A proposito di Alzheimer ….
parlando di CERVELLO, sapete cosa dicono gli Inglesi?
USE IT
OR
LOSE IT.
O lo usi
o
lo perdi.
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
A proposito di Alzheimer ….
parlando di CERVELLO, sapete cosa dicono gli Inglesi?
USE IT
OR
LOSE IT.
O lo usi
o
lo perdi.
LODE ALL’ AMICO RISANATO.
Antonietta Fagnani Arese: chi era costei?
Era una contessa Milanese, ben conosciuta nel giro della Nobiltà Meneghina, amica ed amante, per qualche tempo (1800 – 1803) di Ugo Foscolo, il nostro poeta, noto esponente del Neoclassicismo del Primo Ottocento, di cui abbiamo studiato a scuola odi e sonetti.
A questa gentile Signora, il Foscolo ha dedicato un’Ode, pubblicata nel 1802, dal titolo ALL’AMICA RISANATA, un polpettone ottocentesco e neoclassico, che oggi farebbe ridere, ma che allora, secondo i criteri didattici dei nostri tempi giovanili, si doveva studiare come esemplare storico della nostra Letteratura. È un omaggio all’innamorata che usciva da un periodo di malattia e ritornava alla vita normale. Evito ogni ulteriore dettaglio sull’opera: non varrebbe la pena approfondire.
Invece, la cito qui, come aggancio e riferimento, per il suo titolo, che mi è venuto in mente oggi, 1 Giugno 2022, dopo aver giocato l’ennesimo doppio di tennis, avendo come avversario il mio caro amico “biondo”. Detto per inciso, anche per la brillante prestazione del giocatore ora citato, che mi giocava contro, ne sono uscito, seppur di poco, sconfitto. E lo riferisco con grande piacere perché, dopo tanti mesi di traversie, lui, “il biondo”, ha oggi dimostrato di essere pienamente recuperato ad una condizione fisico – atletica accettabile e soddisfacente. La sua palla malefica ha ricominciato a tormentarmi e a mettermi in difficoltà: complimenti e congratulazioni, con l’augurio che questa condizione di benessere si prolunghi per tanto tempo ancora.
Ma, Ugo Foscolo scrisse l’ODE “ALL’AMICA RISANATA”.
Io scrivo, invece, questa LODE ALL’AMICO RISANATO.
TENNIS A ROMA
Sto guardando in TV il Torneo di Tennis Master 1000 ATP di Roma. Lo guardo da tanto tempo, dagli anni di Pietrangeli e Panatta, ma è sempre la stessa storia. Da non molti anni hanno costruito lo Stadio Centrale nuovo, bello e moderno, una struttura al passo con i tempi, come progettazione ed architettura, ma …. ne parlo più avanti.
Voglio per prima cosa, parlare del campo del Foro Italico più particolare, quello che oggi è stato intitolato proprio a Nicola Pietrangeli, ricavato in una fossa sotto il piano di strada, di passaggio pedonale del Centro Sportivo, costruito nel 1933-34 su progetto dell’architetto Costantino Costantini. Una peculiarità, credo, unica al mondo, la sua: la cavea è circondata da 18 statue in marmo bianco di Carrara che rappresentano atleti di tante, diverse attività sportive e gli spalti sono tutti lastronati sempre con il marmo bianco di Carrara. Potrebbe rappresentare l’orgoglio della nostra Italica propensione per il bello, se non fosse che, dai tempi proprio di Pietrangeli e Panatta, la manutenzione di questo splendido impianto è affidata alle cure (sic!) del CONI, che me è proprietario.
Ebbene, se lo stadio è riempito di gente, non potete accorgervene, perché vedete solo le persone.; ma se gli spettatori sono pochi, e osservate bene le scalee o gradinate in marmo tutte intorno al campo da Tennis (le telecamere sono impietose, si sa), non potete non notare che sono piene di macchie, di muffa, di corrosioni di umidità. Non solo. Qua e là, ma dovunque, ci sono ciuffi d’erba, che cresce spontaneamente nei prati circostanti, ma che lì, nelle fessure fra una lastra di marmo e l’altra, ha attecchito perché …. nessuno se ne cura.
