Numero2951.

 

Le persone che hanno avuto un’infanzia difficile spesso hanno questi 5 tratti caratteriali

di Emma Moretti

Le esperienze infantili hanno un impatto significativo sullo sviluppo della nostra personalità. Un’infanzia difficile, segnata da sfide come problemi familiari, violenza o abbandono, può influenzare fortemente i nostri comportamenti e atteggiamenti da adulti. In questo articolo esploreremo cinque tratti caratteriali spesso presenti nelle persone che hanno vissuto un’infanzia difficile. Vale la pena sottolineare che queste caratteristiche non sono universali e possono variare da un individuo all’altro.

1. Maggiore empatia

Gli individui esposti a esperienze difficili in gioventù spesso sviluppano una maggiore capacità di comprendere e condividere i sentimenti degli altri. Questa empatia di solito deriva dalla necessità di navigare rapidamente in situazioni complicate per rilevare segnali emotivi e adattare le proprie reazioni di conseguenza. Possono quindi costruire stretti legami con gli altri ed essere sensibile ai loro bisogni e preoccupazioni. Gli adulti che hanno affrontato un’infanzia complicata spesso comprendono meglio come si sentono gli altri e sono in grado di adattarsi facilmente alle diverse situazioni.

L’altro lato della medaglia

Tuttavia, questa empatia può anche comportare un’elevata sensibilità che rende queste persone vulnerabili e sopraffatte dalle emozioni degli altri. È quindi essenziale che sviluppino meccanismi per mantenere un equilibrio tra empatia e benessere personale.

2. Resilienza

La resilienza è definita come la capacità di riprendersi dalle difficoltà e di adattarsi a situazioni difficili. Le persone che hanno vissuto un’infanzia difficile spesso hanno imparato a superare le avversità sviluppando strategie per affrontare gli ostacoli e trasformare il proprio dolore in forza. Ciò può includere lo sviluppo di capacità di risoluzione dei problemi, comunicazione assertiva e gestione dello stress.

Attenzione

Va notato che questa resilienza non significa necessariamente che l’individuo sia completamente guarito o che non sia più influenzato dalla situazione passata. Al contrario, è una capacità di continuare ad andare avanti nonostante gli infortuni, rimanendo sempre pronti ad affrontare le sfide con determinazione.

3. Indipendenza

Molti di coloro che crescono in ambienti instabili imparano rapidamente a fare affidamento su se stessi e a prendere le proprie decisioni. Questa indipendenza si manifesta spesso nella tendenza ad essere autonomi, a cercare soluzioni per se stessi e a non aspettare l’aiuto degli altri per progredire. Pertanto, questi individui possono essere estremamente autonomi e in grado di assumere il controllo della propria vita senza eccessiva dipendenza dagli altri.

L’importanza dell’autosufficienza

Saper essere autosufficienti è una competenza preziosa nella vita adulta e permette di affrontare le difficoltà con più sicurezza. Tuttavia, a volte può essere utile circondarsi di persone su cui fare affidamento e a cui rivolgersi nei momenti difficili – anche questo dimostra una grande forza interiore.

4. Creatività

Un passato difficile spesso spinge a sviluppare talenti artistici o un’immaginazione sconfinata per sfuggire alla realtà della vita quotidiana. La creatività fornisce un mezzo di fuga e di auto-espressione, che può essere particolarmente importante per coloro che hanno vissuto situazioni traumatiche. Cercando costantemente nuovi modi per esprimersi, questi individui possono scoprire nuove passioni e talenti, contribuire positivamente alla società e sfruttare le loro esperienze passate in progetti creativi concreti.

La necessità di esprimersi

In alcuni casi, altri arriveranno addirittura a utilizzare la propria creatività come strumento terapeutico, trasformando la propria sofferenza in arte e contribuendo così a guarire alcune ferite emotive indelebili.

5. Flessibilità psicologica

Affrontando situazioni complesse e spiacevoli, molte persone che vivono un’infanzia difficile hanno la capacità di adattarsi rapidamente alle mutevoli circostanze. In altre parole, verificano una larga flessibilità psicologica, la capacità di adattarsi con successo di fronte a situazioni nuove e difficili. Le persone che hanno avuto questo tipo di esperienza riescono quindi in genere ad adattarsi rapidamente alle varie situazioni, modificando il proprio modo di pensare o di agire per soddisfare nuovi bisogni o problematiche.

Sempre pronto al cambiamento

Questa caratteristica conferisce un vantaggio anche a livello professionale, dove l’adattabilità è spesso considerata una competenza chiave. Aiuta anche le persone colpite a rimanere ottimiste e proattive di fronte agli imprevisti.

Sebbene ogni individuo sia unico, in coloro che hanno avuto un’infanzia difficile si riscontrano spesso diversi tratti caratteriali: maggiore empatia, resilienza, indipendenza, creatività e flessibilità psicologica. Queste qualità aiutano le persone colpite ad affrontare le sfide della vita adulta con coraggio e determinazione, anche se continuano a essere influenzate dalle esperienze del loro passato.

