Numero2864.

 

da QUORA

 

Scrive Linus, un corrispondente di QUORA:

 

G R A T I T U D I N E

 

Un re aveva dieci cani selvatici. Quando un servo commetteva un errore, veniva gettato in pasto ai cani perché lo sbranassero.

Un giorno, uno dei servi più anziani ha fatto qualcosa di sbagliato. Il re ha ordinato che lo gettassero ai cani.

Il servo ha detto: “Ti ho servito per dieci anni, per favore dammi dieci giorni prima di buttarmi in pasto ai cani”. Il re glielo ha concesso.

In prigione il servo ha detto alla guardia che avrebbe voluto servire i cani per i prossimi dieci giorni.

La guardia era d’accordo e il servo poteva dare da mangiare ai cani, pulire il canile e bagnarli con tanta dedizione e affetto.

Alla fine dei dieci giorni, il re ordinò che il servo venisse gettato ai cani come punizione. Quando è stato rinchiuso nel canile, tutti sono rimasti sorpresi di vedere i cani rabbiosi leccare i piedi del servo, anziché sbranarlo e divorarlo.!

Il re, perplesso da quello che vedeva, disse: “Cos’è successo ai miei cani?”. Il servo rispose: “Ho servito i cani solo per dieci giorni e non hanno dimenticato i miei servizi. Ti ho servito per dieci anni e te ne sei dimenticato, al mio primo errore.”

Il re si rese conto del suo errore e ordinò che il servo fosse riammesso in carica.

Dedicato a tutti quelli che dimenticano una bella parola: “GRATITUDINE”. Dimenticano le cose buone che una persona ha fatto e quando commette un errore, la condannano.

La gratitudine degli animali è molto diversa da quella di alcuni esseri umani ingrati.

Numero2863.

 

Chi vuole svalutarti usa queste frasi

Anna De Simone      Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia.

 

Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologa.

 

Sei brava/o a distinguere chi ti vuole genuinamente bene da chi, invece, ti usa per alimentare il suo insaziabile ego? In teoria, discernere il bene dal male non dovrebbe essere così difficili ma in pratica lo è, e anche tanto. Falliamo in questa impresa tutte le volte che riponiamo la nostra fiducia nella persona sbagliata, tutte le volte che sistematicamente ci deludono, tradiscono e che, in qualche modo, ci fanno sentire usati, sviliti e ignorati. Ignorati nei nostri bisogni di stima, validazione e affetto. Già, perché chi ti sta accanto per rinforzare il suo ego, ignora completamente cosa vuoi tu: è dannatamente concentrato su se stesso.

A tutti può capitare di riporre fiducia e speranze nella persona sbagliata, tuttavia, una volta notato il gap relazionale, chi sa discernere il bene per sé dal male per sé, sa come correre ai ripari e impara dall’esperienza. Al contrario, chi non riesce a fare agilmente questa distinzione, si ritrova spesso in relazioni del tutto sbilanciate e fa fatica a uscirne. A volte, distinguere ciò che è davvero bene per sé non è facile, perché nella nostra storia personale, nessuno ce l’ha mai mostrato davvero, in più, chi tenta di sminuirci, spesso lo fa in modo subdolo ed è molto bravo a camuffare i suoi reali scopi. Allora vediamo quali sono le caratteristiche tipiche di chi, per stare bene con se stesso, ha bisogno di farti sentire sbagliato e quali sono le frasi che potrebbero fungere da campanellino d’allarme.

Le caratteristiche di chi ha un «ego insaziabile»

Chi ha un ego insaziabile, dà un’immagine di sé irrealistica e, in parallelo, usa il riconoscimento esterno per compensare i propri vuoti e gli inaccettabili fallimenti personali. Tutti noi cerchiamo accettazione e consenso all’esterno, e fin qui è tutto bene: siamo animali sociali, abbiamo bisogno di sperimentare senso di appartenenza e gratificazione interpersonale e questi bisogni possono essere soddisfatti instaurando rapporti paritetici fatti di stima reciproca. Il problema insorge quando il riconoscimento esterno viene ricercato con la svalutazione, il controllo e il dominio sull’altro.

Queste persone, infatti, stanno bene con se stesse solo quando possono sentirsi migliori degli altri, le ho definite con un «ego insaziabile» perché è talmente grande la precarietà affettiva che si portano dentro, da essere impossibile da colmare, almeno non dall’esterno, almeno senza una profonda presa di consapevolezza. In realtà, queste sono così barricate nel loro stesso ego, da perdere ogni lucidità: esistono solo loro, ciò che pensano e ciò che vogliono. Gli altri non sono altro che strumenti e guai a farli sentire incompresi: uno dei tanti modi che hanno per piegare l’identità altrui e il non accettare che si possano avere valori diversi dai propri. Nelle relazioni che stringono, se l’altro ha idee diverse, semplicemente non ha valore, non viene accettato. L’accettazione, infatti, può passare solo per l’accondiscendenza più totale.

Quel grande ego smisurato e insaziabile, finisce per dissipare le energie altrui, per esercitare controllo, umiliare, disprezzare e distruggere tutto ciò che ha a tiro, fino a sminuire anche la più nobile e benevola delle intenzioni. Si nutre delle attenzioni degli altri ma non lo fa sempre in modo palese: l’ego insaziabile, infatti, è ben nascosto sotto una scintillante armatura costruita ad hoc. In più, l’ego insaziabile può indossare diverse armature, tante quanto sono le occasioni: più che una persona, ti ritrovi davanti un prestigiatore che fa giochi di magia distorcendo fatti ed emozioni. L’armatura più usata è quella del cavaliere senza macchia e senza paura, che si prodiga per gli altri. Un’armatura mantenuta scintillante per raccogliere consensi.

Esistono, poi, molte variabili, spesso l’armatura scintillante proietta un’immagine sempre affaccendata: tempo e risorse, all’apparenza, sono investiti in una «più alta causa»: il lavoro, la famiglia, il volontariato… Attenzione! È bellissimo dedicare del tempo ai propri affetti, avere ambizioni lavorative o fare volontariato, ma queste persone, enfatizzano il sacrificio. In fondo, se si sacrifica e se si sta impegnando così tanto per gli altri e non per sé, come potrebbe essere accusato di egocentrismo?

Frasi tipiche di chi vuole sminuirti

Queste persone, nelle relazioni, possono essere estremamente caustiche, corrodono anche la personalità più forte e tenace. La difficoltà sta nel fatto che all’apparenza non sono «persone tossiche» (estremamente lamentose, che parlano male di tutti…), sono piuttosto degli affabulatori, dei racconta storie che condiscono la realtà a loro piacimento, che possono dartela vinta al momento ma che poi hanno sempre in serbo per te una frecciatina, un rimprovero, un’osservazione scomoda da fare. Per queste persone c’è sempre un però, c’è sempre un ma, «Sì, tutto è bello ma…»; c’è sempre un modo più o meno velato per farti pesare tutto, ciò che hai fatto e ciò che non hai fatto. Come premesso, riescono a sentirsi soddisfatte, solo facendoti sentire in difetto.

Le critiche nascoste di chi dice di volerti bene

Chi ha un ego vuoto può sfruttare falsi complimenti per screditarti . I falsi complimenti finiscono spesso con un punto interrogativo, un punto di domanda che però non solleva un dubbio concreto, piuttosto sottolinea un’ipotetica fragilità.

  • Bellissimo questo appartamento, sicuro di potertelo permettere?
  • Ti sta bene questo cappotto, ma non è un po’ troppo stravagante per te?
  • Sei meravigliosa con quel vestito ma mi chiedo, non avresti dovuto prenderlo di una taglia più grande?
  • Ora hai ottenuto questo nuovo lavoro, ma ne vale la pena?

Altre frasi possono svalutare qualcosa che fai, sfruttando una generalizzazione o riportando casi reali o fittizi. Per esempio, ti sei laureato e, dopo repentine congratulazioni, ecco che arriva: «anche Tizio ha la tua stessa laurea, ora lavora nella paninoteca in fondo alla strada, speriamo che a te vada meglio». Oppure, hai vinto un concorso «beh, ormai tutti possono farlo, non è più come una volta…» o ancora «beato te, a me queste fortune non capitano mai», per sottintendere che non hai alcuna abilità, che sei solo stato baciato dalla fortuna mentre lei/lui, le cose, deve sudarsele. Sì, perché l’armatura scintillante che mostrano è quella di una persona che non ha mai avuto alcuno sconto dalla vita, come se tutti gli altri, invece, avessero trovato realizzazioni pronte all’uso in confezioni regalo! E, come se non bastasse, le realizzazioni degli altri sono sempre banali e scontate ma non le sue, le sue sono sempre imprese epiche!

Altri esempi di svalutazioni vertono sull’invalidazione di un’esperienza o un traguardo. Per esempio: «ho fatto un corso d’inglese, mi è piaciuto tantissimo». La replica: «Sì, sono contentissima per te, ma l’hai fatto con un madrelingua? Dovresti trascorrere qualche mese all’estero come ho fatto io, è l’unico modo vero per imparare la lingua». Lo scopo è quello di spegnere l’entusiasmo e la validità dell’impresa dell’altro.

