Numero2964.

 

C H I A R O V E G G E N Z A

 

Io sono del segno del Cancro e, senza volerla e cercarla, mi sono imbattuto in questa notizia che mi ha un poco sorpreso, proprio perché mi riguarda, ma che non avevo mai preso in considerazione:

Quando si dice che nessuno conosce se stesso come dovrebbe ….

“La CHIAROVEGGENZA, ovvero il Sesto Senso, è il superpotere delle persone nate sotto il segno del Cancro.

Nel mondo dei fumetti, un cancerino sarebbe un mutante con poteri telecinetici.

Nel mondo reale, ha sempre in testa quel qualcosa in più che lo fa andare 10 passi più avanti agli altri, un intuito che difficilmente sbaglia”.

C’è puzza d’incenso in giro ….?

Numero2963.

 

M O M E N T I    D I    S O L I T U D I N E

 

Sì, io me li ritaglio spesso e a lungo ed in un ambiente confortevole e rassicurante come casa mia.

Li adoro perché rappresentano una crescita personale ed un bisogno interiore.

I momenti di solitudine, infatti, non sono mica una prigione.

Al contrario, un isolamento non momentaneo cercato e voluto, è uno stare bene con se stessi, riflettere, trovare soluzioni, specchiarsi nella propria intima spiritualità.

La solitudine forzata, invece , investe uno stato emotivo differente nel quale emergono solo aspetti negativi.

Un essere umano caratterialmente normale e semplice è, di solito, più propenso a stare con gli altri ma, a volte, succede che ci si può ritrovare a star male se circondati da tante persone.

Un soggetto forte ed acculturato, invece, si sa appartare con i propri pensieri per sentirsi libero nella sua indipendenza spazio – temporale esplorativa e riflessiva.

Chi non sa stare bene da solo, difficilmente può essere un buon compagno.

Numero2961.

 

A D D I O,    E F R E M

 

Sui campi in terra celeste, giocheremo insieme il doppio …. ancora.

 

Addio, Efrem, addio amico mio.

 

Addio a Efrem Cosmacini, padre dell’istituto Kennedy a Udine

Il professionista aveva fondato, negli anni Settanta, il Kennedy, uno dei primi istituti scolastici paritari in Italia e a Udine in cui proponeva il recupero di anni scolastici per i vari indirizzi degli istituti superiori

MARISTELLA CESCUTTI

 minuto di lettura
Addio a Cosmacini, padre dell’istituto Kennedy 

Addio a Efrem Cosmacini, papà dell’istituto Kennedy di Udine. Cosmacini aveva 77 anni. Il suo cuore si è fermato nella sua casa dopo l’acutizzarsi di una patologia della quale soffriva da tempo.

Il professionista aveva fondato, negli anni Settanta, il Kennedy, uno dei primi istituti scolastici paritari in Italia e a Udine in cui proponeva il recupero di anni scolastici per i vari indirizzi degli istituti superiori. Una delle prime sedi del Kennedy è stata in via Poscolle e in via Santa Giustina per poi essere unificate in nuovo edificio in via Pieri, oggi sede staccata dell’ospedale Santa Maria della Misericordia.

Imprenditore lungimirante, Cosmacini negli anni ha investito sempre sulle proprie potenzialità e sul suo team che lo affiancava , condividendo con esso la stessa passione per la scuola . Quest’ultima, infatti, era da lui concepita in un modo completamente innovativo. Gli Istituti Kennedy in Regione sono stati, infatti, i primi ad introdurre uno studio interattivo legato alla nascente tecnologia digitale. Il liceo linguistico come percorso di studi privato in Friuli non esisteva è stato introdotto dal Kennedy, utilizzando un laboratorio linguistico all’avanguardia, mentre per le altre discipline era anche disponibile un laboratorio di informatica, tra i primi in Italia negli anni Ottanta. Cosmacini ha, infine, condotto tutti gli studenti al termine del loro percorso scolastico chiudendo l’attività nei primi anni Duemila.

