Numero1954.

 

RIFLESSIONI

Qualcuno, sul WEB, ha scritto alcuni disarmanti pensieri.

Da meditare e condividere.

 

Ci siamo addormentati in un mondo, e ci siamo svegliati in un altro.

Improvvisamente Disney è fuori dalla magia,
Parigi non è più romantica,
New York non si alza più in piedi,
la Muraglia Cinese non è più una fortezza,
e la Mecca è vuota.

Abbracci & baci diventano improvvisamente armi, e non visitare genitori e amici diventa un atto d’amore.

Improvvisamente ti rendi conto che il potere, la bellezza e il denaro non hanno valore e non riescono a prenderti l’ossigeno per cui stai combattendo.

Il mondo continua la sua vita ed è bellissimo.
Mette solo gli esseri umani in gabbie.
Penso che ci stia inviando un messaggio:
“Non sei necessario. L’aria, la terra
l’acqua e il cielo senza di te stanno bene.
Quando tornate, ricordate che siete miei ospiti.
Non i miei padroni”.

Numero1950.

 

UNA  CURIOSITÀ  DELLA  SERENISSIMA

San Marco non abita più a Venezia.

Una vetrata di SS.Giovanni e PaoloSulla figura dell’evangelista Marco si sviluppò l’intera civiltà di Venezia – lo sanno tutti – tanto da esserne bandiera, Santo patrono, anima … e vanto.  Pochi sanno che le spoglie di Marco furono trafugate da Alessandria d’Egitto (in mano ai musulmani) racchiuse in una pelle di maiale. (N.d.R. Vi chiederete perché. Perché i mussulmani non possono toccare, secondo la legge coranica, il maiale, considerato animale immondo).  Ancor meno sono quelli che sanno il resto della storia: venne accolto in pompa magna, tutto il mondo ne venne a conoscenza… ma venne sepolto in un punto segreto della basilica a scanso di rapimenti.   Le spoglie vennero “ritrovate” solo molto tempo dopo, rinchiuse in un pilastro.  Solo alcuni veneziani sanno che le sue spoglie non si trovano più in città. Sono state riportate in Egitto (Il Cairo) nella basilica a lui intitolata dalla comunità cristiana Copta, che lì nacque per sua mano.

PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEVS ???

Numero1949.

 

UN’ ALTRA  CURIOSITÀ  DELLA  SERENISSIMA

Da dove viene l’espressione : “Paga Pantalone”?

 

Chi non conosce la maschera di Pantalone? Sembra che il nome del vecchiaccio avaro e scorbutico derivi dalla figura di un commerciante ebreo.  Gli ebrei veneziani infatti potevano assumere personale da imbarcare nelle galere commerciali, ed i loro “uffici” lungo la via erano contrassegnati da una bandiera col leone di S.Marco piantata a terra.  Proprio da “pianta leone” il nome nacque, anche se qualcuno dice derivi dai pantaloni che egli indossava (…un po’fiacca, vero?).

Secondo altre ipotesi l’illustrissimo Signor Pantalon de’ Bisognosi era la caricatura piuttosto veritiera del commerciante veneziano, ed il “pianta leone” potrebbe, in tal caso, essere riferito ai veneziani in generale, spesso dediti a piantare bandiere sui territori conquistati…  Sapevate che il buggeratissimo Pantalone diede il suo nome ad un giornale, anche se per soli tre numeri ?

 

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Abbiamo, così, scoperto insieme da dove viene l’espressione “PAGA  PANTALONE”.

Numero1948.

 

RIcevuto da un’amica.

 

PENSIERI  DI ….POI

Ne usciremo con i capelli più lunghi e più bianchi.
Con le mani e le case pulite, ed i vecchi vestiti.
Con la paura e la voglia di essere fuori.
Con la paura e la voglia di incontrare qualcuno.
Ne usciremo con le tasche vuote, e le dispense piene.
Sapremo fare pane e pizza, e non mandare sprecato il cibo che avanza.
Ci ricorderemo che un medico o un infermiere dovrebbero essere applauditi più di un calciatore, e che il lavoro di un bravo insegnante non lo può sostituire uno schermo.
E che cucire mascherine, in certi momenti è più importante che fare alta moda.
Che la tecnologia è importantissima, anzi vitale, quando viene usata bene , ma può essere deleteria se qualcuno la vuole usare per fini propri.
E che non sempre è indispensabile salire in macchina e fuggire chissà dove.
Ne usciremo più soli, ma con la voglia di stare insieme.
E capiremo che la vita è bella perché si vive .
E che siamo gocce di un unico mare.
E che solo insieme si esce da certe situazioni.
Che a volte il bene o il male, ti arriva da chi e quando meno te lo aspetti .
E ci guarderemo allo specchio. E decideremo che forse i capelli bianchi non sono così male.
E che la vita in famiglia ci piace, e impastare del pane per loro, ci fa sentire importanti.
E impareremo ad ascoltarci i respiri, i colpi di tosse, e a guardarci negli occhi, per proteggere chi amiamo.
E a rispettare alcune regole base di convivenza . E ad impararne altre, di nuove.
Magari sarà così.
Oppure no.
Ma stamattina , in un giorno di primavera, voglio sperare che tutto sia possibile e che si possa cambiare in meglio.

TENIAMO  DURO !

 

Numero1947.

