Numero3113.

 

da  QUORA

 

LA   FEDE   È   UNA   CAZZATA?

 

Scrive Stefano, corrispondente di QUORA.

 

L’ho detto ancora, trovo di una tristezza unica questa diatriba credenti-atei.

Mi sembrano dei bambini, gelosi del loro giocattolo.

Dialogano con la loro ideologia anziché con le altre persone.

Quindi praticamente parlano da soli.

Non crescono, non si arricchiscono, perché sono chiusi dentro la loro stanzetta quando fuori c’è il mondo.

Se la fede ti fa essere un uomo migliore, ti fa vivere in serenità e pace con gli altri, non solo non è una cazzata, ma è un valore aggiunto nella tua vita.

Così come chi è ateo ma è una persona positiva, che si spende per gli altri e per la società, è degno del più grande rispetto e di essere imitato.

Nessuno ha diritto di giudicare il mio credo, perché nessuno è me, io so quanto vale, e questo è insindacabile.

Quindi abbasso le ideologie quando vanno contro la persona e abbasso la presunzione di essere gli unici depositari della verità.

Ma soprattutto abbasso chi si mette su un piedistallo e crede di essere migliore degli altri.

 

 

Scrive Lorenzo Uplegger, corrispondente di QUORA.

 

Innanzitutto come premessa vorrei fare una distinzione tra credere in Dio e essere fedele o seguace di una religione.

Nel primo caso mi riferisco a una entità soprannaturale, o perché no, una entità universale che probabilmente ha creato l’universo e che non è detto che abbia alcun legame con l’essere umano.

Nel secondo caso, invece, per quanto riguarda la maggior parte delle religioni ed in particolare la religione cristiana, musulmana e tant’altre, Dio è strettamente legato all’essere umano.

La mia risposta si riferisce al secondo caso.

Il fedele religioso è colui che abbandona la ragione per credere a dei dogmi che derivano da dei libri scritti millenni fa e reinterpretati da autorità religiose il cui mantra è: anche se ti fai delle domande e giungi a delle conclusioni che contraddicono la logica, devi avere fede.

Abbandonati nelle braccia della chiesa, Islam etc., fidati che la bibbia, il vangelo, il corano siano la parola di Dio e anche se non riesci ad accettare mentalmente le innumerevoli contraddizioni della religione che pratichi devi essere fedele alle regole che tale religione ha costruito perché derivano dalla parola di Dio.

Siccome Dio è infintamente più intelligente di te, devi accettarle senza discussione.

Insomma tu come individuo non devi pensare.

Qualsiasi conclusione alla quale arriverai verrà soprasseduta dalla frase: devi credere, non ci puoi arrivare da solo.

Le vie del signore sono infinite.

Proprio per questa infinità di possibili strade c’è quindi bisogno della creazione di certe entità come la chiesa, l’Islam etc., che pensano loro a interpretare per te i cosiddetti testi sacri, testi in cui è stata scritta la parola di Dio.

Semplicemente la necessità di avere un gruppo di uomini che interpretano la cosiddetta parola di Dio, la quale dovrebbe essere inequivocabile, è sufficiente per me a suonare una campanella di allarme.

La prima domanda che io mi faccio è: perché, visto che io che sono cosi importante davanti agli occhi di Dio, non posso leggermi da solo la sua parola?

Questa entità, nella sua infinita saggezza, dovrebbe essere stato in grado di scrivere un libro in maniera tale che anch’io, in quanto creato a sua immagine e somiglianza, dovrei saper capire. Che necessita’ c’e’ di avere un gruppo di persone che invece lo leggono e interpretano per me?

Se un fedele quindi giunge alla mia stessa conclusione e decide di leggere direttamente la parola di Dio, con un po’ di spirito critico, inevitabilmente si renderebbe conto delle innumerevoli contraddizioni presenti in questi test sacri.

