Numero2906.

 

12 segni di personalità che dimostrano che sei una persona elegante.

 

Nell’ambito dell’individualità, l’eleganza è un concetto che trascende l’abbigliamento. Non si tratta solo di moda; si tratta di portamento, di atteggiamento e di come interagisci con il mondo. Questo articolo esplora 12 aspetti distintivi che distinguono una persona veramente elegante. Attraverso osservazioni di comportamento e caratteristiche di personalità uniche, ti mostreremo come l’eleganza sia radicata molto più in profondità di quanto la superficie possa suggerire. Preparati a scoprire una nuova prospettiva sull’eleganza.

La tua eleganza innata: sintomi e segreti

Sei mai stato descritto come una persona elegante? Non è solo una questione di abbigliamento; esistono segni di personalità che dimostrano la tua eleganza innata. Questi tratti possono essere sottili, ma sono inconfondibili.

Comportamento raffinato: che cosa significa realmente?

Un comportamento raffinato non si limita a conoscere etichette e regole sociali. È anche una questione di rispetto e considerazione verso gli altri. Le persone eleganti non cercano di dominare le conversazioni o di attirare l’attenzione su di sé. Al contrario, valorizzano le altre persone con la loro presenza.

Anche la capacità di mantenere la calma durante i momenti di stress è un segno di eleganza. Le persone eleganti non perdono mai la compostezza, anche nelle situazioni più difficili.

Il tuo stile sottile e inconfondibile

L’eleganza non significa necessariamente indossare abiti firmati o gioielli costosi. È più una questione di stile personale e di come porti te stesso. Le persone eleganti hanno uno stile sottile ma inconfondibile che riflette la loro personalità e il loro buon gusto.

Il tuo senso dello stile può essere espresso attraverso la tua scelta di abbigliamento, accessori, o anche il tuo comportamento. Ricorda, l’eleganza è una questione di qualità, non di quantità.

Come il tuo linguaggio del corpo rivela la tua eleganza

Gestualità fluida e controllata: il segno di una persona di classe

Il modo in cui ti muovi può rivelare molto sulla tua eleganza. Le persone eleganti si muovono con grazia e fluidità, dimostrando un controllo del proprio corpo che suggerisce un senso innato di equilibrio e compostezza.

Questo non significa che devi essere un ballerino professionista o un atleta per essere elegante, ma semplicemente che devi essere consapevole del tuo linguaggio del corpo e di come esso può influenzare le percezioni degli altri.

Il silenzio: un indicatore di eleganza spesso sottovalutato

Le persone eleganti sanno che non è sempre necessario rispondere o parlare per fare una buona impressione. A volte, il silenzio può essere più potente delle parole. Saper mantenere il silenzio, ascoltare attentamente e rispondere in modo appropriato è un segno di rispetto verso gli altri e di autodisciplina.

Il silenzio può anche essere un segno di fiducia in sé stessi. Le persone eleganti non sentono il bisogno di riempire ogni momento di silenzio perché sono a proprio agio con i propri pensieri e sentimenti.

L’intelligenza emotiva: un indicatore di eleganza

Decifrare le emozioni altrui: un talento degli eleganti

Una persona elegante non è solo consapevole delle proprie emozioni, ma è anche capace di decifrare quelle degli altri. Questo è un segno di intelligenza emotiva, una qualità che permette alle persone eleganti di costruire relazioni significative e rispettose.

Essere in grado di capire e rispettare le emozioni altrui è un segno di maturità emotiva e di empatia, due tratti chiave delle persone eleganti.

La tua risposta emotiva riflette la tua classe

Non solo le persone eleganti sono in grado di capire le emozioni altrui, ma rispondono anche a queste emozioni in modo appropriato. Non si lasciano sopraffare dalle emozioni negative e cercano di risolvere i conflitti in modo pacifico e rispettoso.

La loro risposta emotiva riflette la loro classe, perché sanno che le loro azioni e parole possono avere un impatto significativo sugli altri.

Empatia: un tratto inconfondibile di una persona elegante

Una delle caratteristiche più notevoli delle persone eleganti è la loro empatia. Sono in grado di mettersi nei panni degli altri e di capire i loro sentimenti e punti di vista. Questa capacità di connessione emotiva è un segno di eleganza e rispetto per gli altri.

L’empatia non significa necessariamente essere d’accordo con gli altri, ma significa rispettare e comprendere le loro emozioni. È un segno di maturità emotiva e di saggezza interiore.

Il tuo atteggiamento positivo riflette la tua eleganza

Ottimismo: un segno inequivocabile di una persona di classe

Le persone eleganti tendono ad avere un atteggiamento positivo. Non sono cieche alle difficoltà della vita, ma scelgono di concentrarsi sulle cose positive. Questo ottimismo non è solo un modo per migliorare il proprio umore, ma è anche un segno di forza interiore e resilienza.

L’ottimismo non significa ignorare i problemi, ma cercare soluzioni e opportunità in ogni situazione. È una qualità che riflette una visione di vita equilibrata e ottimista.

La tua resilienza: un segno di sofisticata forza interiore

La resilienza è la capacità di resistere alle difficoltà e di recuperare da esse. È un segno di forza interiore e di eleganza. Le persone eleganti non si lasciano abbattere dalle avversità, ma le vedono come opportunità per crescere e imparare.

Essere resilienti non significa essere invincibili, ma significa avere la forza di superare le sfide e di continuare a perseguire i propri obiettivi. È una qualità che riflette la sofisticata forza interiore di una persona elegante.

Eleganza e generosità: due facce della stessa medaglia

La generosità discreta: un tratto di una persona elegante

La generosità è un altro segno di eleganza. Le persone eleganti sono generose non solo con i loro beni materiali, ma anche con il loro tempo, la loro attenzione e il loro affetto. Sanno che la vera ricchezza non si misura in termini materiali, ma in termini di relazioni significative e gratificanti.

La generosità delle persone eleganti non è ostentata o eccessiva, ma discreta e autentica. Non cercano riconoscimento o gratitudine, ma donano perché sanno che è la cosa giusta da fare.

Come il tuo atteggiamento generoso riflette la tua classe

La tua generosità non solo beneficia gli altri, ma riflette anche la tua classe e la tua eleganza. Mostra che sei una persona che si preoccupa degli altri e che è disposta a dare senza aspettarsi nulla in cambio.

La generosità non è una questione di quantità, ma di qualità. Non si tratta di quanto dai, ma di come dai. Una persona elegante dà con amore e rispetto, mostrando la sua umanità e la sua empatia.

L’arte di dare: un segno di sofisticata eleganza

L’arte di dare è un segno di sofisticata eleganza. Le persone eleganti sanno che non è sempre quello che dai, ma come lo dai che conta. Sanno che un piccolo gesto di gentilezza può avere un grande impatto e che l’amore e l’affetto che donano possono fare la differenza nella vita di una persona.

