Numero3347.

 

da  QUORA

 

PERCHÈ  LA  LUSSURIA  È  UN  PECCATO ?

 

Scrive Josef Mitterer, corrispondente di QUORA

 

Gli archetipi, le norme e le figure mitologiche non riflettono più la natura, bensì sono imposti arbitrariamente.

Con ciò non intendo certo dire che una sessualità sfrenata sia naturale o normale o positiva, né che il “paganesimo” l’abbia prevista o giustificata — ma nelle mitologie politeiste, e nelle religioni collegate a esse, la lussuria era integrata nei miti e nei culti, come una forza naturale e ambivalente — come tutta quanta la natura è ambivalente (né buona, né cattiva) e dualistica (un principio e un altro principio che stanno in opposizione e, allo stesso tempo, si completano).

La tradizione giudeo-cristiana, che è priva di tali culti organici e catartici e di tali miti che espongono la totalità dell’essere uomo e delle forze naturali, deve invece ricorrere ad affermazioni e a proibizioni esplicite (sotto forma di “peccati”), non ulteriormente giustificate e, quindi, non trasparenti.

Un altro aspetto importante è l’incredibile disprezzo della mitologia giudeo-cristiana nei confronti della sessualità e della donna.

Dio, Gesù e lo spirito santo sono figure maschili o comunque prive di sesso e completamente asessuate; di figure femminili, invece, non ce ne sono.

La sensualità e la sessualità non hanno alcuna rappresentazione mitologica, neanche nella figura di Maria, anzi: viene ridotta alla sua castità e obbedienza e, a differenza delle divinità materne nei sistemi politeistici, la sua maternità non simboleggia la femminilità sensuale e la fecondità, ma è esclusivamente strumentale, e non va immaginata o persino raffigurata in modo “carnale”, il che verrebbe (e in effetti viene) subito interpretato come blasfemo.

Date queste precondizioni, come potrebbe la lussuria non essere un peccato?

Nei sistemi politeistici la lussuria è personificata (Voluptas), come tutte le altre forze naturali, è incarnata dai Satiri (o proiettata su essi) e figura —in tutta la sua ambivalenza— in molti miti, come un aspetto della sessualità.

Forse era un’osservazione un po’ radicale, ma trovo comunque interessante quanto scrisse Nietzsche in merito:

La predica della castità è un’eccitazione pubblica contro natura. Ogni disprezzo della vita sessuale, ogni sua contaminazione mediante il concetto di “impurità”, è il vero peccato contro lo spirito santo della vita.

(Die Predigt der Keuschheit ist eine öffentliche Aufreizung zur Widernatur. Jede Verachtung des geschlechtlichen Lebens, jede Verunreinigung desselben durch den Begriff ‘unrein’ ist die eigentliche Sünde wider den heiligen Geist des Lebens.)

(Ecce Homo, “Warum ich so gute Bücher schreibe”, 5)

Numero3346.

 

da  QUORA

 

Scrive Gaetano Antonio Riotto, corrispondente di QUORA

 

U N A    S T O R I A    D I    O G G I

 

Una maestra stava correggendo i compiti dei suoi studenti.

Nel frattempo, suo marito passeggiava per casa con lo smartphone in mano, immerso nel suo gioco preferito.

Quando arrivò all’ultimo compito da correggere, la maestra iniziò a piangere in silenzio.

Il marito, vedendola, le chiese:

— Cosa è successo?

La moglie rispose:

— Ieri ho dato come compito ai miei studenti di scrivere qualcosa sul tema “IL MIO DESIDERIO”.

Il marito disse:

— Va bene, ma perché piangi?

La moglie, trattenendo le lacrime, rispose:

— Correggendo l’ultimo compito, non sono riuscita a trattenere il pianto.

Il marito, incuriosito, chiese:

— Cosa c’era scritto di così commovente?

La moglie cominciò a leggere:

Il mio desiderio è diventare uno smartphone.

I miei genitori amano molto il loro smartphone.

Si prendono cura del loro smartphone al punto che a volte si dimenticano di prendersi cura di me.

Quando mio padre torna stanco dal lavoro, ha tempo per il suo smartphone, ma non per me.

Quando i miei genitori stanno facendo qualcosa di importante e lo smartphone squilla, al primo squillo rispondono subito, ma non fanno altrettanto con me…

anche se sto piangendo.