Insomma, non solo le leggi della fisica sono ignorate in innumerevoli passaggi, non si possono creare pesci dal nulla, non possono esistere cespugli che bruciano senza consumarsi, non si possono materializzare dal nulla arcangeli Gabrieli che annunciano la rivelazione etc. etc., ma anche la moralità di certi personaggi scelti da Dio è completamente aberrante agli occhi delle società moderna.

La maggior parte delle persone che nella bibbia vengono considerate scelte da Dio, nella società d’oggi si troverebbero in galera.

E quindi il fedele che si fa qualche domanda, per poter continuare nella sua fede non può che seguire il consiglio che le autorità della sua religione gli hanno inculcato fin da bambino: non puoi capire, abbi fede.

Non pensare, prega.

Per questo per me la fede, religiosa, è una cazzata.

Continua a tramandare una tradizione secondo la quale c’è un sottogruppo di persone che non sono in grado di capire Dio e quindi hanno bisogno di una guida che, in certi casi, li può mandare ad uccidere altre persone in nome di quel Dio.

Eppure c’è una alternativa: la scienza.

La scienza è per tutti: l’evidenza non può essere interpretata.

Le leggi della fisica evolvono e si raffinano, ma non si interpretano, perché sono scritte in un linguaggio universale, il linguaggio di Dio: la matematica.

Nessuno può interpretare in maniera diversa che la somma di uno e uno è uguale a due.

Questo universo si basa su delle leggi che sono scritte in un linguaggio inequivocabile che porta a delle conclusioni univoche: una mela cadrà sempre verso la superficie terrestre se si stacca da un’albero, non c’è spazio all’interpretazione.

E nonostante molti pensino che la scienza non sarà mai in grado di comprendere la natura di Dio ed è per questo che si rifugiano nell’illogicità della fede, io non sono d’accordo.

Il passo della scienza è inesorabile e basato sul vero linguaggio di Dio: la matematica.

Un giorno, chissà, la vera bibbia, sottoforma di un’equazione matematica, verrà scoperta e magari sarà in grado di confermare o confutare l’esistenza di Dio.

Oggi siamo ancora lontani da tale bibbia, ma è importante notare che nell’arco di solo qualche centinaio di anni siamo passati da una concezione dell’universo piuttosto rudimentale, l’inferno e il paradiso di Dante, a una in cui possiamo parlare di cosa è successo nei primissimi istanti della creazione di questo universo.

Ecco che, se anziché scolpire le menti dei nostri figli con un’opera d’arte che ragiona in maniera indipendente fidandosi dell’incredibile connessione tra logica e natura, costruiamo un oggetto servile a una autorità come la chiesa, I’ Islam etc., facciamo un disservizio all’umanità ed in particolare ai nostri figli stessi che tra l’altro consideriamo figli di Dio.

Insegnargli ad essere fedeli nonostante tutte le contraddizioni che la fede implica crea un’umanità in cui le persone sono abituate ad accettare la parola di qualcun altro che ne sa di più.

La fede, religiosa, è una cazzata ed è la causa della maggior parte delle ingiustizie di questo mondo.

Se solo si insegnasse fin da piccoli a ragionare piuttosto che credere e obbedire, milioni di persone non si sarebbero fatte mandare al macello perché gli è stato detto di credere in una causa più grande di loro e il mondo sarebbe un posto migliore.

E credo anche l’aldilà, visto che non ci sarebbe più bisogno dell’inferno.

 

 

Scrive Sancta Tenebrae, corrispondente di QUORA

 

Usare la parola ” cazzata ” nei confronti della spiritualità è piuttosto scorretto…ma la fede può diventare una cazzata effettivamente, guardando il modo in cui spesso viene vissuta da tanta gente, e per fede mi riferisco a qualunque ambito e contesto.