 

Mandata da Alan

Gira sul WEB

Anno 2030…Nonno raccontami quando l’Italia divenne una nazione così bella !
E il nonno cominciò: ….era il 2020, dieci anni fa. All’improvviso una epidemia investi tutto il mondo, proveniva dalla Cina …ma era stata portata da altri, forse da militari americani…ma non si seppe mail la verità ! L’Italia fu colpita prima di tutti in Europa, tanti morti, tutti chiusi in casa….paura, diffidenza, gli ospedali erano pieni di gente. Durò alcune settimane….fu dura…tanto! il governo dopo un primo momento di incertezza reagì bene, con forza e coraggio. Tutti gli Italiani dettero prova di grande esempio e spirito di sacrificio. Le persone riscoprirono il valore dell’aiutarsi a vicenda.
Purtroppo la chiusura delle fabbriche e di tantissimi negozi fu il vero problema che dovemmo affrontare. Una crisi spaventosa, alla quale non eravamo preparati. Chiedemmo aiuto all’Europa. All’epoca avevamo una Comunità…così si chiamava: Comunità Europea. Doveva servire per fare un grande Nazione, come gli Stati Uniti. Ma altre Nazioni, come la Germania e l’Olanda….dissero che dovevamo fare da soli. Oppure dargli le nostre aziende, gli aereoporti, le autostrade, l’oro della Banca d’Italia…i nostri risparmi…ma come…dopo quello che avevano combinato, proprio loro!
E allora nonno cosa accadde…..?
Accadde che ci rendemmo conto che dovevamo fare da soli: il Presidente della Repubblica chiamò tutte le aziende e la Banca d’Italia emise un prestito solo per gli Italiani di 100 miliardi…. si chiamava SALVA ITALIA e doveva servire per risollevare le sorti del Paese. Successe l’incredibile… i politici rinunciarono ai loro stipendi per 6 mesi; tutti i dirigenti d’azienda fecero allora la stessa cosa……ed anche tutti coloro che potevano …..investirono la metà dei loro risparmi…..quindi le aziende sane comprarono così tanti titoli che lo Stato Italiano raccolse 300 miliardi in poche settimane. A quel punto chiamarono un grande banchiere…un certo Draghi!
Con quei soldi, non solo superò la crisi del momento, ma ricomprò anche una parte del debito estero che avevamo. Diminuì le tasse per consentire di produrre a costi più bassi….Dopo 4 mesi appena, eravamo la Nazione più in forma del momento, mentre le altre ci stavano a guardare sperando che non c’è la facessimo. Alcune aziende che avevano spostato le loro produzioni all’estero, come la Fiat, tornarono in Italia. A quel punto per far lavorare tutti diminuirono l’orario di lavoro così da non perdere il tempo da passare assieme alla famiglia. Il maggior fatturato consenti di ricomprare ancora i debiti che avevamo fatto negli anni passati.
Eravamo così orgogliosi di essere Italiani, furono anni di grande intensità emotiva e riscoprimmo di essere un grande popolo, fortunato….perché vivevamo nel paese più bello del mondo !
Grazie Nonno …… domani me la ripeti ?
È una storia così bella !!!!! ??

Numero1944.

 

CIAO

La parola ciao  è la più comune forma di saluto amichevole e informale della lingua italiana. Essa è utilizzata sia nell’incontrarsi, sia nell’accomiatarsi, rivolgendosi a una o più persone a cui si dà del tu. Un tempo diffusa soprattutto nell’Italia settentrionale, è divenuta anche di uso internazionale.

In riferimento ai bambini, “fare ciao” indica un gesto di saluto ottenuto aprendo e chiudendo la mano o agitando la mano.

 

Come nacque ciao? Questo saluto semplice che si va sempre più diffondendo, ed è la prima parola alla quale chi non sa ancora l’italiano si aggrappa per stabilire un contatto, il nostro ciao nasce da un saluto cerimonioso e affettato in lingua veneta: “sciao” (pronunciando s e c separate, come in scentrare) cioè schiavo (sciao  era scritto sciavo, e viene dal latino sclavus): come dire schiavo vostroservo vostro: lo troviamo comunemente usato nel teatro di Carlo Goldoni. Passando in Lombardia, terra meno cerimoniosa e più sbrigativa, lo sciao perse la s e divenne ciao. E dalla Lombardia si diffuse in tutta Italia: ma questo avvenne solo all’inizio del Novecento. Oggi ciao viaggia per il mondo.

Ma oggi, molti l’hanno già osservato, il vecchio, glorioso monosillabo che ha varcato gli oceani e le montagne portando dovunque un po’ d’italianità è sempre più insidiato da un ciao ciao ciao, pronunciato frettolosamente, spesso sottovoce, in un’unica emissione di fiato. Il triplice ciao è certamente di origine telefonica: occupa lo spazio di tempo che occorre per deporre il ricevitore, va dunque bruciato velocemente. Si adatta anche al telefono cellulare e qui sta la sua possibilità di durare a lungo.

N.d.R.    Ma è mai possibile che il saluto più diffuso, nella nostra lingua e conosciuto in tutto il mondo, abbia a che fare con la schiavitù, il servilismo, la deferenza ad una classe sociale superiore, che mi ricorda il saluto siciliano “Baciamo le mani, a bossia”. (a bossia = a vossia, cioè a vostra signoria) ?
Eppure è così.
A dire il vero, se incontrate, anche oggi, un Austriaco vi sentirete salutare con un “Servus!”, un loro antico saluto.

Infatti,

Servus è un saluto informale diffuso in gran parte dell’Europa centrale. Deriva dal latino servus (servo, schiavo) e può essere considerato la forma breve dell’espressione “sono vostro servo” o “sono al vostro servizio”.

È comune in BavieraFranconiaAustriaAlto Adige (anche nella forma servas), SloveniaCroazia (servus o serbus), Ungheria (szervusz / szervusztokszia / sziasztok), SlovacchiaTransilvania e nord-ovest della Romania (servus / serus. L’area di diffusione fuori dalla Germania ricalca i territori dell’ex Impero Austroungarico.

In molte parti della Germania meridionale, in Austria, in Alto Adige e nella Romania di nord ovest servus è uno dei saluti più comuni utilizzati dai giovani.