«Carina quella borsa, ormai si vedono tanti falsi in giro». Una velata frecciatina sull’autenticità dell’accessorio che indossi. Queste persone hanno sempre da mettere becco su come gestisci il tuo tempo, il tuo denaro, le scelte che fai… lo fanno sentendosi legittimati. Si prendono anche più confidenze del dovuto e non si inalberano se tu provi a mettere distanze: sono bravissimi a fare gli offesi e si vendono egregiamente come vittime.

In tutte le frasi c’è una costante: una netta incongruenza. Quando un complimento non è esattamente un complimento e quando una domanda in realtà nasconde un’allusione scomoda, l’interlocutore è disorientato e, nella più calda ingenuità, si tende a ignorare il messaggio sgradito che però, avrà sortito il suo effetto: avrà istillato dubbi, avrà creato una crepa, avrà fatto sentire l’altro migliore.

Un breve aneddoto per comprendere meglio fin dove si spingono alcune persone per non affrontare i propri limiti

Condivido con voi un’esperienza personale: un episodio vero e molto emblematico. Sono nella sala d’attesa di un centro medico. Un uomo non sa come azionare la macchinetta automatica che eroga bibite. La moglie mi chiede di aiutarlo. L’uomo è restio ma dopo qualche minuto e diversi tentativi falliti, accetta suo malgrado il mio aiuto: la moglie aveva sollecitato il mio intervento in quanto aveva un forte calo di pressione.

Mi avvicino alla macchinetta, inserisco una moneta, immetto il codice e la bibita esce puntuale: porgo la bibita alla moglie. Sto per andare via quando l’uomo esordisce: «Senta, qui ci sono 50 centesimi di resto, ma non è capace neanche a prendersi il resto?». Un uomo decisamente corrosivo, troppo preso da se stesso e dalle sue paure per ammettere una banale difficoltà. Pur di non accettare un limite (in questo caso, una palese difficoltà con la tecnologia), quell’uomo stava causando disagio a sua moglie e ha sentito il bisogno di sminuire il mio gesto.

Alcune persone sono così rigide che, per loro, ammettere un limite, significa ammettere di non valere. Vivono una precarietà interiore tale da dover riversare tutto il loro malessere nel mondo che li circonda. Una condizione molto triste che solo raramente riesce a trovare un aiuto adeguato: come premesso, queste persone mancano completamente di capacità introspettiva. Non potendo leggersi dentro, spostano tutto all’esterno.

A volte, le critiche sono spudorate, altre volte sono nascoste ma in tutti i casi, non raccontano nulla su chi le riceve, raccontano piuttosto il mondo emotivo di chi le muove. Chi sta in pace con se stesso non sente il bisogno di sminuire il tuo nuovo lavoro, non sente il bisogno di dire «acquistare un’auto super-accessoriata è una cazzata, fai lievitare il prezzo per nulla, è da fessi», dopo che ha saputo del tuo ultimo acquisto full optional.

Ma se non è un’auto, è lo smartphone, il vestito, le scarpe, il tuo aspetto, i tuoi capelli… queste persone trovano sempre il modo di disprezzarti, e lo fanno! Lavorare sui propri confini, sul proprio valore personale e senso di auto-efficacia, è l’antidoto migliore per qualsiasi critica, anche alla più distruttiva e subdola di tutte!

Per affermare il tuo valore

Dobbiamo stabilire dei limiti. Non bisogna tollerare critiche e disprezzo celato. Il disprezzo costante è un abuso psicologico che può danneggiare chi ha già delle fragilità di fondo. Non possiamo normalizzare il disprezzo. Permettere agli altri di sminuirci significa precipitare in un abisso in cui perdiamo di vista il nostro valore. Allora cosa fare? Per cambiare radicalmente la tua vita, inizia a formarti e a capire come funzionano davvero le cose.

Esiste una realtà ben concreta in cui tu sei al centro della tua vita. In cui tutti i tuoi bisogni hanno un senso, vanno ascoltati e appagati! Una realtà in cui puoi affermare te stesso, accoglierti e amarti. In tal modo, attrarrai a te solo persone che sono capaci di darti la considerazione che meriti. Che, come nel mio esempio, hanno cura del legame che instaureranno con te. Non si tratta di un’utopia. Tutto questo è possibile e puoi averlo in tutti i rapporti.

 

Numero2862.

 

A I    G I O V A N I    I T A L I A N I

 

Correva l’anno 1818 e, dalla dimora gentilizia in Recanati, dove abitava la famiglia paterna del Conte Monaldo, un giovane, aveva allora 20 anni, Giacomo Leopardi, fra le sue “sudate carte”, mandava un appello, nobile, accorato e quasi commovente, ai suoi coetanei e conterranei. A oltre 200 anni di distanza di tempo, è di una sorprendente attualità. Eccolo.

 

Io non vi parlo da maestro, ma da compagno. Non vi esorto da capitano, ma vi invito da soldato. Sono coetaneo vostro e condiscepolo vostro ed esco dalle stesse scuole con voi, cresciuto fra gli studi e gli esercizi vostri, partecipe dei vostri desideri, speranze e timori.
Abbiate pietà di questa bellissima terra e dei monumenti e delle ceneri dei nostri padri.
Fate che la povera patria nostra, in tanta miseria, non rimanga senza aiuto, perché non può essere aiutata fuorché da voi.

Numero2860.

 

Frasi tipiche delle persone insicure

Ana Maria Sepe    Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi.

 

L’insicurezza è uno stato emotivo caratterizzato da sentimenti di incertezza, dubbi e mancanza di fiducia in se stessi. Si manifesta attraverso pensieri negativi riguardo alle proprie abilità, il proprio valore e la propria capacità di affrontare le sfide della vita. L’insicurezza può influenzare molti aspetti della vita di una persona, tra cui le relazioni interpersonali, il lavoro, gli studi e il benessere emotivo generale.

Come nasce l’insicurezza

L’insicurezza è un sentimento di incertezza, dubbio e mancanza di fiducia in se stessi. Può influenzare molti aspetti della vita di una persona, tra cui le relazioni personali, il lavoro, le performance accademiche e il benessere emotivo. Le cause dell’insicurezza possono essere complesse e multiformi, risultando dall’interazione di diversi fattori.

L’insicurezza può manifestarsi in diversi modi. Alcune persone possono avere una bassa autostima e una visione negativa di sé stesse. Si sentono inadeguate e pensano di non essere all’altezza delle aspettative degli altri. Altre persone possono manifestare insicurezza attraverso l’eccessiva autocritica e il perfezionismo. Sono sempre preoccupate di fare errori o non raggiungere i propri obiettivi.

Ci sono diversi fattori che possono contribuire all’insorgenza dell’insicurezza. Le esperienze negative del passato, come il trauma, il bullismo o gli abusi, possono influenzare profondamente la fiducia in se stessi di una persona. L’ambiente familiare svolge un ruolo importante nello sviluppo dell’insicurezza. Se una persona cresce in un ambiente in cui manca il sostegno emotivo e l’approvazione, può sviluppare un senso di insicurezza riguardo al proprio valore e alle proprie capacità.

La comparazione sociale è un altro fattore che alimenta l’insicurezza. Le persone tendono a confrontarsi con gli altri, misurando il proprio valore in base a ideali culturali o sociali. I mezzi di comunicazione e i social media possono amplificare questo confronto, portando a una percezione distorta della realtà e a sentimenti di insicurezza. Di seguito, analizzeremo alcuni dei principali fattori che possono contribuire alla nascita dell’insicurezza.

Esperienze negative passate

Le esperienze negative, come il trauma, il bullismo, gli abusi o il fallimento, possono avere un impatto significativo sull’autostima e sulla fiducia in se stessi. Ad esempio, se una persona è stata costantemente criticata o derisa durante l’infanzia, potrebbe sviluppare una visione negativa di sé stessa e una paura costante di essere giudicata dagli altri.

Ambiente familiare

L’ambiente familiare svolge un ruolo cruciale nello sviluppo dell’insicurezza. Se un bambino cresce in un ambiente in cui manca il sostegno emotivo, l’affetto e l’approvazione, potrebbe sviluppare un senso di insicurezza riguardo al proprio valore e alle proprie capacità. Le critiche costanti, l’assenza di limiti chiari o il confronto costante con i fratelli/sorelle possono minare l’autostima di un individuo e generare insicurezza.

Comparazione sociale

La comparazione sociale è un altro fattore che può alimentare l’insicurezza. Viviamo in una società che spesso promuove l’idea di “misure di successo” come bellezza, ricchezza, popolarità e successo professionale. Le persone insicure tendono a confrontarsi con gli altri, misurando il proprio valore in base a queste misure e ritrovandosi spesso in una posizione di svantaggio. I social media, in particolare, possono amplificare il confronto sociale, poiché le persone tendono a mostrare le loro vite sotto una luce positiva, creando una percezione distorta della realtà.

Mancanza di successi o riconoscimenti

L’incapacità di raggiungere obiettivi personali o professionali, o la mancanza di riconoscimenti per i propri successi, può minare la fiducia in se stessi e alimentare l’insicurezza. Ad esempio, se una persona non riesce a ottenere un lavoro desiderato o viene respinta da una relazione romantica, potrebbe iniziare a dubitare delle proprie capacità e del proprio valore.