Giocano con il loro smartphone, ma non con me.

Quando parlano con qualcuno al telefono, non mi ascoltano, anche se sto dicendo qualcosa di importante.

Quindi, il mio desiderio è diventare uno smartphone.

Dopo aver ascoltato quelle parole, il marito si commosse e chiese alla moglie:

— Chi ha scritto questo tema?

La moglie, con gli occhi lucidi, rispose:

— NOSTRO FIGLIO.

 

GENITORI, ricordate:

I dispositivi elettronici sono utili, ma sono pensati per facilitarci la vita, non per sostituire l’amore verso la famiglia e le persone care.

I bambini vedono e sentono tutto ciò che accade intorno a loro.

Le esperienze si imprimono nella loro mente lasciando segni che durano per tutta la vita.

Prendiamocene cura, affinché crescano con i valori giusti e senza falsi bisogni.

Numero3345.

 

da  QUORA

 

Scrive Gaetano Antonio Riotto, corrispondente di QUORA.

 

FRIEDRICH  NIETZSCHE  E  L’ EPISODIO  DEL  CAVALLO

 

Friedrich Nietzsche fu protagonista di una delle scene più toccanti nella storia del pensiero occidentale.

Era il 1889 e il filosofo viveva in una casa di via Carlo Alberto, a Torino. Una mattina, mentre si dirigeva verso il centro della città, si trovò improvvisamente di fronte a un evento che avrebbe segnato per sempre la sua esistenza.

Vide un cocchiere che frustava con violenza il suo cavallo, perché l’animale, esausto, si rifiutava di avanzare. Il cavallo, ormai allo stremo delle forze, si accasciò a terra, ma il suo padrone continuò a colpirlo senza pietà per costringerlo a rialzarsi. Nietzsche, sconvolto dalla crudeltà della scena, si avvicinò rapidamente, rimproverò il cocchiere e poi, con un gesto disperato, abbracciò il cavallo caduto a terra.

Scoppiò in lacrime e, stringendo il collo dell’animale, gridò “Madre, Madre!”. Pochi istanti dopo perse i sensi.
Fu il collasso definitivo della sua mente.

Da quel giorno, Nietzsche smise di parlare per il resto della sua vita.
Per dieci anni, fino alla sua morte, non riuscì mai più a tornare a una condizione di lucidità.
La polizia, accorsa sul posto, lo arrestò per disturbo dell’ordine pubblico e poco dopo fu internato in un manicomio, da cui non uscì mai più.

Per la società dell’epoca, il gesto di Nietzsche – abbracciare il cavallo e piangere su di lui – fu visto come una prova della sua follia. Tuttavia, mentre alcuni lo considerarono una semplice manifestazione di irrazionalità dovuta alla sua malattia mentale, altri vi lessero un significato più profondo e consapevole.

Lo scrittore Milan Kundera, nel romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, riprende questa scena e la interpreta come una richiesta di perdono. Secondo Kundera, Nietzsche avrebbe sussurrato al cavallo una richiesta di scusa, a nome di tutta l’umanità, per la brutalità con cui l’uomo tratta gli altri esseri viventi. Un atto di pentimento per averli ridotti a nemici e servi.

Nietzsche non era mai stato un attivista per i diritti degli animali, eppure quel gesto di empatia assoluta segnò il punto di non ritorno nella sua vita. Quel cavallo fu l’ultimo essere con cui stabilì un contatto reale e affettivo. Non si identificò solo con l’animale, ma con il suo dolore, trovando in esso qualcosa che andava oltre la semplice compassione: una connessione profonda con la vita stessa.

Numero3344.

 

da  QUORA

 

Scrive Jason Deglianelli, corrispondente di QUORA.

 

R I C C H I    E    P O V E R I

 

“Non sono povero, sono sobrio. I poveri sono quelli che lavorano solo per mantenere uno stile di vita costoso e per accumulare cose.

Non siamo nati solo per consumare, siamo nati per creare, per amare, per sognare, per costruire.

La felicità non sta nell’avere, ma nell’essere. Non si è felici se si vive per comprare cose inutili.

Vivo con poco, ma vivo bene. La libertà si conquista riducendo i bisogni superflui.

Il vero lusso non è avere tante cose, ma avere tempo per ciò che conta: la famiglia, gli amici, la natura.