Le persone eleganti non solo danno, ma lo fanno con grazia e generosità. Questo è un segno di sofisticata eleganza, una qualità che solo le persone più straordinarie possiedono.

In conclusione, l’eleganza non è solo una questione di aspetto o di stile, ma è una qualità interiore che si riflette nel comportamento, nelle azioni e nelle reazioni di una persona. Se possiedi questi dodici segni di personalità, allora sei senza dubbio una persona elegante. Ricorda, l’eleganza è un viaggio, non una destinazione. Continua a coltivare questi tratti e a vivere la tua vita con grazia ed eleganza.

Numero2905.

 

da QUORA

 

I    C O G N O M I    D E G L I    O R F A N I     L’argomento è già stato trattato al Numero1502, questo è un approfondimento.

 

I cognomi degli orfani.

Prima del Medio Evo, i genitori in difficoltà economiche non abbandonavano i propri figli, ma li vendevano; le femmine venivano vendute per la prostituzione e i maschi per i lavori dei campi e le fatiche.

Durante il Medio Evo Federico II di Svevia mise fine a questa pratica con una legge che proibiva la vendita delle femmine per la prostituzione.

Si passò così alla pratica detta “oblazione”, consisteva nel lasciare in “dono” i propri figli nei conventi, abbandonandoli in un marchingegno a ruota che permetteva di introdurre il pargolo dall’esterno, mantenendo l’anonimato.

Quando un bambino veniva abbandonato si doveva mettergli un cognome.

A Napoli, tutti i bimbi della ruota degli esposti si chiamavano appunto Esposito, che è “esposto” in spagnolo, oppure Ruotolo. Prima di adottare questa pratica, infatti, i neonati venivano esposti sui gradini delle chiese e lasciati anche per ore alle intemperie, prima che qualcuno li scoprisse: spesso venivano trovati morti assiderati.

A Firenze ed in Toscana, uno dei conventi fu lo Spedale di Santa Maria degli Innocenti, e gli esposti ebbero tutti il cognome di Innocenti, Degli Innocenti, Nocenti, Nocentini.

A Milano l’istituto era l’ospizio di Santa Caterina della Ruota, che aveva come simbolo una colomba, perciò qui i trovatelli vennero nominati Colombo e Colombini. Similmente a Pavia, ad esempio, gli esposti vennero chiamati spesso Giorgi, mentre a Siena avevano per cognome Della Scala.

Spesso i bimbi abbandonati venivano chiamati con cognomi esplicativi: Esposti, Orfano, Proietti, Trovato, Ventura, Venturini, Bastardo, Ignoto, Incerto, Infascelli, D’Avanzo, Spurio. Casadei, Casadidio, Casagrande, Diotallevi, Donadio, Vacondio, Bentivoglio. In Veneto Balasso.

Se abbandonati vicino alla ruota degli esposti venivano chiamati Rota, vicino ad un ponte Da Ponte, vicino ad una chiesa il cognome era Chiesa, Dalla Chiesa, Della Chiesa.

Erano i figli di “N.N.” (Nomen Nescio = non conosco il nome) o di “M. IGNOTA” ( Mater Ignota = di madre sconosciuta, da cui il termine dispregiativo “mignotta”).

Numero2904.

da  QUORA

 

L’Italia è culturalmente arretrata?

 

Scrive Fabio Colasanti, corrispondente di QUORA

 

Gran parte dell’ultimo libro di Piero Angela (Dieci cose che ho imparato, Mondadori, 2022) è dedicata a rispondere, più o meno, a questa domanda.

La posizione di Piero Angela è ben riassunta in queste righe che vengono dalla pagina 13 del suo libro.

“Personalmente credo che vi sia soprattutto un gravissimo ritardo culturale a entrare nella modernità; cioè un deficit nella capacità di comprendere (e di investire in) quelli che sono oggi i veri acceleratori dello sviluppo: educazione, conoscenza, competenza, flessibilità, innovazione, capacità progettuale, etc. Tutte cose importanti anche in passato, naturalmente, ma che oggi sono deflagrate attraverso il moltiplicarsi delle scoperte scientifiche e delle invenzioni tecnologiche”.

Il punto di Piero Angela è che per il grosso degli italiani “Cultura” è solo cultura classica. Il grosso degli italiani non apprezza gli sviluppi scientifici e tecnologici, ne ha addirittura paura. Le nostre imprese non riescono a trovare abbastanza laureati in materie STEM (Science, Technology, Engineering and Math). E abbiamo tanti laureati in materie letterarie, scienza delle comunicazioni, scienze politiche e giurisprudenza che non trovano lavoro.

Nei vari capitoli del libro, Piero Angela fa un lunghissimo elenco di tutte le statistiche che mostrano il ritardo dell’Italia rispetto agli altri paesi industrializzati in tutti i campi che sono oggi cruciali per lo sviluppo.

Comincia con la qualità dell’istruzione. I nostri studenti di 15 anni escono molto male dalle inchieste PISA fatte dall’OCSE su di un larghissimo campione e come numero di laureati nella popolazione stiamo tra la Colombia e l’Arabia Saudita nelle statistiche OCSE (e siamo gli ultimi nell’UE).

Siamo poi tra gli ultimi paesi in Europa nell’uso dell’internet e delle altre tecnologie digitali. Non stiamo bene in termini di brevetti. La nostra spesa per la ricerca scientifica è tra le più basse in Europa.

Nel nostro paese c’è poca concorrenza e poco riconoscimento del merito.

E, comunque, c’è il fatto incontrovertibile che siamo il paese UE con la crescita media più bassa tra il 1991 ed oggi. Perfino la Grecia, con otto anni di recessione, è cresciuta un niente più di noi.


Aggiungo alcuni dati per aiutare chi sembra andare avanti solo sulla base di impressioni personali.

Numero2903.

 

da  QUORA

 

Perché oggi sempre più fedeli cristiani si allontanano dalla Chiesa?

 

Risponde Stefano Valenti, corrispondente di QUORA

 

Mi vengono in mente almeno tre motivi.
Primo: minor pressione sociale.
Secondo: lo sviluppo delle conoscenze scientifiche fa sì che un minor numero di persone creda nel soprannaturale (anche se questo non le rende necessariamente né meno ignoranti, né più razionali).
Terzo: le nostre società sono più individualiste e si tollera meno l’idea di dover obbedire a regole dettate da altri.