«Mi ha insegnato la vita, a lavorare. Oggi sono un imprenditore di un’azienda che opera nel campo dell’astronomia – ricorda il figlio Marco –. Un papà che mi ha trasmesso i valori corretti della vita, l’importanza della famiglia, del lavoro e dell’onestà. Il carattere era forte; un uomo generoso con tutti, anche con le famiglie dei suoi studenti. Quando è nato il suo nipote Leonardo è diventato un nonno affettuoso. La sua passione oltre al lavoro era lo sport: il tennis, che ha continuato a praticare fino a pochi mesi fa, e la sua Udinese».

Numero2959.

 

I L    S E N S O    D I    C O L P A

 

È un condizionatore, un congelatore, un aspiratore, una lavatrice, ma non è un elettrodomestico.
Funziona per mezzo di una corrente che non è quella elettrica.

Che cos’è?

È un condizionatore di spiriti, un aspiratore di credulità, un congelatore di coscienze, una lavatrice di cervelli e funziona con la corrente di pensiero della religiosità.

Per millenni, su miliardi di persone, ha funzionato egregiamente attraverso la religione, e continua a farlo nella vita di ogni giorno di tanti intorno a me: è il giogo del “senso di colpa”.

Un giogo che non è un gioco.

Per la religione Cattolica, ad incutere il senso di colpa è il “il peccato”, addirittura quello originale: la colpa di essere nati e, proprio solo per questo, peccatori.

Colpevolizzare la gente è un “trucco” psicologico perfidamente sottile ma vincente per il controllo delle coscienze.

Non riesci a liberartene. Se qualche volta, in certe rare occasioni, ce la fai a divincolarti da esso, subito dopo ne senti la mancanza e sei tu stesso ad “autoaggiogarti” di nuovo, perché, a starne senza, ti trovi perso.

Allenato come sei ad averlo sempre addosso, ad essere soggiogato, se non ne avverti il peso, ti senti, ancora una volta e sempre, …. in colpa.

Numero2956.

 

B I L A N C I O    D I    V I T A

 

Ormai ho trovato la mia strada

per il mio esodo da questo mondo.

Ora so che, qualunque cosa accada,

questa mia vita non è stata, in fondo,

 

così inutile. Ma non me ne vanto:

forse poteva anche essere migliore,

e se non sono stato proprio un santo,

non sono stato neanche un peccatore.

 

E non è andata male, dopotutto:

non ho grandi successi che festeggio,

ma ho più costruito che distrutto,

 

è più una vittoria che un pareggio.

Invecchiare ora so che è proprio brutto,

però l’alternativa è molto peggio.

Numero2955.

 

 

P O E S I E    I N    R I M A

 

 

Ma scrivere le poesie in rima,

perché mai mi piace così tanto?

Mi costringo a pensare tutto prima,

prostituendo delle idee l’incanto.

 

Le parole non sono mie nemiche,

ne ho fatta una scorta nella mente,

sono il retaggio di letture antiche:

se le cerco, le trovo facilmente.

 

Ma in certi giorni, soli ed alienanti,

scambio poche parole con qualcuno,

e di pensieri ce ne sono tanti:

ecco, li metto in ordine, uno ad uno.

 

Quando più elegante scorre il testo,

più piacevole sarà la lettura:

con questa spiegazione ho il pretesto

di fare, forse, una più bella figura.

 

Ma, magari, mi sbaglio, non è così:

c’è chi trova la rima puerile,

vetusta, non è una moda d’oggidì,

chi l’adopera non ha proprio stile.

 

Non me ne frega niente! Non è detto

che il RAP, ad esempio, sia armonioso:

la metrica, assai spesso, è in difetto

e l’ascolto è, del tutto, obbrobrioso.

 

Il mio antiquariato letterario

è diventato una ricercatezza,

io ne resto ambasciatore onorario:

so che qualcuno, forse, non l’apprezza.

 

Ma sono originale e creativo,

odio l’ovvietà, amo il paradosso,

sono fidato e collaborativo,

ma faccio come mi va, più che posso.

 

 

 

 

Numero2947.