Ci hanno insegnato a consumare, e il consumo ci domina. Ma dobbiamo capire che non è questa la vera essenza della vita.

Il denaro può comprare comfort, ma non la felicità. La vera ricchezza è vivere con ciò di cui si ha davvero bisogno.”

 

Josè Mujica

Numero3343.

 

L A’

 

Là dove sprofonda il mare

che il cielo partorisce,

là sono pronto ad andare,

là dove lo spazio finisce,

che il tempo inghiotte,

come fa il firmamento

con le stelle della notte.

Mi manca un momento:

è quasi arrivata l’ora.

Comincio a prepararmi.

Quanto mi resta ancora?

Non voglio interrogarmi.

Numero3342.

 

QUATTRO  PASSI  NEL  MONDO  DI  VOLTAIRE.

da un articolo di Alessia Alfonsi

 

Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet, è stato uno dei pensatori più brillanti, controversi e influenti dell’Illuminismo. Satirico, razionalista, polemico, amava la verità quanto detestava il fanatismo. La sua arma preferita? La parola affilata, una voce che brucia ancora oggi, tagliente come una lama, arguta come una satira, viva come una risata nel mezzo dell’ipocrisia.

Uomo di teatro, romanziere, storico, polemista, intellettuale engagé ante litteram, ha attraversato il Settecento da protagonista e da provocatoreIl suo pensiero è un inno alla libertà di espressione, alla tolleranza religiosa, alla battaglia contro il fanatismo, l’ignoranza e la superstizione. Ma non lo ha fatto con il tono grave del predicatore: ha scelto l’arma dell’ironia, dello sberleffo, dell’intelligenza acuta.

Voltaire non credeva nelle verità assolute, ma nella necessità di interrogare ogni autorità, ogni dogma, ogni certezza comoda. Diceva: “La libertà consiste nel poter dire che due più due fa quattro. Se ciò è concesso, tutto il resto segue.”

Dietro il suo sarcasmo, si nascondeva una visione del mondo umanista e profondamente etica: non basta pensare, bisogna agire, coltivare il proprio giardino, esercitare la ragione come forma di giustizia.

Chi lo legge oggi, scopre un autore che parla alla nostra epoca con una chiarezza disarmante. Che ci ricorda quanto la libertà non sia solo un diritto, ma un dovere di coscienza. E quanto la parola, anche quella più ironica, possa cambiare la storia.

Con i suoi scritti, i suoi pamphlet e le sue lettere, ha scardinato dogmi, smascherato ipocrisie e difeso la libertà di pensiero con un’ironia acuminata ma profonda.

In tempi oscuri, Voltaire ha saputo ridere dell’assurdo senza rinunciare alla lotta: il suo pensiero ci ricorda ancora oggi quanto pensare liberamente sia un atto rivoluzionario.

Curiosità su Voltaire:

 

Il suo vero nome era François-Marie Arouet. Adottò il nome Voltaire probabilmente anagrammando il cognome Arouet e aggiungendo qualche lettera: era già un personaggio.

Fu imprigionato più volte per le sue parole. Venne incarcerato alla Bastiglia per aver offeso un nobile e poi esiliato: usava la satira come arma politica e intellettuale.

Amava l’Inghilterra (più della Francia). Nel suo “Lettere filosofiche”, elogiò la tolleranza religiosa inglese, scatenando scandalo in patria.

Fu un instancabile epistolare. Scrisse più di 20.000 lettere, corrispondendo con sovrani, filosofi, scienziati e intellettuali di tutta Europa.

Morì da libero pensatore, ma… Non fu sepolto in terra consacrata. I suoi resti furono portati al Panthéon decenni dopo, come simbolo della libertà di pensiero.

Libro consigliato: “Candido, o l’ottimismo”. Una satira pungente e irresistibile sul mondo, sull’illusione della filosofia ottimista, sulla crudeltà umana e sul bisogno di agire, non solo di pensare.

 

10 Frasi di Voltaire sulla libertà

Voltaire ci insegna che il pensiero è un atto civile. Che la libertà non si eredita: si difende. Che l’ironia è una forma altissima di resistenza, e che coltivare la propria mente è il primo passo per essere davvero liberi. In un mondo ancora pieno di dogmi e chiusure, le sue frasi restano armi leggere e precise: fanno sorridere, pensare, e a volte svegliare.