La fede religiosa può spingere alla superstizione, al fanatismo e alla prevaricazione; ma questo vale anche per la fede politica, per il pregiudizio, per l’avidità, per la sete di potere e per altri strumenti di controllo e di sfruttamento delle masse.
Le fedi religiose non sono tutte uguali. Alcune enfatizzano il rispetto per gli altri, la responsabilità nei confronti di sé stessi e degli altri, l’integrità personale, l’onestà, la fedeltà. Questi elementi sono, in generale, presenti nel cristianesimo (in alcune versioni più che in altre) e anche in altre fedi religiose (non in tutte). Da questo punto di vista, se non credere significa buttare a mare anche questi valori etici, che però si possono possedere anche senza professare una fede religiosa, la perdita della fede non è un fenomeno positivo.
Se, invece, professare una fede religiosa significa alimentare il fanatismo e l’intolleranza, allora meglio non professarne alcuna.

In definitiva, comunque, si deve professare una fede religiosa perché ci si crede, non perché è “utile”.

 

Risponde Michele Cini, corrispondente di QUORA

 

Hanno fatto il possibile, l’inverosimile e l’impossibile per cacciare i fedeli dalle loro chiese. Sessuofobia ossessiva con divieto di tutto, anche dei pensieri, con esaltazione assurda della castità come virtu’, con preti solo maschi e solo celibi, e divieto anche nel matrimonio dell’amore fine a se stesso; divieto di controllo delle nascite, madonne di gesso che piangono sangue maschile, apparizioni quotidiane e altre truffe per fare soldi, insistenza sulle favole bibliche (anche a me hanno insegnato che Darwin era cattivo ), svalutazione del sapere, della scienza e di tutto ciò che di piacevole offre la vita, accordi col duce ma negazione del liberalismo e del socialismo, scandali frequenti. Un tempo la gente subiva tutto ciò per ignoranza, ma ora i tempi sono cambiati.

 

Risponde Giancarlo Aureli, corrispondente di QUORA

 

Le motivazioni sono molteplici: il rapporto tra religione e morale rientra tra queste.

Tra le più rilevanti, la forte crescita della popolazione che oggi si dichiara favorevole all’eutanasia, intesa in senso generale come alla possibilità di porre fine alla vita di un malato incurabile: il 63%.

L’accettazione, da parte della maggioranza degli italiani, della condizione omosessuale e di alcuni suoi diritti: era condannata dal 62% della popolazione di venticinque anni fa, mentre oggi viene ritenuta ammissibile dalla maggioranza delle perone (56%).

Ciò significa che, in un Paese in cui il legame cattolico è ancora diffuso, cresce la distanza dalla morale proposta dal magistero ecclesiale, come già avvenuto sulle questioni del divorzio, dell’aborto, delle convivenze fuori dal matrimonio.

Già le indagini del recente passato avevano segnalato le difficoltà degli italiani non soltanto a seguire, ma persino a comprendere le indicazioni della gerarchia in questo campo, ritenute troppo restrittive e anacronistiche, ad esempio sui temi della contraccezione e della procreazione.

L’indebolimento dei legami con la Chiesa cattolica emerge anche dalle modalità con le quali la Chiesa agisce nella nostra società. Sul versante sociale le denunce sono quelle note: riguardano un’organizzazione religiosa accusata di troppo potere, di indebita influenza in campo politico, di incoerenza tra il dire e il fare, in pratica di rappresentare una realtà che “predica bene ma razzola male”, come evidente anche nella questione della pedofilia clericale, ma non solo.

Questi giudizi negativi vengono oggi condivisi da oltre i due terzi della popolazione, circa un 10-15% in più di quanto succedeva venti-venticinque anni or sono.

Anche in altri Paesi cattolici, come la Polonia, la situazione è la medesima: tra i problemi più gravi della Chiesa sono considerati: la pedofilia del clero (60%) e il coinvolgimento in politica (37%).

Quasi la metà della popolazione dei credenti nutre l’idea che “non c’è bisogno dei preti e della Chiesa, ognuno può intendersela da solo con Dio”. Cresce dunque l’idea che sia plausibile avere una “fede senza Chiesa”, agendo in proprio sulle questioni di fede.

Il disaccordo con la Chiesa si manifesta anche a proposito di alcune normative interne al campo religioso, in particolare quelle relative alla vita sacerdotale, che prevedono ancor oggi sia il divieto alle donne di esercitare questo ministero, sia l’obbligo del celibato per il clero maschile.

Secondo Andrea Riccardi (La Chiesa brucia, Laterza, 2021) la crisi è talmente grave che alcuni analisti e sociologi hanno parlato di “fase terminale” della Chiesa cattolica.

Jérôme Fourquet scrive severamente sul cattolicesimo in Francia: «C’è una scristianizzazione crescente, che sta conducendo alla “fase terminale” della religione cattolica». E continua: «se questo trend sarà confermato, si stima (chiaramente come linea tendenziale) che nel 2048 possa esserci l’ultimo battesimo, mentre nel 2031 l’ultimo matrimonio cattolico. Addirittura potrebbe esserci anche la totale scomparsa di sacerdoti francesi nel 2044» (J. Fourquet, L’archipel français. Naissance d’une nation multiple et divisée, Seuil, Paris 2019).

«Per centinaia di anni è la religione cattolica che ha strutturato profondamente l’inconscio collettivo della società francese. Oggi questa società è l’ombra di quello che era. È in corso un grande cambiamento di civiltà».

L’aggettivo “terminale”, molto duro, è usato anche da due studiosi di vaglio: Emmanuel Todd (che in passato ha preconizzato la fine del sistema sovietico e poi la crisi dell’egemonia americana) e il demografo Hervé Le Bras. Quest’ultimo è figlio di Gabriel Le Bras, uno dei padri della sociologia religiosa francese, cui tanto si deve per una lettura del fenomeno della “scristianizzazione” della società, compiuta attraverso i flussi della pratica religiosa. Ebbene nel 2013, in Le mystère français, entrambi gli autori, Todd e Hervé Le Bras, parlano di «crisi terminale» della Chiesa, anche qui avendo presente la Francia.

La gravità della crisi della Chiesa europea non si può considerare neppure lontanamente attenuata o mitigata da eventuali incrementi delle chiese decentrate, in quanto si tratta della “testa”, del cardine, del fondamento dell’intera Chiesa. Se viene meno il “capo” viene meno l’intero corpo. Le Chiese extraeuropee sono inoltre spesso minoritarie nei propri paesi. Ad esempio in Cina i cattolici rappresentano circa lo 0,7% della popolazione, pur contando circa dieci milioni di fedeli. Una minoranza irrilevante e insignificante.

Eppure molti componenti del gregge cattolico continuano ad immaginare un futuro roseo, autoconvincendosi di essere in ascesa anziché in discesa, un po’ come coloro che continuavano a ballare e cantare mentre il Titanic affondava. Tra non molto, per poter ammirare da vicino un esemplare di pecorone cattolico sarà necessario recarsi nel museo delle cere di Madame Tussauds a Londra.