Numero2950.

 

da  QUORA

 

Scrive Corrado Montoro, corrispondente di QUORA

 

Friederich  Nietzsche e il superUomo (o Oltreuomo)

 

L’Oltreuomo di cui parla Nietzsche, soprattutto nello Zarathustra, è la conseguenza di alcune riflessioni che devono prima essere introdotte per comprendere il concetto di Übermensch.

In Così parlò Zarathustra, Nietzsche narra del Profeta Zarathustra, saggio Eremita che, dopo essersi ritirato per dieci anni, scende dalla montagna in cui viveva per dispensare la sua saggezza.

Questo profeta scende e porta con se “il grande annuncio”: la morte di Dio (di cui aveva già parlato nella Gaia Scienza).

Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che l’Oltreuomo viva» – questa sia un giorno, nel grande meriggio, la nostra ultima volontà! (Così parlò Zarathustra)

Alla già enigmatica affermazione della morte di Dio, egli aggiunge che sono stati proprio gli uomini ad ucciderlo:

Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso! (Ecce homo)


  • Morte di Dio

Perché Nietzsche ci accusa di essere gli assassini di Dio?

Perché Nietzsche non vuole tanto provare la non-esistenza di Dio, quanto affermare che la fede cristiana non è più la guida etica delle persone. Sono le persone che stanno mano a mano diventando atee e così facendo hanno ucciso Dio.

Nietzsche fu così lucido da vedere i germi del secolarismo e da capire che esso sarebbe avanzato e rimasto. In questo senso, l’annuncio della morte di Dio è l’annuncio della fine dei valori religiosi come pilastro della nostra società.

Ma non è tutto.

Dio rappresenta la più antica delle bugie che gli uomini si raccontano per non affrontare la vita. Ci rassicuriamo al pensiero che la vita sia ordinata, sensata e che ci sarà una ricompensa per le buone azioni. Dio è la speranza che il mondo abbia un perché, ma purtroppo è solo una nostra invenzione.

Pensa l’uomo: d’altra parte, la sofferenza deve pur avere un senso. Perché dovrei alzarmi ogni mattina per mungere la vacca, se no? Che senso avrebbe mettere al mondo – un mondo pieno di sofferenza – un figlio? E, poi, tutti i miei cari che non sono più qui con me, saranno pur da qualche parte ad aspettarmi. In un bel posto, una realtà metafisica, una realtà altra, diversa da questo mondo imperfetto. Un paradiso, pieno di luce e senza dolore, governato da Dio.

No. Queste sono solo bugie. Menzogne che ci diciamo da sempre, calunnie che ci servono a sopportare le difficoltà della vita. Gli uomini, ritrovandosi in un mondo pieno di incertezze, si sono rifugiati in esse.

La differenza tra l’Oltreuomo e l’uomo consiste proprio nel coraggioso rifiuto delle menzogne millenarie.


  • La morale del Gregge e la morale dei Signori

Ma questa verità non può essere accettata da tutti, scrive Nietzsche. Di sicuro non dal gregge (il popolino).

Il Gregge ha assorbito acriticamente la cultura in cui si trova. Il Gregge non si chiede neanche perché giudica una certa cosa buona o cattiva. Semplicemente segue quello che gli è stato insegnato, la religione, la tradizione e la cultura di cui è impregnato.

La morale dell’Occidente (quella Cristiana) è una morale “anti-naturale”, la quale va contro l’istinto vitale, contro lo spirito di chi può affermare la propria Volontà di Potenza. Secondo Nietzsche, come abbiamo detto, questa moralità cristiana sta declinando, ma questo non significa che si imporrà quella dei Signori (morale di un’ipotetica Aristocrazia, basata su valori vitali).

Anzi, Nietzsche capì che si sarebbe comunque imposta una morale del Gregge: “il pericolo dei pericoli”, secondo lui, è la vittoria della morale dei deboli, di quelli guidati dal Ressentiment verso chi riesce a imporsi nella vita, verso chi affronta la vita con coraggio.

La morale del Gregge impedisce agli individui di sviluppare i propri talenti, considera tutti uguali e non riconosce il merito dell’impegno e che, così facendo, spinge tutti gli individui con il potenziale di elevarsi sopra le masse a diventare:

Un più piccolo, quasi ridicolo, animale del gregge, un qualcosa facile da compiacere, malaticcio, e mediocre (Al di là del bene e del male)

Anche dovesse cadere l’apparato valoriale cristiano, il Gregge continuerà ad odiare chi si mette in gioco, chi dedica ogni sua energia ad uno scopo e passa la vita alla ricerca di un obiettivo più alto.

Una delle più belle descrizioni del comportamento del popolino nei confronti di chi si riesce ad elevare al di sopra della mediocrità è data dalla figura del funambolo.


  • Il funambolo

Il Profeta Zarathustra è ormai sceso della montagna e si trova al mercato. Lì si è radunato il popolo perché è giunta la voce che si sarebbe esibito un funambolo.