Ma, dico io, è possibile mai che, almeno per il periodo (due settimane o poco più) dello svolgimento del Torneo, non si possa presentare questo gioiello del nostro Patrimonio Architettonico in condizioni decorose? Questo Torneo è seguito in tutto il mondo e il messaggio che a tanti milioni di spettatori noi stiamo mandando è l’incuria e il menefreghismo. Con tanti percettori di Redditi di Cittadinanza nullafacenti, è mica pensabile che si possano impiegare, almeno in questo compito di semplice manutenzione, qualche decina di questi per ripulire dalle erbacce le gradinate di questo stadio? Non ci vuole molto, ma l’incuria, a Roma, si sa, sta di casa.
Tornando al Campo centrale, nulla si può dire della struttura delle gradinate: è nuova, bellissima e funzionale, con visibilità al meglio. Ma, purtroppo il peggio è, ed è sempre stato, il campo da gioco. È in terra battuta, come tanti in Italia, e da tempo immemorabile. Se non che, è una terra battuta della peggior specie e, nonostante i decenni che passano, nessuno si è posto il problema della sua qualità. Sembra polvere di mattoni di argilla rossa frantumati alla bell’e meglio, grossolanamente. Si tratta di una polvere incoerente che non sta mai compattata, neanche se la bagni costantemente e di frequente. È proprio di una qualità scadente, inadatta. Basta un minimo di sole che asciughi il terreno, ed un po’ di vento, senza esagerare, basta il familiare ponentino di casa, e vedi che la polvere si alza in robuste folate per tutto il tempo dell’incontro. Guardavo oggi, attentamente,: ad ogni rimbalzo della palla si alza un nuvoletta di polvere. Perfino i rimbalzi per terra che il giocatore fa prima di eseguire il servizio, fanno sollevare uno sbuffo di polvere rossa. Ogni volta che un giocatore si muove, anche solo camminando, per il campo, le sue scarpe sollevano nuvolette di polvere; i suoi calzini bianchi diventano del colore della terra. I giocatori, dopo ogni scambio, prima di prepararsi al servizio, si danno delle racchettate violente sulle scarpe per liberarle dalla terra che ha riempito le scanalature delle suole. Non vi dico delle folate improvvise di vento, ripeto, basta un venticello: questo alza delle raffiche di polvere e le strisce bianche di fettuccia che delimitano il campo si vedono a malapena, perché costantemente coperte da polvere in movimento. E siamo sul campo centrale, il più importante. Pensate che gli altri siano meglio? A dire il vero, la situazione migliora un poco, dopo ripetute bagnature, verso sera e di notte, per il calo della temperatura e per l’umidità notturna, ma durante il giorno, il soleggiamento esalta la polverulenza del manto superficiale.
Quanto sto scrivendo viene da uno che ha calpestato i campi da tennis per ben oltre 50 anni, e tutt’ora lo sta facendo: non ho mai giocato su una superficie in terra rossa così malandata, come questa dei campi del Foro Italico. Dove, tuttora, sto giocando, il manto superficiale è assai migliore di questo.
Fra due o tre settimane ci sarà Il Torneo del Grande Slam di Parigi, che si disputerà al Centro Tennistico del Roland Garros. Chi vuole, dia un’occhiata alle condizioni dei campi da gioco di quel Torneo, anche queste in terra battuta. Sono perfette: i campi, tutti, anche i minori con pochi spalti, sono in condizioni ineccepibili: sopra, vi potreste giocare a biliardo. Perché?
In politica, se vuoi che
qualcosa venga detto,
chiedi ad un uomo;
se vuoi che venga fatto,
chiedi ad una donna.
