on his journey.
He who blames himself, is halfway there.
He who blames no one, has arrived.
Chi incolpa gli altri, ha molta strada da fare nel suo viaggio.
Chi incolpa se stesso, è a metà strada.
Chi non biasima nessuno, è arrivato.
R I F L E S S I O N E
Il mondo non sarà mai
dei cretini istruiti,
sarà, bensì, retaggio
dei saggi istruiti.
Non sembri una banalità,
perché la parola chiave,
quella che fa la differenza,
non è “cretini” o “saggi”,
ma, piuttosto, “istruiti”.
Di solito, un giovane
è più cretino che saggio;
di converso, un vecchio
è più saggio che cretino.
Comunque sia, la loro istruzione
sarà sempre discriminante.
Talvolta accade che un giovane,
cretino, abbia successo.
Se non sarà istruito, questo
successo sarà effimero,
perché dipende solo
dalla sua gioventù.
Ma, più spesso, un vecchio,
saggio, non avrà séguito,
pur essendo istruito,
perché non cercherà il successo,
gli basterà l’istruzione,
che sarà il premio a se stesso.
La sua “cultura di vita” è
il suo successo autoappagante.
Ma, in questo rinchiudersi
nella sua “turris eburnea”,
c’è un anello debole
nella catena di trasmissione
della cultura di un popolo, che
è una continua sedimentazione,
una stratificazione dei “saperi”
condivisi perché comunicati.
Un vecchio saggio non può
permettersi il lusso di portare
con sé, nella tomba, il “tesoro”
della sua cultura, cioè le conoscenze,
le sensibilità, le esperienze migliorative,
che hanno accompagnato il suo
personale percorso di vita.
Deve spargerlo ed espanderlo,
per condividerlo e metterlo
a disposizione degli altri,
se non di tutti, almeno di coloro
che ne sapranno cogliere la traccia.
Solo così, potrà ritagliarsi
una piccola fetta di eternità.
L’ U O M O E LA L I B E R T À La condizione umana vista con gli occhi della filosofia.
Perché non esisterebbe la libertà?
Ma perché noi chiamiamo libertà la condizione umana che è una condizione di indeterminatezza.
L’uomo è l’unico animale indeterminato perché non è codificato dagli istinti.
Gli istinti sono un codice, per cui la gazzella, appena nata, sa quello che deve fare. L’uomo non lo sa.
Infatti, ha bisogno di educazione: una volta, fino a 15 anni, adesso fino a 30 e poi, magari, oltre, perché non ha codici. Li va acquisendo gradatamente, in quanto non ha istinti. Questo è il problema dell’uomo.
Con la parola “istinto” intendo una risposta “rigida” ad uno stimolo e la cosa che mi interessa sottolineare è l’aggettivo “rigida”. Se io faccio vedere una bistecca ad una mucca, la mucca non la percepisce come cibo; se le faccio vedere un covone di fieno, lo percepisce come cibo: risposta “rigida”.
Noi non abbiamo risposte rigide. Neanche l’impulso sessuale è rigido, perché, in presenza di una pulsione sessuale, io posso dedicarmi a tutte le perversioni, cosa che non sembra concessa agli animali. Posso fare l’amore anche con un tacco a spillo, per dire una delle più elementari perversioni; così come posso anche concedermi, in presenza di una pulsione sessuale, di fare delle opere d’arti, delle opere poetiche. Quella che pratichiamo si chiama “sublimazione della pulsione”, cosa che non sembra sia concessa agli animali.
Non è che lo dico io che gli uomini non hanno istinti. L’ha detto, per primo, Platone, l’ha detto Tommaso d’Aquino, l’ha detto Kant, l’ha detto Herderl, l’ha detto Nietzsche, nel novecento, l’ha detto Bergson, l’ha detto Gehlen.
Ma noi continuiamo a pensare sempre l’uomo come animale ragionevole, quando dell’animale gli manca la prima caratteristica fondamentale, che è l’istintualità. Noi non siamo animali: ci manca proprio l’essenza dell’animalità che è l’istinto.