 

N.d.R. : Io non frequento le chiese. Ci entro, assai di rado, solo per partecipare ad eventi rituali come battesimi, comunioni, funerali che riguardano parenti o persone care. Registro i cambiamenti in atto che si stanno verificando ultimamente, rispetto a quando, ragazzino e chierichetto, appartenevo anch’io agli addetti ai lavori. Soprattutto, l’atmosfera che si respira durante una celebrazione o cerimonia non ha molto più a che fare con il clima ecumenico e partecipativo di diversi decenni fa. E l’aria di crisi è rappresentata in prima persona proprio dal prete celebrante. Gli addetti ai sacri uffici che io ho visto sull’altare o al fonte battesimale o al cimitero, nelle ultime tre, quattro volte che ero presente, erano preti molto vecchi, quasi prostrati e stanchi, con ambulazione precaria e difficoltà espressive e di verbalizzazione. Non avevano più nulla di carismatico che potesse, in qualche modo, interpretare la sacralità della funzione che stavano rappresentando. Erano l’immagine della Chiesa cadente.

 

 

Numero2900.

 

U N    G R A N D E    T E M A

 

Voglio qui improvvisare un breve “excursus”, una dissertazione azzardata ma lucida su una quaterna di personaggi  ed esponenti importanti del pensiero umano, nella storia del mondo e della civiltà occidentali, per affrontare uno degli argomenti più stimolanti, ponderosi e difficili della nostra cultura: il rapporto fra fede e ragione.

Lo faccio in maniera spicciola, proprio perché non intendo renderlo eccessivamente dottrinale, pesante e astruso. Riporterò i pareri di questi pensatori che, a mio modesto avviso, possono ben rappresentare le posizioni e le angolazioni diversificate quanto basta per dare un senso esaustivo alla mia breve ricerca.

 

Il primo personaggio, il cui pensiero intendo proporre, è Guglielmo di Ockham (detto comunemente di Occam).

È stato un teologo, filosofo e religioso francescano inglese (1285 – 1347).

Di lui viene ricordato un “principio” chiamato dagli addetti ai lavori “rasoio di Occam”. Cosa dice? Si tratta del “principio metodologico di economia (o parsimonia)”. Eccone la tesi:

“Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” = Non bisogna moltiplicare gli elementi più del necessario.

Detto in poche parole: a parità di fattori, la soluzione più semplice è quella da preferire, ovvero, è inutile fare con più, ciò che si può fare con meno.

Allora, proviamo ad applicare questo principio alla “vexata questio” (dibattuta domanda) sul cosmogonico problema se Dio abbia creato l’universo o se l’universo sia sempre esistito per sé.

IPOTESI MENO ECONOMICA: Dio è eterno. Crea un universo non eterno.

IPOTESI PIU’ ECONOMICA: Dio è eterno. È l’universo ad essere eterno.

Secondo il “rasoio di Occam” dunque, si dovrebbe preferire la seconda ipotesi. E Guglielmo di Occam era un uomo di religione e di Chiesa.

 

Mettiamoci insieme anche il postulato di Bertrand Russel filosofo britannico (1872 – 1970), espresso sotto il titolo di “Teiera di Russel” di cui parlo al Numero2875.

La “teiera di Russel” dice che se tu non hai prove per dimostrare una tesi, io non ho bisogno di prove per confutarla.

Il “Rasoio di Occam” dice che, se una spiegazione funziona anche senza una variabile, quella variabile può anzi DEVE essere rimossa.

IN  ALTRE  PAROLE:

Se tu, credente, non hai prove per dimostrare l’esistenza di Dio, io non ho bisogno di prove per dimostrarne l’inesistenza.

Non ci sono prove dell’esistenza di Dio perché egli non esercita alcuna influenza osservabile sul mondo. Ergo, è una variabile che può anzi DEVE essere rimossa.

 

Salto a piè pari se non in un altro secolo, ad un altro personaggio. Si tratta questa volta di Stephen Hawking (1942 – 2018), cosmologo, fisico, astrofisico, matematico e divulgatore scientifico, britannico pure lui, fra i più autorevoli e conosciuti fisici teorici del mondo, noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri, sulla cosmologia quantistica e sull’origine dell’universo.

Secondo questa mente scientifica eccelsa, (aveva un Q.I. di 160, sembra), religione e scienza non sono in alcun modo conciliabili.

Egli afferma, infatti:

 

C’è una fondamentale differenza

tra la religione,

che è basata sull’autorità,

e la scienza,

che è basata su osservazione e ragionamento.

 

E, alla domanda: Dio ha creato il mondo? risponde con un secco: no.

 

Resta il dubbio.
Dubbio che dovremmo avere tutti se fossimo umili ed intellettualmente onesti.
Affermare invece che le cose siano andate indubitabilmente in uno specifico modo, per fede, per obbedienza, per adesione incondizionata ad un mito biblico di qualche millennio fa, credo che sia un atto di arroganza non più compatibile con le categorie del pensiero contemporaneo.

 

Nella peggiore delle ipotesi, e qui faccio un altro salto nel tempo storico, potrebbe averci visto giusto il Barone d’Holbach che, in pieno XVIII secolo, scriveva:

“Ci dicono, in tono grave, che non c’è effetto senza causa; ci ripetono, ogni momento, che il mondo non si è fatto da sé. Ma l’universo è una causa, non è per niente un effetto, non è per niente un’opera, non è stato per niente “fatto”, poiché era impossibile che lo fosse. Il mondo è sempre esistito, la sua esistenza è necessaria. La materia si muove per la sua stessa energia, per una conseguenza necessaria della propria eterogeneità”.

Paul Henri Thiry d’Holbach (1723 -1789), nome francesizzato di Paul Heinrich Dietrich, Barone d’Holbach, filosofo, enciclopedista, traduttore e divulgatore scientifico tedesco naturalizzato francese.

Questo scrive nella sua opera: “Il buon senso, ossia idee naturali opposte alle soprannaturali”.

Numero2899.

 

C I T A Z I O N E    D A L    V A N G E L O

 

Intanto si erano radunate migliaia di persone,

al punto che si calpestavano a vicenda,

e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli:

 

 

 

Guardatevi bene dal lievito

dei Farisei, che è l’ipocrisia.

 

Non c’è nulla di nascosto

che non sarà rivelato,

né di segreto

che non sarà conosciuto.

 

 

Dal Vangelo di Luca 12, 1-7

Numero2895.

 

C R O N O V I S O R E

 

Questo argomento è già stato trattato al Numero1142 e al Numero1141. Qui viene approfondito, almeno in parte, ma meriterebbe di essere sviscerato ulteriormente, perché di enorme importanza.