Il funambolo diventa simbolo dell’uomo che tenta di superare se stesso. Un funambolo prende la vita coraggiosamente. Il suo non è un mestiere in cui si possa fingere. Egli si è messo in gioco veramente: o riesce ad attraversare la corda o cade e si spezza l’osso del collo.

La corda del funambolo diventa simbolo del percorso tra uomo e Oltreuomo, tra l’inerzia e il sì alla vita:

L’uomo è una corda annodata fra l’animale e il Superuomo, una corda tesa sopra un abisso (Così parlo Zarathustra).

Nonostante il funambolo cada e fallisca, Zarathustra lo loda. Il popolo però non capisce le sue parole e ride.

Quando Zarathustra ebbe pronunciate queste parole, guardò di nuovo gli uomini e tacque. «Eccoli – disse al suo cuore – essi ridono: essi non mi comprendono, io non sono bocca per queste orecchie.

Perché questa è la punizione che riservano gli altri a chi cerca di elevarsi al di sopra della massa, a chi cerca di essere diverso, di non accettare il mos maiorum (costume della maggioranza): la derisione. Come a dire: tu sei solo un poveraccio, che cosa ti eri messo in mente di fare? Nessuno può uscire dal Gregge, nessuno può pensare di essere autonomo, libero dal passato e dal pensiero comune.

Ma come si fa, volendolo, ad uscire dal Gregge? Nietzsche lo spiega attraverso tre figure quella del cammello, del leone e del fanciullo.


  • Piegarsi a Dio: il Cammello

Il primo simbolo di reazione verso la cultura tramandata (senso di colpa e pregiudizi, religione e morale popolare) è quella del cammello.

Il cammello è colui che nutre ancora timore reverenziale nei confronti di Dio. Questa persona affronta a suo modo la vita, addossandosi carichi pesanti, prendendosi le responsabilità e chinando la testa.

C’è un non so che di dignitoso nel suo addossarsi le difficoltà. Il problema è che non lo fa per sé, ma per paura di una futura punizione divina.


  • Verso la libertà: il Leone

La figura del leone si avvicina a quella dell’Oltreuomo. Il leone rifugge la morale che gli è stata imposta.

Quale è questo drago immane che lo spirito non vuole più oltre chiamar suo padrone e suo Dio? Si chiama egli: «Tu devi». Ma contro di lui lo spirito del leone avventa le parole: «Io voglio» (Così parlò Zarathustra).

Il “drago” di cui parla è la seduzione della facile scelta di seguire ciò che ci impone la tradizione. Ma questo drago è forte e avversario temibile. Sa i suoi punti di forza e ribatte che tutti i valori sono già stati creati.

«Ogni valore fu già creato; e io tutti li rappresento. L’«io voglio» non deve più esistere». (Così parlò Zarathustra).

Il leone può solo limitarsi a dire il suo “sacro no” ai valori tramandati, ma la parte destruens (che smantella) non basta.


  • Volere il proprio destino: il Bambino

E’ la figura dello spirito che vuole la sua propria volontà. Se il leone era la figura della “libertà da…”, il fanciullo è “libertà di…”.

Perché il fanciullo è l’innocenza, è l’oblio: un ricominciare, un gioco, una ruota che gira per sé stessa, un primo movimento, una santa affermazione.

Il fanciullo è appena nato, non ha i preconcetti degli adulti. Quello che Nietzsche aveva in mente era un individuo libero dal peso delle norme sociali, dei costumi e dogmi della società. Ma non solo: il bambino è anche pieno di gioia per la vita, si meraviglia per le scoperte e ama creare cose nuove. E’ quello che Nietzsche chiama il “sacro sì” alla vita.


  • Eterno ritorno e Amor Fati (Amore o accettazione del Destino)

L’Oltreuomo ama la vita. Riesce a superare le vecchie concezioni e le limitazioni religiose. Ma c’è un’ultima caratteristica che lo contraddistingue: il vivere la vita con l’idea dell’eterno ritorno e con l’Amor Fati.

Il concetto di eterno ritorno è stato spesso travisato, dandogli una lettura metafisica che semplicemente non ha. Quello che Nietzsche invita a fare è vivere la vita come se fossimo condannati a riviverla all’infinito. Con questa idea sicuramente saremmo più invogliati a non perderci in inutili questioni, risentimenti senza senso e invidia nei confronti degli altri.

Questo modo di vivere ci consente di vivere a pieno, ci consente di amare ogni singolo avvenimento e ogni nostro gesto, a prescindere dal fatto che nella vita esistano sia gioie che dolori. Anzi, accettando il brutto della vita senza per questo doversi rifugiare nei dolci sogni di paradisi lontani. E se avessimo già sprecato molto tempo prezioso? Poco male, l’amore per la vita di un Oltreuomo consiste anche nell’accettare il proprio passato.

La mia formula per la grandezza dell’uomo è Amor Fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l’eternità.

Numero2949.

 

da  QUORA

 

Scrive un corrispondente di QUORA

 

Perché gli atei non credono che Dio esista?

 

In verità “la gente” crede che dio esista. Gli atei/agnostici come me sono solo il 15%.