 

S E S S O    E    A M O R E

 

Dice Venditti (e non solo lui) che “non c’è sesso senza amore”, ma lui, quando cantava questo, era innamorato.
Molti, specialmente gli uomini, vogliono fare sesso anche senza essere innamorati. Si tratta di una pulsione naturale che considera il sesso un atto ricreativo e di personale gratificazione, come può essere anche l’autoerotismo del resto, che può essere desiderato a prescindere dall'”alibi” del rapporto d’amore con il/la partner.

Una donna è molto più coinvolta emotivamente ed affettivamente e vorrebbe che il rapporto sessuale fosse l’espressione più alta del desiderio reciproco che è la risultante di tante componenti.
Per il maschio queste componenti sono prevalentemente di ordine fisico: ed esempio la bellezza corporea, “il sex appeal”, la complicità e la partecipazione erotica di un certo livello e via dicendo. Tutte cose riscontrabili e reperibili anche genericamente, senza bisogno di concentrarsi e monopolizzarsi su una sola e unica donna.

Per la femmina, invece, conta molto di più il bisogno di essere amata e desiderata per quella che è, intendendo per questo di godere di una certa esclusività ed anche di un “ascendente” particolare che lei detiene come arma di seduzione personale che, ovviamente, si attribuisce per sana autostima.
Essere concupita sessualmente dal maschio, legittimo od occasionale, le conferisce una straordinaria conferma della propria caratura umana ed erotica.

 

Ma ribaltiamo l’ipotesi: esiste l’amore senza il sesso?
È ancora e sempre amore quello che i due componenti di una coppia provano reciprocamente, senza avere rapporti sessuali?

Possono essere tanti i motivi per cui, in una coppia, non si pratica più il sesso.
Può succedere che uno dei due diventi portatore di una patologia ostativa, o di una carenza o di una condizione fisica debilitante, oppure riporti qualche trauma, anche psicologico, che pregiudichi in modo continuativo la sua praticabilità dal punto di vista della sessualità.
Oppure, molto più banalmente, è scemata del tutto l’attrazione fisica ed emotiva preesistente.
Però, possono persistere immutati i rapporti, psicologicamente appaganti, della stima personale, del rispetto reciproco, dell’affetto, vero e profondo, che, magari da tanti anni, ha unito i componenti della coppia.

Il sesso può anche passare in secondo, terzo o quarto piano ma estrometterlo del tutto vuol dire rinunciare all’unico vero momento intimo e gratificante di una coppia. Il momento in cui ci si guarda dentro. Un momento in cui il tempo si ferma, si fermano i pensieri e si lascia il mondo fuori. E non è solo sesso… È anche il prima: come ci si arriva. È il dopo: come ci si sente…
Due componenti fondamentali! È abbandonarsi. Desiderarsi. Concedersi in modo esclusivo.

Per rispondere al quesito di partenza, direi che non si tratta più di Amore con la A maiuscola, quello della gioventù, quello della pienezza dei sensi, quello degli exploit, quello che De André chiama “l’amore che strappa i capelli”.

L’amore senza sesso è, però, una specie di “amore in tono minore”, senza esaltazioni, non conclamato, non gridato od esibito, ma vissuto a basso profilo, molto intimizzato, molto complice e, a suo modo, egualmente profondo.
Anzi, è fatto di tante piccole cose ed attenzioni, anche di tante parole che rispecchiano lo stato d’animo, di due che, consapevolmente e onestamente, hanno scelto di continuare la loro relazione su un altro binario che, ben lungi dall’essere un binario morto, li può portare molto lontano, con condizioni di viaggio molto più confortevoli e confacenti alla loro età presente e futura.
Io lo considero un “coronamento” dell’amore della prima fase.

Insomma, l’Amore con la A maiuscola non è un assoluto, non è per sempre. È una chimera transeunte.
Decade e si trasforma, adattandosi alla legge del tempo, e diventa un Affetto con la A maiuscola.
E questo è la versione più nobile e umanamente gestibile del rapporto di coppia, che si consolida e rimane valido, nella misura in cui era valido l’amore originale, quello dei tempi migliori.

Numero2938.

 

A T E I    E    R E L I G I O N I

 

Gli atei pensano che la dottrina teologica

e la religione siano artefatti umani, ossia,

risultati di leggende ed opere letterarie UMANE.