Messaggi culturali e sociali

Le norme culturali e sociali influenzano anche l’autostima e la sicurezza personale. Ad esempio, i messaggi che attribuiscono maggior valore a determinati tratti fisici o caratteristiche personali possono far sentire le persone insicure se non corrispondono a questi ideali. Inoltre, i pregiudizi legati al genere, all’età, all’etnia o ad altre caratteristiche possono alimentare l’insicurezza, facendo sentire le persone come se non fossero all’altezza degli standard imposti dalla società.

Fallimenti e critiche

L’esperienza di fallimenti o il ricevere critiche può mettere a dura prova l’autostima e generare insicurezza. Le persone insicure tendono a percepire i fallimenti come prove concrete della loro inadeguatezza e si focalizzano maggiormente sui commenti negativi, ignorando gli elogi o i successi che possono aver raggiunto.

Autocritica e perfezionismo

L’autocritica e il perfezionismo eccessivi sono spesso legati all’insicurezza. Le persone insicure tendono ad avere aspettative irrealistiche su di sé e a concentrarsi sugli errori o sulle imperfezioni, senza riconoscere i propri punti di forza. Questo atteggiamento critico può alimentare un ciclo di insicurezza, poiché non importa quanto successo raggiungano, si sentiranno sempre inadeguate.

Mancanza di fiducia nelle proprie abilità

L’insicurezza può derivare anche da una mancanza di fiducia nelle proprie abilità. Le persone insicure possono sottostimare le proprie capacità o temere di non essere in grado di affrontare nuove sfide. Questa mancanza di fiducia può limitare la propria crescita personale e professionale, alimentando l’insicurezza stessa.

Frasi tipiche delle persone insicure

Le frasi tipiche delle persone insicure possono variare a seconda del contesto, ma ecco alcuni esempi comuni:

“Non sono mai abbastanza bravo/a in niente.”
“Mi sento sempre inferiore agli altri.”
“Ho paura di deludere le persone che mi circondano.”
“Non credo di poter fare nulla di valore.”
“Mi sento sempre giudicato/a dagli altri.”
“Le mie opinioni non contano.”
“Non sono all’altezza delle aspettative degli altri.”
“Mi preoccupo costantemente di cosa pensano gli altri di me.”
“Ho sempre paura di sbagliare.”

“Mi sento insicuro/a della mia apparenza fisica.”
“Penso sempre che gli altri siano migliori di me.”
“Ho difficoltà a prendere decisioni perché ho paura di sbagliare.”
“Mi sento inadeguato/a in confronto agli altri.”
“Mi preoccupo di non essere abbastanza intelligente.”
“Ho timore di mostrare il mio vero io alle persone.”
“Mi sento in competizione costante con gli altri.”
“Non credo di meritare il successo o la felicità.”

“Mi confronto costantemente con gli altri e mi sento sempre inferiore.”
“Mi preoccupo di essere abbandonato/a dalle persone che amo.”
“Mi sento a disagio in situazioni sociali.”
“Ho paura di essere rifiutato/a dagli altri.”
“Mi sento inadatto/a nel mondo del lavoro.”
“Mi preoccupo di essere considerato/a un fallimento.”
“Mi sento inadeguato/a nelle relazioni romantiche.”
“Ho difficoltà a credere nei complimenti che mi fanno.”

“Mi sento spesso fuori posto.”
“Mi preoccupo di non essere abbastanza interessante per gli altri.”
“Mi sento insicuro/a delle mie capacità.”
“Penso sempre che gli altri mi giudichino negativamente.”
“Mi preoccupo di non essere abbastanza attraente per gli altri.”
“Mi sento fuori controllo della mia vita.”
“Mi preoccupo di fare brutte figure in pubblico.”
“Mi sento bloccato/a dai miei timori e insicurezze.”
“Ho difficoltà a fidarmi degli altri.”

“Mi preoccupo di essere considerato/a un peso dagli altri.”
“Mi sento a disagio nel parlare in pubblico.”
“Mi preoccupa di non essere abbastanza bravo/a nella mia carriera.”
“Mi sento in colpa per tutto.”
“Mi preoccupo di essere giudicato/a per le mie scelte di vita.”
“Mi sento inadeguato/a come genitore.”
“Mi preoccupo di essere abbandonato/a dagli amici.”
“Mi sento sempre sotto pressione per piacere agli altri.”

“Mi preoccupo di non essere abbastanza diligente nel lavoro.”
“Mi sento inadeguato/a nel prendere decisioni importanti.”
“Mi preoccupo di non essere abbastanza creativo/a o talentuoso/a.”
“Mi sento sempre insoddisfatto/a di me stesso/a.”
“Mi preoccupo di non essere abbastanza amato/a.”
“Mi sento sempre in competizione con gli altri per dimostrare il mio valore.”
“Mi preoccupo di non essere abbastanza in forma o atletico/a.”
“Mi sento costantemente in ansia riguardo al futuro.”

L’insicurezza può colpire le persone in modi diversi, quindi queste frasi potrebbero non rappresentare tutte le sfumature dell’insicurezza. Se tu o qualcuno che conosci sta lottando con l’insicurezza, può essere utile cercare il supporto di un professionista qualificato come uno psicologo o uno psicoterapeuta.

Come diventare più sicuri

Attraverso l’autoriflessione, il lavoro sul proprio atteggiamento mentale, l’identificazione e il superamento dei modelli di pensiero negativi, l’acquisizione di nuove competenze e il rafforzamento delle relazioni interpersonali, è possibile sviluppare una maggiore sicurezza in se stessi e un senso di valore personale. È un processo che richiede tempo, pazienza e impegno, ma può portare a un benessere emotivo duraturo e a una visione più positiva di sé stessi. Non sei solo/a.

Accetta che provare insicurezza è normale e umano. Riconosci che le emozioni, comprese quelle negative, fanno parte dell’esperienza umana e non devono essere evitate o negate. Considera l’insicurezza come un’opportunità di crescita e apprendimento. Osserva le situazioni in cui ti senti insicuro/a come possibilità di acquisire nuove competenze, migliorare e sviluppare una maggiore resilienza emotiva. Ricorda che superare la paura di sentirsi insicuri richiede tempo e impegno. Sii gentile con te stesso/a durante questo processo e ricorda che tutti affrontano sfide simili. Con il tempo, potrai sviluppare una maggiore fiducia in te stesso/a e affrontare l’insicurezza con maggiore serenità.

Numero2859.

 

Comportamenti tipici di chi si trascina un vissuto difficile

Ana Maria Sepe    Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi.

 

Crediamo di essere indegni di felicità, di piacere, d’amore o della realizzazione. Tutti abbiamo una “ferita centrale” nel profondo che varia in base alle nostre circostanze ed esperienze. Questa profonda e fondamentale ferita è il risultato delle credenze che ci hanno insegnato fin dalla nascita, contribuendo alla difettosa immagine di noi stessi che continuiamo a portarci dietro fino ad oggi. Le nostre ferite fondamentali sono i nostri dolori più profondi nella vita. Sono i nostri amici più vecchi e più miserabili. Per la maggior parte di noi, queste ferite interiori sono governate dalle seguenti due convinzioni errate:

  • “Sono imperfetto e quindi una persona cattiva.”
  • “Devo cambiare o sistemare qualcosa di me per essere accettabile.”

Riconoscere di avere una ferita interiore

Può essere molto difficile riconoscere di avere una ferita interiore legata agli errori (spesso involontari o inconsapevoli) compiuti dalla figura di accudimento, quella che più di tutte avrebbe dovuto proteggerci, accudirci, accoglierci e insegnarci a diventare sicuri e forti.

Da bambini infatti, assorbiamo tutto ciò che ci viene detto su di noi come se fosse una “verità incontrovertibile” un dato di fatto solido e assodato che non potrà cambiare mai: “sei pigro”, oppure “sei un bambino cattivo” o altro, sono espressioni che il bambino assorbe e fa proprie senza avere la capacità di poterle mettere in discussione, né di comprendere che spesso si tratta di affermazioni imprecise e parziali. In tal modo cresce diventando un adulto che è ancora – spesso inconsapevolmente – profondamente convinto di essere pigro o cattivo, e si comporta di conseguenza, dando per scontato che si tratti di una verità assoluta e immodificabile.

Un’altra ragione che rende difficile comprendere di aver avuto relazioni di accudimento disfunzionali, è legata al fatto che ogni bambino tende a credere che ciò che accade in casa sia “normale”, che accada allo stesso modo in tutte le altre famiglie: penserà che suo papà alza le mani perché “è stanco” oppure “perché mi comporto male”, o che la mamma è arrabbiata o infastidita perché “sono un cattivo bambino che dà fastidio”.

Non è infrequente comprendere che qualcosa non va nella propria famiglia, in seguito all’aver sperimentato cosa accade in altre famiglie, dove magari le figure di accudimento sono più gentili, amorevoli e disponibili. E’ difficile accettare l’idea che il dolore che abbiamo dentro, le difficoltà che viviamo nelle relazioni con le altre persone – specialmente con il/la partner – originano dal modo in cui proprio nostra madre ci ha trattati da bambini (se lei è stata la figura di accudimento principale).