La fede è un sentimento estremamente soggettivo e personale e andrebbe appunto vissuto con l’ umiltà di non farne una verità ASSOLUTA a nome di tutti, ma di limitarsi a definirla come semplice valore personale, tenendosi aperti a poter confutarla, per quanto faccia male.

È una grande piaga quella di non aprirsi a confutare i proprio valori e non volersi arrovellare nel dubbio.

Il dubbio a volte può condurti a quella verità alla quale tutti aneliamo.

Un sacco di cristiani credono in modo assoluto al proprio culto, dando per scontato che anche tutti gli altri ci credano e quando si confrontano con te, ti dicono che Dio ti aiuterà, ma che cazz…?!

Come facciano a non capire che non tutti hanno la stessa spiritualità non lo so..

Se poi dici loro che appunto non credi in Dio spesso non ti guardano bene..

 

 

Scrive Francesco Baldessari, corrispondente di QUORA.

 

Ho sentito scienziati di valore come Steven J Gould dire che la scienza si occupa di cose diverse dalla religione e non la prova falsa.

Mi domando allora a cosa serve la fede.

Ero convinto che servisse per accettare quello che non è ragionevole, ma mi sbaglierò.

Il numero sempre crescente degli atei, l’ateismo di fatto di molti dei credenti e la diffusione che ha avuto l’empirismo sono dovuti alla constatazione che la chiesa ha centinaia di volte sentenziato, pontificato, giudicato e arso su cose delle quali non sapeva assolutamente nulla.

Se partiamo direttamente dai fatti e non dalle fantasie di dei uni e trini nati a Nazareth per poi risorgere il terzo giorno, chissà perché non il quarto o il secondo, è impossibile evitare la forte impressione che chi crede lo fa per ragioni personali, perché la fede esprime meglio le sue necessità, non perché esprima verità evidenti sulla realtà e sul mondo in cui viviamo.

Chi crede si allontana dalla verità inesorabilmente.

La verità ce l’ho io, magari in tasca?

No neppure io ce l’ho, so invece che capire la natura è un compito arduo che continua per tutta la vita e che non puoi mai dichiarare concluso.

L’unica verità accessibile agli esseri umani è l’imparare: la radice della comprensione è sempre la realtà, mai le dichiarazioni di un altro essere umano.

 

 

Scrive Manu, corrispondente di QUORA.

 

Se la imponi agli altri, sì.

Se critichi gli altri perché non ce l’hanno, sì.

Se ci credi e la tua credenza la tieni per te stesso e sei pure coerente, no.

 

 

Numero3106.

 

V E R G I N I T A’

 

In Italia siamo andati avanti per 2000 anni con le traduzioni della Bibbia dal greco e con la “Vulgata” che, nel IV secolo D.C., è stata tradotta in latino da San Gerolamo.

Dal greco antico e dal latino si sono ricavate le traduzioni della Bibbia in lingua italiana.

Nessuno aveva mai tradotto in Italiano la Bibbia direttamente dall’aramaico e dall’ebraico che sono le due lingue con cui sono stati scritti i libri che compongono la Bibbia (Bibbia = Ta Biblìa, ovvero “i libri”).

3 anni fa, le Edizioni Einaudi hanno pubblicato la prima traduzione in Italiano dall’aramaico e dall’ebraico antico a cura di Ludwig Monti, il più grande biblista che abbiamo in Italia.

Ed è stata fatta una bella scoperta.

La Bibbia, nelle due lingue antiche originali, dice che Gesù è nato da una “betullah” che, in aramaico, vuol dire “giovane ragazza”.

Che problema c’è se fosse nato da una giovane ragazza?

Solo che “betullah” è stato tradotto in greco (e da lì in Italiano) con “parthénos” che vuol dire “vergine”.

È da lì che è partita la storia che la Madonna era vergine.

Ma in aramaico “vergine” si dice “almahà” e non ci sono altre parole per identificare il concetto o la condizione.