Pellegrino Ernetti: monaco, fisico, esorcista, esperto di musica

Lunedì 7 Ottobre 2019 di Alberto Toso Fei

 

Se fosse vera – poiché il mistero che vi aleggia e il dibattito che vi si svolse attorno rendono tutto indistinguibile – sarebbe la più sconvolgente scoperta scientifica di tutti i tempi: il “Cronovisore”, un apparecchio che poteva catturare immagini e suoni dal passato, e mostrarli come in una diretta televisiva; come se avvenissero davanti agli occhi di chi osservava.

Il suo inventore, Pellegrino Ernetti, ebbe per questo buona fama, finché ogni cosa – tra smentite e silenzi – fu seppellita dall’oblio. Eppure questo monaco benedettino, che visse e operò per decenni sull’isola di San Giorgio Maggiore, fece parlare a lungo di sé e dei suoi studi, e prima di portare con sé il segreto nella tomba – nel 1994 – operò in più settori singolari.

Frate, fisico, esorcista ufficiale della diocesi di Venezia e titolare dell’unica cattedra del suo genere al mondo (quella di musica prepolifonica) al Conservatorio “Benedetto Marcello”, Pellegrino Alfredo Maria Ernetti nacque a Rocca Santo Stefano – in provincia di Roma – nel 1925: uomo di vasta cultura e di mente estremamente aperta, ebbe la prima intuizione della possibilità di esplorare i confini del tempo dopo la laurea in fisica, a Milano, mentre all’Università Cattolica del Sacro Cuore collaborava con padre Agostino Gemelli. Secondo il suo stesso racconto, gli accadde di essere testimone di un fatto singolare: sul nastro di un registratore era rimasta impressa la voce del defunto genitore di Padre Gemelli, in risposta a una invocazione da parte di suo figlio.

Erano gli anni Cinquanta, e l’idea che la nascente tecnologia elettronica potesse creare dei legami col passato gli sembrò estremamente concreta: la sua “macchina del tempo” (la definizione di “Cronovisore” fu creata più tardi dallo studioso Luigi Borello) si basava sulla teoria che ogni gesto, ogni movimento, ogni azione effettuata dall’uomo si trasforma in energia che non si distrugge ma da quel momento inizia a vagare nell’Universo. Il segreto stava tutto nel decodificare quell’energia, tornando alla posizione che aveva la terra nel momento in cui si svolgeva l’evento passato e “sintonizzandosi” con essa (peraltro seguendo la teoria relativistica di Albert Einstein).

Il gruppo di lavoro sarebbe stato composto da dodici persone, tra cui Enrico Fermi e Werner von Braun, lo scienziato tedesco direttore della Nasa e progettista del missile che più tardi portò l’uomo sulla luna, oltre allo stesso Gemelli. I primi esperimenti riguardarono personaggi vicini a quel tempo, in modo da poter controllare se ciò che veniva visto rispondeva alla realtà conosciuta. Si cominciò dunque con Mussolini, e rapidamente si passò a Napoleone; poi Ernetti e i suoi collaboratori si spinsero nell’antichità, e videro Cicerone mentre pronunciava i suoi discorsi, le legioni romane in marcia, e assistettero alla rappresentazione del “Thyestes” di Quinto Ennio, recitato a Roma nel 169 avanti Cristo, durante i Giochi Pubblici in Onore di Apollo. Arrivarono a trascriverne i passaggi, visto che della tragedia esistevano solo dei frammenti.

Alla fine il gruppo si spinse oltre l’immaginabile, e col visore assistette all’Ultima Cena, al tradimento dell’orto degli ulivi, alla flagellazione, al viaggio sul Calvario, alla crocifissione, sepoltura e resurrezione di Cristo. Videro tutto, sentirono ogni parola, ascoltarono ogni rumore. E giurarono di non dire nulla a nessuno.

Ogni singolo esperimento fu filmato e mostrato a Pio XII; fu proprio il Vaticano a impedire che il progetto venisse divulgato: caduto in mani sbagliate, con la sua potenziale capacità di leggere anche i pensieri – altra forma di energia – il “Cronovisore” sarebbe divenuto un’arma di potere terribile e capace di sconvolgere l’intera umanità. Fu quindi smontato e consegnato alle autorità ecclesiastiche, che ne custodirebbero ancora oggi il segreto. E sebbene già allora una delle immagini diffuse da Ernetti sulla passione di Cristo fu riconosciuta come falsa (anche se i sostenitori dell’esistenza dell’apparecchio ritengono che si trattò di una falsa prova escogitata proprio allo scopo di screditare e far dimenticare l’intera operazione), la fama della macchina del tempo creata da un monaco veneziano e languente in qualche magazzino del Vaticano, coperta di polvere, è lontana dal tramontare.

Numero2892.

 

da QUORA

 

A T E I S M O    E    M O R A L I T A’

 

Alla domanda: Gli atei vogliono fare quello che gli pare senza vincoli morali?

 

Risponde Domenico Zampaglione, corrispondente di QUORA.

 

Questa idea che la morale non possa esistere se non viene dal Dio Cristiano è il fulcro della mente zotica, dell’incultura più bieca. Ma veramente voi baciapile credete che gli antichi prima di Cristo non abbiano avuto principi morali, un timore anche dei loro dei ma pure filosofie che si ponevano il problema del Bene e del Male? Veramente credete che non esistessero anche istituzioni che garantivano uno stile di vita ordinato e delle leggi che ne dettavano i principi? Pensate che i dieci Comandamenti siano la quintessenza della saggezza e che nessuno ben prima abbia pensato a considerare l’omicidio, il furto, la falsa testimonianza e l’adulterio come comportamenti vietati e dannosi per una sana convivenza? Era necessaria una mente divina per concepire queste norme che sembrerebbero ovvie anche a un bambino di quinta elementare? Eh no, Dio le ha incise con il fuoco sulle tavole della legge. E, naturalmente, non attribuite un interesse morale neanche al pensiero laico moderno che, manco a dirlo, ignorate. Bambini siete ma non è colpa vostra, vi hanno formattato la testa come un disco fisso fin dalla più tenera infanzia, tenendovi sotto schiaffo per tutta la vita con la paura dell’inferno. Invece di aver paura dell’intelligenza artificiale dovremmo aver paura della demenza naturale.

 

Risponde Pierangelo Gold, corrispondente di QUORA

 

Questa domanda è una non-domanda. Ti svelo un segreto, pure i teisti fanno quello che vogliono senza vincoli etici e morali, anche perché, per tutte le dottrine teistiche in cui vi è una morale assoluta prescrittiva, questa è indovina un po’, decisa e imposta dal credente. Nel caso ateo hai l’uomo che dice all’uomo cosa deve e non deve fare. Nel caso teista, almeno per quanto riguarda tutte le filosofie morali teocentriche (dato che puoi avere dio senza religione, morale senza religione, religione senza morale e dio senza morale), hai l’uomo che dice a dio o agli dei cosa dire all’uomo riguardo a ciò che l’uomo può o non può fare.