Si tende così a normalizzare, giustificare, negare certi comportamenti, senza che vi sia una vera e profonda comprensione di come sono andate le cose, e delle motivazioni che le hanno prodotte, unica via questa per poter passare dalla comprensione all’accoglimento del passato per ciò che è stato e, infine, al perdono.

Cosa ha interiorizzato chi ha avuto un vissuto difficile

Per procedere dal percorso di comprensione e accettazione di ciò che è stato alla costruzione di uno stile relazionale più sano e gratificante, possiamo partire dal mettere in discussione alcuni falsi miti sui quali spesso poggiano convinzioni, atteggiamenti e comportamenti che automaticamente si esprimono nelle relazioni con gli altri:

1. L’amore va guadagnato

Probabilmente, a causa del modo controllante, giudicante o carico di aspettative in cui siamo stati cresciuti, abbiamo imparato che l’amore non è mai gratuito, ma deve essere meritato e guadagnato dandosi da fare per gli altri, accondiscendendo alle loro richieste oppure cercando di “non dare fastidio” con bisogni e richieste.

2. Bisogna nascondere i propri sentimenti

La lezione si impara quando i genitori si arrabbiano o prendono in giro un figlio a causa della sua sensibilità, chiamandolo  “piagnucolone” o accusandolo di essere esagerato o troppo sensibile. I bambini in genere rispondono a questo comportamento, costruendosi una sorta di “barriera” dietro alla quale nascondere i loro sentimenti e le loro emozioni, prendendo le distanze e proteggendosi da queste. Così facendo però, perdono anche l’opportunità di sviluppare adeguate abilità di gestione delle emozioni stesse.

3. La cosa più importante sono le apparenze

Questo si apprende da un genitore particolarmente votato a curare le apparenze, che tratta i propri figli come “estensioni di sé”, pretendendo da questi di fargli/le fare sempre bella figura quando sono in pubblico. Il bambino dunque impara che ciò che conta veramente, per essere “amati” dal genitore, non è tanto esprimere il proprio sé, quanto piuttosto dimostrare le apparenze esteriori e le aspettative che contano..

4. E’ meglio non mostrarsi per ciò che si è

La critica e la svalutazione costanti subite dalle figure di accudimento portano il bambino ad assumere comportamenti finalizzati a soddisfare e accontentare i genitori, a fare qualsiasi cosa per sentirsi approvati e apprezzati da questi. Questo processo può portare alla costruzione di un “sé falso”, finalizzato a piacere al genitore, e a imparare a nascondere e non mostrare ciò che si è veramente, fino a perdere quasi il contatto con ciò che si ama davvero e che rende davvero felici.

(N.d.R.: questo tipo di bambino/a, durante tutta la sua vita, andrà sempre alla ricerca di un partner che lo accetti per quello che è: sarebbe quello l’amore che non ha avuto da piccolo/a, perché le figure genitoriali (una o entrambe) lo “condizionavano”. Invece di ricevere affetto senza contropartite, aveva ottenuto l’accudimento solo a patto di obbedienza e rispetto: un pesante ricatto psicologico che adoperava una leva formidabile come quella inculcata dal senso di colpa, che si instaurava, in un lancinante stillicidio, con la sottolineatura dei difetti e mai dei pregi del bambino/a).

5. Occorre controllare il proprio ruolo nella relazione

Quando si è sperimentato un legame di attaccamento con un genitore non amorevole, la relazione non è mai veramente reciproca, perché i comportamenti del genitore nei confronti del bambino gli insegnano che in una relazione c’è sempre un elemento forte e uno debole e che occorre, per proteggersi, mantenere il controllo, cercando di non essere o diventare l’elemento debole.

6. Non sei abbastanza

Svalutazione, giudizio costante, atteggiamento ipercritico delle figure genitoriali, uniti alla mancanza di validazione e supporto sono responsabili dell’origine di questa convinzione di fondo, che opera silenziosamente e in modo dannoso nella costruzione delle future relazioni.

7. Hai meritato di essere trattato male

In presenza di genitori maltrattanti è molto più facile per il bambino giungere alla conclusione di meritare i maltrattamenti, piuttosto che prendersela con chi dovrebbe accudirli e proteggerli amorevolmente. Prendersela con se stessi del resto, serve a molti scopi, non ultimo quello di mantenere in vita – una volta adulti – una relazione abusante.

(N.d.R.: La relazione abusante diventerà normale in tutta la vita. Inconsciamente il bambino/a, diventato adulto/a, non crede che ci sia un altro tipo di rapporto psicologicamente e affettivamente più appagante di questa “comfort zone”, alla quale si è allenato/a ed adagiato/a. Anzi, se lo terrà ben stretto perché costituirà l’unica certezza garantita, anche a costo di vessazioni, angherie e rinunce alle proprie libertà ed espressioni personali).

8. Devi piacere e accontentare gli altri

Pur di andare d’accordo con l’altro – per averlo accanto, per sentirsi apprezzati o non sentirsi in colpa – ci si limita, si rinuncia a far valere la propria voce e ad esprimere se stessi, fino ad annullarsi.

9. L’intimità è pericolosa

Tipica posizione di coloro che hanno sviluppato uno stile di attaccamento evitante e logica conclusione delle relazioni avute con le figure di attaccamento – verosimilmente fredde e indisponibili – dell’infanzia.

Il primo passo per risanare le nostre ferite interiori

Mettere in discussione queste posizioni ed affermazioni – più o meno consapevoli – apprese durante l’infanzia attraverso le relazioni di attaccamento, è un passo importante verso un maggior benessere e relazioni interpersonali e sentimentali gratificanti. Ma prima ancora di poterle mettere in discussione, occorre imparare a individuarle dentro di noi: possiamo farlo portando l’attenzione consapevolmente su certi nostri comportamenti che tendono a ripetersi, e sul nostro dialogo interno nelle situazioni interpersonali.

Può essere utile iniziare a chiedere a noi stessi cosa pensiamo automaticamente di noi e dell’altro, nelle situazioni in cui magari ci sentiamo più vulnerabili o bisognosi: sentiamo di meritare le cure e le attenzioni dell’altro? Riusciamo a chiedere ciò di cui abbiamo bisogno o desiderio? Ci aspettiamo che l’altro possa venirci incontro? Ci fidiamo?

Puoi farcela … A darti quel permesso!!!

Il permesso è quella scelta che fai e che è diversa dalle solite scelte che ripeti da una vita. Esempi. Posso mostrarmi in difficoltà… Mi permetto di dire no… Scelgo di riposarmi… Oppure:

  • Solitamente tieni duro… Ti permetti di mollare!
  • Solitamente fai da solo… Ti permetti di chiedere aiuto!
  • Solitamente trattieni le tue emozioni… Ti permetti di esprimerle!
  • Solitamente reagisci d’impulso… Ti permetti di riflettere un po’ meglio prima di agire!
  • Solitamente non esprimi il tuo pensiero per paura del giudizio… Ti permetti di dire la tua!
  • Solitamente accondiscendi alle richieste altrui anche quando sono eccessive… Ti permetti di dire no e sì in base ad una tua valutazione specifica della situazione!

TROVA IL TUO SOLITO … E DATTI IL TUO PERMESSO!

“Finalmente ce la fai…” perché è veramente la fatica di una vita quella di cambiare ciò che da una vita siamo abituati a fare!!!
Trova l’abitudine di una vita… E prova il permesso per iniziare oggi una nuova vita!
Provando a cambiare ciò che hai sempre fatto, avrai modo di capire perché per te è difficile, perché tendi a ripetere gli stessi schemi da una vita, perché hai paura di cambiare, perché è fondamentale iniziare a fare qualcosa di diverso al fine di migliorare la qualità della tua vita, delle tue scelte, delle tue relazioni.

È proprio necessario cambiare? È proprio necessario darsi questi permessi? Certo che no. È sempre una scelta… Del resto, alcuni modi di essere, pensare e agire che ci portiamo da una vita ancora oggi orientano in modo utile le scelte che facciamo. Quando, allora, è l’ora di nuovi permessi? Quando arriva la sofferenza, quando la vita ci chiede flessibilità, quando le circostanze esterne cambiano in modo significativo, quando stiamo trascurando i nostri bisogni, quando cominciamo ad avere problemi interpersonali importanti, quando siamo confusi, quando arrivano sintomi e malesseri fisici e psicologici ad invitarci a rivisitare il rapporto tra “ciò che devo”, “ciò che non devo”, “ciò che posso”.

La voglia di riscattarsi e… rinascere!

C’è una cosa che hanno in comune tutte le persone che hanno vissuto un’infanzia difficile: hanno voglia di riscattarsi! Il dolore, i torti, annichiliscono ma al contempo alimentano rabbia e frustrazione. È nella rabbia dell’ingiustizia subita che si può trovare il seme della reattività, il motore che può innescare un processo trasformativo utilissimo. Ogni giorno siamo artefici della nostra stessa evoluzione, siamo responsabili delle maschere che indossiamo, delle parole che diciamo… anche se non ne siamo consapevoli.