I bambini, quando vanno a catechismo per fare la Prima Comunione, non sentono le parole di Gesù, sentono i dogmi, i precetti e i comandamenti della Chiesa e le interpretazioni mistificatorie e manipolatorie che hanno fatto i sui divulgatori nel corso di venti secoli.

Ma le parole di Gesù non sono state proprio né percepite, né recepite  dalla Chiesa Cattolica e dal “suo” Cristianesimo.

Numero3103.

 

da  QUORA

 

Scrive Max Gioia, corrispondente di QUORA.

 

Il Cristianesimo ha fallito la sua missione?

 

Se con cristianesimo ci si riferisce a quello insegnato da Gesù nel vangelo ti posso dire che non ha fallito.

Se invece ti riferisci a quello insegnato da chi ama solleticare le orecchie, cioè quello insegnato da quasi 2.000 anni, quello di chi ama mettersi in mostra, allora ti devo dare ragione.

Quest’ultimo cristianesimo in realtà, gli apostoli lo preannunciarono che sarebbe arrivato poche generazioni dopo la loro morte.

Lo definirono l’anticristo o anticristianesimo.

Gesù invece lo descrisse con queste parole:

«Badate che nessuno vi inganni! Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo”, e trarranno molti in inganno.» (Matteo 24.4, 5). — per la cronaca, con la parola Cristo, qui Gesù si riferiva a suoi rappresentanti.

«Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine.» (Matteo 24.11-14).

«Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui”, oppure: “È là”, non credeteci; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto.» (Matteo 24.23-25).

Come vedi dunque tutto era già stato previsto sin dal principio, e molto ancora. Quindi come potrei credere che il vero cristianesimo ha fallito?

Gesù nelle varie parabole lo preannuncia, però forse non ci hai fatto caso.

Ad esempio la parabola del grano e del loglio o zizzania. «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo! E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio””.» (Matteo 13.24-30).

Numero3102.

 

da  QUORA

 

Scrive Gioacchino Iapichino, corrispondente di QUORA

 

Il Cristianesimo è in via di estinzione?

 

I fenomeni di erosione riguardano tutte le religioni, che nascono per esigenze contingenti, fioriscono per circostanze favorevoli, ma sono basate sulla più evanescente delle prerogative umane: la fantasia.

Si crede spesso che sia stato il cristianesimo a segnare il tramonto del politeismo greco-romano, ma esisteva una corrente filosofica che ne aveva già minato l’essenza ed era lo stoicismo. Si trattava di una dottrina appannaggio delle classi intellettuali dominanti e per molti versi fu esso ad essere sconfitto dal cristianesimo, che aveva il vantaggio di offrire delle speranze che lo stoicismo non era assolutamente in grado di dare.

Attualmente le religioni secolarizzate stanno subendo l’attacco del neopositivismo e non riescono a risolvere il problema della assoluta mancanza di prove dei loro assunti fideistici. È verosimile che anche tra i mussulmani, così come tra gli ebrei, per parlare delle sole religioni monoteiste, il tasso di atei non confessi sia molto più elevato di quanto si creda.

Se le religioni monoteiste avessero posto l’accento sul messaggio probabilmente avrebbero avuto i mezzi per sopravvivere, ma senza la base di appoggio costituita dai fedeli che hanno bisogno della religione come viatico da una vita di cui altrimenti non si riesce a capire e vedere il senso, e che vengono fidelizzati attraverso la catechesi.

Attualmente è per tale motivo che il cristianesimo in generale si rivolge ai paesi dove maggiore è la miseria materiale ed è più probabile trovare adepti che abbiano bisogno di un messaggio salvifico e di speranza.

Oltretutto la società occidentale è una società decadente e pertanto ha difficoltà, vista la lunga durata della propria evoluzione, a non trovare i messaggi trasmessi dalla chiesa una trita ripetizione.