Pertanto, non vi attribuiscono alcun valore

di “comandamento divino”, ma soltanto

di “legge umana scritta per un certo luogo e tempo”.

Essa, però, è stata ed è strumentalizzata

per scopi nient’ affatto “divini”,

ma solo per detenere e gestire poteri terreni.

Numero2925.

 

I N    M O R T E    D I    U N    E X    C O M P A G N O    D I    C L A S S E           (TRENO O EPICEDIO)

 

Caro Pierluigi, vecchio compagno di scuola al Liceo Classico Stellini di Udine, nella seconda metà degli anni ’60, mentre io sto scrivendo, si stanno svolgendo le meste esequie per l’estremo saluto a te, morto da alcuni giorni, dopo lunga malattia per un male incurabile.
Casualmente, circa un mese fa, la cara Giuliana, amica mia da oltre quarant’anni, nominò, con nome e cognome, te, suo amico e sodale nella pratica della fede, e subito le ho chiesto se si trattava di quella persona che avrebbe potuto essere il mio ex compagno di classe, ai tempi del Liceo Classico.
Abbiamo appurato che si trattava veramente di te e, senza esitazione, le ho chiesto di darmi il tuo numero di telefono perché intendevo chiamarti per ripristinare un contatto, dopo oltre 65 anni. Me l’ha dato insieme ad alcune notizie, per sommi capi, sulla tua situazione e sulle tue condizioni di salute.
Ma tu stesso, per primo, avendo avuto da Giuliana il mio numero, mi hai preceduto con un messaggio WhatsApp. Eccolo:

Caro Alberto.
Sono molto contento di averti rintracciato grazie alla Giuliana Belotti.
Mi dicono che giochi a tennis e questo dimostra che stai bene.
Abbiamo passato anni insieme…. ma io di te sapevo solo che eri il più dotato della classe.
Spero tu sia sereno.
Ti auguro ogni bene.
Io sono ammalato di cancro non operabile,
ma sono ben curato.
La mia vita è stata piena di soddisfazioni a tutti i livelli.
Anche oggi sono contornato da mille attenzioni delle tre figlie; il figlio Roberto invece è morto a 32 anni per tumore allo stomaco nel 2006. Mia moglie Mimi mi ha lasciato per un tumore al cervello nel 2015.
Ricordo le tue sonore risate.
Un abbraccio.
Pierluigi

Ti ho risposto così: Ciao, Pierluigi, sono contento di poter ripristinare un contatto con te. Nel pomeriggio, ti chiamo. Mandi.

 

Ti ho chiamato, infatti, e abbiamo parlato, in una lunga telefonata, tu di te e io di me ricordando tante cose e tanti compagni di classe dei nostri bei tempi. A differenza di te, io non ho mai tenuto i contatti con i nostri compagni del Liceo. Tu, invece, anche perché a Udine li avevi vicini, sapevi un po’ tutto di loro. Di alcuni mi hai parlato, ma ti sei ripromesso, dopo una ricognizione nella tua memoria, di richiamarmi per farmi una relazione aggiornata e più accurata su tutta la classe: mi avrebbe fatto piacere.
Sono passate ben più di due settimane, ma da te nessuna chiamata e nessuna notizia. Ci siamo visti con Giuliana ad un pranzo in trattoria, una domenica fa. Mi ha chiesto se avevo proseguito nel contatto con te e le ho detto che da un po’ non ti sentivo e che stavo ancora aspettando che tu mi chiamassi. Lei mi ha raccomandato di essere io a chiamarti, se tu non ti facevi sentire. Tre giorni dopo da Giuliana mi è arrivato questo messaggio:

Albert oggi è morto Pierluigi Presacco…purtroppo…

La mia risposta:

Avevo avuto un presentimento. Non capivo perché non chiamava più. Purtroppo….

 

E così ci hai lasciati.