La fede è quindi un sentimento diffuso seppur sbagliato e inconsistente. Ho già scritto mille volte delle contraddizioni della bibbia, dell’incoerenza dei principi religiosi, dell’impossibilità di stabilire quale sia la fede religiosa corretta, per non parlare della mostruosità dei campioni della fede… non ci torno sopra e rispondo al perché alcune persone non credono.

Chi non crede non lo fa per pigrizia o per fare come gli pare o per stuprare i bambini (a questo ci pensano altri). Sarebbe molto più comodo credere, soprattutto quando muore un genitore o un amico. Sarebbe comodo avere tutta una serie di regole morali già belle che pronte, e se fai una porcata con un pater ave gloria ti sei già perdonato. La moralità di un ateo è molto complessa perché esercita la propria libertà di giudizio e sceglie davvero, non per paura dell’inferno, quello che è bene.

Chi non crede lo fa perché comprende che il concetto di divinità è una bugia illogica e insensata. Dio è un racconto per bambini su cui gli adulti hanno costruito un potere immenso sugli altri uomini. E poi se uno non ci crede non ci crede, è inutile che ci guardiate come mostri, non ci crediamo. Siamo diversi? Si siamo una minoranza con un QI discretamente alto.

 

Scrive un altro corrispondente di QUORA, Nicolas Mattos

 

Ti parlo della mia esperienza personale.

Io ero religioso. Ma proprio un casino. La mia massima aspirazione a 7 anni era diventare papa. Si, mentre gli altri bambini volevano fare il calciatore io volevo diventare il pontefice. Ero uno di quelli che passava davanti alle chiese e si faceva il segno della croce così come pregavo inginocchiato al mio letto ogni mattina ed ogni sera.

A catechismo, il prete della mia parrocchia vista la mia devozione parlò con i miei genitori per far presente loro che una carriera ecclesiastica per me sarebbe stata non solo possibile, ma anche consigliabile!

Ero, insomma, una persona molto religiosa.

Alla fine della mia comunione, a tutti i bambini del mio corso di catechesi venne regalato un libro: la “Bibbia dei bambini” e di questo dono fui molto grato. Era un libricino giallo, abbastanza grosso e colorato dentro, e conteneva una versione edulcorata sia dell’antico testamento sia del nuovo. Purtroppo non ricordo su quale Vangelo si basasse il nuovo. Quel libro non lo lessi in quei giorni.

Passano gli anni. Io cresco e comincio ad pensare al mio futuro.

Avevo più o meno 11 o 12 anni ed iniziavo a creare i miei primi videogiochi su RPG Maker e simili. Mi si aprì un mondo di logica davanti in cui ad ogni azione corrisponde una reazione, un mondo in cui C ha come requisiti A e B. Imparare per la prima volta a programmare è un trauma per chiunque anche su Python, ed anche lì logica a manetta. Non succede B se prima non si verifica A. Da Pontefice ero passato a Programmatore.

Poi ritrovai quel libro. Ed ovviamente lo lessi.

Rimasi traumatizzato dalla quantità di decisioni illogiche fatte da Dio nel corso dell’antico testamento. Decisioni che secondo me non avevano senso e logica. Ne parlai con il mio parroco e lui mi disse che “Dio agisce per vie misteriose” e che “Dio ha sempre un disegno per tutto e non pensa come noi”.

Dio però ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, non dovremmo quindi essere in grado di fare gli stessi suoi ragionamenti?

Ricordo un momento molto specifico, in cui pensai “Dio non può essere così cattivo”. Pensiero SUBITO auto-censurato dalla mia mente.

Per pura curiosità quindi, cominciai ad analizzare criticamente l’operato di Dio, smettendo quindi di “fidarmi” del  giudizio della chiesa e della gente. Rimasi meravigliato dalla quantità di gente uccisa dalle sue azioni durante l’antico testamento quando esistevano infinite alternative atte a “salvare” i suoi figli. Le le sue continue richieste barbare come “sacrifica tuo figlio” erano semplicemente troppo assurde per avere dei motivi logici in grado di giustificare queste decisioni.

Subito dopo abbiamo Gesù Cristo, che si palesa come figlio di Dio e allo stesso tempo Dio. Dio stesso cambia personalità e da “ammazza tuo figlio per me” diventa “va beh sta volta il figlio lo ammazzo io”. Almeno non uccide tutti i primogeniti questa volta…

Subito dopo la morte di Gesù, Dio sparisce dalla circolazione, quasi come nella canzone “La Paranza”. Vedo il cielo e non ci trovo più Dio perché manca qualsiasi segno della sua esistenza. E non mi vengano a parlare di miracoli perché credo più ad una anomalia scientifica o al fatto che qualcuno vinca la lotteria Divina, perché per ogni buon cristiano che guarisce miracolosamente dal cancro (che attenzione, succede in natura che il cancro regredisca da solo, raramente ma succede), MILIONI muoiono pregando.

La gente MUORE pregando nelle chiese in certi paesi. Bambini africani MUOIONO DI FAME e la soluzione di Dio è contare sulla (poca) generosità del mondo nel donare soldi ai più poveri per giunta spesso di altre religioni (ah, forse per questo Dio le ignora?).