In realtà, esistono due modalità di vita: la prima ci pone come individui passivi-reattivi, cioè ci fa limitare a reagire alle cose che ci capitano nella vita. Ci fa vivere, quindi, in funzione del comportamento degli altri. Una modalità di vita molto più sudata (perché richiede esercizio, una buona dose di distacco, regolazione delle emozioni e tanta tanta riflessione) è la modalità attivo-reattivo. In questo caso, le persone non si limitano a reagire a ciò che capita ma sono pienamente artefici della propria vita, riescono a gestire le proprie maschere, a ridimensionarle o a distruggerle

(N.d.R.: Ironia linguistica: La parola “maschera”, in latino , che è la lingua da cui deriva l’Italiano, è tradotta dal termine “persona”. I personaggi delle rappresentazioni teatrali antiche così si chiamavano perché indossavano le “maschere”, che erano dei  grossi faccioni di cartapesta o altri materiali, e che avevano due funzioni: la prima era quella di caricaturare gli attori, esagerando le caratteristiche tragiche o comiche degli stessi; la seconda era quella di fungere da amplificatori sonori (il verbo latino personare = suonare attraverso). Non vi erano, infatti, microfoni e, per quanto l’acustica delle cavee degli anfiteatri fosse eccezionale, la voce doveva essere sentita fino agli ultimi posti  delle scalee. Nella “recita” delle nostre vite, noi “persone” siamo veramente delle “maschere”: interpretiamo e recitiamo la parte che gli altri (genitori, coniuge, figli, datore di lavoro, società e via dicendo) ci hanno assegnato. Quando toccherà a noi interpretare noi stessi e il ruolo che ci sentiamo ritagliato, proprio da noi e per noi? Ecco perché un numero sempre più grande di esseri umani, oggi e con la vita di oggi, aspira sempre più ardentemente ad una “second life”, una seconda vita che a loro appartenga compiutamente, e permetta a loro di essere veramente “persone” interpretando se stessi).

Numero2857.

 

Le frasi tipiche delle persone che hanno una intelligenza emotiva superiore alla media

Ana Maria Sepe     Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi.

 

Esistono due tipi di intelligenza, una razionale con la quale capiamo le cose concrete, palpabili, e una emotiva con la quale riusciamo ad analizzare il complicato meccanismo delle emozioni umane, i nostri sentimenti e quelli degli altri e ad agire di conseguenza. Ci affidiamo alla logica e alla ragione per affrontare la vita di ogni giorno, eppure dopo lunghe pause di riflessione, arriviamo alle stesse conclusioni a cui potremmo giungere in un batter d’occhio senza pensarci troppo.

Intelligenza emotiva ed emozioni

Le emozioni, siano esse positive o negative, sono mediatori complessi fra mondo esterno ed interno e variano da soggetto a soggetto in base alla loro piacevolezza o meno, alla compatibilità con i sistemi di credenza o norme sociali di riferimento… ma non sono attivate su una base oggettiva (l’evento in sé), quanto dalla lettura che ognuno ne dà in un dato momento e che agganciano o generano ciò che la moderna psicologia chiama un ‘risentito’.

Qui entra in gioco l’Intelligenza emotiva (descritta dagli anni ’80 da “Daniel Goleman”), secondo cui le persone possono gestire e canalizzare le proprie emozioni (fino all’estremo, soffocante controllo), oppure lasciarsi andare emotivamente alle emozioni (fino all’estremo dominio di queste ultime sui vari aspetti esistenziali).

Per Daniel Goleman, il modo di comportarsi dipende da una intelligenza razionale (Quoziente Intellettivo = QI) e da una intelligenza emotiva (Quoziente Emotivo = QE). L’empatia, la gentilezza, la disponibilità, l’umiltà, l’ironia, la simpatia, la voglia di divertirsi anche lavorando: queste sono alcune delle caratteristiche presenti in coloro che invece posseggono una buona dose di QE.

Perché l’intelligenza emotiva è più importante dell’intelligenza razionale?

A differenza dell’intelligenza razionale, quella emotiva ha la capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire consapevolmente le proprie emozioni, ma anche quelle degli altri. L’intelligenza emotiva si rivolge, quindi, all’osservazione e all’analisi del meccanismo delle emozioni umane.

Secondo questa teoria psicologica, oramai largamente accettata in seguito alle importanti scoperte della neuroscienza, l’individuo ‘eccellente’ sarebbe dotato di una migliore capacità emotiva , conoscerebbe bene se stesso e le proprie emozioni e di conseguenza possiederebbe gli strumenti per accedere anche ai sentimenti degli altri instaurando rapporti di empatia e di comunicazione molto efficaci nell’ambito della famiglia, del lavoro, delle amicizie e delle relazioni interpersonali in genere.

Frasi che dimostrano un intelligenza emotiva superiore alla media

Esistono alcune espressioni che accomunano quasi tutti coloro che hanno un’intelligenza emotiva maggiore rispetto alla media. Ecco 13 espressioni comuni che, se pronunciate ogni giorno, denotano un’intelligenza emotiva superiore “rispetto alla maggior parte delle persone”.

Nota bene: Naturalmente non è detto che tu non sia più intelligente emotivamente se non ti rispecchi in tutto ciò che trovi di seguito. Potresti anche avere solo uno o due di questi tratti tipici di chi possiede una intelligenza emotiva abbastanza spiccata. Anzi, questo articolo è un invito a riflettere sul modo di interagire con il nostro interlocutore. La capacità introspettiva è la diretta conseguenza dell’intelligenza emotiva.

1. “Potresti dirmi di più al riguardo?”

Le persone prive di autocoscienza si preoccupano solo dei propri pensieri e delle proprie opinioni. Le persone emotivamente intelligenti, invece, sono interessate a come si sentono gli altri e a cosa hanno da dire. Comunicano in un modo tale da incoraggiare le persone a parlare dei loro sentimenti ed esperienze. Fanno tesoro di come la gente si racconta perché è motivo di opportunità di apprendimento.

2. “Ti ascolto”

Dicendo a qualcuno che lo capisci, crei un ascolto empatico. L’ascolto implica riconoscere e accettare l’altro come persona, dando valore e riconoscendone la dignità. “Ascoltare” significa anche comprendere le emozioni dell’altro e ciò che non viene detto. Saper ascoltare veramente genera fiducia e accoglienza reciproca. È la base di ogni vero rapporto interpersonale e sociale

3. “Capisco quello che stai dicendo, ma…”

Questa frase evidenzia un altro aspetto importante dell’intelligenza emotiva: la capacità di agire in modo assertivo quando si tratta di persone e situazioni difficili. Se non sei d’accordo con qualcuno, esprimilo in modo delicato e non conflittuale. L’obiettivo è facilitare il raggiungimento di una soluzione reciprocamente accettabile. Essere educati non è solo un segno di elevata intelligenza emotiva, ma anche un modo di mostrare rispetto per gli altri

4. “Come ti senti al riguardo?”

Per far sentire le persone accettate e rispettate, presta attenzione e prenditi del tempo per capirle ed entrare in empatia con loro. Mentre ascolti, sforzati di metterti nei loro panni in modo significativo.

5. “Non sono sicuro di cosa c’è che non va. Potresti spiegarmi il problema?”

Con questa frase sai che qualcuno sta avendo un problema e, invece di reagire negativamente, lo inviti a condividere i suoi pensieri. Alternative simili: “Puoi chiarirmi meglio?” o “Quello che capisco è che […]. È giusto?”

6. “Cosa vuoi dire?”

Quando chiedi chiarimenti a qualcuno, gli stai chiedendo di dire qualcosa in modo diverso o di fornire maggiori informazioni in modo da capirlo meglio. Ciò è diverso dal chiedere a una persona di ripetere qualcosa.

7. “Ti apprezzo!”

Riconoscere gli sforzi e le conquiste di altre persone è un vero atto di intelligenza emotiva. Mi piace la foto che hai messo, mi piace quello che hai scritto, mi piace quello che pensi. Mi piace, insomma, come appari in quel momento… Altra cosa è comprendere il valore di quella persona, accettandone sia i punti di forza che le debolezze, a prescindere da successi o insuccessi, da pregi e difetti.

Quando fai un complimento a qualcuno, crei immediatamente un’atmosfera positiva.   Un’espressione che comunica il valore a una persona. Una cosa che non ha prezzo. Dire a una persona, o sentirsi dire, “Ti apprezzo”, non ha prezzo. Sembra un gioco di parole o uno slogan pubblicitario, ma la radice di ‘apprezzare’ proviene proprio dall’assegnare un prezzo, dal comprendere il valore di una persona, di un comportamento, di un oggetto.

Dal momento che tutti abbiamo un valore, è un buon esercizio quello di osservare ciò che è da apprezzare in ciascuno, concentrandosi sugli aspetti positivi e su quelli da cui possiamo comunque imparare. Non stupiamoci se il “Ti apprezzo” che abbiamo espresso ritornerà al mittente in breve tempo.

8. “Avete tutti ragione. Vediamo come possiamo lavorare insieme”

Questa frase può aiutarti a superare diplomaticamente dei nodi problematici riconoscendo i diversi punti di vista. Dopo aver incoraggiato tutti a condividere le loro preoccupazioni, puoi risolvere più facilmente un potenziale problema. Gli studi dimostrano che la capacità di risolvere i conflitti è il punto di forza dell’intelligenza emotiva.