Anche Freud che, all’inizio delle sue opere, parlava d’istinto – in tedesco instinct – poi dopo, ha abbandonato questa parola e si è messo a parlare di pulsioni a meta indeterminata – in tedesco trieb – che vuol dire spinta generica, meta indeterminata. E voi capite che una pulsione a meta indeterminata è diversa da un istinto, che è sempre a meta ben determinata, “rigida”.
Trovandosi, allora, a nascere in uno stato disarmonico con la natura, perché gli animali sono armonici con la natura, gli uomini hanno dovuto darsi delle regole per poter convivere e le prime regole sono state i miti.
I miti sono dei “racconti” che spiegano che, se tu ti trovi in quella situazione, essi te la descrivono e ti fanno vedere il possibile esito positivo o negativo.
I miti, poi, sono stati concretati in riti. Rito è una parola sanscrita che vuol dire “ordine”. Rito è un elenco molto dettagliato delle cose che puoi fare e delle cose che non devi fare. Miti – Riti. E poi, alla fine, codici razionali, istituzioni.
Le istituzioni sono essenziali perché gli uomini non hanno istinti e, quindi, mancano le regole del comportamento.
Le istituzioni sono il tentativo, più o meno riuscito, di dare dei codici di comportamento. Le istituzioni sono importanti e sono state ideate dall’uomo, proprio perché l’uomo non è codificato: allora, si autocodifica attraverso le istituzioni.
Platone descrive anche questo passaggio e dice che, quando un certo giorno, successe la “meghiste metabolé”, cioè il grande capovolgimento e Dio abbandonò la tribù umana e gli uomini, perché prima governava col bastone come si governano le pecore, gli uomini, per vivere, dovettero darsi delle regole da soli. E, in questa maniera, inventarono la “politica”.
“Politica” = arte del governare, è una parola che viene dal Greco antico Polis = Città, che, a sua volta si fa derivare da una radice pol, da polloi = molti. Come facciamo a vivere tra molti e con molti? Attraverso regole istituzionali.
Ecco, questa è, un po’, la storia dell’uomo.
Umberto Galimberti filosofo.
MOLECOLA FORMULA BITS
ACQUA H2O 10.000
ETANOLO C2H6O 1012
CAFFEINA C8H10N4O2 1048
SACCAROSIO C12H22O11 1082
PENICILLINA C16H18N2NaO4S 1086
In questo specchietto sono indicate alcune sostanze, di uso comune, con la relativa formula chimica e con il numero di BIT necessari per configurare, nel linguaggio digitale in vigore sui nostri computer, ciascuna di esse.
Si capisce bene che il linguaggio digitale corrente, con la sua sequenza di 0 e 1, non si presta per niente bene a rappresentare la formula chimica di dette sostanze. Si pensi soltanto che, per la sola ACQUA, sono necessari 10.000 BIT; che, per l’ETANOLO, ci vogliono 1000 miliardi di BIT; che, per la CAFFEINA, ci vorrebbero tanti BIT da occupare la superficie di mezza luna.
Per il SACCAROSIO e la PENICILLINA si tratta di un numero talmente spropositato da occupare gran parte dello spazio della nostra Galassia.
Ecco perché, nel mondo delle sostanze organiche ed inorganiche, il calcolo computerizzato non si usa proprio.
Questo mondo sta aspettando l’arrivo dei COMPUTER QUANTISTICI.
Quando questi diventeranno di uso comune, la Chimica, la Farmacologia, la Biologia, con le relative applicazioni tecnologiche, diventeranno, insieme alla Robotica, i motori del progresso umano.
O ti formi,
o ti fermi.
Letto alla Festa del nostro Anniversario.
25 ANNI ASSIEME.
In questi ultimi tempi, ho scritto, non molto ma abbastanza, un po’ per me, per i miei hobby e i miei interessi, talvolta per qualche ricorrenza di amici o amiche, qualche poesiola, cose di poco conto, cose a destra e a manca, da dilettante della parola, ma da professionista del sentimento. In quest’ultimissimo anno, in particolare, mi sono dedicato alla redazione di un BLOG, del quale vi dirò più tardi.