Coronavirus, autocertificazione per gli spostamenti: ecco il modulo da scaricare
Questa che vedete è l’intestazione della, ormai, “famigerata” AUTOCERTIFICAZIONE per poter circolare in Italia, a causa dei noti provvedimenti per il contenimento della diffusione epidemica del Coronavirus.
Guardate le prime due righe, dove si dovrebbero scrivere i dati anagrafici.
Se uno si chiama, che so, Giovan Francesco Lante della Rovere, nato il….., a Barcellona Pozzo di Gotto, residente in Primiero San Martino di Castrozza, in via Strada Vecchia del Mulino, n° 12 e….tralasciando il resto, mi dite dove diavolo potrebbe scrivere i suoi dati negli spazi previsti dai cervelloni del Ministero dell’Interno?
Cosa ci voleva a predisporre un formulario concepito come segue:
Nome e Cognome ……………………………………………………………………………………………………………….
nato il ………………….. a …………………………………………………………………………………………………………
residente a …………………………………………………………………………………………………. CAP …………..
via ……………………………………………………………………………………………………………………… N°…………..
Ci vogliono solo due righe in più. E non si dica che lo spazio del testo non si può restringere, perché di spazio ne è rimasto a fondo pagina.
Senza parlare degli spazi per indicare la partenza e la destinazione del percorso e per esporre le motivazioni dello spostamento, se appena sono un po’ articolate. Sembra una barzelletta.
Certo che la burocrazia fa proprio dei grandi sforzi per agevolare il corretto comportamento dei cittadini! Bravi, proprio bravi! L’efficienza e la praticità non sanno proprio dove stanno di casa, questi “dirigenti” della Pubblica Amministrazione Romana. Io non li chiamerei “dirigenti”, ma “dirigibili” e sapete perché? Perché sono dei “palloni gonfiati”. E….. incapaci.
Segnalato da Dina
NEGLI OSPEDALI DELLE ZONE ROSSE.
A proposito di CORONAVIRUS, vi mando quello che ha scritto Daniele Macchini, che era medico a Monza e al Niguarda, e ora lavora all’Ospedale Gavazzeni a Bergamo e che descrive benissimo la situazione.
In una delle numerose mail che ricevo dalla mia direzione sanitaria, a cadenza più che quotidiana ormai in questi giorni, c’era anche un paragrafo intitolato “fare social responsabilmente”, con alcune raccomandazioni che possono solo essere sostenute.
Dopo aver pensato a lungo se e cosa scrivere di ciò che ci sta accadendo, ho ritenuto che il silenzio non fosse affatto da responsabili. Cercherò quindi di trasmettere alle persone “non addette ai lavori” e più lontane alla nostra realtà, cosa stiamo vivendo a Bergamo in questi giorni di pandemia da Covid-19.
Capisco la necessità di non creare panico, ma quando il messaggio della pericolosità di ciò che sta accadendo non arriva alle persone e sento ancora di chi se ne frega delle raccomandazioni e di gente che si raggruppa lamentandosi di non poter andare in palestra o poter fare tornei di calcetto, rabbrividisco.
Capisco anche il danno economico e sono anch’io preoccupato di quello. Dopo l’epidemia il dramma sarà ripartire. Però, a parte il fatto che stiamo letteralmente devastando, anche dal punto di vista economico, il nostro SSN (Sistema Sanitario Nazionale), mi permetto collocare più in alto l’importanza del danno sanitario che si rischia in tutto il paese e trovo a dir poco “agghiacciante”, ad esempio, che non si sia ancora istituita una zona rossa già richiesta dalla regione, per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro (tengo a precisare che trattasi di pura opinione personale).
Io stesso guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero ospedale nella settimana precedente, quando il nostro nemico attuale era ancora nell’ ombra: i reparti, piano piano, letteralmente “svuotati”, le attività elettive interrotte, le terapie intensive liberate per creare quanti più posti letto possibili. I container in arrivo davanti al pronto soccorso per creare percorsi diversificati ed evitare eventuali contagi. Tutta questa rapida trasformazione portava nei corridoi dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare e che molti (tra cui io) non erano così certi che sarebbe mai arrivata con tale ferocia.