Probabilmente le fedi monoteiste finiranno a coda di sorcio. Gli adepti sono pronti ad affrontare lo scontro aperto con le fedi concorrenti, ma non hanno nulla contro cui ergersi, perché il loro nemico principale è l’indifferenza.

Numero2991.

 

da  QUORA

 

Scrive Simo, una corrispondente di QUORA

 

Cosa ti ha detto un prete che non dimenticherai mai?

 

In una delle rare confessioni che ho fatto, ho detto al prete di aver mentito a mio padre sul suo cancro terminale e sul fatto che stava morendo.

È stata una bugia concordata con mia madre che per me fu un atto d’amore, tenuto conto della sua fragilità di nervi e della sua facile tendenza alla depressione.

Si trattava di tre mesi di vita e finché è stato cosciente ho fatto del tutto per convincerlo che aveva una grave epatite, piuttosto che un tumore al fegato e che doveva fare delle terapie sperimentali.

Tutto questo solo per cercare di dargli più serenità possibile in quel breve tempo.

Di tutto ciò, il prete mi disse che avevo sbagliato e che ogni persona ha diritto di sapere che sta morendo.

Una risposta che mai e poi mai mi sarei aspettata da un uomo di chiesa che, a prescindere da ciò che poi realmente faccia nel suo privato (…), dovrebbe predicare l’amore verso il prossimo.

Ci sono rimasta talmente male, ma talmente male, anzi proprio di merda diciamolo, che non l’ ho mai dimenticato, né perdonato.

Eppure era un prete giovane e mi era sembrato anche molto appassionato e bravo.

Per fortuna non l’ho mai più rivisto, perché mi ha fatto veramente del male, poi detto da lui.

 

N.d.R.: ….dispensatori di terrorismo psicologico….secondo i dettami della Chiesa Cattolica Cristiana.

Numero2925.

 

I N    M O R T E    D I    U N    E X    C O M P A G N O    D I    C L A S S E           (TRENO O EPICEDIO)

 

Caro Pierluigi, vecchio compagno di scuola al Liceo Classico Stellini di Udine, nella seconda metà degli anni ’60, mentre io sto scrivendo, si stanno svolgendo le meste esequie per l’estremo saluto a te, morto da alcuni giorni, dopo lunga malattia per un male incurabile.
Casualmente, circa un mese fa, la cara Giuliana, amica mia da oltre quarant’anni, nominò, con nome e cognome, te, suo amico e sodale nella pratica della fede, e subito le ho chiesto se si trattava di quella persona che avrebbe potuto essere il mio ex compagno di classe, ai tempi del Liceo Classico.
Abbiamo appurato che si trattava veramente di te e, senza esitazione, le ho chiesto di darmi il tuo numero di telefono perché intendevo chiamarti per ripristinare un contatto, dopo oltre 65 anni. Me l’ha dato insieme ad alcune notizie, per sommi capi, sulla tua situazione e sulle tue condizioni di salute.
Ma tu stesso, per primo, avendo avuto da Giuliana il mio numero, mi hai preceduto con un messaggio WhatsApp. Eccolo:

Caro Alberto.
Sono molto contento di averti rintracciato grazie alla Giuliana Belotti.
Mi dicono che giochi a tennis e questo dimostra che stai bene.
Abbiamo passato anni insieme…. ma io di te sapevo solo che eri il più dotato della classe.
Spero tu sia sereno.
Ti auguro ogni bene.
Io sono ammalato di cancro non operabile,
ma sono ben curato.
La mia vita è stata piena di soddisfazioni a tutti i livelli.
Anche oggi sono contornato da mille attenzioni delle tre figlie; il figlio Roberto invece è morto a 32 anni per tumore allo stomaco nel 2006. Mia moglie Mimi mi ha lasciato per un tumore al cervello nel 2015.
Ricordo le tue sonore risate.
Un abbraccio.
Pierluigi

Ti ho risposto così: Ciao, Pierluigi, sono contento di poter ripristinare un contatto con te. Nel pomeriggio, ti chiamo. Mandi.