A me non piacciono queste forme di saluto: servilismo, sottomissione, che sanzionano o, soltanto, evocano le differenze sociali o di classe, non devono appartenere alla dignità umana e dei popoli.
Propongo, provocatoriamente, di sostituire, almeno in Italia, il “ciao” con il saluto più bello che io conosco. E non lo dico solo perché è il saluto della lingua friulana, la mia. Ma perché ha un suono e un significato meravigliosi: MANDI.

Anzi, sono due le etimologie più accreditate per questa parola che deriva, chiaramente, dal latino: scegliete voi quella che più vi suggestiona.

Mandi = in manu Dei, cioè “(stai) nelle mani del Signore”, “che il Signore sia con te”. Oppure,
Mandi = mane diu, cioè “rimani a lungo”, “vivi a lungo”: augurio di lunga vita.

Sono entrambi espressione ed interpretazione del carattere riservato, schietto e profondo della nostra gente, che ha mantenuto la sua nobiltà d’animo ed affabilità, nonostante si tratti della popolazione che più di ogni altra, in Italia, ha subito invasioni barbariche e militari della peggior specie.
Friulani, siamo orgogliosi di questa parola di saluto: è il nostro emblema e blasone.
Buoni con tutti, servi di nessuno. Mandi.

 

Numero1943.

 

CURIOSITÀ  STORICHE  D’ ATTUALITÀ

 

Il necroforo (dal greco antico nekró(s)=”morto” + phor(eüs)=”portatore”), anche detto popolarmente becchino o, più volgarmente, beccamorto, a Roma vespillone, è una persona la cui professione è la sepoltura o la cremazione.

 

I monatti, ossia coloro che, che nei periodi di epidemia, erano incaricati di raccogliere e trasportare nei lazzaretti i malati e i cadaveri, a Venezia erano chiamati Pizzigamorti. 

Pizzigamorti o Pizzicamorti erano i becchini veneziani, ossia coloro che erano deputati a vestire e seppellire i morti. La parola becchino o beccamorto deriva dal verbo “beccare”, che significa prendere, e quindi il becchino sarebbe colui che raccoglie i morti. Si consideri anche la maschera con il lungo becco ricurvo, riempito di spezie e unguenti contro la pestilenza, che essi indossavano. La parola potrebbe però anche derivare dal fatto che si afferravano “coll’uncino i morti nei tempi di contagio”; altra spiegazione sarebbe collegata al fatto che venivano anche chiamati in modo dispregiativo “corvi … quasi campassero delle carni de’ morti”, nel senso che vivevano e guadagnavano sulla morte altrui.

Pizzicamorti veneziani erano vestiti con un lungo mantello marrone, simile a quello dei frati e con un berretto del medesimo colore.  Durante le pestilenze, non era però questo l’abito utilizzato dai pizzicamorti, che indossavano casacche di grossa tela e guanti, entrambi coperti di catrame, per evitare qualsiasi contatto con i contagiati, e portavano dei campanelli di ottone per avvertire del loro arrivo. Durante la peste del 1485, indossavano una stola con una croce rossa davanti e dietro come i medici.

“Nel 1485 fuvvi un attacco di peste . S’osservò che la Città da molto tempo non potevasi liberare. I Preti, che andavano a confessare i malati avevano certe vesti , che solevano usare a tal bisogno . Queste per ordine pubblico furono loro tolte e bruciate . Fu pure ordinato, che niuno vendesse tele o abiti vecchi, che i Preti i quali visitavano ammorbati , portassero una stola biava , e così pure i Medici , e quelli che maneggiavano morti o appestati , una Croce rossa di dietro e dinanzi per essere conosciuti” .

Il  Magistrato della Sanità faticava naturalmente a trovare persone disposte a fare il mestiere del becchino nei periodi in cui imperversava la pestilenza. I Pizzigamorti, di solito sottopagati, chiedevano notevoli aumenti di stipendio durante le epidemie. Non essendo comunque essi in numero sufficiente, il governo era costretto ad assoldare dei detenuti, promettendo loro una buona retribuzione. Per lo stesso motivo, le infermiere dei lazzaretti erano quasi tutte prostitute.

Si trattava, in ogni modo, di personale poco affidabile, che rubava dalle case vuote, spogliava dei vestiti e di ogni avere i morti, per poi rivendere la merce rubata e probabilmente infetta. I Pizzicamorti vennero anche accusati di aver intenzionalmente diffuso l’infezione, per poter essere assunti con stipendi più vantaggiosi e guadagnare con il contrabbando. Pur essendo necessari per la salvaguardia della salute pubblica, i Pizzicamorti erano odiati dalla popolazione: nessun altra figura della sanità pubblica aveva contatti così stretti con la peste come loro, e per questo erano considerati pericolosi; al tempo stesso, si sapeva che rubavano ai morti e venivano perciò considerati privi di qualsiasi compassione umana, al pari delle bestie. I Pizzigamorti non erano comunque gli unici a trarre vantaggio dal dramma del contagio; esiste una vasta documentazione archivistica che prova che anche barcaioli e guardie dei lazzaretti  furono condannate per reati di questo genere.