Apro una parentesi: tutto ciò avveniva in silenzio e senza pubblicizzazioni, mentre diverse testate giornalistiche avevano il coraggio di dire che la sanità privata non stava facendo niente.
Ricordo ancora la mia guardia di notte di una settimana fa passata inutilmente senza chiudere occhio, in attesa di una chiamata dalla microbiologia del Sacco. Aspettavo l’esito di un tampone sul primo paziente sospetto del nostro ospedale, pensando a quali conseguenze ci sarebbero state per noi e per la clinica. Se ci ripenso mi sembra quasi ridicola e ingiustificata la mia agitazione per un solo possibile caso, ora che ho visto quello che sta accadendo.
Bene, la situazione ora è a dir poco drammatica. Non mi vengono altre parole in mente.
La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte.
Uno dopo l’altro i poveri malcapitati si presentano in pronto soccorso. Hanno tutt’altro che le complicazioni di un’influenza. Piantiamola di dire che il COVID-19 è una brutta influenza. In questi 2 anni ho imparato che i bergamaschi non vengono in pronto soccorso per niente. Si sono comportati bene anche stavolta. Hanno seguito tutte le indicazioni date: una settimana o dieci giorni a casa con la febbre senza uscire e rischiare di contagiare, ma ora non ce la fanno più. Non respirano abbastanza, hanno bisogno di ossigeno.
Le terapie farmacologiche per questo virus sono poche. Il decorso dipende prevalentemente dal nostro organismo. Noi possiamo solo supportarlo quando non ce la fa più. Si spera prevalentemente che il nostro organismo debelli il virus da solo, diciamola tutta. Le terapie antivirali sono sperimentali su questo virus e impariamo giorno dopo giorno il suo comportamento. Stare al domicilio sino a che peggiorano i sintomi non cambia la prognosi della malattia.
Ora però è arrivato il bisogno di posti letto in tutta la sua drammaticità. Uno dopo l’altro i reparti che erano stati svuotati, si riempiono a un ritmo impressionante. I tabelloni con i nomi dei malati, di colori diversi a seconda dell’unità operativa di appartenenza, ora sono tutti rossi e al posto dell’intervento chirurgico c’è la diagnosi, che è sempre la stessa maledetta: polmonite interstiziale bilaterale.
Ora, spiegatemi quale virus influenzale causa un dramma così rapido. Perché quella è la differenza (ora scendo un po’ nel tecnico): nell’influenza classica, a parte contagiare molta meno popolazione nell’arco di più mesi, i casi si possono complicare meno frequentemente, solo quando il VIRUS, distruggendo le barriere protettive delle nostre vie respiratorie, permette ai BATTERI, normalmente residenti nelle alte vie, di invadere bronchi e polmoni provocando situazioni più gravi. Il Covid- 19 causa una banale influenza in molte persone giovani, ma in tanti anziani (e non solo) una vera e propria SARS (Sindrome Respiratoria Acuta Grave) perché arriva direttamente negli alveoli dei polmoni e li infetta rendendoli incapaci di svolgere la loro funzione. L’insufficienza respiratoria che ne deriva è spesso grave e dopo pochi giorni di ricovero il semplice ossigeno che si può somministrare in un reparto può non bastare.
Scusate, ma a me, come medico, non tranquillizza affatto che i più gravi siano prevalentemente anziani con altre patologie. La popolazione anziana è la più rappresentata nel nostro paese e si fa fatica a trovare qualcuno che, sopra i 65 anni, non prenda almeno la pastiglia per la pressione o per il diabete. Vi assicuro poi che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata o peggio in ECMO (una macchina per i casi peggiori, che estrae il sangue, lo ri-ossigena e lo restituisce al corpo, in attesa che l’organismo, si spera, guarisca i propri polmoni), tutta questa tranquillità per la vostra giovane età vi passa.