Ma, mi sono accorto che, tranne che in qualche rara occasione di molto tempo fa, a te, Rita, io non ho mai scritto niente di veramente significativo.
In questa circostanza, in questa ricorrenza dei nostri 25 anni assieme, circondati da persone care e amiche, ho sentito il dovere, e il piacere, di rimediare alla mancanza, per farmi perdonare, se ce ne fosse bisogno, e se ne sono capace.
E comincio a scrivere di noi, per ricordare e ricordarci , a spanne e con un po’ di emozione, cosa sono stati questi lunghi e brevi anni di serena compagnia e di buona vita.
La nostra. Insieme. Sì, separati nei luoghi di residenza, ma sempre insieme.
L.A.T.: acronimo inglese che significa Living Apart Together, cioè Vivere Separati Insieme. Formula consigliabile, se possibile, per un L.L.L., altro acronimo inglese che vuol dire Long Lasting Love, cioè Amore che Dura a Lungo.
A sgranare il rosario dei giorni dopo i giorni, tanti belli, alcuni difficili e dolorosi, altri impegnativi oppure normali, non ci penso proprio. Se siamo qua, bene o male, la salute ci ha sorretto e, quel che conta, abbiamo fatto del nostro meglio per rendere, l’un l’altra, la vita degna di essere vissuta.
E, per quanto mi riguarda, io ho avuto, da te e con te, in questi 25 anni, il pezzo migliore della mia vita.
Per superare, con un po’ di faccia tosta e disinvoltura, l’approccio all’”incipit”, che è sempre difficile, del mio discorso, prendo a prestito, anche se corro il rischio di apparire melodrammatico, parole che mi sono venute in mente, parole non mie, ma che faccio mie per modificarne il senso. Sono i versi di una delle più belle romanze della musica lirica Italiana di sempre, “Sono andati, fingevo di dormire….”, da “La Bohéme”, versi di Giacosa e Illica per la musica indimenticabile di Giacomo Puccini, là dove Mimì, stesa sul giaciglio di morte, dice a Rodolfo: “Ho tante cose che ti voglio dire, o una sola, ma grande come il mare. Come il mare, profonda ed infinita….” E qui, segue un verso che io non citerò per motivi di privacy, sono parole che si dicono nell’intimità di una coppia, ma che molti conoscono.
Ebbene, voglio cambiare il finale della frase, riprendendo e ripetendo: “Ho tante cose, che ti voglio dire, o una sola, ma grande come il mare. Come il mare profonda ed infinita: Grazie, Rita!” Così ho fatto pure la rima! E ridiamoci su, tanto per sdrammatizzare, se no mi metto a piangere.
E da altre parole in musica, traggo lo spunto per proseguire, precisamente dai versi del “Faber” De Andrè, nella sua magnifica “La Canzone dell’amore perduto”, là dove dice: “L’amore che strappa i capelli è finito ormai, non resta che qualche svogliata carezza…. e un po’ di tenerezza”. E dirò, a mia volta, chiosando, che sulla “svogliata carezza”, sorvolerei, per i motivi di privacy prima citati, mentre avrei da eccepire, vigorosamente, sul “po’ di tenerezza”.
Non di tenerezza di poco conto si tratta, quella che tu hai saputo regalarmi in tutti questi anni, ma di un continuo, costante, assiduo, attento impegno per i miei bisogni materiali e, soprattutto, di un sorprendente, eccezionale, magnifico senso di affettuosa complicità e dedizione sul piano spirituale e sentimentale. Di nuovo, grazie, Rita!
In 25 anni condivisi insieme, “mi sono fatto persuaso” di aver vinto un premio. Il mio affetto per te non è mai mutato, ma si è arricchito di comprensione, rispetto, devozione e gratitudine. E, da te, ho avuto pazienza, lealtà, umiltà e mitezza nei tuoi capelli sempre più bianchi, nei tuoi occhi a volte stanchi. Di cuore, grazie, Rita!