Da un breve opuscolo del notaio veneziano Rocco Benedetti, veniamo a sapere che, durante la peste del 1575, intere famiglie venivano condotte all’aperto e costrette a spogliarsi in pubblico, così che i dottori potessero verificare che non erano infette. I Pizzicamorti giravano per la città e penetravano nelle case di quelli che vivevano da soli e di cui non si avevano più notizie da giorni, abbattendo le porte o entrando dalle finestre; trovavano i residenti morti nei loro letti o per terra, li trasportavano fuori e li caricavano sulle barche, che si muovevano continuamente avanti e indietro dai lazzaretti . Dato che parte del contagio era causato dal fatto che molte persone infette si ostinavano a voler rimanere nelle proprie case, fu decretato per pubblico Editto che:

“per l’avenire, gli feriti senza remissione alcuno si mandassero subito al Lazzaretto vecchio, e gli sani, che in quella casa che si trovassero al Lazzaretto novo, e quelli che non vi volessero o facessero resistentia d’andarvi, se gli gettavano giù la porta dal capo della sanità, e fossero da pizzamorti tratti per forza fuora di casa, e condotti via […] acciò che non si potesse fare contrabandi furono fatte inquisitioni per li sestieri, che andassero inquirendo e formando processo delle case infette, oltra di ciò sentendosi ogni giorno molti ricchiami e querele contra pizzicamorti dell’insolentia e robbarie, che essi facevano per la Città, fu dato a diversi il debito castigo del laccio, e tra gl’altri, alli 3 de Noveb. furono in pleno populo tra le due colonne di S. Marco appesi 4 insieme con una bella giovine d’età de 22 anni per haver dato a loro ricetto la notte in casa, e commodità d’ascondere gli furti”.

 

Caricatura del medico della peste, in Paul Fürst, Die Karikatur und Satire in der E. Hollander, Medizin mediko-kunsthistorische Studie, 1921

                                                                 Caricatura del medico della peste

Lo Stato, durante la terribile epidemia del 1575, dimostrò, in ogni modo, capacità di gestione, fornendo anche le giuste dotazioni ai pizzicamorti per la loro sicurezza.

In una città morta, in cui migliaia di persone abbassano i cestelli dalle finestre per chiedere la carità («fattasi tutta la città questuante», annota tristemente il Fuoli) il governo dà prova della consueta saggezza e sangue freddo: i lazzaretti sono mantenuti efficienti, i rifornimenti di viveri sono assicurati anche nei momenti più difficili, i pizzicamorti, grazie alla dotazione delle casacche di tela incatramata e dei guanti, abbondano, insomma nell’anormalità di una catastrofe senza precedenti si coglie la presenza di un ordinato e razionale intervento dell’apparato dello stato.

Numero1938.

 

CURIOSITA  STORICHE

Cos’erano le CARAMPANE?

Mi pare intrigante ed istruttivo riportare una verità storica non molto conosciuta, se non per vago “sentito dire”, che riguarda abitudini di vita reale di non tanti secoli fa e non molto distanti da qui. A Venezia.

Trascrivo le notizie, raccogliendo e vagliando dal WEB (Wikipedia e altro).

Dalla ricerca sugli “usi e costumi” eterosessuali, si sconfina, inevitabilmente, nel campo omosessuale, per completare il quadro.

 

Venezia nel XIV secolo era all’apice della propria fortuna commerciale e delle arti che vi si svolgevano in un coacervo di navi in arrivo in porto, di merci di tutti i tipi scaricate sulle banchine, di marinai e commercianti di tutte le nazionalità che si muovevano alla ricerca di nuove e vecchie sensazioni.

Nella città giungevano ogni giorno nuovi abitanti attirati dalla facilità di guadagno, ma soprattutto perché vivere nella capitale diventava una concreta possibilità di sopravvivenza, in relazione alla scarsa disponibilità di viveri delle regioni confinanti.

In questa città sempre più caotica dove si concentravano commercianti di varie e lontane regioni per portare le mercanzie delle proprie terre, dove i marinai di tutte le navi si trovavano a terra chi perché appena sbarcato, chi per imbarcarsi per un nuovo viaggio, era naturale che si concentrasse pure un numero notevole di cortigiane che si concedevano a pagamento.

Il Senato della Repubblica di Venezia ha sempre cercato di arginare il diffondersi delle case da meretricio, imponendo, fin dal 1360, che le prostitute si ubicassero nelle vicinanze del grande mercato di Rialto, nel posto definito delle “Carampane”.

Non troppo lontano da Sant’Aponal c’è tutta una zona detta de le Carampane, corruzione (o fusione o crasi) di Ca’ (casa) Rampani, dal nome di una famiglia nobile che aveva lì la casa patrizia. Poco lontano da qui, nel 1360, fu istituito il Castelletto, un gruppo di case dove la Serenissima impose alle prostitute di radunarsi e di esercitare il mestiere. Il Castelletto era chiamato così perché custodito da sei guardiani, e governato con ordini adatti a una fortezza.

A quell’epoca, le meretrici veneziane non godevano di molte libertà, tanto sociali quanto religiose. Non potevano portare gioielli, dovevano vestire in maniera da poter essere riconosciute per strada, non potevano uscire la notte, avevano anche seri vincoli rispetto all’esercizio della loro “professione”. A dispetto delle disposizioni, comunque, molte prostitute si stabilirono in diverse zone della città, ma specialmente alle Carampane. Una specie di “quartiere a luci rosse”, nel tempo, visto che la Dominante – allo scopo di distogliere gli uomini dal “vizio” della sodomia – prescrisse che le meretrici potessero stare davanti alle porte o alle finestre, scoperte in maniera lasciva e illuminate, di sera, da delle lucerne. In pratica, l’antesignano degli odierni peep-show (esibizione erotica visibile attraverso uno spioncino, o, anche, il locale dove questo avviene). 

Non a caso, in questa zona del Sestiere, esistono anche ponte e fondamenta de le Tette, che prendono il nome dall’interessante consuetudine. A tale proposito più tardi, il 27 marzo 1511, le meretrici presentarono una istanza nientemeno che al Patriarca Antonio Contarini, affinché venisse in loro aiuto non potendo esse più vivere: “niun va li lhoro”. Nessuno va con loro, a causa dei cosiddetti peccati “contro natura”. Qualche anno prima, alcune avevano provato ad invogliare i clienti con una acconciatura particolare, detta “al fungo” (consistente nel raccogliere i capelli sulla fronte in modo da formare un ciuffo), che le faceva sembrare più simili a ragazzi. Una novità che non piacque al Consiglio dei Dieci, che la proibì con una legge il 14 marzo 1470.