9. “Mi piacerebbe il tuo contributo su questo”

Questa frase e altre simili come “Posso avere qualche consiglio da te?” o “Ti dispiace se chiedo qualche spunto?”, sono preziose. Stai permettendo a qualcun altro di sentirsi orgoglioso di se stesso, il che suscita pensieri positivi su di te.

10. “Questa situazione mi rende preoccupato [o confuso o sconvolto]”

Quando si crea un clima di tensione, la persona emotivamente intelligente non si concentra sulla persona che ha innescato tale condizione, ma sulla situazione in generale. In questo modo, non andiamo a incolpare qualcuno e non lo mettiamo sulla difensiva. Invece, stiamo spiegando come ci sentiamo riguardo a quello che è successo, il che ci aiuta a evitare di sembrare passivo-aggressivo o antagonista.

11. “Mi sento così per…”

Quando sei emotivamente intelligente, ti connetti con le tue emozioni mentre accadono, nel momento. Connettersi con sé stessi significa ascoltare le proprie esigenze, osservando attentamente i segnali che il corpo invia alla mente; assecondare le proprie necessità rappresenta il presupposto per vivere in armonia. La possibilità di evolversi emotivamente, conoscendo un po’ più se stesso e ciò che vive dentro non può che portare ad una ricchezza psichica nella propria vita. Un lavoro che ha a che fare con l’implementare l’intelligenza emotiva

12. “Mi dispiace”

A volte si è consapevoli di aver ferito qualcuno… ma di chiedere scusa non se ne parla proprio.​ Sì, perché saper chiedere scusa…implica senso di umiltà e rispetto verso l’interlocutore. Eppure, quella semplice parolina “Mi dispiace” può diventare un modo per entrare in contatto emotivo con sé stessi e con l’altro («mi dispiace se ti ho causato del male»); per imparare a conoscere i confini della propria volontà e la responsabilità verso gli altri; per impegnarsi al cambiamento («cercherò di fare diversamente d’ora in poi»). Il chiedere scusa può assumere quindi un valore che va al di là del singolo gesto; non è solo un modo per chiudere un episodio, ma ci apre a nuove possibilità di crescita.

13. “Grazie!”

La cortesia comune è, purtroppo, non così comune in questi giorni. Dire grazie non è solo sinonimo di educazione, saper ringraziare è una vera e propria capacità emotiva, significa riconoscere, e quindi accettare, il fatto che si ha bisogno l’uno dell’altro. Concetto che è alla base della società! Ma soprattutto, la gratitudine è un valore essenziale per vivere bene con gli altri. Di cosa possiamo essere grati? Di un sorriso incrociato, di una canzone ascoltata alla radio, di una telefonata gradita, di un invito inaspettato, di un parcheggio trovato con facilità. Le cose semplici, non frequenti, non date per scontate, sono i mattoncini di un benessere più duraturo.

L’intelligenza emotiva è la chiave per aprire molte di quelle porte che hai chiuso nel corso della tua vita

Quante volte hai pensato “Se solo avessi reagito diversamente”? Per la maggior parte delle persone è difficile controllare emozioni come impulsività, irritazione o rabbia, salvo poi pentirsi amaramente di quello che hanno detto o fatto. Sviluppare l’Intelligenza emotiva ti metterà al riparo da queste situazioni spiacevoli e imbarazzanti perché ti aiuterà a riconoscere, comprendere e gestire le tue emozioni e quelle degli altri, migliorando notevolmente la qualità della tua vita interiore.

Si nasce due volte, la prima quando vieni al mondo e la seconda, quando decidi di volerti bene.

 

 

 

Numero2854.

 

U N    C O M A N D A M E N T O    S B A G L I A T O

 

Nono Comandamento: Non desiderare la donna d’altri.

Decimo Comandamento: Non desiderare la roba d’altri.

 

La donna, allora, alla stessa stregua della roba, è proprietà dell’uomo?

 

Il Dio della Bibbia, creato da civiltà moralmente e civilmente patriarcali, ne riflette e rappresenta le mentalità ed i precetti che in essa sono codificati. È un Dio patriarcale quello che ha ispirato e dettato i Dieci Comandamenti.

È a questo Dio e a questi principi che si riferiscono i moniti comportamentali della Chiesa Cattolica: vengono insegnati nel Catechismo.

E la storia di Giulia Cecchettin e di Filippo Turetta ne è la tragica deriva.

Si badi bene. La povera ragazza era uscita dal rapporto di appartenenza col giovane Filippo, non per tradirlo con un altro, ma solo per appartenere a se stessa, per autoaffermarsi, nei propri studi e nella realizzazione di sé, per la propria autostima.  Stava per laurearsi prima del compagno: questa è stata la trasgressione. E il femminicidio non è avvenuto per amore, malinteso o tossico che fosse, ma soltanto per invidia di genere che Filippo Turetta non ha saputo accettare e sopportare.

Numero2853.

 

M E D I T A T I O    T E M P O R I S    (Riflessione sul tempo)

 

Non è vero

che abbiamo

poco tempo.

La verità

è che ne

perdiamo molto.

 

Seneca.

 

 

…..che perder tempo a chi più sa più spiace.

 

Purgatorio,    canto III, 78    Dante Alighieri.

 

 

…..vàssene ‘l tempo e l’uom non se n’avvede.

 

Purgatorio,   canto IV, 9     Dante Alighieri.

 

 

N.d.R.:   Non c’è bene materiale che, una volta perso, non possa essere riconquistato: solo il tempo è irreversibile. In nessun modo è possibile recuperare il tempo trascorso. Secondo Seneca, l’errore compiuto dalla maggior parte degli uomini consiste nell’immaginare la morte come una realtà che sta davanti a noi, l’esito naturale della nostra esistenza. Essa, in realtà, è dietro di noi; non è altro che la somma di tutti i nostri ieri. Il saggio è colui che ne è consapevole e, di conseguenza, amministra il presente con la massima oculatezza, cercando di vivere proficuamente ogni istante nella vita che sta vivendo.

Numero2852.

 

Segnali che stai sprecando la tua vita con la persona sbagliata

Ana Maria Sepe   Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. 

 

Capita a tutti: abbiamo passato dei bei momenti con il partner, abbiamo condiviso tante cose, ma non sempre tutto va come dovrebbe e siamo al punto in cui il rapporto fa stare male. Quando una relazione è sbilanciata (in termini di amore, dedizione, attenzione, impegno, rispetto), bisogna decidere se rimanere fedeli a un amore sbilanciato (quindi non corrisposto) o restare fedeli a se stessi. Questa è la scelta che siamo chiamati a compiere, questa è la nostra responsabilità.

Ognuno di noi ha caratteristiche differenti nel modo di relazionarsi agli altri

Risalire ai fattori che possono avere determinato queste differenze resta un’operazione estremamente complessa. Queste caratteristiche che ogni persona ha avuto in eredità, sono sempre la risultante di come siamo stati cresciuti dai nostri genitori o da persone che per prime si sono presi cura di noi. Tutto questo avviene quando ancora le strutture mentali non possiedono una forma definita e ogni aspetto della personalità è in piena fase di costruzione.

Amiamo come siamo stati amati

Già nei primi momenti di vita, il bambino può acquisire esperienze negative non sempre semplici da digerire. Per ipotesi, diamo all’inconscio una dimensione e immaginiamocelo come un apparato digerente. Ogni giorno della vita, l’inconscio è alimentato da esperienze belle e brutte che riesce più o meno a digerire e modellarsi di conseguenza. Un inconscio ben nutrito sarà sano e in forma, privo di ogni conseguenza.

Per rendere meglio il concetto: se ci capita di ingoiare un pezzo di vetro, questo non potrà essere scisso in alcun principio attivo, resterà lì e non riuscirà a dissolversi in nessun modo. Col passare degli anni, quel pezzo di vetro resterà integro nel nostro inconscio, mantenendo la forma originaria, ovvero come un oggetto estraneo. Bene, quell’oggetto estraneo è il nostro trauma. Non processato e non elaborato. Nei casi migliori, quel corpo estraneo diventa causa di disarmonie mentre nei casi peggiori, causa conseguenze più tangibili che prendono la forma di una ferita interiore che in un certo senso resterà sempre aperta.

Qual è il “motivo interiore” che ci porta a sacrificare le nostre esigenze e a mettere al primo posto quelle del partner?

È come se la caratteristica di fare di più di quanto facciano loro risponda a un bisogno personale inconsapevole. Un esempio può essere la necessità di porsi sempre in una posizione di “credito”, e mai in una posizione di “debito”.

Per molte persone è difficile pensare di dover qualcosa all’altro. Al contrario, ci si sente molto più sereni nell’essere dalla parte di chi dà, invece che ricevere. Ragionare sulle motivazioni profonde che ispirano questo tipo di rapporto con l’altro significa ripercorrere la propria storia personale; riflettere sulle emozioni, i bisogni, le paure che si associano a questo tipo di relazione. Si tratta di un lavoro difficile da spiegare a parole perché unico e diverso per ogni persona, così come uniche e diverse sono le esperienze di vita che hanno costruito un certo tipo di atteggiamento nei confronti del mondo.

Quando si è adulti, cosa succede?