 

Ti ho chiamato, infatti, e abbiamo parlato, in una lunga telefonata, tu di te e io di me ricordando tante cose e tanti compagni di classe dei nostri bei tempi. A differenza di te, io non ho mai tenuto i contatti con i nostri compagni del Liceo. Tu, invece, anche perché a Udine li avevi vicini, sapevi un po’ tutto di loro. Di alcuni mi hai parlato, ma ti sei ripromesso, dopo una ricognizione nella tua memoria, di richiamarmi per farmi una relazione aggiornata e più accurata su tutta la classe: mi avrebbe fatto piacere.
Sono passate ben più di due settimane, ma da te nessuna chiamata e nessuna notizia. Ci siamo visti con Giuliana ad un pranzo in trattoria, una domenica fa. Mi ha chiesto se avevo proseguito nel contatto con te e le ho detto che da un po’ non ti sentivo e che stavo ancora aspettando che tu mi chiamassi. Lei mi ha raccomandato di essere io a chiamarti, se tu non ti facevi sentire. Tre giorni dopo da Giuliana mi è arrivato questo messaggio:

Albert oggi è morto Pierluigi Presacco…purtroppo…

La mia risposta:

Avevo avuto un presentimento. Non capivo perché non chiamava più. Purtroppo….

 

E così ci hai lasciati.

 

Giuliana mi ha fatto sapere quando ci sarebbe il tuo funerale e mi ha chiesto se volevo essere presente anch’io:  sarebbe passata a prendermi per venirci insieme.
Le ho risposto: “No, non ci sarò. Io non sono l’uomo dei funerali. Non vorrei partecipare neanche al mio, di funerale”. Lei si è messa a ridere, ma mi conosce e mi perdona. Perdonami anche tu. Ma, invece che una presenza pubblica, ho preferito dedicarti il ricordo di un episodio che ci ha visti insieme, in altri e migliori tempi.
Mentre in chiesa ci saranno i rituali funebri, io sto scrivendo alla tastiera, pensando a te.

Ieri, abbiamo fatto un pranzo a casa di Rita, sia perché era rientrato dall’Ospedale suo fratello, reduce da un intervento chirurgico, sia perché oggi è il compleanno di Rita e abbiamo avuto una piccola riunione di famiglia.
Sono venuti a trovarci anche mio figlio Ale e la sua compagna e con loro, fra le altre cose, ho parlato anche di te, di come ci siamo ritrovati e subito ripersi.
Ho letto loro il tuo messaggio e hanno voluto sapere di più. E ho raccontato ….
Nel messaggio tu scrivi: “Ricordo le tue sonore risate”.
Ecco, questa frase mi ha fatto ripensare ad un aspetto del mio carattere che quasi avevo cancellato nei miei ricordi.
Da giovane studente, io ero sì, un gran secchione, ma non ero un tetro, barboso, introverso cultore di libri e vocabolari, bensì un monello un po’ “Giamburrasca”, un creativo animatore, un organizzatore di scherzi, anche ai danni di insegnanti. Mi prestavo anche a passare compiti, esercizi, traduzioni, versioni in classe ai compagni che me li chiedevano.
Ricordo che a casa tua ci sono stato più di qualche volta. Ho perfino dormito da te, perché tu mi avevi chiesto di studiare insieme, in qualche weekend.
Poi, mi è saltato in mente che, una volta, a casa tua, una bella casa grande, con bei mobili e tanta luce, c’è stato un “festino”, di quelli che si organizzavano al sabato, per festeggiare un compleanno. Tutta la classe era invitata.