E mentre ci sono sui social ancora persone che si vantano di non aver paura ignorando le indicazioni, protestando perché le loro normali abitudini di vita sono messe “temporaneamente” in crisi, il disastro epidemiologico si va compiendo.
E non esistono più chirurghi, urologi, ortopedici, tutti noi siamo unicamente medici che diventano improvvisamente parte di un unico team per fronteggiare questo tsunami che ci ha travolto. I casi si moltiplicano, arriviamo a ritmi di 15-20 ricoveri al giorno tutti per lo stesso motivo. I risultati dei tamponi ora arrivano uno dopo l’altro: positivo, positivo, positivo. Improvvisamente il pronto soccorso è al collasso. Le disposizioni di emergenza vengono emanate: serve aiuto in pronto soccorso. Una rapida riunione per imparare come funziona il software di gestione del pronto soccorso e pochi minuti dopo sono già di sotto, accanto ai guerrieri che stanno al fronte della battaglia. La schermata del pc con i motivi degli accessi è sempre la stessa: febbre e difficoltà respiratoria, febbre e tosse, insufficienza respiratoria ecc… Gli esami, la radiologia sempre con la stessa sentenza: polmonite interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale. Tutti da ricoverare. Qualcuno già da intubare e va in terapia intensiva. Per altri invece è tardi…
La terapia intensiva diventa satura, e dove finisce la terapia intensiva se ne creano altre. Ogni ventilatore diventa come oro: quelli delle sale operatorie che hanno ormai sospeso la loro attività non urgente diventano posti da terapia intensiva che prima non esistevano.
Ho trovato incredibile, o almeno posso parlare per l’HUMANITAS Gavazzeni (dove lavoro) come si sia riusciti a mettere in atto in così poco tempo un dispiego e una riorganizzazione di risorse così finemente architettata per prepararsi a un disastro di tale entità. E ogni riorganizzazione di letti, reparti, personale, turni di lavoro e mansioni viene costantemente rivista giorno dopo giorno per cercare di dare tutto e anche di più.
Quei reparti che prima sembravano fantasmi ora sono saturi, pronti a cercare di dare il meglio per i malati, ma esausti. Il personale è sfinito. Ho visto la stanchezza su volti che non sapevano cosa fosse, nonostante i carichi di lavoro già massacranti che avevano. Ho visto le persone fermarsi ancora oltre gli orari a cui erano soliti fermarsi già, per straordinari che erano ormai abituali. Ho visto una solidarietà di tutti noi, che non abbiamo mai mancato di andare dai colleghi internisti per chiedere “cosa posso fare adesso per te?” oppure “lascia stare quel ricovero che ci penso io”. Medici che spostano letti e trasferiscono pazienti, che somministrano terapie al posto degli infermieri. Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare tutti e i parametri vitali di più malati contemporaneamente rilevano un destino già segnato.
Non esistono più turni, orari. La vita sociale per noi è sospesa.
Io sono separato da alcuni mesi, e vi assicuro che ho sempre fatto il possibile per vedere costantemente mio figlio anche nelle giornate di smonto notte, senza dormire e rimandando il sonno a quando sono senza di lui, ma è da quasi 2 settimane che volontariamente non vedo né mio figlio né miei familiari per la paura di contagiarli e di contagiare a sua volta una nonna anziana o parenti con altri problemi di salute. Mi accontento di qualche foto di mio figlio che riguardo tra le lacrime e qualche videochiamata.