Si diventa insicuri, inadeguati, non meritevoli d’amore. Una condizione costante, anche se disfunzionale; quasi come se fosse una sorta di seconda pelle cucita addosso che  ci porta ad adottare comportamenti più disparati pur di soddisfare ogni bisogno del partner e scongiurare così il rischio dell’abbandono e dell’ennesima sofferenza. Si asseconderà l’altro/a, sacrificandosi per lui/lei e preoccupandosi in tutto e per tutto del suo benessere, così da colmare le carenze affettive, emotive nonostante l’assenza, la svalutazione e la mancanza di riconoscimento da parte dell’altro.

Come spreca la vita chi vive una relazione sbilanciata

Amare una persona richiede reciprocità, preoccupazione e compromesso. Certo, è inevitabile dipendere dalla persona che si ama, soprattutto quando fa parte della nostra vita in modo così intimo e speciale. E’ legittimo preoccuparsi di tutto quello che fa, che esprime e che pensa.

Tuttavia, è necessario essere in armonia con le nostre emozioni se teniamo alla nostra salute emotiva. Dare tutto all’altro fino al punto di rimanere vuoti, ci trasforma in una specie di piccolo satellite che ruota attorno a un pianeta senza mai cambiare orbita. In pratica entriamo nell’orbita della dipendenza affettiva.

Se ne diventiamo consapevoli possiamo invertire la rotta per intraprendere una nuova strada…. quella che porta all’autoconsapevolezza, alla volontà di emergere e sentirsi apprezzati e meritevoli di rispetto e attenzioni.  Se ti trovi in una relazione sbilanciata voglio spiegarti come stai sprecando qualcosa di prezioso: la tua vita

1. Stai anteponendo i desideri del tuo partner ai tuoi

È molto comune intraprendere una relazione malsana senza nemmeno rendersene conto, una relazione in cui si mettono i desideri e i capricci dell’altra persona al primo posto, anche al di sopra dei propri. Il problema è che lo stai facendo di tua spontanea volontà e con amore, perché pensi sia giusto doverlo fare. In realtà, stai solo elemosinando amore da una persona che non ti corrisponde

Sappi che arriverà un giorno in cui ti sentirai davvero frustrata/o perché ti renderai conto che non sei mai stata apprezzata/o, che non ti è mai stato riconosciuto nulla. Aprirai gli occhi e vedrai quella realtà che cerchi di nascondere a tutti i costi: di essere stata/o una marionetta nelle mani di chi ha voluto fare leva sulle tue fragilità.

2. Stai pensando che puoi essere felice solo se hai una persona al tuo fianco

Il tuo partner non ha le chiavi della tua felicità. Non puoi anteporre i suoi bisogni e i suoi interessi alla tua famiglia, al tuo lavoro, ai tuoi interessi.. È giusto? Assolutamente no. È così che si rischia di cadere nella dipendenza emotiva, di dimenticarsi di sé stessi…..e per cosa? Per concentrarti sull’altra persona. Arriverà un giorno in cui tutto questo più che renderti felice ti distruggerà emotivamente.

3. Farai fatica a dire no

Dire no significa negare. E negare è qualcosa di inconcepibile quando si è innamorati. Come si può negare qualcosa alla persona che si ama? Come scegliere diversamente da quello che dice il proprio partner? Si ha paura a contrariare, disturbare o inquietare la persona amata, e per questo molta gente mette da parte l’assertività necessaria, ossia il difendere ed esprimere quello che si sente, che si crede o di cui si ha bisogno.

4. Se il tuo partner non ti ama, ti senti una nullità

Può sembrare esagerato, ma chi è invischiato in una relazione sbilanciata vive l’amore in modo eccessivo. Se non ricevono dimostrazioni d’affetto quotidianamente, se non si sentono amate o, ancor di più, se non hanno un partner, si vedono come le persone più sfortunate al mondo. Persone che non concepiscono il fatto di vivere senza un compagno o una compagna, per esempio. Queste persone hanno bisogno di essere amate per sentirsi bene con sé stesse e per valorizzarsi. Se non si sentono confermate da una persona al proprio lato, soffrono di una grande infelicità.

5. Inizierai a tenere tutto sotto controllo

La dipendenza emotiva è un’ossessione, e le ossessioni richiedono controllo, alimentano la sfiducia e la gelosia. Di sicuro ti è capitato qualche volta di voler controllare l’altro! E allora ecco che lo/la “insegui” virtualmente con telefonate, messaggi, mail, chat e via dicendo perché proprio non puoi farne a meno. Stai manifestando una mania del controllo ingiustificata, un atteggiamento che non porta nulla di buono in una relazione.

Non abituarti alle briciole!

Non adattarti a un amore non corrisposto, con l’idea che non possa esserci dell’altro, perché tu puoi avere molto di più. Ma dipende soprattutto da te, dalle tue scelte, dalle tue azioni, e da quanto credi di meritare. Se ancora stai leggendo questo articolo, forse hai davvero voglia di rinegoziare le tue scelte di vita.

Come puoi evitare di cadere nelle relazioni sbilanciate?

Mi piace pensare che ognuno di noi ha due immense dosi d’amore da donare. La prima dose è destinata a sé, ci spetta per diritto, è nostra. La seconda dose può essere donata agli altri.

Non ti chiederò di smettere di amare chi non ti ama, sarebbe folle. Ma posso invitarti a donare a te stesso quell’amore che finora ti sei negato. Posso invitarti a investire più energie in te stesso, nella splendida persona che sei. Potrei dirti di iniziare un nuovo hobby o riscoprire passioni dimenticate, potrei dirti di chiamare un vecchio amico, passare del tempo nella natura…

Queste sono tutte attività costruttive, ma solo tu sai cosa ti piace e cosa può farti stare bene: ogni giorno, scegli di fare qualcosa per te stesso, che sia un piccolo gesto o un’attività che richiede ore, non importa, ciò che conta è iniziare a dedicarti quelle attenzioni che un tempo ti sono state negate, quei riconoscimenti che meriti da una vita; ciò che conta è che inizi a destinarti quella prima dose d’amore. La meriti.

Pianteresti mai un seme dove non cresce nulla?

Probabilmente no. Sceglieresti un terreno che possa accogliere e nutrire quel seme. E allora perché non fai lo stesso per la tua mente, il tuo corpo, le tue relazioni e i tuoi sogni? Nel mio secondo libro «d’Amore ci si ammala, d’Amore si Guarisce» (editore Rizzoli) ti spiego come prenderti cura di te e disinnescare le dinamiche relazionali più scomode, sia in coppia che in famiglia.  È un viaggio introspettivo che ti consentirà di trasformare le tue ferite e la tua attitudine difensiva in un’inattaccabile amor proprio. Già, perché l’armatura che più di tutte può difenderti (dalle umiliazioni, dai torti, dalle delusioni e dalla rabbia…) è proprio l’amor di sé. Perché come ho scritto nell’introduzione al mio libro: “Non è mai l’amore di un altro che ti guarisce ma l’amore che decidi di dare a te stesso”.

Numero2851.

 

Le persone che attrai sono il riflesso delle ferite che ti porti dentro

Anna De Simone    Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia.

 

Se sei una calamita per casi umani, non temere! Il titolo vuole indicare semplicemente che i partner che attiri possono raccontarti molto sul tuo vissuto interiore perché questi, in qualche modo, riflettono parti di te e della tua vita emotiva. Per capire quali parti di te riflettono i tuoi ex o l’attuale partner, basterà solo imparare ad analizzare il significato delle tue storie d’amore e nel testo che segue proverò a spiegarti come.

Se non ti piacciono i cenni teorici psicoanalitici, salta subito al paragrafo «quando è il dolore a guidarti nella scelta del partner» perché, come vedremo, è la sofferenza appresa a guidarti nella scelta del partner sbagliato. La stessa sofferenza che innesca la tendenza a stringere sempre relazioni disfunzionali e sbilanciate, dove tu sei quella/o che ci rimette di più. Perché se è vero che quando una coppia si lascia non esistono né’ vincitori né vinti, è altrettanto vero che spesso nelle coppie disfunzionali c’è una persona che dà di più, troppo.

La scelta del partner: ecco perché siamo dei pessimi decisori

Nell’ideale, l’essere umano dovrebbe muoversi e fare scelte volte al profondo e duraturo appagamento. Eppure, quando si tratta di scelte, talvolta dimostriamo di essere pessimi decisori; la scelta del partner sbagliato ne è una testimonianza. Secondo la teoria freudiana, l’uomo si muove alla ricerca di gratificazioni immediate, alla costante ricerca del piacere. Questa teoria non spiegava però le nevrosi, la coazione a ripetere e l’esistenza di alcuni schemi disfunzionali ripetitivi. A risolvere il quesito è stata una successiva teoria psicoanalitica, quella delle relazioni oggettuali (W. Fairbairn). Stando a questa visione, le azioni umane non sono motivate dalla gratificazione ma dalla ricerca di un legame. E’ stringere un legame significativo ciò che ci preme.

Poco dopo, biologi dell’evoluzionismo hanno riferito che gli essere umani sono geneticamente programmati per stringere legami di attaccamento. Quando veniamo al mondo, infatti, siamo del tutto indifesi e abbiamo bisogno di stringere un legame affinché qualcuno ci garantisca sostentamento. Tra le strategie evolutive che ci garantiscono le cure c’è il sorriso e il pianto. Sorridiamo letteralmente per ammaliare l’adulto che dovrà curarsi di noi, e facciamo di tutto per preservare quel legame: tutto questo è nel nostro codice genetico. E’ una forma di adattamento che nei millenni si è evoluta per garantirci la sopravvivenza.

