Numero2572.

 

L A   P A U R A   È   U N   H A N D I C A P     (sullo stesso argomento il Numero2560.)

 

La paura è la più importante e potente emozione che abbiamo: ci permette di fronteggiare al meglio le situazioni di pericolo, di reagire rapidamente, di adattarci alla realtà esterna e interna.

Eppure, se non si è in grado di gestirla e va oltre una certa soglia, diventa il meccanismo più disadattivo che si possa immaginare: basti pensare che il 50% dei disturbi della psicopatologia sono basati sulla paura.

Al primo posto nella classifica delle paure più importanti e più frequenti c’è la paura di perdere il controllo. Di sé stessi, della propria mente, del proprio corpo. La paura di perdere il controllo delle proprie sensazioni e andare in panico, la paura di arrossire e fare una figuraccia, la paura di farsela addosso in pubblico, la paura di impazzire, la paura di compiere involontariamente atti inaccettabili, la paura di pensare a pensieri osceni o immorali… sono solo alcune tra le più frequenti manifestazioni della paura di perdere il controllo.

Fino a quando siamo noi ad instaurare e dare vita alla paura, dopo un attento esame di coscienza, proviamo a rimuoverne le cause usando l’arma più formidabile di cui ci ha dotato la natura: la nostra ragione.
Ma se veniamo investiti, nostro malgrado, da una qualsivoglia aggressione esterna, raccogliamo le forze per reagire, contrastare, resistere. Altrimenti la nostra stessa paura ci bloccherà e le nostre difese saranno flebili ed inutili: inevitabilmente saremo travolti.

 

N.d.R.: Desidero segnalare due Numeri di questo BLOG che riguardano il presente argomento:

 

Numero2032. :

 

La paura non impedisce la morte,

impedisce la vita.

 

Numero2014. :

 

La prima qualità di un onest’uomo

è il disprezzo della religione,

che ci vuole timorosi della cosa

più naturale del mondo, che è la morte,

odiatori dell’unica cosa bella

che il destino ci ha dato, che è la vita,

e aspiranti ad un cielo dove

di eterna beatitudine vivono solo i pianeti,

che non godono né di premi,

né di condanne, ma del loro moto.

 

Umberto Eco.

Numero2560.

 

L A   P A U R A

 

” Dobbiamo avere paura.

La paura è una virtù:

allontana dai pericoli

della tentazione. La paura

ci protegge dal male che

portiamo dentro noi stessi

e dalla voce malvagia

che ci fa confondere

fra giusto e sbagliato.

Non è la ragione, ma la fede

che ci aiuta a tenere

a bada i nostri mostri.

Al pari del dolore, si avverte

quando danneggiamo noi stessi.

La paura è un dono che

il Signore ci ha fatto.

Oggi più che mai, dobbiamo

tutti imparare ad avere paura.

Ci sono porte che non vanno

mai aperte e nemmeno

socchiuse, perché il male

sa penetrare attraverso

le più piccole debolezze.”

 

Queste parole, rivolte ai fedeli, sono pronunciate sul pulpito dal pastore cristiano protestante di uno sperduto villaggio della Groenlandia, nel film “The hanging sun – Il sole di mezzanotte”, tratto dall’omonimo romanzo di Jo Nesbo.

 

N.d.R.: Promuovere e inculcare la paura e il senso di colpa è sempre stata la formula vincente delle religioni monoteiste per implementare il controllo delle coscienze: é un disastroso e devastante disturbo dell’anima.

Vi rimando alla lettura del Numero2533. dove espongo il mio pensiero su questo tema, applicato alla mia vita.

 

 

Numero2401.

 

Mi è arrivata su WHATSAPP, scritta e interpretata da Gianluca Apicella, con

chiaro riferimento alla poesia di Totò, ‘A LIVELLA, questa poesia recitata.

 

Ho cercato di scriverla, per quel che ne so di Napoletano: non vi

nascondo che è un po’ difficile, da capire e anche da scrivere.

Accetto, di buon grado, correzioni e suggerimenti per migliorare

la stesura di questo colorito, quanto condivisibile, testo.