L’unica differenza è che con dio o dei hai una parvenza di assolutezza dato che hai dio che fa da garante della tua morale. Ma non hai nulla che ti garantisca dio in primo luogo e per questo il ragionamento è fallace. Inoltre l’assolutezza dei tuoi principi morali la puoi usare come assioma, togliendo dio dall’equazione (ragionamento ugualmente fallace, ma perlomeno supportato dal guadagno in semplicità strutturale favorito dal rasoio di Occam).

Ma in ambo i casi hai l’uomo che dice all’uomo come comportarsi. Dato che dio non parla mai se non c’è qualcuno che parla per lui.

Quindi la domanda non solo è sbagliata perché parte da presupposti sbagliati (che gli atei vogliano fare quello che vogliono e i teisti no), ma è logicamente mal posta, in quanto si assume si possa avere vincoli etici o morali in primo luogo, quando questi esistono solo in quanto imposti da se stessi o dagli altri. Non esiste legge fisica che ti impedisca di premere il pulsante rosso di annichilazione missilistica termonucleare globale alla Casa Bianca o al Cremlino, le limitazioni sono di tipo pratico o autoimposto. E questo indipendentemente dalla tua posizione filosofica relativa all’esistenza di dio.

Come ultimo appunto voglio inoltre notare l’ipocrisia che caratterizza molti che seguono una morale prescrittiva che può essere di base teistica e/o religiosa, specie per quanto riguarda le religioni abramitiche. Molti sono i principi morali imposti chiaramente dalla dottrina che si afferma di seguire che vengono poi all’occorrenza ignorati, reinterpretati, ridimensionati o comunque piegati alle proprie convenienze. Quindi sia atei che teisti vogliono fare ciò che più pare e piace a loro (anche perché è un identità questa: uno vuole fare quello che vuole fare), senza vincoli morali/etici (che non esistono in senso assoluto), l’unica differenza è che se uno segue una dottrina filosofica che impone una morale allora si ha questo tipo di timbro/certificazione, doppio timbro se ci metti anche dio/gli dei in mezzo, che però non vale assolutamente nulla per tutti quelli che non seguono quel tipo di morale lì e che perciò non riconoscono l’autorità o il significato di quel timbro. Dopotutto se uno non è cristiano le uova benedette sono totalmente identiche e irriconoscibili dalle uova non benedette.

 

Risponde Vincenzo Chiaravalle, corrispondente di QUORA

 

Non credere che esista un dio è una questione che niente ha a che vedere con ciò che uno pensa sia giusto o sbagliato. Non viene da chiedersi qual è la fonte della morale per i vegetariani, o qual è la fonte della morale per i programmatori di software… L’ateismo non è una posizione sul bene e sul male, non è una posizione etica. Perciò, ogni ateo deriva la propria morale da quello che gli pare, come gli pare.

Non esiste per gli atei una filosofia morale univoca o vincolata. Sarebbe come chiedere qual è la fonte della moralità per i credenti in generale, mettendo da parte il fatto evidente che credenti diversi hanno fedi diverse e sistemi morali completamente diversi tra loro, spesso anche tra denominazioni diverse della medesima confessione religiosa. Non tutti i credenti aderiscono a teorie del comando divino, perciò non si può neanche dire che siano tutti concordi sull’individuare nella divinità la fonte della morale. La verità — se vuoi saperla tutta — e che non ho mai conosciuto due cristiani convinti che frequentassero la stessa chiesa tutti i giorni e che la pensassero allo stesso modo. Se vuoi farli litigare, fagli domande elementari su quello che pensano, e scopriranno in cinque minuti che non hanno un fico secco in comune…

Pensare che la religione sia morale è già una forzatura. Pensare che la religione abbia qualche particolare vantaggio dal punto di vista etico, sia un presupposto necessario della morale, o che addirittura abbia un’esclusiva sulla morale, sono stupidaggini alle quali non mi applico neanche. Chi lo pensa è libero di pensarlo, ma non voglio averci niente a che fare.

Nessuno si comporta in maniera moralmente corretta grazie alla religione. Tanti religiosi riescono a compiere buone scelte morali nonostante le imposizioni della loro fede, che è ben diverso.

 

Risponde Cesare, corrispondente di QUORA

 

I vincoli morali che derivano dalla società in cui viviamo, ben più precisi e aggiornati rispetto a quelli di antiche tribù di pastori, bastano e avanzano per vivere rettamente e fare del bene.
Siete voi credenti che avete bisogno di un ente immaginario per comportarvi bene, secondo il principio del bastone (inferno) e della carota (paradiso) fondato su caratteri comportamentali tipici degli asini.

 

 

 

Numero2891.

 

da QUORA

Scrive Paolo Rostindo, corrispondente di QUORA

 

L E Z I O N E    S U L    V A L O R E    D E L L E    C O S E

 

 

Un padre disse a sua figlia: “Congratulazioni per la tua laurea. Tempo fa ho comprato una macchina per te. Voglio che tu l’abbia adesso: è il mio regalo per la tua laurea. Ma a condizione che tu la porti da un concessionario in città e provi a venderla. Vedi quanto ti offrono”.

La ragazza così fece. Tornò dal padre e disse: “Mi hanno offerto 10.000 dollari perché sembra molto vecchia”.

Il padre disse: “Ok, ora portala al banco dei pegni”.

La ragazza fece così anche stavolta. Poi tornò dal padre e disse: “Il banco dei pegni ha offerto 1.000 dollari perché è un’auto molto vecchia e con molti lavori da fare”.

Il padre le disse allora di iscriversi a un club di appassionati di auto d’epoca con esperti e di mostrare loro l’auto.

La ragazza si recò al club di appassionati d’auto d’epoca e mostrò la sua.

Tornò dal padre dopo qualche ora e gli disse: “Alcune persone del club mi hanno offerto 100.000 dollari perché è un’auto rara e in buone condizioni”.

Allora il padre le disse: “Volevo farti sapere che non vali nulla se non sei nel posto giusto. Se non siete apprezzati, non arrabbiatevi, significa che siete nel posto sbagliato. Non rimanete in un posto dove nessuno vede il vostro valore”.

Per conoscere il proprio valore bisogna sapere dove si è apprezzati. Un diamante non brilla sul fondo di una grotta.

 

 

 

 

Numero2890.

da QUORA

 

C O M E   S P I E G H I   I   M I R A C O L I   D E I   S A N T I ?

 

 

Come quelli che avrebbe compiuto padre Pio, ad esempio?