Da quando DIO ha bisogno dell’essere umano per risolvere i problemi?

Questo fottuto pianeta è un posto di merda in cui vivere e Dio non fa ASSOLUTAMENTE UN CAZZO. Il nostro Padre che così tanto ci ama non si fa vedere da duemila anni. Duemila cazzo di anni!

E non mi si venga a raccontare la storia del libero arbitrio perché è una puttanata colossale.

  • Se il libero arbitrio esiste, Dio presentandosi non influenzerebbe nessuno, avremmo tutti la possibilità di capire che lui c’è e potremmo davvero credere in lui, senza fidarci di un libro scritto da persone interamente per sentito dire.
  • Se il libero arbitrio non esiste, tutto questo non ha importanza. Veniamo creati già destinati al paradiso o all’inferno e non abbiamo margine di manovra. In poche parole o Dio ci ama o ci odia e questo già dal momento del nostro concepimento.
  • In ogni caso, l’onnipotenza e l’onniveggenza di Dio fotte tutto perché lui sa già cosa faremo e cosa penseremo ancora prima di farlo e di pensarlo. In poche parole sa già prima della nostra nascita come vivremo e come moriremo, e se andremo in paradiso o in inferno.

Per poi arrivare al fatto che il cristianesimo sia l’unica vera religione. Davvero siamo così arroganti? Vuol dire che altre 8 miliardi di persone si stanno sbagliando…

Se fossero gli ebrei ad avere ragione? Se fossero gli induisti? Se fossero gli islamici?

Qualcuno qui sta sbagliando, e considerando la quantità incredibile di religioni nel mondo, ANCHE quelle estinte perché non più praticate, quante possibilità abbiamo di vincere la lotteria delle religioni?

Ti immagini la scena? Muori e sali al cielo, attorno a te nuvole ed isole galleggianti. Ad un tratto noto che c’è un tizio alto 6 metri che ti guarda incazzato. Lui è Zeus e ti dice “hai sbagliato religione stronzo!” e ti fulmina. A dire il vero, fulmina chiunque da duemila anni a questa parte.

Insomma, per farla breve, io non sono diventato ateo per via della sofferenza. La sofferenza fa parte della vita. Ogni cosa su questo pianeta è sofferenza. La fame è sofferenza. La sete lo è. Il sonno, il desiderio sessuale, tutto! Tutto è sofferenza altrimenti non ne avremo bisogno.

Il problema è che la sofferenza nella Bibbia è assolutamente immotivata ed inutile. E quando realizzi ciò diventa tutto pericoloso, perché cominci a farti domande sulla coerenza di tutta la baracca teologica, e questo tipo di costituzioni mentali tendono a collassare appena metti alla prova una qualsiasi colonna portante…

Invidio i credenti, almeno loro hanno qualcosa per cui credere in un domani migliore.

Io neanche facendo finta ci credo…

 

Numero2948.

 

da  QUORA

 

Scrive Shiro Fukò, corrispondente di QUORA

 

Le nuove generazioni sono più ignoranti delle precedenti?

 

Nel corso dei secoli le nuove generazioni sono sempre state più intelligenti delle precedenti, secondo una normale regola evoluzionistica.

Tuttavia, negli ultimi dieci anni, stiamo assistendo a un fenomeno insolito: i figli sono meno intelligenti dei loro genitori.

Il Quoziente Intellettivo medio della popolazione occidentale è in declino, con particolare riferimento alle capacità di memoria e apprendimento.

Una delle ragioni di questo fenomeno è da ricercare nell’impoverimento del linguaggio.

Diversi studi hanno rivelato una correlazione tra la ricchezza lessicale e la capacità di elaborare pensieri complessi.

La graduale scomparsa dell’uso dei tempi verbali si accompagna a un ridotto uso delle parole.

La ragione della sempre più dilagante violenza nella società è causata anche dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso il linguaggio.

Quando mancano le parole per spiegarsi e difendere le proprie ragioni, il ricorso alla violenza fisica diventa un rischio concreto.

La semplificazione dell’ortografia, come l’abolizione dei generi, dei tempi, delle sfumature lessicali rappresentano una causa dell’impoverimento della mente umana.

Numero2947.

 

S E S S O    E    A M O R E

 

Dice Venditti (e non solo lui) che “non c’è sesso senza amore”, ma lui, quando cantava questo, era innamorato.
Molti, specialmente gli uomini, vogliono fare sesso anche senza essere innamorati. Si tratta di una pulsione naturale che considera il sesso un atto ricreativo e di personale gratificazione, come può essere anche l’autoerotismo del resto, che può essere desiderato a prescindere dall'”alibi” del rapporto d’amore con il/la partner.