1.
Non condivido la tua opinione, ma darei la vita perché tu possa esprimerla.
– Attribuita, sintesi del suo pensiero sulla libertà di espressione

Una delle più celebri frasi sull’importanza della tolleranza e del dissenso: la libertà vale più della vittoria.

 

2.
Dio ha fatto l’uomo a sua immagine, e l’uomo gliel’ha restituita.
– Dizionario filosofico

Una critica lucidissima all’antropocentrismo religioso: creiamo Dio come riflesso dei nostri limiti.

 

3.
Chi sa parlare bene, pensa bene.
– da Lettere e discorsi

Il linguaggio come strumento di chiarezza mentale e libertà.

 

4.
Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola.
– Lettere filosofiche

Una lezione di umiltà intellettuale: meglio dubitare che affermare per dogma.

 

5.
Coltiviamo il nostro giardino.
– Candido

Una delle frasi chiave del pensiero voltairiano: non fuggire nel pensiero astratto, ma agire nel reale.

 

6.
Ogni uomo è colpevole di tutto il bene che non ha fatto.
– Zadig

La responsabilità morale non è solo evitare il male, ma anche fare il bene quando possiamo.

 

7.
Il fanatismo è un mostro che osa chiamarsi figlio della religione.
– Trattato sulla tolleranza

Una condanna senza appello: la fede senza ragione è pericolosa.

 

8.
La superstizione è alla religione ciò che l’astrologia è all’astronomia.
– Dizionario filosofico

La superstizione distorce la fede come l’astrologia distorce la scienza.

 

9.
La lettura allarga l’anima, e una buona biblioteca è un gran tesoro.
– Lettere

La cultura come nutrimento dell’essere, non solo dell’intelletto.

 

10.
Scrivete solo ciò che vale la pena di essere letto. Fate solo ciò che vale la pena di essere scritto.
– Massima epistolare

Una frase che parla a chi crea: scrivere, vivere e pensare con intenzione.

 

ALCUNI  DEI  TANTI  SUOI  AFORISMI

 

Dio è un commediante che

si esibisce davanti a un pubblico

troppo spaventato per ridere.

 

Gli uomini si sbagliano.

I grandi uomini confessano

di essersi sbagliati.

 

Il medico abile

è un uomo che

sa divertire,

con successo,

i suoi pazienti,

mentre la Natura

li sta curando.

 

È difficile liberare

gli sciocchi dalle

catene che venerano.

 

Chi può farti credere

assurdità,

può farti commettere

atrocità.

 

 

Numero3341.

 

S O L I T U D I N E

 

La solitudine, per me,

non è vivere da solo,

ma amare inutilmente.

La mia solitudine

non è mai vuota,

è sempre piena

di tanti miei pensieri.

Ci sono solitudini

assai felici, fertili,

ironiche e creative.

Penso e scrivo,

mi nutro del mondo,

ma lo digerisco solo

sbeffeggiandolo.

La solitudine è

il prezzo della libertà.

La solitudine è vera

se mi sento libero.

Quando è coatta

dall’ignoranza,

oppure dalla paura

degli altri, o anche

dalla malattia,

è un’altra cosa,

violenta e crudele.

È un luogo buono

per fermarmi lì,

per interrogarmi

e per comprendermi,

dove le parole

si accendono come

le stelle di notte

che brillano nel

firmamento buio

e muoiono nella luce.

Solitudine mia, non

sei nemica subdola,

ma compagna fedele,

tu mi hai insegnato

ad ascoltarmi anche

quando avevo paura

della mia stessa voce.

In te, mia solitudine,

io ci sto in vacanza.

Numero3340.

 

T E M P O    E    D E S T I N O

 

Tra una rima ingenua

ed una amara risata,

la vera eleganza sta

nel fregarsene, sempre,

di tante sciocchezze,

con un po’ di dolcezza,

non con  arroganza,

ma con garbo ed ironia,

con la consapevolezza,

un poco malinconica,

di chi sa che il tempo

vola e che, se lo perdo

dietro alle cose banali,

rinuncio a tanto del resto.

Non esiste il tempo da

perdere, esiste soltanto

il tempo da vivere, per me.

Ormai, sto imparando a

non reagire a tutto ciò

che mi può dare fastidio.

Il tempo è un paradosso:

per sua natura è movimento,

ma, a volte, pare immobile.