Carampane ieri e oggi

Tra le curiosità, fino a pochissimi anni fa a Venezia con carampane si intendevano donne di malcostume, o – sempre spregiativamente – vecchie cui si volesse dare delle ruffiane. Ancora oggi con tale termine si fa riferimento – più genericamente – a donne che, ben oltre la mezza età, si danno arie da ragazze, nel trucco, nell’abbigliamento o negli atteggiamenti.

 

Questo delle “Carampane” era proprio una specie di quartiere a luci rosse, dal quale le prostitute non sarebbero potute uscire per non diffondere, con il loro fare lascivo, un cattivo esempio per le cittadine per bene. Nella zona della Carampane c’è il famoso Ponte delle Tette e l’adiacente fondamenta omonima dove appunto le donne potevano mostrare la propria mercanzia anche sedute sul davanzale delle finestre decisamente poco vestite.

Gli edifici loro adibiti diventarono insufficienti per il numero cospicuo delle donne che vi abitavano, quindi si diffusero in città in diversi luoghi, alle Carampane, a San Salvador, e specialmente a San Samuele.

Erano però molto numerosi in città, proprio per la presenza di molti uomini non accompagnati dalle famiglie, gli stupri o addirittura i rapimenti di ragazze, come viene ricordato dalla famosa festa veneziana che attualmente viene rivissuta in prossimità del Carnevale di Venezia, la Festa delle Marie. I Magistrati veneziani erano abbastanza accondiscendenti con le puttane di mestiere e solo in caso di particolari atti gravi, intervenivano contro le signore di strada, spesso solo con sanzioni pecuniarie o corporali. Lo erano molto meno con gli stupratori tanto che “se alcun desverzenerà per forza alcuna zovene, over haverà violentemente da far con Donna maritata, o con femmina corrotta…., tutti doi li occhi perda”.

Venivano pure puniti gli sfruttatori del meretricio, tanto che i papponi subivano sanzioni corporali, ammende e pure la reclusione. Non venivano assolutamente tollerati gli omosessuali e coloro che si prestavano ad atti di sodomia; la punizione, per coloro che fossero risultati colpevoli dei reati loro ascritti, era la decapitazione in Piazza San Marco tra le colonne del Marco e del Todaro ed il loro corpo veniva successivamente bruciato.

Nel ‘500 Venezia manteneva una floridezza che le altre città del mondo non potevano permettersi. Il numero degli abitanti prima della peste del 1575 superava le 175 mila unità, che diventano cospicue se confrontate alle 55 mila di Roma del 1526.

 

OMOSESSUALITA’  A  VENEZIA.

 

La parola omosessualità e stata creata fondendo il termine greco omoios, che vuol dire “simile”, e il termine latino sexus, che vuol dire “sesso”, e si riferisce ad “una disposizione all’esperienza sessuale, affettiva o di romantica attrazione verso le persone dello stesso sesso”.

 

Per l’uomo la penetrazione rettale è il modo più efficace per stimolare la radice del suo membro e la prostata, zona altamente erogena. Qualcuno raggiunge l’orgasmo solo così, mentre altri lo raggiungono affiancando contemporaneamente la masturbazione. L’omosessualità si riscontra in molte specie animali. La diffusione dell’omosessualità nella specie umana è difficile da determinare accuratamente, benché in molte antiche culture le relazioni omosessuali fossero altamente diffuse.

La storia dell’omosessualità

è anche una storia degli atteggiamenti sociali possibili verso un comportamento percepito come “deviante”. L’atteggiamento sociale verso i comportamenti omosessuali ha conosciuto momenti di relativa tolleranza, durante i quali la società ammetteva un certo grado di discussione ed esibizione pubblica del tema, anche attraverso l’arte e le produzioni culturali (come è avvenuto per esempio nell’Atene classica, nella Toscana del Rinascimento, o a Berlino e a Parigi nell’anteguerra), alternandoli però a momenti di repressione durissima.
Con la nascita del movimento gay, si può finalmente guardare a questo mondo come a una “comunità’” strutturata secondo valori e rituali propri.

Ma come era vista in passato la omosessualità ?

In antichità , il maschio era educato per essere padrone e dominatore nel rapporto erotico e di coppia, e tale esigeva di essere anche nel rapporto omosessuale.  Nella Roma antica, sodomizzare uno schiavo era legale, ed era il segno di potenza del  padrone.

Quando si parla di omosessualità in quest’epoca si parla infatti, quasi  automaticamente, di un rapporto fra un adulto e un ragazzo d’eta’ compresa tra i quattordici e diciott’anni (si ricordi che la pubertà, all’epoca, arrivava più tardi).
Uno dei motivi, che era accettato tacitamente anche da parte dei genitori , era ” di essere iniziato alla sessualità, seppure in un modo sentito come “surrogato” e non certo soddisfacente”. Il secondo motivo , anche questo abbastanza importante, era il denaro (determinante in una società povera come quella ). I soldi che un ragazzo poteva aggiungere al bilancio familiare prostituendosi non erano malvisti da tutte le famiglie e non tutti i genitori avevano voglia di chiedersi da dove venissero. Infine, il terzo motivo era quello di attirare l’attenzione di un adulto (altro aspetto importante quando la condizione di giovane non era invidiata e “centrale” come nella cultura attuale).
Era buon uso che un nobile accettasse di prendere in casa un “figlio” per garzone.  in cambio avrebbe potuto portarselo a letto senza problemi. Nascono, cosi, i cosiddetti “boccia da cullo”.