Una donna è molto più coinvolta emotivamente ed affettivamente e vorrebbe che il rapporto sessuale fosse l’espressione più alta del desiderio reciproco che è la risultante di tante componenti.
Per il maschio queste componenti sono prevalentemente di ordine fisico: ed esempio la bellezza corporea, “il sex appeal”, la complicità e la partecipazione erotica di un certo livello e via dicendo. Tutte cose riscontrabili e reperibili anche genericamente, senza bisogno di concentrarsi e monopolizzarsi su una sola e unica donna.

Per la femmina, invece, conta molto di più il bisogno di essere amata e desiderata per quella che è, intendendo per questo di godere di una certa esclusività ed anche di un “ascendente” particolare che lei detiene come arma di seduzione personale che, ovviamente, si attribuisce per sana autostima.
Essere concupita sessualmente dal maschio, legittimo od occasionale, le conferisce una straordinaria conferma della propria caratura umana ed erotica.

 

Ma ribaltiamo l’ipotesi: esiste l’amore senza il sesso?
È ancora e sempre amore quello che i due componenti di una coppia provano reciprocamente, senza avere rapporti sessuali?

Possono essere tanti i motivi per cui, in una coppia, non si pratica più il sesso.
Può succedere che uno dei due diventi portatore di una patologia ostativa, o di una carenza o di una condizione fisica debilitante, oppure riporti qualche trauma, anche psicologico, che pregiudichi in modo continuativo la sua praticabilità dal punto di vista della sessualità.
Oppure, molto più banalmente, è scemata del tutto l’attrazione fisica ed emotiva preesistente.
Però, possono persistere immutati i rapporti, psicologicamente appaganti, della stima personale, del rispetto reciproco, dell’affetto, vero e profondo, che, magari da tanti anni, ha unito i componenti della coppia.

Il sesso può anche passare in secondo, terzo o quarto piano ma estrometterlo del tutto vuol dire rinunciare all’unico vero momento intimo e gratificante di una coppia. Il momento in cui ci si guarda dentro. Un momento in cui il tempo si ferma, si fermano i pensieri e si lascia il mondo fuori. E non è solo sesso… È anche il prima: come ci si arriva. È il dopo: come ci si sente…
Due componenti fondamentali! È abbandonarsi. Desiderarsi. Concedersi in modo esclusivo.

Per rispondere al quesito di partenza, direi che non si tratta più di Amore con la A maiuscola, quello della gioventù, quello della pienezza dei sensi, quello degli exploit, quello che De André chiama “l’amore che strappa i capelli”.

L’amore senza sesso è, però, una specie di “amore in tono minore”, senza esaltazioni, non conclamato, non gridato od esibito, ma vissuto a basso profilo, molto intimizzato, molto complice e, a suo modo, egualmente profondo.
Anzi, è fatto di tante piccole cose ed attenzioni, anche di tante parole che rispecchiano lo stato d’animo, di due che, consapevolmente e onestamente, hanno scelto di continuare la loro relazione su un altro binario che, ben lungi dall’essere un binario morto, li può portare molto lontano, con condizioni di viaggio molto più confortevoli e confacenti alla loro età presente e futura.
Io lo considero un “coronamento” dell’amore della prima fase.

Insomma, l’Amore con la A maiuscola non è un assoluto, non è per sempre. È una chimera transeunte.
Decade e si trasforma, adattandosi alla legge del tempo, e diventa un Affetto con la A maiuscola.
E questo è la versione più nobile e umanamente gestibile del rapporto di coppia, che si consolida e rimane valido, nella misura in cui era valido l’amore originale, quello dei tempi migliori.

Numero2943.

 

 

L A    D E P R E S S I O N E

 

da  QUORA

 

Scrive Riccardo Cecco, corrispondente di QUORA.

 

La depressione è pigrizia emotiva.

 

Premessa: sarò crudo e diretto. Dirò cose che non vuoi sentire. Perciò, se hai paura di sentirti offeso o di uscirne ferito dopo la lettura, NON LEGGERE!

Ho lottato con la depressione per moltissimi anni.

Una cantilena di pensieri ed emozioni negative si era impossessata di me, diventando la colonna sonora della mia vita. Credevo che fosse il mio naturale modo di essere, e ci creai attorno la mia identità.

Ero grasso, povero e senza amici e davo la colpa alla depressione. Poi mi sono reso conto che ero depresso perché ero grasso, povero e senza amici.

Sono stato bullizzato e deriso. Ho avuto problemi con l’alcol e le droghe. Ho sofferto di una forte ansia sociale e ho lottato con dei disordini alimentari. Alcune delle persone più importanti della mia vita sono venute a mancare quando ero ancora un adolescente.

La verità è che tutti abbiamo problemi e la vita non è fatta per essere semplice.

La società di oggi, però, ci incentiva ad essere flaccidi e a comportarci da vittime. Di conseguenza, siamo portati a dare la colpa a qualcosa di esterno per delle difficoltà che ci troviamo ad affrontare interiormente.

Non sopporto quando sento qualcuno dire “soffro d’ansia”. Che cazzo vuol dire? Tutti soffriamo d’ansia. Non è altro che un’emozione che si viene a creare nel momento in cui decidiamo di preoccuparci per qualcosa che potrebbe accadere in futuro.