Perciò abbiate pazienza anche voi che non potete andare a teatro, nei musei o in palestra. Cercate di aver pietà per quella miriade di persone anziane che potreste sterminare. Non è colpa vostra, lo so, ma di chi vi mette in testa che si sta esagerando e anche questa testimonianza può sembrare proprio un’esagerazione per chi è lontano dall’epidemia, ma per favore, ascoltateci, cercate di uscire di casa solo per le cose indispensabili. Non andate in massa a fare scorte nei supermercati: è la cosa peggiore perché così vi concentrate ed è più alto il rischio di contatti con contagiati che non sanno di esserlo. Ci potete andare come fate di solito. Magari se avete una normale mascherina (anche quelle che si usano per fare certi lavori manuali) mettetevela. Non cercate le ffp2 o le ffp3. Quelle dovrebbero servire a noi e sono, ormai, di difficile reperibilità. Già, abbiamo dovuto ottimizzare il loro utilizzo anche noi solo in certe circostanze, come ha recentemente suggerito l’OMS in considerazione del loro depauperamento pressoché ubiquitario.
Eh sì, grazie allo scarseggiare di certi dispositivi io e tanti altri colleghi siamo sicuramente esposti nonostante tutti i mezzi di protezione che abbiamo. Alcuni di noi si sono già contagiati nonostante i protocolli. Alcuni colleghi contagiati hanno a loro volta familiari contagiati e alcuni dei loro familiari lottano già tra la vita e la morte.
Siamo dove le vostre paure vi potrebbero far stare lontani. Cercate di fare in modo di stare lontani. Dite ai vostri familiari anziani o con altre malattie di stare in casa. Portategliela voi la spesa, per favore.
Noi non abbiamo alternativa. E’ il nostro lavoro. Anzi quello che faccio in questi giorni non è proprio il lavoro a cui sono abituato, ma lo faccio lo stesso e mi piacerà ugualmente finché risponderà agli stessi principi: cercare di far stare meglio e guarire alcuni malati, o anche solo alleviare le sofferenze e il dolore a chi purtroppo non può guarire.
Non spendo invece molte parole riguardo alle persone che ci definiscono eroi in questi giorni e che fino a ieri erano pronti a insultarci e denunciarci. Tanto ritorneranno a insultare e a denunciare appena tutto sarà finito. La gente dimentica tutto in fretta.
E non siamo nemmeno eroi in questi giorni. E’ il nostro mestiere. Rischiavamo già prima tutti i giorni qualcosa di brutto: quando infiliamo le mani in una pancia piena di sangue di qualcuno che nemmeno sappiamo se ha l’HIV o l’epatite C; quando lo facciamo anche se lo sappiamo che ha l’HIV o l’epatite C; quando ci pungiamo con un ago infetto, quello con l’HIV, e ci prendiamo per un mese i farmaci che ci fanno vomitare dalla mattina alla sera. Quando apriamo con la solita angoscia gli esiti degli esami ai vari controlli dopo una puntura accidentale sperando di non esserci contagiati. Ci guadagniamo semplicemente da vivere con qualcosa che ci regala emozioni. Non importa se belle o brutte, basta portarle a casa.
Alla fine cerchiamo solo di renderci utili per tutti. Ora cercate di farlo anche voi però: noi con le nostre azioni influenziamo la vita e la morte di qualche decina di persone. Voi con le vostre, molte di più.
Per favore condividete e fate condividere il messaggio. Si deve spargere la voce per evitare che in tutta Italia succeda ciò che sta accadendo qua.
Ci sono persone che sanno,
Ci sono persone che hanno,
ci sono persone che fanno,
ci sono persone che danno
e ci sono persone che fanno danno.
Un giorno ti sveglierai e
non ci sarà più il tempo
di fare le cose
che hai sempre sognato.
Falle adesso.
Paulo Coelho.
Le difficoltà che affronti oggi,
sviluppano la forza di domani.
Ci metti il cuore
in tutto quello che fai.
Per questo soffri
e ti chiedi come mai.
Buono a nulla,
capace di tutto.
Leo Longanesi.
Una cosa fatta bene
può essere fatta meglio.
Gianni Agnelli.
Se conosci come,
avrai sempre un lavoro,
ma se conosci perché,
sarai una guida.
John M. Capozzi.
Nulla dies sine linea.
Neanche un giorno senza una riga.
(Fa ogni giorno qualcosa di buono).
Brevi manu. Da una mano all’altra, direttamente.