I bambini sono geneticamente programmati per creare legami con i genitori con qualsiasi forma di contatto gli forniscano e quelle forme di contatto diventano modelli relazionali che durano per tutta la vita. Ecco perché, in qualche modo, gli uomini o le donne che attiri, sono il riflesso di ciò che sei e che sei stata/o in passato. Di seguito userò il genere femminile, ma questo varrà anche al maschile!

Attirare il partner appagante

Se da bambina ti è stata garantita gratificazione e sicurezza come forma di contatto, ricercherai la gratificazione non come fine a sé stessa ma come forma appresa di relazione con l’altro. Il partner che attirerai ricercherà le tue stesse cose: interdipendenza, reciprocità, stima, comunicazione, supporto e intimità.

Purtroppo spesso i genitori procurano molte esperienze dolorose. Dal distacco forzato al primo giorno di asilo, senza la minima preparazione per il bambino ancora spaventato dal mondo, ai ricatti emotivi e agli obblighi morali. Gli adulti dovrebbero rendere il mondo a misura di bambino, tuttavia la mentalità genitoriale vede il bambino come subordinato al genitore, quasi come una proprietà.

Quando è il dolore a guidarti nella scelta del partner

W. Fairbairn, medico e psicoanalista, studiò a fondo le dinamiche che accompagnavano i bambini maltrattati. In particolare, lo psicoanalista rimase colpito dall’intensità del legame e dalla fedeltà che quei bambini mostravano verso i genitori maltrattanti. Più tardi, quegli stessi bambini finivano per ricercare la sofferenza come forma di relazione con gli altri. Il dolore era diventato la forma di contatto privilegiata. I bambini, e più tardi gli adulti, cercano nell’altro la stessa forma di contatto che hanno sperimentato all’inizio del loro sviluppo.

In altre parole, costruiamo i nostri modelli relazionali e la nostra vita emotiva intorno al tipo di interazioni che abbiamo avuto con chi si è preso cura di noi all’inizio della nostra vita. Cosa ti raccontano i tuoi ex partner della tua vita emotiva? L’attrazione è scattata quando l’altro ha fatto risuonare in te quel modello che nella prima infanzia ti è stato proposto come esempio fondamentale d’amore. Se reputi di aver vissuto un’infanzia tranquilla, sappi che anche i bambini osservati da W. Fairbairn non erano consapevoli dei torti subiti, ma questi torti risuonavano ancora in loro fino a condizionarne le (cattive) scelte affettive.

Secondo W. Fairbairn, il bambino, per proteggere il legame con il genitore, non sarebbe sempre in grado di riconoscere nel genitore una figura abusante; seguendo il modello d’amore interiorizzato, da adulto, quel bambino potrebbe passare dalle braccia di un partner abusante all’altro. Questo spiega perché alcune persone finiscono sempre con il partner sbagliato, perché il partner sbagliato riflette la vita emotiva inconscia di chi lo ha attirato.

Cosa ci raccontano i tuoi ex-partner della tua vita emotiva?

Dopo tanta teoria, è il momento di passare alla pratica, tirare le somme e fare una sana auto-analisi. Ripensa alle tue storie d’amore, riesci a individuare dei modelli ricorrenti? Se all’apparenza le storie e le personalità dei tuoi ex partner sembrano tutte diverse, soffermati su come ti hanno fatta sentire. Noti una certa ricorrenza dei vissuti emotivi? Questi vissuti emotivi hanno molto a che fare con il tuo funzionamento psichico. Ti faccio alcuni esempi.

Una bambina che ha dovuto sempre combattere (o competere con un fratello/sorella) per le attenzioni genitoriali, finirà per essere attratta (e attrarre a tua volta) persone incoerenti e discontinue. Non solo, questa bambina avrà interiorizzato «l’amore dai grandi gesti». Sarà portata a fare pazzie, impegnarsi al 110%, realizzare sorprese, cene romantiche, regali studiati (…) e tutto questo per convalidare la sua identità e affermare un forte: «io ci sono e voglio essere amata». Purtroppo il modello d’amore interiorizzato durante l’infanzia parla più di un bisogno insoddisfatto che di amore vero, un amore subordinato ad affanni e grandi imprese.

Anche l’essere sempre attratti da persone che non ci filano per nulla racconta qualcosa del genere. Il partner irraggiungibile diventa il riflesso dell’amore negato. Sul partner che non ti corrisponde tu proietti desideri, ideali e valori che in realtà non esistono. Quell’oggetto dei desideri diviene un concentrato di aspettative e speranze creato apposta per far risuonare in te un nuovo rifiuto. La tua attenzione si focalizza su chi non ti desidera perché stai riproponendo il tuo modello d’amore interiorizzato. L’ironia della sorte? Quando quella persona diviene raggiungibile e si avvicina, il tuo interesse svanisce!

Ancora, chi è cresciuto con un genitore scostante e costantemente rifiutante, potrebbe strutturare la sua vita emotiva sull’incompiuto: iniziare attività per non finirle, cimentarsi in imprese impossibili, inseguire sogni irrealizzabili, standard irraggiungibili e partner impegnati. La bambina cresciuta con un genitore altalenante, che alternava periodi di presenza con periodi di assenza e rifiuto, potrebbe finire con l’attrarre partner abusanti e ambivalenti, che ti idealizzano per poi svalutarti e hanno bisogno di sminuirti per sentirsi meglio.

Come spezzare il circolo vizioso?

Capire entro quali termini il partner che attiri è il riflesso di ciò che hai dentro, ti aiuterà a uscirne. In che modo? Ti mostrerà le tue vulnerabilità e ti farà capire su quali aspetti della tua vita emotiva hai bisogno di lavorare.

Solo guarendo il modello ancestrale interiorizzato potrai finalmente scegliere di amare chi ti piace e non chi fa risuonare in te l’amore disfunzionale appreso. L’introspezione e la profonda conoscenza di te ti mostreranno la via. In questo contesto potrebbe essere utile iniziare un «diario dell’introspezione» che ti avvicinerà a nuove esperienze emotive correttive garantite da un partner disponibile e accudente. Attenzione! Anche tu dovrai essere pronta a questa nuova stabilità, se non lo sarai, finirai per annoiarti subito del partner.

Se è vero che la tua vita emotiva è costruita sulla base di esperienze passate, è anche vero che se fai nuove esperienze emotive puoi correggere quei modelli appresi. Anche le amicizie che stringi possono raccontare molto sulla tua vita interiore e potrebbero fungere da fattore di mantenimento di una vita interiore fatta di bisogni insoddisfatti, oppure metterti sul cammino dell’appagamento a lungo termine.

I sani confini

Che sia un genitore, un partner o un amico, ti farà sentire accettato con la condizionale. Fin quando aderisci al modello del subordinato in cui la relazione è completamente sbilanciata e i carichi gravano tutti sulle tue spalle (sei accondiscendente, lasci che invalidi le tue emozioni, non esci dal ruolo che ti ha assegnato…), allora le cose filano lisce. Ma quando provi ad affermare te stesso o una tua necessità, emergono le minacce. La minaccia dell’abbandono, della rabbia, dell’isolamento, dell’esclusione… Non sempre le minacce sono affettive, qualcuno può utilizzare ricatti economici e sfruttare una posizione di potere in ambito lavorativo. Ecco perché non è sempre facile venirne fuori. Ma un modo sano e sicuro per gestire i confini con queste persone c’è. Un modo per affermare te stesso esiste. Pensaci bene, non sarebbe perfetto avere accanto persone capaci di convalidare le tue emozioni? Di condividere con te la stessa realtà senza tentare di distorcerla?

Esiste una realtà ben concreta in cui tu sei al centro della tua vita. In cui tutti i tuoi bisogni hanno un senso, vanno ascoltati e appagati! Una realtà in cui puoi affermare te stesso, accoglierti e amarti. In tal modo, attrarrai a te solo persone che sono capaci di darti la considerazione che meriti. Che, come nel mio esempio, hanno cura del legame che instaureranno con te. Non si tratta di un’utopia. Tutto questo è possibile e puoi averlo in tutti i rapporti.

Il rispetto di sé è la base

Si parla pochissimo di rispetto di sé. Eppure si tratta di una componente essenziale per la salute (fisica e mentale) e per il mantenimento di relazioni sane. Se ti riconosci in questi punti, vuol dire che stai trascorrendo la tua vita remandoti contro. È mai possibile andare “contro se stessi”? Purtroppo sì, questo capita quando non ti hanno insegnato a riconoscere il tuo valore. Come spiego nei miei incontri e come ho dettagliato nei miei due libri (entrambi bestseller), siamo la sintesi dei nostri vissuti e, il modo in cui ci comportiamo con noi stessi, riflette in qualche misura il modo in cui gli altri ci hanno trattato durante l’infanzia.

È lì, a quell’età che impariamo come scendere a patti con noi stessi, se rispettarci e stimarci oppure se metterci da parte e calpestare i nostri diritti emotivi e finanche negare i nostri bisogni!