 

‘O  RUSSO  È  N’ OMM’ ‘E  MERD !

 

Voglio parlà cu tte, cinque minuti,

soltanto pe’ te chiedere: Hai fernuto?

Ti rendi cunto di quanto staie facenno

e  quanta ggente tu staie distruggenno?

Pe’ colpa toia, campammo ‘nt’ a paura,

e tu ci guardi con disinvoltura.

Te si’ fissato ca vuò chiù potere,

ma staie pazzianno o staie facenno ‘o vero?!

E sulo pe’ te sèntere chiù grosso,

tu miette ‘o munno sano dint’ ‘o fuosso.

Vabbe’, ma tanto a te che te ne fotte,

se sape, nun si’ tu che vaie là sotto.

Tu, forse, ‘e vote, te siente chiù potente,

ma sta perdenno ‘a vita tanta ggente.

E tu, co’ tanto pilo in copp’ ‘o core,

staie fermo e guardi ‘o munno mentre more.

Chiagnenno, ‘na mugliera fuje luntano

e porta ‘na creatura, man’ in mano,

e ‘o marito sta là, co’ o mitra ‘n mano

e guarda ‘a vita mentre s’alluntana.

Pe’ miezz’ ‘e strade, sonano ‘e ssirene,

e a nuie se ggela ‘o sanghe dint’ ‘e vvene.

E vanno a terra n’ ‘ati doie palazzi.

Guagliò, sienteme a mme, tu si’ nu pazzo.

Ma che te serve tutto ‘stu cumanno?

‘O vuò capì ca tiene settant’anni?!

Si’ fatt’ ‘e carne e ossa, nun si’ eterno,

e doppo tu, ca cunt’ a ‘o patreterno?

Pe’ ‘a te conquistà ‘sti quattro mura,

haie massacrato tutte ‘sti creature?

Perciò, chiedi a te stesso a mmò,

e si nun sient’ a mme, siente a Totò.

Fernisci ‘e fare tutto ‘stu burdello,

‘a morte ‘o ssaie che d’è? È ‘na livella.                                       In corsivo: versi della poesia “‘A livella” di Totò.

‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo,

trasenno ‘stu canciello ha fatto ‘o punto

c’ ha perso tutto, ‘a vita e ppure ‘o nomme,

e tu, non t’è fatto ancora chisto cunto.

E co’ rispetto de ‘sta poesia speciale,

m’aggio deciso ‘e càgnare ‘o finale.

Perciò, stamme a sentì, nun fa’ ‘o testardo,

si’ ancora a tiempo, nun è troppo tardi.

Tanto se sape, l’Ucraina perde,

ma tu si’ sempe ‘o russo, ma ‘o russo… è n’ omm’ ‘e merd.

 

N.d.R. : su consiglio del mio amico Efrem, presento qui la traduzione.
Non posso scriverla a fianco di ogni verso, perché sul cellulare non si potrebbe leggere.
Spero che, comunque, sia utile alla comprensione.

La poesia di Totò, ‘A livella, si trova al Numero1136.

 

Voglio parlare con te, cinque minuti,

soltanto per chiederti: Hai finito?

Ti rendi conto di quanto stai facendo,

e quanta gente tu stai distruggendo?

Per colpa tua, viviamo nella paura,

e tu ci guardi con disinvoltura (noncuranza).

Ti sei fissato che vuoi più potere,

ma stai dando di matto, o stai facendo sul serio?

E solo per sentirti più grande,

tu metti il mondo intero nella fossa.

Vabbè, ma tanto a te che te ne fotte,

si sa, non sei tu che vai là sotto.

Tu forse, a volte, ti senti più potente,

ma sta perdendo la vita tanta gente.

E tu, con tanto pelo sul cuore (come dire: con tanto pelo sullo stomaco)

stai fermo e guardi il mondo mentre muore.

Piangendo una moglie fugge lontano,

e porta un figlio (o figlia) per mano,

e il marito sta là, col mitra in mano,

e guarda la vita mentre si allontana.

In mezzo alle strade suonano le sirene,

e a noi si gela il sangue nelle vene.