Ed il destino è un fiume

sotterraneo, che scorre silente,

parallelo alla nostra vita.

Ogni tanto, esonda e, allora,

mi inghiotte ed io mi chiedo:

“ma perché proprio a me?”

Oh, sì, sicuro, proprio a me,

perché quel gran fiume

è il mio: lui c’era anche

quando io, intento a vivere

altrimenti, neanche lo vedevo,

e non preparavo mai argini.

Numero3339.

 

SONETTO SENZA RIMA POETICA,

MA DI VALENZA PROFETICA

 

Oggi, pochi uomini che gestiscono

strumenti di speculazione

e di controllo finanziario,

percepiscono redditi che non producono.

 

Per contro, molti, troppi uomini

che fanno fruttare denaro per questi,

solo per la propria sussistenza,

non percepiscono redditi che producono.

 

In questo drammatico sbilancio,

si sviluppano e serpeggiano,

rapidamente, due malefiche piante:

 

la tirannia e la rivoluzione.

Il disordine sociale mondiale

ne sarà la naturale conseguenza.

Numero3336.

R I F L E S S I O N I

Nella storia dell’esperienza umana, si dice che alcune persone trovano consolazione nel sonno, poiché nei sogni esiste un regno che supera la bellezza del mondo reale.

Nel vasto oceano di 8 miliardi di esseri umani, qualcuno può trovarsi a vivere in solitudine.

La felicità che si condivide con gli altri cresce, mentre il dolore, se condiviso, si riduce.

La più grande ricompensa è il recupero della propria serenità interiore.

Si dice che l’età migliora con il tempo, acquisendo una distintività unica.

Il concetto di “per sempre” potrebbe essere stato pensato per il regno della memoria, piuttosto che per le vite mortali.

Non dovremmo mai minimizzare una sofferenza che non abbiamo personalmente vissuto.

Nel fluire del tempo, la vera natura delle nostre perdite viene sempre alla luce.

Se vivi solo per gli altri, finirai per alienare te stesso, non ti riconoscerai più nella gioia di vivere.

Non sentirti in colpa se desideri di essere felice, perché la ricerca della felicità è propria della natura umana: chi dice il contrario è un ipocrita e un …. infelice.

Alcuni si lanciano alla ricerca di tesori e, nel farlo, perdono di vista ciò che è veramente prezioso, inseguendo solo semplici pietre.

Valorizza ogni attimo prima che svanisca, divenendo un ricordo lontano.

Se queste riflessioni ti hanno toccato, concedi loro la tua approvazione.

Numero3335.

 

T H E    S A V A G E S

 

Ieri, 25 Maggio 2025, nel Teatro Comunale “Luigi Garzoni” di Tricesimo, ha avuto luogo una rievocazione storico – musicale delle vicende del Complesso dei THE SAVAGES, che si sono svolte nell’arco di un biennio dal 1964 al 1966. Lo spettacolo consisteva nella narrazione della storia del Complesso alternata alla esecuzione di una dozzina di canzoni di successo del loro repertorio di allora.

La manifestazione ha avuto un significativo successo, in primo luogo per l’affluenza del pubblico davvero sorprendente (ben pochi erano i posti vuoti dei 286 disponibili nella platea del Teatro), e poi, anche, per l’esibizione della Compagine attuale, che rievocava i fasti e nefasti del Complesso di allora: l’esecuzione dei brani, suonati e cantati a gruppi di tre, ha scandito il racconto di tutto il percorso di formazione, affermazione ed estinzione di questa Band di giovani esecutori, guidati da Armando Morandini, che hanno fatto molto parlare di sè 60 anni fa e che tuttora sono ricordati con grande simpatia dai fans di quei tempi.

Anch’io ho fatto parte di questo Complesso, con un ruolo molto particolare che non prevedeva la mia presenza nelle performance musicali, bensì solo nella fase preparatoria e nella gestione del Gruppo..

Mi sono incaricato, su richiesta di Armando, di assumere il compito di condurre la manifestazione come regista e come speaker, contribuendo, questa volta, anche con l’intervento della mia voce (seconda voce), a supporto del cantante solista (prima voce) in diverse canzoni del programma.