E ti voglio chiedere scusa per un po’ di cose.
Scusa, se ti sgrido quando scrivi male le lettere delle parole crociate, al punto che non sai neanche leggere le parole che scrivi; scusa, se ti sgrido, perché non ne ricordi i significati, dopo averteli spiegati più volte; scusa, perché ti zittisco sempre quando canti, stonata come una campana rotta, eppure sapessi come mi piace, sempre e comunque, il tuo sgangherato cantare; scusa, se perdo le staffe, quando ti metti a starnazzare come un’anitra impazzita tutte le volte che, in macchina, supero i 50 all’ora, o quando ti appassioni a programmi televisivi che io detesto.
Ma di una cosa, soprattutto, ho bisogno di farmi perdonare da te. Perché m’inalbero e do in escandescenze, ogni volta che nei telegiornali, sento parlare di mafia, di corruzione, di omertà, di collusione, di sprechi, di degrado ambientale e morale, di truffe e di furbetti di ogni specie, nella tua terra, “amara e bella”, da cui provieni.
Eppure tu, Rita, figlia di un poliziotto degli Uffici Giudiziari del Palazzo di Giustizia di Palermo, che ha combattuto e contrastato la mafia e la mentalità mafiosa, ai tempi di Falcone e Borsellino, tu sei di una specchiata onestà e di una trasparenza cristallina, in tutto quello che pensi e fai. E, come te, tuo fratello e tutti i tuoi parenti e amici, la cui disponibilità e generosità ho conosciuto e apprezzato.
Se m’incazzo, non è uno sfogo denigratorio contro di te, e tu lo sai. Ma so di procurarti un dispiacere. E di questo ti chiedo scusa, anche se succederà di nuovo. E’ più forte di me. Tu sei una “terrona” sui generis, un’anomalia eccezionale che conferma la regola. Ed è a te che io voglio bene, perché sei il contrario di ciò che detesto.
Ma, tutto sommato, come tutti possono capire, tutte queste scuse non sono una “captatio benevolentiae”, si tratta di ben piccole cose: bazzecole di nessun conto. Le mie incazzature e i tuoi difettucci. Mentre invece, se metto sull’altro piatto della bilancia, le tue doti e i tuoi meriti…..non ho abbastanza parole per dirti ancora: grazie, Rita!
Io non sono il tipo che ti dice: ”Non posso vivere senza di te”, perché non sarebbe vero. Nella mia vita ho fatto a meno di persone che credevo indispensabili, ho passato periodi in cui nemmeno io volevo farmi compagnia, sono sopravvissuto alla solitudine e ne ho fatto un mio punto di forza. Potrei vivere benissimo senza di te, la differenza è che non voglio. Mi manchi già da subito, appena hai varcato la soglia per uscire. E di questo, sempre grazie, Rita!
Le belle persone sono sempre belle. Anche se passano gli anni, anche se sono senza trucco, se sono stanche, se hanno le rughe. Perché la bellezza che hanno dentro non invecchia mai. Diventa, con gli anni, più fragile e preziosa, ma le belle persone non smettono mai di brillare. E tu sei una bella persona, non bella in senso fisico, ma bella e basta, bella perché, con un gesto, mi fai felice, anche se non te lo dico, bella perché fai parte di me e mi rendi migliore.
Ecco, proprio di questo, più che per gli altri motivi, ti voglio, infine, ringraziare. Perché, vivendoti accanto, ho imparato a guardarmi attraverso i tuoi occhi e, davanti alle manifestazioni del tuo affetto, ho avuto un riscontro, una risposta di ritorno, un formidabile “feed back” di gradimento che mi ha confortato e rasserenato: se questo è ciò che io significo per te, se io sono un uomo buono per te, allora, in stretto sillogismo e per la proprietà transitiva, io valgo qualcosa. E, nel profondo della mia interiorità, l’autostima e la fiducia hanno cacciato i feticci delle incertezze e delle insicurezze. Per questo mi hai reso migliore. Per questo, il grazie più grande, Rita!