Ebbene, devi sapere che tra aprile e maggio del 1921, i vertici del Sant’Uffizio, insospettiti da quel che accadeva nel Gargano, si decisero ad inviare un visitatore apostolico a San Giovanni Rotondo, che si premurasse di studiare la personalità di padre Pio, sceverare la questione delle stigmate, verificare la natura dei rapporti del frate con le donne, valutare la natura dei presunti miracoli che al padre Pio si attribuivano. La scelta del Vaticano cadde su un carmelitano scalzo quarantacinquenne, che era stato lui stesso un giovane consultore del Sant’Uffizio e aveva assunto da poco la guida della diocesi di Volterra: Raffaele Carlo Rossi.

Ora, cerca di seguire attentamente quanto segue, perché si tratta di informazioni estremamente importanti: non tornare a rifugiarti nel caldo tepore del gregge di pecoroni assetati di miracolismo a buon mercato, giacché ne va della tua dignità di essere umano, razionale e senziente.

Dal rapporto finale che il vescovo Rossi consegnò al Sant’Uffizio – un testo lungo centocinquanta pagine, intitolato “Sul P. Pio da Pietrelcina” e datato 4 ottobre 1921 – risulta che il visitatore apostolico si trattenne a San Giovanni per una settimana esatta. Dopo aver interrogato numerosi testimoni e aver esaminato a lungo il padre cappuccino, si iniziano ad avere alcune smentite – dallo stesso frate – riguardo le voci miracolistiche che giravano attorno a lui. Avendo avuto notizia che sul capo del frate comparivano, a momenti, tracce lasciate come da una corona di spine, il vescovo Rossi lo interpellò: «C’è chi dice che qualche segno le viene anche in testa!», salvo registrare la replica di padre Pio: «(ridendo): Oh, per amor del Signore! Che vuol che risponda!». Un’altra volta, monsignor Rossi chiese conto al cappuccino delle voci secondo cui la sua vita terrena non sarebbe stata più lunga di quella di Gesù. «A proposito di morire a 33 anni ecc. ha detto qualche cosa?» «Ma neanche per sogno», fu la schietta risposta di padre Pio.

Ma andiamo avanti: quale fu l’atteggiamento di padre Pio, quando monsignor Rossi ne sollecitò l’avviso sui vari prodigi che gli venivano attribuiti dalla vox populi, particolarmente gli episodi di bilocazione e le guarigioni mirabili? In tali casi, il frate rispose spesso con un «non mi consta» mutuato dal non constai del latino giurisprudenziale. Richiesto se un giorno gli fosse davvero occorso di essere a Foggia, presso il comando della Divisione militare, pur senza muoversi dal convento di San Giovanni, padre Pio replicò con sintassi un po’ incerta, ma senza mezzi termini: «Eccellenza, non mi consta nulla di tutto questo. Delle imprudenzate ce ne sono state per parte di persone che hanno voluto fare il mio nome, per cose che io non avrei mai pensato né di dire, né di far sapere. C’era da impazzire e devo ringraziare il Signore che la più grande grazia che riconosco di aver ricevuto in proposito sia stata appunto quella di non aver perduto la ragione e la salute per quante frottole si dicevano».

Quindi abbiamo già delle importanti dichiarazioni del padre Pio, che smentiscono categoricamente e sistematicamente qualsiasi miracolistica diceria popolare che lo avrebbe visto protagonista di straordinari prodigi. Si tratta di fesserie e voci incontrollate propalate da pecoroni accecati da fanatismo religioso. Come confermato candidamente dallo stesso padre Pio.

Analoghe nella sostanza le repliche del cappuccino quando monsignor Rossi lo interrogò sugli effetti taumaturgici della sua intercessione per malati ritenuti incurabili: il gobbo di Lucerà, lo storpio di San Giovanni Rotondo, le due giovani mute, il cancelliere della Pretura zoppo, e quant’altra umanità sofferente si era rivolta al frate per ritrovare il sorriso. Lui, padre Pio, si limitava a pregare: erano i devoti che si abbandonavano a imprudenzate e gridavano al miracolo. «Ho pregato per i bisogni delle persone che si sono raccomandate a me, indigenti, bisognose, ecc. Questo mi consta».

Per quanto riguarda le stigmate il frate aveva ammesso di essersi procurato dell’acido fenico «per uso della Comunità», sostenendo di averlo fatto in segreto per rimediare all’assenza di una ricetta medica. L’acido – era stata la sua spiegazione – gli serviva a disinfettare le siringhe, «in un Collegio di ragazzi spesso e volentieri l’occasione occorre». La veratrina, padre Pio ricordava di averla ordinata invece «per una ricreazione»: per compiere uno scherzo ai confratelli, mischiandola al tabacco da fiuto in modo da farli starnutire irresistibilmente.

Sia nel prosieguo della visita apostolica, sia nella relazione finale da lui trasmessa alla Suprema, monsignor Rossi si dimostrò scettico sui prodigi che la vox populi accreditava al cappuccino, e quasi sarcastico sui promotori locali della sua santità. Nel suo rapporto conclusivo affermava che a differenza dei miracoli di Gesù, quelli di padre Pio andavano messi tra virgolette. «Nemmeno uno dei miracoli sussiste», fu l’impietoso bilancio del vescovo Rossi. Era falso che un «giovanetto affetto da gibbosità» si fosse «almeno in parte raddrizzato». Era falso che il claudicante cancelliere della pretura di San Giovanni Rotondo avesse avuto il piede risanato. Era falso che una bambina muta, portata al cospetto di padre Pio, si fosse vista restituire la favella. Era falsa la guarigione di un povero ebete, «di statura lillipuziana», gobbo, storpio e guercio: «L’ho veduto io stesso: è un infelice, fa pietà». Fantasia pura anche quella secondo cui la campana della chiesa parrocchiale di San Giovanni era andata improvvisamente in pezzi, a seguito di un torto commesso dall’arciprete ai confratelli di padre Pio. «Cose da ridere! E il popolino gridava al miracolo! …».

Non so se hai seguito il discorso, ma questo non lo affermo io, lo afferma un vescovo della Chiesa cattolica, monsignor Rossi, inviato dalla Santa Sede ad indagare: i miracoli attribuiti a padre Pio sono in realtà un mucchio di cazzate superstiziose.  Tutto ciò di cui ti ho parlato è di dominio pubblico, non è un segreto di Stato, è scritto nero su bianco. Esiste addirittura una pubblicazione che contiene l’intero rapporto del vescovo Rossi: Francesco Castelli, Padre Pio sotto inchiesta. L’autobiografia segreta, Ares, 2008. Naturalmente tutto ciò che abbiamo appreso circa i presunti miracoli di padre Pio, può facilmente essere accostato per analogia e attribuito a tutti gli altri santi del pantheon cattolico.