Non doveva essere facile per i sodomiti vivere sereni e senza sensi di colpa. In un mondo dominato dalla Chiesa il peccato era punito non solo da Dio, ma anche dagli uomini.
La Serenissima Repubblica emette leggi, che puniscono aspramente i comportamenti “contro la natura”umana cioè la omosessualità. Gli omosessuali venivano impiccati nelle due colonne della piazzetta di S. Marco e poi bruciati fin che fossero ridotti in cenere. Un colpo davvero grosso misero in scena nel 1407 i magistrati della Repubblica di Venezia: trentacinque sodomiti (non si sa, per la mancanza di documenti, se ad uno ad uno o tutti assieme) furono scoperti e processati. L’avvenimento, al di là delle gravi complicazioni politiche che causo’ (quattordici imputati erano nobili) diventa per noi di grande interesse, perché costituisce una delle prime tracce di una rete di frequentazioni fra sodomiti nelle città italiane del medio evo.

 Gli arresti in massa continuano a costellare per secoli le carte processuali veneziane. Ne troviamo, ad esempio, un altro già nel 1422: diciannove le persone coinvolte, fra cui tre barbieri e parecchi minorenni;  poi nel 1464 vengono incriminate quattordici persone (fra cui cinque nobili), molte delle quali pero fuggono prima della cattura. Nel 1474 abbiamo ancora sei sodomiti (due dei quali nobili) coimputati. La vicenda assume le tinte di un thriller quando l’accusatore viene misteriosamente assassinato. Ma di questa presenza strutturata ci parlano anche le leggi stesse di Venezia . Una di esse, nel 1450, menziona i portici vicini a Rialto e quello della chiesa di S. Martino come luoghi d’incontro di sodomiti. Inoltre i supervisori dell’Arsenale (presso cui si trova la chiesa di S. Martino, ) decidono che “a spese del nostro Tesoro, sia fatto chiudere con grosse assi il predetto portico di san Martino, facendo fare quattro porte ai quattro lati delle colonne, che stiano aperte e chiuse secondo gli orari delle porte della chiesa” . Cinque anni dopo questo decreto, nel 1455, viene deciso di pattugliare certe zone di Venezia, per impedire ai sodomiti di usarle come luoghi di incontro.

Nel 1488 un editto impone di chiudere con assi di legno anche il portico della chiesa di Santa Maria Mater Domini, per i motivi per cui si era già chiuso quello di S. Martino”. Un’ulteriore lista di luoghi da sorvegliare viene stilata in un decreto del 1496, che elenca “magazzini, bastie, scuole, tutti i portici, le case degli scaleteri, taverne, postriboli, case delle prostitute; coloro che (le pattuglie) avranno trovato nei luoghi sospetti,  li dovranno arrestare”.
Alcuni decreti del Consiglio dei X, promulgati nel medesimo secolo, annunciano che, per estirpare «abhominabile vitium sodomiae» (l’abominevole vizio della sodomia), si erano eletti due nobili per contrada. Ogni venerdì si doveva raccogliere il collegio dei deputati ad inquisire sopra i sodomiti. I medici e i barbieri, chiamati a curare qualche uomo o anche qualche femmina, avevano tre giorni per denunciare all’amministrazione le loro”confidenze amorose”. “Gli membri delle pattuglie saranno tenuti a interrogare e investigare se qualcuno gestisca luoghi pubblici o case che vengono chiamate “bastie” (taverne), nelle quali solitamente vengono commessi molti atti illeciti e disonesti, oppure se esistano frequentazioni di eta’ non conveniente, vale a dire adulti che conversano insieme a ragazzi”.
Un nuovo decreto, questa volta per sottoporre a sorveglianza anche gli scaleteri (pasticceri), “poiché siamo stati avvertiti del fatto che nella casa di molti scaleteri di questa nostra città molti giovani, ed altri di diverse età e condizioni, si ritrovano di giorno e di notte, e qui giocano e tengono taverna, e commettono molti atti disonesti. Ci sono stati famosi processi contro omosessuali o per violenza “contro natura”, come quelli contro un tale Francesco Cercato, che fu impiccato per sodomia tra le colonne della Piazzetta San Marco nel 1480, e tale Francesco Fabrizio, prete e poeta, che fu decapitato e bruciato nel 1545 per il “vizio inenarrabile”. La controriforma, cioè la risposta alla riforma di Martin Lutero (stabilita dal concilio di Trento 1570) aveva come scopo quello di “improntare una morale più severa e di spirito cristiano”. Il problema principale di Venezia , un paese di crocevia di gente che andava e veniva per tutto il Mediterraneo, la sodomia (la pratica più diffusa in Venezia) fu condannata nel concilio di Trento. In seguito a questa riforma il Senato deliberò che, in certi posti della città, fosse concesso alle Meretrici di mettere in mostra le proprie virtù per “attirare un pubblico di uomini sempre più numeroso e mantenere così ben saldi gli usi di una cultura eterosessuale”. La zona delle “Carampane”, vicino a Rialto, era una delle aree di Venezia nella quale le prostitute di Venezia erano obbligate a concentrarsi fin dal XV secolo per disposizione delle leggi sull’ordine pubblico.

Nel 1509 a Venezia vi erano 11.654 cortigiane censite (su una popolazione di 150.000 abitanti…),

Nonostante questo, l’omosessualità continuava a persistere, e soprattutto si presentava nei confronti dei giovani, potendo comportare difficoltà di socializzazione e gravi conseguenze per l’individuo, tra le quali il suicidio. Per non parlare di problematicità demografiche.