 

Giuliana mi ha fatto sapere quando ci sarebbe il tuo funerale e mi ha chiesto se volevo essere presente anch’io:  sarebbe passata a prendermi per venirci insieme.
Le ho risposto: “No, non ci sarò. Io non sono l’uomo dei funerali. Non vorrei partecipare neanche al mio, di funerale”. Lei si è messa a ridere, ma mi conosce e mi perdona. Perdonami anche tu. Ma, invece che una presenza pubblica, ho preferito dedicarti il ricordo di un episodio che ci ha visti insieme, in altri e migliori tempi.
Mentre in chiesa ci saranno i rituali funebri, io sto scrivendo alla tastiera, pensando a te.

Ieri, abbiamo fatto un pranzo a casa di Rita, sia perché era rientrato dall’Ospedale suo fratello, reduce da un intervento chirurgico, sia perché oggi è il compleanno di Rita e abbiamo avuto una piccola riunione di famiglia.
Sono venuti a trovarci anche mio figlio Ale e la sua compagna e con loro, fra le altre cose, ho parlato anche di te, di come ci siamo ritrovati e subito ripersi.
Ho letto loro il tuo messaggio e hanno voluto sapere di più. E ho raccontato ….
Nel messaggio tu scrivi: “Ricordo le tue sonore risate”.
Ecco, questa frase mi ha fatto ripensare ad un aspetto del mio carattere che quasi avevo cancellato nei miei ricordi.
Da giovane studente, io ero sì, un gran secchione, ma non ero un tetro, barboso, introverso cultore di libri e vocabolari, bensì un monello un po’ “Giamburrasca”, un creativo animatore, un organizzatore di scherzi, anche ai danni di insegnanti. Mi prestavo anche a passare compiti, esercizi, traduzioni, versioni in classe ai compagni che me li chiedevano.
Ricordo che a casa tua ci sono stato più di qualche volta. Ho perfino dormito da te, perché tu mi avevi chiesto di studiare insieme, in qualche weekend.
Poi, mi è saltato in mente che, una volta, a casa tua, una bella casa grande, con bei mobili e tanta luce, c’è stato un “festino”, di quelli che si organizzavano al sabato, per festeggiare un compleanno. Tutta la classe era invitata.

Ebbene, verso la fine della festa, sono arrivati due uomini, uno dei quali era tuo padre e l’altro non ricordo bene chi fosse, forse un tuo parente o un suo amico oppure il padre di una nostra compagna di classe che era venuto a prendere la figlia.
Si sono intrattenuti un po’ con noi, parlando del più e del meno, e quest’ultimo signore, distinto e con una certa cultura, ad un certo punto si è rivolto a noi dicendo più o meno questo:

“Voi, giovani studenti di latino, che ormai masticate da quasi 8 anni, vediamo chi riesce a interpretare e tradurre il significato di una frase latina che adesso vi dico. Guardate che molti illustri latinisti ci hanno provato, ma di soluzioni attendibili poco o niente….
Nel corso di scavi nel sito archeologico del Foro a Roma, è venuta alla luce una lastra di pietra che su una facciata, quella in vista, era liscia e vuota, ma sul retro portava una scritta, che nessuno aveva notato prima perché nascosta.
La scritta era scolpita in caratteri latini e ben leggibile. Eccola:

OLIM

ORTA

OCCISVA

AEDISTI

FIDEM

IGNOTA.

Chi mi sa dire cosa significa?

Punti nell’orgoglio per la sfida, tutti noi ci siamo messi a pensare per trovare la soluzione del rebus che non appariva per niente semplice.
Sono spuntati fuori, fogli di carta, penne, matite, vocabolari e grammatiche latine. Non si sentiva volare una mosca.

Per orientarci, scrivo qui alcuni significati delle 6 parole latine scritte sopra.

OLIM = un tempo, in passato, anticamente.

ORTA = participio passato femminile del verbo “orior” che vuol dire sorgere, alzarsi, spuntare, nascere, cominciare.

OCCISVA = dal verbo “occido” che significa morire, estinguersi, tramontare, svanire, sparire, essere distrutto, cadere, crollare. Bisognava tenere presente l’anomalia della V che si doveva leggere U e che complicava ulteriormente le cose. Cominciò a girare fra i partecipanti al test, la voce che doveva trattarsi di “voce tardo latina”.

AEDISTI = qui il termine era controverso: sembrava il passato remoto di un verbo non conosciuto che aveva la radice di = casa, abitazione, costruzione, “edificio” e simili.