E vanno a terra altri due palazzi:

ragazzo, stammi a sentire, tu sei un pazzo.

Ma che ti serve tutto questo comando?

lo vuoi capire che hai settant’anni?

Sei fatto di carne e ossa, non sei eterno,

e dopo tu, che racconti al padreterno?

Per accaparrarti queste quattro mura,

ha massacrato tutte queste creature?

Perciò, interroga te stesso, adesso,

e se non ascolti me, ascolta Totò,

Smetti di fare tutto ‘sto bordello,

la morte sai che è? È una livella.

Un re, un magistrato, un grand’uomo,

attraversando questo cancello ha ha fatto il punto (della situazione)

che ha perso tutto, la vita e pure il nome,

e tu, non hai fatto ancora questo conto?

E con rispetto di questa poesia speciale,

mi sono deciso a cambiare il finale.

Perciò, stammi a sentire, non fare il testardo,

sei ancora in tempo, non è troppo tardi,.

Tanto si sa, l’Ucraina perde,

ma tu sei sempre il russo, ma il russo…. è un uomo di merda.

 

 

 

 

Numero2124.

 

C’era una volta (1992) il libro “Il paziente inglese” di Michael Ondaatje.

Poi (1996), il film, con lo stesso titolo, di Anthony Minghella tratto da questo romanzo, con Kristin Scott Thomas, Juliette Binoche, Ralph Fienness, Colin Firth, Daniel Defoe ecc..

Adesso (fine 2020), è arrivata anche la “variante inglese” del COVID19.

Ci mancava….

Numero2120.

 

MALA  TEMPORA  CURRUNT

 

C’era una volta, a Napoli, il “caffè sospeso”. ( prepagato per chi non ha )

Poi è venuto il “panaro sospeso” ( chi ha metta, chi non ha prenda ).

E adesso, ancora, la “spesa sospesa” ( per chi non può comprarla ).

Il periodo del COVID19 è un …. “tempo sospeso” ( non si sa più che fare ).

E questa povera Italia è un “paese sospeso” ( sull’orlo di un baratro ).

 

Numero2088.

 

UN  TIMORE  È  UN  DESIDERIO

 

Ho ascoltato, di sfuggita, questa frase apparentemente contraddittoria. Mi ha indotto ad una intima riflessione.

Desiderio e paura: due facce della stessa medaglia

Che relazione c’è tra desiderio e paura e come possono entrambi rafforzare la purezza della volontà se veicolati con la giusta energia e auto-osservazione.

 

Entrambe le condizioni – sia quella di uno stato legato alla paura o mosso dal desiderio – sono estremamente vicine l’una all’altra. In quanto esseri umani siamo soggetti a variazioni del sentire che possono prendere determinate forme e avere un influsso predominante sulle azioni.

Se però si osserva, ci si ascolta, senza giudizio, con il puro scopo di conoscersi bene e sempre meglio, ecco che sentire certe spinte può rivelarsi un primo, prezioso passo per veicolarle nella direzione utile alla nostra condizione attuale dal punto di vista materiale e spirituale insieme.

Entrare in contatto con l’intuizione profonda, che sa comunicarci immediatamente cosa è bene per noi, presuppone darsi la possibilità di sentire.

Se si avverte invece paura ma, per un condizionamento interno misto a uno sociale, la si ostacola o la si nega, non ci si orienta su uno stato di evoluzione, non si vive in pieno il ruolo di protagonisti nella propria esistenza.

 

La dialettica tra paura e desiderio

È una vera e propria tensione quella che gioca dentro di noi e che può travolgerci o muoverci in senso utile. È una tensione necessaria e squisitamente umana.

Alle basi di questa tensione ci sono due tipi di impulsi: l’impulso repulsivo e l’impulso attrattivo, che partono sempre da un movimento emozionale (non mi piace/mi piace).

Se non si sta nel radicamento e nel presente, questi impulsi diventano imperanti e noi diventiamo l’arena dove si gioca un dualismo spietato e controproducente, in grado di attingere alla nostra energia vitale, alla nostra capacità di operare delle scelte in accordo con il cuore.