La Serenissima disapprovava l’omosessualità molto di più della prostituzione, tanto che una legge del 1482 stabiliva che chi veniva riconosciuto colpevole del peccato  di sodomia doveva essere giustiziato e poi bruciato in mezzo alle colonne della piazzetta di San Marco. Un ‘ ordinanza stabilì che le prostitute  che lavoravano nella zona di San Cassiano  (PONTE DELLE TETTE )  dovessero affacciarsi alle finestre  o stare sulle porte a seno nudo per incoraggiare i clienti e soprattutto per esortare i numerosi omosessuali del tempo all’eterosessualità. Le leggi che riguardano l’omosessualita’  erano  severissime : abominandum vitium…eradicetur de civitate ( abominevole vizio….sia sradicato dalla nostra città)  tuonavano i DIECI che obbligavano i medici a denunciare chi, maschio o femmina , si  facesse curare per essere “in parte posteriore confractum” (lacerato nella parte posteriore).

La Serenissima incoraggiava l’esibizionismo delle prostitute per combattere l’omosessualità alquanto diffusa a Venezia tra il XV e il XVI secolo, fino a diventare un problema di stato. Le influenze di sodomia conseguenti al sempre crescente arrivo di mercanti proveniente dal Medio Oriente, al vivace miscuglio di popoli e, con essi, delle rispettive abitudini culturali, provocò una sorta di campagna della Repubblica mirata alla conservazione degli usi e costumi propri di una cultura eterosessuale.
Il mestiere più antico del mondo era, quindi, non solo tollerato, ma quasi, addirittura, favorito.

N.d.R. : Ma, per doverosa e rigorosa integrazione, non posso esimermi dal ricordare che, sulle gloriose navi, mercantili e da guerra, della “Serenissima” esisteva, come mansione istituzionale, la figura del “mozzo da cul”.
Nei lunghi mesi di navigazione, come “facevano i marinai” (se lo chiedeva anche Lucio Dalla), a “soddisfare le proprie voglie” (questo, invece, se lo chiedeva Faber De Andrè)?
Riporto quanto segue:

Essere un “Recia” (orecchio)    (In altro dialetto: “ricchione”)

Ci si riferisce all’usanza di contrassegnare con un orecchino il “mozzo da culo”, giovane con tendenze omosessuali imbarcato come mozzo, al solo scopo di soddisfare le voglie dell’equipaggio…


Un qualsiasi oggetto è detto “da culo” quando…

…per la scarsa qualità, non risponde alla funzione alla quale è preposto, nello stesso modo in cui il “mozzo da culo” tutto era fuorché un vero mozzo…  Altri dicono significhi “di nessun valore”, con riferimento alle “pezze da culo” (quelle che venivano usate, prima della carta igienica).
A proposito di carta igienica, segnalo anche, per inciso, e per restare in tema marinaresco, questa altra chicca:

Essere un “Cáo da brodo”.

Essere definiti “Cao da brodo” non è proprio esaltante…
Ci si riferisce ad una corda (cáo, cioè cavo) che veniva fatta scendere dalla poppa della nave e lasciata perennemente immersa nell’acqua.  Il riferimento al brodo? … la parte sfilacciata immersa veniva utilizzata come carta igienica dall’equipaggio.

Alla luce di quanto sopra, non può destare meraviglia se la più bella gioventù maschile di Venezia, arruolata sulle Galeazze, sui Brigantini, sui Vascelli, sulle Fregate, sulle Galandrie, costretta a feroci astinenze sessuali, si dedicasse a praticare esborsi fisiologici, contro natura, con l’unico personaggio “disponibile” a bordo. Giovani che poi, ben si capisce, si assuefacevano facilmente a questo tipo di rapporti che, una volta a terra, come sulla nave, diventavano pratica abituale. I marinai erano moltissimi e il “malcostume” si diffondeva a macchia d’olio.
L’ipocrisia non comanda alla natura.

 

Numero1937.

 

Una curiosità : che cos’è la PITTIMA?

da WIKIPEDIA:

Pittima è il termine con cui in passato veniva definita, particolarmente nelle repubbliche marinare di Venezia e Genova, ma anche a Napoli, una persona pagata dai creditori per seguire costantemente i loro debitori. Era una sorta di esattore che aveva come compito quello di ricordare a costoro che dovevano saldare il debito contratto.

Il termine

La pittima poteva gridare a gran voce per mettere in imbarazzo il debitore, e il suo costante pedinamento era volto a sfiancarlo così che si decidesse a saldare il debito, la cui riscossione gli poteva fruttare una percentuale più o meno congrua.

La pittima vestiva di rosso, affinché tutti sapessero che il perseguitato dalla pittima era un debitore moroso. Questo aumentava l’imbarazzo dovuto al pedinamento della pittima.

In particolare nella Serenissima Repubblica di Venezia la figura della pittima era reclutata tra gli emarginati e i disagiati che fruivano di una sorta di assistenza sociale del Doge costituita da mense pubbliche e ostelli a loro riservati. Questi assistiti dovevano però rendersi disponibili a richiesta delle istituzioni per fare la pittima: il debitore pedinato non poteva nuocere a queste figure istituzionali pena la condanna. Il credito doveva essere difeso come il buon nome della maggiore repubblica commerciale dell’epoca.

Pittima è divenuto in seguito sinonimo di persona insistente che si lamenta sempre (ma anche, quindi, in termini speculativi, di percentuale).

In lingua veneta, la frase genericamente più utilizzata per definire pittima una persona è: “Ti xe proprio na pittima!” (Sei proprio uno che si lamenta di continuo per nulla), equivalente di “T’ê pròpio ‘na pìtima!“, in lingua genovese. Il termine è usato ugualmente in dialetto fiorentino e compare comunque tra le voci del dizionario italiano Garzanti, che ne dà la definizione di “una persona noiosa, che si lamenta in continuazione di piccole cose”.