Non sopporto nemmeno sentir dire “ho la depressione.” Di nuovo… Che cosa significa? Non si tratta di un tumore o di un virus. Non vai a fare una passeggiata senza il giubbotto e ti prendi la depressione. Non è una malattia che cade dal cielo da un giorno all’altro.

La depressione è circostanziale.

Se non sei a conoscenza del motivo per cui sei depresso, significa che dovresti cominciare ad esaminare la tua vita e imparare a conoscerti meglio, invece che passare le giornate davanti a Netflix.

È difficile? Ci sono dei mostri che non vuoi affrontare? Ti capisco, ed è del tutto comprensibile. Ma se decidi di distrarti piuttosto che affrontare la realtà, non cambierà mai nulla.

Potresti avere l’istinto di ribattere con mille scuse, e lo comprendo. Ci sono passato anche io attraverso quella fase. Quando sei depresso, fai di tutto per difendere la tua depressione: è più facile trovare delle giustificazioni per non cambiare, piuttosto che darsi da fare per farlo.

Qualche tempo fa, un mio amico stava attraversando un brutto periodo. Era rimasto senza lavoro, la ragazza lo aveva lasciato, suo padre stava molto male e non aveva idea di che cosa volesse fare nella sua vita. Vedeva il suo mondo andare a pezzi e disintegrarsi un pezzettino alla volta, giorno dopo giorno.

Mentre bevevamo un caffè è crollato: si è messo a piangere e a parlare di quanto tutto fosse insopportabile e ingiusto.

Lo ascoltai e mi si spezzò il cuore a guardarlo in quello stato. La mia propensione iniziale fu quella di appoggiargli una mano sulla spalla e proporre i soliti luoghi comuni: “dovresti farti aiutare da qualcuno,” oppure “mi dispiace, vedrai che con il tempo passerà.”

Grazie al cielo, ho avuto la freddezza di riflettere e ricordare che cosa avesse aiutato me a superare quei momenti difficili. E non fu di certo l’accondiscendenza del mondo esterno: quella non faceva altro che alimentare il mio vittimismo.

“Cazzo, che vita di merda che stai vivendo! Non vorrei mai essere nella tua situazione,” gli dissi.

Smise di piangere. I suoi occhi si sbarrarono. Mi guardò sorpreso, confuso e intimorito: inconsciamente, stava aspettando la classica parola di conforto.

“Che cosa vuoi dire?” mi chiese.

“Che hai ragione. Stai vivendo una vita di merda e non ti invidio per niente. E ora?”

“E ora cosa?” rispose.

“Che cos’hai intenzione di fare? Aspettare che passi? Aspettare che succeda qualcosa che ti cambi la vita da un momento all’altro o che un angelo venga a salvarti? Oppure vuoi muovere il culo e fare qualcosa?”

Rimase in silenzio per qualche secondo. “Muovere il culo,” disse.

Lo abbracciai e gli dissi che per qualsiasi cosa sarei stato a sua disposizione, poi me ne andai e lo lasciai solo con i suoi pensieri.

Ormai è passato più di un anno e sta continuando a lottare con i suoi mostri ma, a poco a poco, sta imparando a sconfiggerli e a migliorare la sua vita. Mi ha ringraziato più volte per come mi comportai in quella situazione. Dice che avrebbe voluto una pacca sulla spalla, ma ciò di cui aveva bisogno era guardare in faccia la realtà, e io lo aiutai a farlo.

Se in quel momento mi fossi mostrato come l’amico comprensivo e compassionevole, potrebbe ancora essere nella stessa situazione, se non peggio.

Sì, perché la depressione non nasce da un giorno all’altro: si crea nel tempo, man mano che evitiamo di affrontare i problemi e che li lasciamo accatastare dentro di noi sotto forma di pensieri incompresi ed emozioni inespresse.

La vita non è facile per nessuno e c’è chi ha ricevuto delle carte di gran lunga peggiori delle tue. La differenza nel lungo termine, tuttavia, non la fanno le carte che hai in mano, bensì come decidi di giocarle. Se altre persone in situazioni più difficili sono riuscite a conquistare un’esistenza più serena, perché non dovresti riuscirci anche tu? Che cosa ti rende così speciale da poter evitare il lavoro che va fatto?

Al mondo non interessa che cosa ti è successo, quali sono i tuoi problemi, se sei grasso, se sei stato bullizzato, se la tua ragazza ti ha lasciato o se è morto un tuo familiare.

La vita continua ad andare avanti, con o senza la tua depressione. Sta solamente a te decidere quale giocata fare con le carte che ti sono state consegnate.

Sostanzialmente, la scelta da fare è sempre una: essere una vittima o assumerti la responsabilità per la tua vita e cambiare il tuo modo di giocare. Entrambe le scelte implicano dolore, ma la prima porta sofferenza, mentre la seconda porta crescita e maturità.

Se non sai da dove cominciare, parti dal tuo stile di vita.

Usa la prima ora del giorno per allenarti, comincia a mangiare meglio e a regolarizzare il tuo sonno. Poniti dei piccoli obiettivi e perseguili.