Il consenso del  sensibile ed attento pubblico presente, manifestato con numerosissimi applausi, spesso a scena aperta, è un dato di fatto inoppugnabile: il gradimento, la sorpresa, il coinvolgimento durante le esecuzioni e alla fine di ogni brano suonato e cantato sono stati costanti e incessanti, con grande soddisfazione degli interpreti esecutori.

Lo spettacolo si è prolungato anche con la riesecuzione, a gentile richiesta, dei tre brani più significativi del repertorio del Complesso, ma prima di questa, io ho avuto il tempo e il modo di recitare una composizione, scritta da me alcuni anni fa, dal titolo “Commiato”, accompagnata da una melodia di sottofondo costituita da arpeggi sul tema musicale di una canzone di De Gregori, ascoltata con molta attenzione, interessata e stupita, da parte del pubblico che sembra averla oltremodo gradita.

In conclusione, sembra proprio che sia stato un “successo”.

 

Mi permetto di pubblicare, a riprova e suffragio di quanto ho affermato, questi che seguono, fra i tanti commenti arrivati a me e ad altri componenti del Complesso, via WHATSAPP, da amici che erano presenti alla manifestazione.

 

“Complimenti, complimenti e ancora complimenti! Tutto organizzato alla perfezione. Un grande successo”.

Giuliana.

 

Ciao Alberto, realmente una splendida serata, con le tue declamazioni e la musica che ha coinvolto emotivamente molti dei presenti, Grazie.

Corrado.

 

Carissimo Alberto,
con profonda ammirazione, desidero renderti omaggio, celebrando il tuo straordinario spirito.
Dopo 60 anni, non solo hai custodito il ricordo di un’epoca, ma oggi hai avuto il coraggio e l’energia di rimetterti in gioco con il tuo gruppo.
La vostra esibizione è stata molto più di un concerto: è stata una lezione di passione, determinazione, talento e amore per la vita.
Sul palco siete tornati giovani e, con voi, lo siamo stati anche noi, spettatori emozionati e grati.
Complimenti di cuore per averci donato, ancora una volta, la magia della vostra musica e una fantastica storia.
Un forte abbraccio.

Carlo.

 

Ciao Graziano.

Grazie per l’ospitalità. Fai i complimenti a tutti i musicisti da parte nostra per il bel concerto e soprattutto per aver rievocato tempi e musiche che ci appartengono da sempre. Un abbraccio fraterno a tutti.

Un amico di Graziano.

Numero3334.

 

E S P E R I E N Z A    D E L L A    V I T A

 

Questa è la società del nulla:

tutti condividono, seguono, emulano,

ma non dialogano, discutono, ragionano.

Manca una cosa semplice e meravigliosa,

che sta diventando sempre più rara,

si chiama, comunemente, spirito critico,

che viene dalla semplice possibilità

di emozionarsi, capire l’altro, discernere,

confrontarsi, accendere il cervello

e usarlo, anche nel campo dell’ignoto,

dove non c’è stata esperienza precedente,

dove è possibile tutto, il vero e il falso.

Lì manca la preparazione mentale,

il buon senso, l’allenamento spirituale.

Questo bagaglio, questo “know how”

non te lo dà né la famiglia né la scuola,

te lo devi sobbarcare e conquistare tu

ed applicarti assiduamente per migliorarlo.

Si chiama semplicemente “esperienza della vita”.

Numero3333.

 

10 frasi di Arthur Schopenhauer che ci insegnano a essere felici

Alessia Alfonsi

 

Parlare di felicità con Arthur Schopenhauer può sembrare un paradosso. Filosofo del pessimismo, pensatore lucido e radicale, autore dello straordinario, Il mondo come volontà e rappresentazione, Schopenhauer ha dedicato gran parte della sua vita a studiare il dolore, l’illusione, l’insoddisfazione come tratti costitutivi dell’esistenza.

Eppure, proprio per questo, le sue riflessioni sul come essere felici sono tra le più oneste, concrete e utili che si possano leggere.

La felicità secondo Schopenhauer

Per lui, la felicità non è euforia né trionfo, ma assenza di dolore, equilibrio interiore, capacità di bastarsi.

Non esiste un segreto magico, ma un modo sobrio e consapevole di attraversare il mondo senza farsi travolgere. Non si può possedere la felicità, ma si può imparare a coltivarla come una forma di intelligenza, una disciplina dello spirito.