 

La coppia, tra desiderio e paura

Basta prendere il caso tipico del rapporto di coppia vissuto in senso ordinario, senza un reale intento di sacra condivisione: se voglio e desidero quella persona, temo anche di perderla o di assistere al suo allontanamento o che qualcuno subentri e guasti il rapporto. Questo gioco si traduce immediatamente in stati ansiosi anche di alta intensità.

Se mi distacco un attimo da tale dualismo comprendo che, di fatto, io possiedo nessuno, considerando anche e prima di tutto quanto prioritaria dovrebbe essere la gestione di se stessi. Se questo diventa il mio obiettivo, sarò impegnato in un procedimento che coinvolgerà l’altro non come vittima oppure oggetto, ma come partecipe di un processo che aggiunge luce e leggerezza.

Di fatto, si può amare senza sviluppare timore? La meccanica sembra appartenerci in quanto esseri umani, ma nostra è anche l’abilità di trasformare. Noi siamo partecipi del nostro microcosmo e possiamo adattarci al cambiamento, imparare a gestire le emozioni.

 

Desiderio e paura: la gestione delle emozioni

Possiamo pensare al desiderio come a un intento, come un obiettivo su cui tenere la mira, considerando la tensione che esso produce e gli ostacoli che potremmo via via incontrare.

Possiamo cavalcare l’esistenza senza essere trascinati da forze che ci ostiniamo a non voler guardare oggettivamente.

Occorre osservare gli impulsi fisici che la paura e il desiderio scatenano, imparare a riconoscerli.
Possiamo diventare intimi della nostra stessa sfera emotiva, prima di invadere, penetrare, criticare senza rispetto quella dell’altro.

Chi non è capace di gestire se stesso e, pertanto, non è soddisfatto del rapporto che ha con se stesso, come rimozione e compensazione in questo stato di difficoltà, per non svilire la propria personalità, tenderà a sopraffare l’altro.

 

Numero1976.

 

Pubblico, così come l’ho letta, questa lettera aperta mandata da Alan.

Ricordo, per inciso, di aver giocato, in gioventù, contro l’Avv. Prof. Sergio Kostoris (del Tennis Club Triestino), un match di Coppa Italia sui campi di Padriciano, uscendone sconfitto. Bel giocatore, aveva una classifica troppo alta per me.

 

Camera Penale di Trieste
Prof. Sergio Kostoris
Presidenza
giadrossi@studiolegalegiadrossi.it
tel. 040/360232 – fax 040/660322
34122 TRIESTE Via Santa Caterina da Siena 5

Sentinella, quanto resta della notte? (Isaia 21,11)