Ebbene, verso la fine della festa, sono arrivati due uomini, uno dei quali era tuo padre e l’altro non ricordo bene chi fosse, forse un tuo parente o un suo amico oppure il padre di una nostra compagna di classe che era venuto a prendere la figlia.
Si sono intrattenuti un po’ con noi, parlando del più e del meno, e quest’ultimo signore, distinto e con una certa cultura, ad un certo punto si è rivolto a noi dicendo più o meno questo:

“Voi, giovani studenti di latino, che ormai masticate da quasi 8 anni, vediamo chi riesce a interpretare e tradurre il significato di una frase latina che adesso vi dico. Guardate che molti illustri latinisti ci hanno provato, ma di soluzioni attendibili poco o niente….
Nel corso di scavi nel sito archeologico del Foro a Roma, è venuta alla luce una lastra di pietra che su una facciata, quella in vista, era liscia e vuota, ma sul retro portava una scritta, che nessuno aveva notato prima perché nascosta.
La scritta era scolpita in caratteri latini e ben leggibile. Eccola:

OLIM

ORTA

OCCISVA

AEDISTI

FIDEM

IGNOTA.

Chi mi sa dire cosa significa?

Punti nell’orgoglio per la sfida, tutti noi ci siamo messi a pensare per trovare la soluzione del rebus che non appariva per niente semplice.
Sono spuntati fuori, fogli di carta, penne, matite, vocabolari e grammatiche latine. Non si sentiva volare una mosca.

Per orientarci, scrivo qui alcuni significati delle 6 parole latine scritte sopra.

OLIM = un tempo, in passato, anticamente.

ORTA = participio passato femminile del verbo “orior” che vuol dire sorgere, alzarsi, spuntare, nascere, cominciare.

OCCISVA = dal verbo “occido” che significa morire, estinguersi, tramontare, svanire, sparire, essere distrutto, cadere, crollare. Bisognava tenere presente l’anomalia della V che si doveva leggere U e che complicava ulteriormente le cose. Cominciò a girare fra i partecipanti al test, la voce che doveva trattarsi di “voce tardo latina”.

AEDISTI = qui il termine era controverso: sembrava il passato remoto di un verbo non conosciuto che aveva la radice di = casa, abitazione, costruzione, “edificio” e simili.

FIDEM = Accusativo singolare femminile del termine fides- ei = fede, fiducia, credenza, lealtà, fedeltà, credulità ecc.

IGNOTA = aggettivo/participio al nominativo (o vocativo, o ablativo) singolare femminile, forse concordabile con ORTA = ignota, sconosciuta.

 

Era passata mezz’ora e nessuno era riuscito a cavare un ragno dal buco.

Io me ne stavo in disparte, un po’ lontano dai miei compagni, che sapevo mi avrebbero avvicinato per chiedermi sicuramente chiarimenti o le miei interpretazioni. Mi sarei deconcentrato se davo retta a loro.
Dopo un po’ arrivai alla conclusione che questo doveva essere uno scherzo, perché la frase non aveva un senso compiuto con i significati di quelle parole.

Mi è venuta l’ispirazione di scrivere le parole tutte in orizzontale e vicine fra loro, le une di seguito alle altre. Così:

OLIMORTAOCCISVAAEDISTIFIDEMIGNOTA:

Allora ho capito che, dopo aver applicato le crasi o elisioni di certe vocali di inizio e fine parola, cosa assai comune nei versi della metrica poetica latina, si poteva scandire la frase in questo modo:

O / LI / MORTACCI / SUA / E / DI / STI / FI / DE / MIGNOTA

Ecco svelato l’arcano!
Si trattava di una frase comune e popolare del vernacolo romanesco, burino e caciottaro, che qualcuno si era divertito a trascrivere con truffaldina maestria su una pietra, per prendere per il culo i lettori.

Le risate e i complimenti tennero banco per il resto della serata.

Te lo ricordi questo episodio?