Vedrai che, in un tempo relativamente breve, ti renderai conto che la depressione non è una malattia, bensì un insieme di abitudini sbagliate e assenza di introspettiva.

Non hai voglia di allenarti? Non ti piacciono le verdure? Non hai la motivazione necessaria per cominciare? Va benissimo, almeno sarai consapevole che non desideri davvero cambiare. Per lo meno, non abbastanza.

Forse hai bisogno di toccare il fondo per trovare l’energia e la motivazione, ma non te lo consiglio.

Io stesso ho toccato il fondo prima di dare una svolta alla mia vita. E se è vero che mi ha dato la motivazione per cambiare, è anche vero che è svanita dopo qualche giorno. Alla fine, ho dovuto comunque introdurre disciplina e resilienza per stare sul pezzo.

Ora… Andare in palestra, imparare nuove abilità e prenderti del tempo per conoscerti meglio, risolveranno tutti i tuoi problemi?

No, no e no.

Tuttavia, ti assicuro che, se migliorerai le tue abitudini, ti porrai qualche domanda in più e farai maggiore chiarezza sui tuoi desideri, la tua vita cambierà completamente. Ma sappi che avrai del lavoro da fare! E sarà dura, molto dura…

Puoi accettarlo e agire di conseguenza o continuare a vivere come hai sempre fatto, ma senza il diritto di dire che la vita fa schifo o che sei sfortunato.

Sono chiacchiere al vento e a nessuno interessa sentirle. Nessuno ti verrà mai a salvare. Non ti salverà un amico, né una pillola e nemmeno uno psichiatra. Solo tu puoi salvare te stesso.

La depressione è una scelta, non una malattia, e assumertene la responsabilità è l’unica cosa in grado di cambiare le carte in tavola.

Ogni ausilio esterno può essere utile e importante. Uno psichiatra o il supporto di un buon amico possono essere d’aiuto ma, in fin dei conti, l’unica cosa che conta è l’azione. La mera compassione non cambia nulla; anzi, rischia di farti sentire giustificato, rendendo la metamorfosi ancora più difficile.

Che tu sia d’accordo con me oppure no, a me non interessa. In realtà, non interessa a nessuno. Ma se trovi un senso in ciò che dico, sai già qual è il prossimo passo da fare e sai anche che devi cominciare ora.

Numero2938.

 

A T E I    E    R E L I G I O N I

 

Gli atei pensano che la dottrina teologica

e la religione siano artefatti umani, ossia,

risultati di leggende ed opere letterarie UMANE.

Pertanto, non vi attribuiscono alcun valore

di “comandamento divino”, ma soltanto

di “legge umana scritta per un certo luogo e tempo”.

Essa, però, è stata ed è strumentalizzata

per scopi nient’ affatto “divini”,

ma solo per detenere e gestire poteri terreni.

Numero2937.

 

 

DANCE ME TO THE END OF LOVE        di Leonard Cohen, morto nel 2016 a 82 anni.

 

….. ha ottenuto uno straordinario successo, ha consentito a “Dance me to the end of love” di Leonard Cohen di essere stata scoperta o riscoperta da tante persone. E per un brano struggente come questo, tra le perle del cantautore, poeta e compositore canadese, poco o per nulla proposta nella programmazione delle radio, è davvero cosa buona.

Cohen canta qui la bellezza dell’amore, come in tante altre sue canzoni più o meno celebri. «Fammi danzare verso la tua bellezza con un violino infuocato / Fammi danzare attraverso il panico finché non sarò al sicuro / Sollevami come un ramoscello d’ulivo e sii la mia colomba che mi riporta a casa / Fammi danzare fin dove finisce l’amore / Fammi danzare fin dove finisce l’amore».

«Quella musica», diceva ancora Cohen, «significa la bellezza della conclusione dalla vita, la fine dell’esistenza e dell’elemento passionale in quella conclusione. Ma è lo stesso linguaggio che usiamo per arrenderci al nostro amore, così non è importante che tutti conoscano la genesi della canzone, perché se il linguaggio viene da quell’appassionata risorsa sarà in grado di abbracciare ogni attività appassionata».

E così è, infatti. Resta un capolavoro che canta l’amore “finché morte non ci separi”. Tanto che quel “fammi danzare” potrebbe essere tradotto, con una forzatura originale ma non banale, con un “danzami”. Un danzare dentro la vita, dentro l’anima, dentro il cuore. Così scrive e canta Cohen nel brano: «Mostrami la tua bellezza non appena i testimoni se ne saranno andati / Fammi sentire il tuo corpo muoversi come fanno a Babilonia / Mostrami poco a poco ciò di cui io solo conosco il limite …. / Fammi danzare fino al matrimonio, fammi danzare continuamente / Fammi danzare con molta dolcezza e fammi danzare (danzami) ancora a lungo». La canzone sembra quasi entrare nell’intimità di una relazione, e con questo sguardo possiamo ascoltarla e, perché no, “danzarla”. Uno sguardo che lotta contro l’idea della morte e diventa un inno alla vita.