FIDEM = Accusativo singolare femminile del termine fides- ei = fede, fiducia, credenza, lealtà, fedeltà, credulità ecc.

IGNOTA = aggettivo/participio al nominativo (o vocativo, o ablativo) singolare femminile, forse concordabile con ORTA = ignota, sconosciuta.

 

Era passata mezz’ora e nessuno era riuscito a cavare un ragno dal buco.

Io me ne stavo in disparte, un po’ lontano dai miei compagni, che sapevo mi avrebbero avvicinato per chiedermi sicuramente chiarimenti o le miei interpretazioni. Mi sarei deconcentrato se davo retta a loro.
Dopo un po’ arrivai alla conclusione che questo doveva essere uno scherzo, perché la frase non aveva un senso compiuto con i significati di quelle parole.

Mi è venuta l’ispirazione di scrivere le parole tutte in orizzontale e vicine fra loro, le une di seguito alle altre. Così:

OLIMORTAOCCISVAAEDISTIFIDEMIGNOTA:

Allora ho capito che, dopo aver applicato le crasi o elisioni di certe vocali di inizio e fine parola, cosa assai comune nei versi della metrica poetica latina, si poteva scandire la frase in questo modo:

O / LI / MORTACCI / SUA / E / DI / STI / FI / DE / MIGNOTA

Ecco svelato l’arcano!
Si trattava di una frase comune e popolare del vernacolo romanesco, burino e caciottaro, che qualcuno si era divertito a trascrivere con truffaldina maestria su una pietra, per prendere per il culo i lettori.

Le risate e i complimenti tennero banco per il resto della serata.

Te lo ricordi questo episodio?

 

Caro Pierluigi, antico compagno di classe, perduto, ritrovato e, adesso, di nuovo, ma questa volta per sempre, riperduto, mi perdonerai se ho rievocato un po’ spensieratamente questo episodio della nostra bella gioventù.
Oggi, nel giorno del tuo funerale, io, come allora, goliardico burlone e clown un po’ sfrontato, ho voluto ricordarti e ricordarci insieme, come ai bei tempi, con la rievocazione di questo aneddoto di vita studentesca.

Dall’alto di quel cielo celeste, che hai tanto e sempre cercato e adesso raggiunto, per la  tua specchiata rettitudine morale e per la tua profonda devozione religiosa, ridi anche tu con me, a questo ricordo.
Forse, in quel cielo dove il tempo e lo spazio non ci sono più, dove le anime si possono trovare liberamente, magari ci rincontreremo, come non siamo riusciti a fare qui sulla terra. E rideremo insieme. E mi racconterai di quello di cui non sei riuscito a ragguagliarmi. come mi avevi promesso.

E, a proposito di “latinorum”, simpaticamente, come in una “lectio non magistralis”, ti saluto con la locuzione “In manu Dei” (nella mano del Signore) che viene compendiata magnificamente, con una sintetica commistione etimologica, nella più bella parola della nostra lingua friulana: MANDI!

 

 

 

Numero2923.

 

S O L I L O Q U I O

 

È stata colpa mia,

ho fatto tutto io.

C’ho provato a stare

insieme ad una persona

e, per un po’ di tempo,

c’ho anche creduto.

Non riesco proprio

a immaginarmi di avere

un posto in cui tornare,

qualcuno che mi aspetta a casa.

Ogni volta è sempre così.

Vado avanti e mi sembra

di lasciare indietro

un piccolo vuoto in più.

Credo di essere fatto così, sai?

Forse sono destinato

a stare sempre da solo.

Numero2922.

 

C O L L O Q U I O    S U R R E A L E

 

 

“Il posto c’è. E  tu?”

“Sì, ci sono anch’io”.

 

“Io e te ci siamo ancora?”

“Forse non ci siamo ancora stati?”

 

 

“Tu mi pensi qualche volta

in quel modo che sai?”

 

“Sempre, ma tu, nella realtà,

sei meglio dei miei pensieri”.

 

 

“Non voglio farti sentire

una persona che non sei”.

 

“Io sono quella persona,

solo che non lo sapevo”.