L’Italia è alle prese con un’importante emergenza sanitaria. In modo diverso da
altri paesi europei, altrettanto coinvolti dalla pandemia da Covid 19, a due mesi dalle prime notizie di un’emergenza sanitaria nel lodigiano, continuano a essere mantenuti in vigore provvedimenti eccezionalmente limitativi delle libertà fondamentali dei cittadini.
La popolazione nelle prime settimane ha accolto le nuove regole con grande
senso civico. Si è dimostrata partecipe degli eventi luttuosi che stavano colpendo in particolare la Lombardia rimanendo nelle proprie abitazioni, sventolando bandiere e riorganizzando la propria vita familiare e lavorativa, in attesa di un segnale di conclusione dell’emergenza. La dubbia costituzionalità delle forme di decretazione assunte dal Governo e l’assenza di logicità e proporzionalità tra le esigenze sanitarie e le limitazioni imposte ai cittadini, a molti sono apparse evidenti. Incomprensibili erano e sono le ragioni di impedire ai cittadini di frequentare luoghi isolati e di consentire ai genitori di accompagnare i loro figli, con i quali convivono l’intera giornata, ad esempio a fare la spesa.
Ora tutto ciò non può essere più accettato. La creazione volontaria di stati di
emergenza permanenti è divenuta una prassi degli Stati contemporanei, anche di quelli che si definiscono democratici.
Vogliamo ricordare come Giuseppe Dossetti, giurista e uno dei componenti più
attivi nell’Assemblea che predispose il testo della nostra Costituzione, propose un articolo che doveva prevedere che “quando i poteri pubblici violano le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalle Costituzione, la  resistenza all’oppressione è un diritto e un dovere del cittadino”. L’articolo non fu approvato ma questo rimane un monito in uno Stato di diritto.
I provvedimenti più recenti che il Governo e le Regioni in queste settimane hanno adottato, invece di ripristinare le regole di vita quotidiana, hanno ulteriormente ristretto, con dettagli propri del peggiore burocratismo, le maglie dello spazio di libertà concesso agli individui, imponendo comportamenti, quali ad esempio l’obbligo di circolare, anche
in assenza di altre persone, pena una pesante sanzione pecuniaria, con mascherine che le autorità si sono dimostrate persino incapaci di fornire ai cittadini. Misure incomprensibili laddove si consideri che, nel pieno dell’emergenza, non erano state ritenute necessarie e che la gran parte del mondo scientifico le ha ritenute inutili ove si mantenga l’opportuno distanziamento per far rispettare queste norme, essenzialmente a carattere di
prudenza, invece di essere declinata con le forme di un orientamento o invito delle persone ad assumere comportamenti più consoni alla situazione sanitaria del paese, si è trasformata, di ora in ora, in una caccia all’untore, una gara delle forze dell’ordine a contestare il maggior numero possibile di sanzioni, instaurando un inaccettabile controllo capillare di polizia che non ha precedenti nella storia repubblicana. Un clima che ha avuto il suo epilogo durante le feste pasquali che hanno visto il dispiegamento da parte
delle forze dell’ordine e dell’esercito di uomini e mezzi, anche di elicotteri e droni, allo scopo di individuare persone ree solamente di essersi allontanate di qualche centinaio di metri dalla loro abitazione in città e luoghi pressoché deserti. Ciò ha fatto riemergere, in una seppur minima parte della popolazione, pruriti delatori che ci si augurava rimossi in una società incline alla solidarietà e alla convivenza, piuttosto che infestata da elementi psicologicamente turbati, e come tali funzionali al sistema di controllo. Una condizione questa che sembra essere stata artatamente favorita per celare le evidenti falle nel sistema della prevenzione, emergendo d’ora in ora, la sottovalutazione, se non il deliberato occultamento, dei luoghi di diffusione del contagio.
E’ stato fermato un intero paese, le sue attività economiche, la vita sociale in tutte le sue forme, la pubblica amministrazione, sono stati chiusi i palazzi di giustizia, interdicendo persino l’accesso ai luoghi di culto e agli spazi naturali, a conforto dell’anima e del corpo, senza che venissero adeguatamente individuate e isolate, informando la popolazione, quelle che erano le prevedibili aree di maggiore pericolosità di contagio.
L’epidemia sembra stia divenendo un laboratorio per sperimentare forme nuove di governo contrarie ai principi costituzionali. Un esempio per tutti è quello di rivedere il sistema processuale, in particolare quello più delicato che ha la funzione di accertare la responsabilità penale dell’individuo, allontanando dalle aule gli avvocati, favorendo soluzioni di partecipazione ai processi che lascino gli imputati privi di un’effettiva difesa. Società infetta, diritto penale corrotto.
La proposta di utilizzo di app volte al contact tracing, poi, deve necessariamente fare i conti con il principio di proporzionalità della misura che si vuole adottare e passa attraverso una preliminare verifica dell’insufficienza degli ordinari metodi utilizzati dalla scienza epidemiologica ove correttamente attivati, pena il pericolo di un’inutile quanto invasiva imposizione diffusa di una sorta di braccialetto elettronico.
I penalisti italiani, per il ruolo che nella storia hanno avuto, in particolare in
questo momento dominato da derive populistiche e bassi opportunismi politici, devono insorgere contro regole liberticide e la brutalizzazione del sistema e dei rapporti sociali, ricordando come le ragioni di una filosofia liberale siano quelle di ogni consociato.
Penalisti italiani, dobbiamo chiedere di uscire subito da questo preteso stato di
eccezione!
Trieste li 20 aprile 2020
La Camera Penale di Trieste
Alessandro Giadrossi