In tempi in cui la felicità è spesso trattata come un dovere da esibire, Schopenhauer ci libera da ogni illusione, e ci insegna a riconoscere il valore dei piccoli piaceri, della solitudine creativa, della moderazione.

E a capire che, forse, essere felici non significa avere tutto, ma volere meno.

Aforismi sulla saggezza della vita: un testo fondamentale per chi vuole conoscere il pensiero più “pratico” del filosofo.

In queste pagine, Schopenhauer si distacca dal sistema teorico per parlare della vita quotidiana, del carattere, del piacere, del dolore e sorprendentemente della felicità.

Alcune curiosità su Arthur Schopenhauer: 

Detestava la società, ma amava i cani. Schopenhauer viveva spesso in solitudine, ma era sempre accompagnato dal suo barboncino, Atma. Diceva che era l’unico essere veramente sincero.

Non si fidava dei filosofi troppo ottimisti. Considerava Rousseau, Hegel e compagnia bella dei venditori di fumo. Per lui, il dolore era parte strutturale della vita, non un errore da correggere.

Leggeva i testi buddhisti e gli Upanishad. Era affascinato dalla filosofia orientale, che influenzò profondamente la sua idea di felicità come liberazione dal desiderio.

Sapeva ridere, ma solo con sarcasmo. La sua ironia era tagliente, ma spesso geniale.

Nei suoi scritti sul come essere felici non manca mai un fondo di humour nero, terapeutico.

Arthur Schopenhauer: 10 frasi che insegnano a essere felici

In un mondo che ci bombarda di stimoli e promesse, Schopenhauer è quasi una voce controcorrente.

Ci spoglia delle illusioni, ci invita alla misura, alla sobrietà, al ritorno all’essenziale.

Ma non lo fa per renderci tristi, al contrario, lo fa per aiutarci a distinguere ciò che è inutile da ciò che conta davvero.

Le sue frasi sono come piccole spine che pungono l’anima, ma dopo il dolore portano chiarezza.

Ci insegnano che la felicità non è il contrario del dolore, ma la sua gestione intelligente.

Che la serenità vale più dell’euforia.

E che, per essere felici, forse non dobbiamo cercare di aggiungere, ma imparare a togliere.

 

1. La felicità appartiene a coloro che bastano a se stessi.
– Aforismi sulla saggezza della vita, par. I

Per Schopenhauer, l’autosufficienza è la vera base della felicità. Chi dipende poco dagli altri, soffre meno.

 

2. Ogni felicità è di natura negativa, ossia consiste nell’assenza di dolore.
– Il mondo come volontà e rappresentazione, 68

Una delle sue idee chiave: la vera felicità non è eccesso di gioia, ma pace, tregua, respiro.

 

3. Il sommo bene è la serenità.
– Aforismi sulla saggezza della vita, par. III

La serenità non fa rumore, ma dura. È lo stato più vicino alla felicità per chi conosce il dolore.

 

4. Il segreto della felicità è: avere interessi, ma non dipendere da essi.
– Parerga e paralipomena

Appassionarsi, ma senza attaccamento. Un equilibrio difficile, ma liberatorio.

 

5. La salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente.
– Aforismi sulla saggezza della vita, par. II

La felicità inizia dal corpo. Senza una base fisica stabile, tutto il resto vacilla.

 

6. Chi ha poca volontà ha poca sofferenza.
– Il mondo come volontà e rappresentazione, 57

Volere troppo è fonte di infelicità. Chi sa limitare i desideri, soffre meno e vive meglio.

 

7. La vita oscilla come un pendolo fra dolore e noia.
– Il mondo come volontà e rappresentazione, 57

Una frase amara ma illuminante: la felicità sta forse nel trovare un ritmo sostenibile tra queste due forze.

 

8. Una delle più grandi libertà sta nel non dover compiacere nessuno.
– Parerga e paralipomena

Essere liberi dallo sguardo altrui è già una forma di felicità. Autenticità come forma di pace.

 

9. Nulla contribuisce più alla felicità che una buona disposizione d’animo.
– Aforismi sulla saggezza della vita, par. II

Il nostro carattere conta più delle circostanze. Coltivare serenità è più utile che inseguire eventi.

 

10.L’uomo felice è colui che vive in armonia con la propria natura.
– Parerga e paralipomena

Non c’è felicità impersonale: ognuno deve capire la propria forma, e viverla con coerenza.