Ora però non sentirti troppo depresso per aver creduto a queste miracolistiche minchiate superstiziose: molti altri pecoroni cadono in questo tranello e rimangono invischiati a vita in un meschino letamaio religioso, fraudolento, infondato e illusorio. Ti stupirà sapere che in fondo anche io credo in una qualche sorta di miracolo. Credo nel miracolo che potrebbe trasformare un ottuso pecorone religioso, con la testa stipata di minchiate dogmatiche e superstiziose, in un essere razionale e senziente. Così come da un bruco può nascere una farfalla. Certo, è quasi di impossibile attuazione, ma conviene essere fiduciosi.

Numero2889.

 

A B B E C E D A R I O     S P I C C I O L O     D I     V I T A

 

Lascia andare le persone che non sono pronte ad amarti.

Questa è la cosa più difficile che dovrai fare nella vita e sarà anche la cosa più importante.

Smettila di avere conversazioni difficili con persone che non vogliono cambiare.

Smettila di apparire per le persone che non sono interessate alla tua presenza.

So che il tuo istinto è quello di fare tutto il possibile per guadagnare l’apprezzamento di chi ti sta intorno., ma è un impulso che ti ruba tempo, energia, salute mentale e fisica.

Quando inizi a lottare per una vita con gioia, interesse ed impegno, non tutti saranno pronti a seguirti in quel luogo.

Questo non significa che devi cambiare ciò che sei, significa che devi lasciare andare le persone che non sono in grado di seguirti.

La verità è che non sei per tutti e non tutti sono per te.

Questo è ciò che rende così speciale l’incontro con persone da cui hai amicizia o amore corrisposto.

Saprai quanto questo è prezioso, perché hai sperimentato ciò che non lo è.

Ci sono miliardi di persone su questo pianeta e molte di loro le troverai al tuo livello di interesse e impegno.

Forse, se smetti di comparire non ti cercheranno.

Forse, se smetti di provarci la relazione finirà.

Forse, se smetti di messaggiare, il tuo telefono rimarrà buio per settimane.

Questo non significa che hai rovinato la relazione, significa che l’unica cosa che la sosteneva era l’energia che solo tu davi per mantenerla.

Questo non è amore, è attaccamento.

È dare una possibilità a chi non se la merita.

Tu meriti molto di più.

Quando ti rendi conto di questo, inizi a capire perché sei così ansioso quando passi del tempo, in attività e spazi incongrui, con persone che non ti fanno bene e non dovrebbero starti vicino.

Comincerai a renderti conto che la cosa più importante che puoi fare per te stesso e per tutti quelli che ti circondano, è proteggere la tua energia più ferocemente di qualsiasi altra cosa.

Rendi la tua vita un rifugio sicuro, in cui sono ammesse solo persone “compatibili” con te.

Non sei responsabile per aver salvato nessuno.

Non sei responsabile di convincerli a migliorare.

Non è il tuo lavoro esistere per le persone e dare loro la tua vita.

Ti meriti amicizie vere, impegni veri e un amore completo con persone sane e prospere.

La decisione di prendere le distanze da persone nocive, ti darà l’amore, la stima, la felicità e la protezione che meriti.

Numero2888.

 

L’ O M O S E S S U A L I T A’    È   C O N T R O    N A T U R A ?

 

da QUORA

 

Risponde Graciela Sechi, corrispondente di QUORA

 

Innanzitutto l’associazione omosessualità/sodomia è decisamente forzata perché una pratica non definisce un orientamento sessuale. L’orientamento viene definito in base all’attrazione estetica, erotica e romantica/sentimentale verso uno o più sessi.    Questa almeno è la definizione di omosessualità secondo la psicologia.

Questa pratica poi rientra anche nei comportamenti sessuali degli etero e non viene praticata da alcuni gay, per esempio, denominati side, spiacente deluderti, ma possono esistere etero sodomiti e gay non sodomiti.

Esistono poi altre pratiche erotiche ampiamente praticate dalle persone che non rientrano nell’atto potenzialmente procreativo come il sesso orale e la stimolazione manuale che tu non menzioni e che non si sa per quale motivo non ritieni di dover definire contro natura.

Ti faccio inoltre notare che la definizione contro natura è discutibile: secondo natura sarebbe un atto procreativo con l’inserimento di un pene in una vagina, ma questo non trova riscontro nell’ anatomia maschile e femminile, perché il piacere sessuale è fisiologicamente slegato dagli organi riproduttivi, e dai tuoi schemi eteronormati,

Segno che la tua infallibile natura ha fatto male i suoi conti, dato che si possono avere orgasmi in sedi non coinvolte nell’ atto sessuale eteronormato come la prostata negli uomini e il clitoride nelle donne, che non sono sedi deputate al concepimento.

Come puoi notare, la sessualità omoerotica è possibile anche negli eterosessuali: un uomo etero può avere un orgasmo prostatico al pari di un gay, una donna etero uno clitorideo al pari di una lesbica, senza effettuare una rapporto vaginale “secondo natura.”

E la stessa masturbazione è un atto omoerotico puro, se ci pensi si stratta ,in fondo, di fare sesso con se stessi, ovvero con lo stesso sesso. Quindi le tue argomentazioni non reggono, se non sostenute da convinzioni religiose. Puoi legittimamente pensare che Dio abbia creato uomo e donna per procreare e che le altre unioni non debbano essere considerate allo stesso modo, puoi dire che certi rapporti non li gradisci , ma non puoi dire che sono contro natura, e non puoi dire che lo sono gli omosessuali basandoti su considerazioni anatomiche o fisiologiche che dir si voglia, perché la tua stessa anatomia dimostra il contrario: nella tua prostata giace un bottom pronto a scatenarsi alla prima stimolazione in potenti orgasmi .

Ebbene si: per l’anatomia, che tu invochi come prova di conformità alla natura, gay in fondo lo sei pure tu.

Spero di non averti traumatizzato.

 

Risponde Francesco Restivo, corrispondente di QUORA

 

 

Parlando di sesso, anche i rapporti orali sono contro natura, così come tutte le altre pratiche non utili alla riproduzione. Anche ubriacarsi, fumare, drogarsi, tatuarsi, ricorrere alla chirurgia plastica, modificare il nostro corpo con un’alimentazione forzata o con doping al fine di raggiungere prestazioni elevate nello sport; e centinaia di altre pratiche sono contro natura.

Anche le popolazioni indigene che tramite particolari pratiche modificano il proprio corpo vanno contro natura.
Questi sono i nostri bisogni fisiologici primari: ripararci dal freddo, dal caldo e dai predatori, mangiare, evacuare, accoppiarsi in funzione della riproduzione e dormire. Ma tutti noi facciamo molto altro, in pratica siamo tutti degli snaturati.

 

N.d.R. : Al sesso procreativo preferisco quello ricreativo.