I nostri prossimi 25 anni che verranno, sperabilmente un po’ di meno, almeno per me, sappiamo solo che saranno i più difficili. Ma, come abbiamo fatto sempre, ci adatteremo con pazienza, ma non con rassegnazione, alle condizioni della nostra età e della nostra salute, per portare a dignitoso compimento questo percorso che stiamo facendo insieme e che si chiama: la nostra vita.
E….prendiamola con allegria.
Ecco, l’allegria. Due sono stati i capisaldi del nostro rapporto: il rispetto reciproco e l’allegria. Del primo dirò che è stato costantemente presente, in modo spontaneo e naturale. Talvolta, possono esserci scappati, un’imprecazione o un “vaffa…”: un momentaneo deragliamento, ma tutto è sempre rientrato nei binari del buon senso e del buongusto, stemperando l’alterazione con una risata e una parola di rabbonimento. Mai un muso lungo, una ripicca. E ci ha aiutato molto l’allegria, l’ironia bonaria, mai rancorosa. Una coppia può perdere la passione, può perdere pure il desiderio, ma se perde, anche, la capacità di ridere insieme, allora è finita. Noi stiamo bene assieme perché ci divertiamo, ci prendiamo in giro: è autoironia di coppia. Non ci sono segreti: le affinità fanno la coppia, le differenze la fanno durare. Non è la mancanza d’amore, ma la mancanza di amicizia che rende infelici i rapporti, come dice il mio amico Friederich Nietzsche.
Satis superque.
A voi, miei cari e amici miei, dico grazie di cuore, anche a nome di Rita, per essere qui, con noi, in questo giorno significativo. Avevo bisogno di voi, che ci conoscete e condividete con noi frequentazioni e compagnia, come uditorio qualificato, per testimoniare, anche emotivamente, di questa mia esternazione. Grazie per avermi ascoltato pazientemente e vi sento miei complici e sodali negli apprezzamenti che io ho rivolto alla mia compagna di vita, che è anche vostra amica a cui tutti voi, nessuno escluso, so che volete bene.
Rita, non so come andrà, non so che futuro ci aspetta: tu devi ancora trovare, capire quale strada percorrere; io, su un sentiero sconnesso, sto già camminando.
L’unica mia certezza è che voglio rinascere per essere migliore, per poter dare di più e ricevere di più, fuori dal grigiore e dalla consuetudine, dentro al vero me stesso. L’unico mio motore, quello che mi aiuta a continuare in questo mio cammino, è l’affetto che ho per te: profondo, intenso, unico. Questo sentimento, che la maturità, anzi, la vecchiaia, non rende effimero, è radicato in una certezza: con te mi sento vivo.
Con te, sento che potrò affrontare quello che la vita ha da proporre, con energia e consapevolezza, con fantasia ed ironia. Conto su di te, sulla tua presenza, rara ma cara, accanto a me. L’unico posto, che spero di continuare ad occupare, sta nel tuo cuore. E spero che, anche tu, aspiri alla stessa cosa. E che sia su questa terra, dove siamo nati per starci, e che non è nell’aldilà.
Quante rondini occorrono
perché sia primavera?
Quanti baci ci vogliono,
perché viva un amore?
Di cosa ha bisogno una vita,
per essere tale?
La mia ha bisogno di Rita.
Grazie.
Tricesimo, 23 Novembre 2019
LO ZETICISMO
Scuola di pensiero di coloro che cercano sempre,
anche se non trovano mai.
Zetétes, in Greco antico, significa “Cercatore“.
Ma che gusto c’è a cercare e a non trovare?
“La gioia non sta sulla vetta, ma nella salita,
altrimenti gli scalatori si farebbero depositare
dagli elicotteri direttamente sul cocuzzolo
delle montagne”.
Luciano De Crescenzo Sono stato fortunato
Chiudi la porta,
cambia musica,
rimuovi la polvere.
Smetti di essere
chi eri
e trasformati
in chi sei.
Da bruco,
non restare crisalide:
diventa farfalla.
Là fuori,
nel prato verde,
ti aspetta
un fiore
su cui posarti.