Il dizionario Treccani ne dà lo stesso significato, dando l’etimologia (lat. tardo epithĕma, dal gr. ἐπίϑεμα, propr. «ciò che è posto sopra») e specificandone il significato originale di “impacco a scopo terapeutico”, da cui è derivato il significato di “persona fastidiosa”; viene suggerito il paragone con la parola “impiastro”.

Numero1932.

 

CRONACHE  DEL  CORONAVIRUS

Dal TG1, Telegiornale della Sera del 29 Marzo 2020 :

viene presentato un servizio da Napoli per documentare la diffusione delle situazioni di indigenza, specialmente di tipo alimentare: gente povera in coda per avere un po’ di cibo nei centri del volontariato, provvedimenti di assistenza ai bisognosi ecc.
Ma viene mostrata anche la scena seguente: un cesto di vimini calato con una corda, fino al livello di strada, da gente con la mascherina, chiusa in casa, da un terrazzo del secondo o terzo piano. Sul cesto, un cartello con la scritta:
CHI HA METTA, CHI NON HA PRENDA.
La voce del commento al servizio lo ha definito il PANARO SOLIDALE.
Aggiungo io: Creatività partenopea, dopo il “caffè sospeso”, hanno inventato Il “panaro sospeso”.

Numero1922.

 

Me la manda Rita, che lo ha appena ricevuto su WHATSAPP : merita di essere pubblicato.

 

Ricapitolando.

In pochi giorni abbiamo risolto il problema del traffico, dell’inquinamento, dello spreco di cibo, della ludopatia e dell’invasione dei migranti. Difficilmente staremo in futuro a litigare su quote 100 o di quando poter andare in pensione.

Miglioramenti sensibili anche sul fronte dell’evasione fiscale e della tracciabilità dei pagamenti (per giustificare le uscite di casa).

Abbiamo incentivato la digitalizzazione e l’alfabetizzazione informatica, dato forte impulso all’ “e-commerce”, lanciato lo “smart working” e l’ “è-learning”.

Abbiamo finalmente dato al calcio l’importanza che merita, aumentato la lettura dei libri e dei giornali, la visione dei film, riscoperto il piacere della sana cucina casalinga e del giardinaggio, ci siamo rivelati amanti dell’attività fisica e dell’aria aperta.

Siamo diventati più solidali, più socievoli e desiderosi di interagire con il prossimo. Quando suona il campanello il “e adesso chi cazzo è che rompe” è stato sostituito da una scossa adrenalinica.

Abbiamo responsabilizzato i cittadini all’osservanza delle norme e a non voltarsi dall’altra parte se vedono qualcuno che fa il furbo, abbiamo imparato a fare la fila in modo ordinato e a lavarci le mani.

Passiamo molto più tempo con i nostri figli e i nostri partner, forse entro un anno avremo pure risolto il problema demografico.

Abbiamo riabilitato gli scenziati e le competenze, spazzato via no-vax e complottisti vari, abbiamo disintossicato le trasmissioni di informazione dalle inutili liti da salotto dei politici.

Furti, rapine e altri delitti ridotti all’osso, traffico e spaccio di droga che hanno subito un tracollo.

Adesso ci resta solo da risolvere sta sega del coronavirus e siamo a cavallo.

Numero1918.

 

CARO  CORONAVIRUS

 

Testo adattato alla musica di     “Erba di casa mia”      di  Massimo Ranieri

 

Caro Coronavirus,

ma questa pandemia

quando va via?

È un gran disagio

vivere col contagio,

restare chiusi in casa,

attenti ad ogni cosa.

 

Incubo, Coronavirus,

ci causi troppi guai

come non mai!

Della pazienza

siamo rimasti senza.

Che fare della vita

che tu hai rovinata?!

 

Ma questa malattia

un bel dì finirà,

allora tutti insieme

ci si ritroverà,

vedersi con gli amici

nella normalità.

Comincia un’altra vita!

Basta che sia finita!

 

Vattene, Coronavirus:

ora la vita è questa,

non è una festa.

Muore la gente

e non puoi farci niente.

Cantiamo tutti in coro,

almeno col pensiero.

 

Un’altra primavera

chissà quando verrà?

E questa nostra vita

chissà come sarà?!

Ancora un’altra volta

cominciar si dovrà.

Basta che vada via

questa epidemia!

 

Tricesimo,        22 Marzo  2020.

Numero1917.

 

CORONAVIRUS

 

Sull’aria di                 “La canzone di Marinella”          di Fabrizio de André

 

E adesso abbiamo proprio la certezza:

questo “coronavirus” è una schifezza.

Staremo chiusi in casa, per settimane,

mentre la vita se ne andrà a puttane.

 

Ci roderemo il fegato di rabbia,

chiusi come leoni in una gabbia.

Ci stiamo rovinando l’esistenza,

frustrati da un senso d’impotenza.

 

Negli ospedali, in tanti stan morendo,

sono stroncati da ‘sto male orrendo

che si diffonde come uno “tsunami”

e che ti porta via quelli che ami.

 

Stavolta ce l’han fatta troppo grossa,

e in molti finiranno nella fossa,

perché finisca ‘sta maledizione

non basterà cantare una canzone.

 

E questo è un ricorso della storia

di cui abbiamo perso la memoria,

non ci voleva anche questa guerra

che porterà sterminio sulla terra.

 

E come prima non sarà più niente,

chissà come farà tutta la gente,

con questa malattia contagiosa:

dovremo inventarci qualche cosa.

 

Però, se il coraggio non si smorza,

in qualche modo, ci faremo forza:

bando ai piagnistei e alle lagnanze,

non perderemo anche le speranze.

 

Bando ai piagnistei e alle lagnanze,

non perderemo anche le speranze.

 

Tricesimo,   21  Marzo  2020                 Primo giorno di Primavera.