 

Caro Pierluigi, antico compagno di classe, perduto, ritrovato e, adesso, di nuovo, ma questa volta per sempre, riperduto, mi perdonerai se ho rievocato un po’ spensieratamente questo episodio della nostra bella gioventù.
Oggi, nel giorno del tuo funerale, io, come allora, goliardico burlone e clown un po’ sfrontato, ho voluto ricordarti e ricordarci insieme, come ai bei tempi, con la rievocazione di questo aneddoto di vita studentesca.

Dall’alto di quel cielo celeste, che hai tanto e sempre cercato e adesso raggiunto, per la  tua specchiata rettitudine morale e per la tua profonda devozione religiosa, ridi anche tu con me, a questo ricordo.
Forse, in quel cielo dove il tempo e lo spazio non ci sono più, dove le anime si possono trovare liberamente, magari ci rincontreremo, come non siamo riusciti a fare qui sulla terra. E rideremo insieme. E mi racconterai di quello di cui non sei riuscito a ragguagliarmi. come mi avevi promesso.

E, a proposito di “latinorum”, simpaticamente, come in una “lectio non magistralis”, ti saluto con la locuzione “In manu Dei” (nella mano del Signore) che viene compendiata magnificamente, con una sintetica commistione etimologica, nella più bella parola della nostra lingua friulana: MANDI!

 

 

 

Numero2912.

 

C R E D O    I N    D I O ?         OVVERO  IL  DUBBIO  CATEGORICO

 

Ovviamente, ognuno è libero di credere quel che gli pare, ma lo riservi alla sua sfera individuale senza pretese di possedere e di dover insegnare qualcosa di universale e di assoluto: lo smentisce qualsiasi osservazione quotidiana del reale e delle persone intorno a noi, raccontando e mostrando sempre tutt’altro da quanto atteso e voluto per fede, autoconvincimento, idealismo, bisogno di sicurezze, paura della morte ed altre pulsioni terra-terra che si pretendono trascendentali. Perché, si sa, ci vengono molto meglio, più comode e più piacevoli le illusioni.

Quello che non sappiamo è assai più di quello che crediamo di sapere.
La scienza naturale è lo strumento migliore di cui disponiamo per illuminare l’universo intorno a noi, ma sarebbe assai arrischiato costruire su di essa una “metafisica”: non possiede certezze assolute ed è in un processo di continua evoluzione.
Non esistono prove schiaccianti per non credere, come non ne esistono per credere.
Per decidere, ognuno deve consultare il suo cuore e mettere in gioco la sua libertà.

Lascio certamente il giusto spazio al libero esercizio intellettuale e alla immaginazione di chi dissente da me.

Seppur le considerazioni scientifiche, ed in particolare quelle socio-antropologiche moderne, debbano necessariamente essere il fondamento per ogni pensiero e giudizio razionale in merito al presente quesito, realizzo, tuttavia, che un certo grado di “trascendentale” possa verosimilmente permeare la nostra vita, eludendo funzioni reali come la ragione.

Rimango diffidente di santoni, predicatori o pensatori/pifferai magici di qualsiasi sorta, come anche delle forme più diffuse ed organizzate di culto, orbitanti attorno ad ogni assetto arbitrario di elementi sacri, salvifici ed imperativi. Ma, per onestà intellettuale, non mi sento di condannare  il “credere” in qualcosa di più grande e di metafisico, così come riconosco giustificata la necessità di “umanizzarlo” e renderlo compatibile con la propria cultura e accettabile per il proprio cuore.

Non tutti, però, hanno l’acume o la forza interiore di accettare l'”incertezza” con vera serenità, sia essa fideistica oppure atea. Coltivare una fede è già, di per sé, padroneggiare una certezza. Scade  quasi a istanza secondaria, ma non è meno importante, il particolare che essa sia fondata o meno.

Io ho imparato a farlo proprio dalla mia vita: vivo nella “fede del dubbio”, senza certezza alcuna che non sia la morte, ne ho fatto un oracolo di coscienza e un blasone di obiettività mentale e comportamentale e mi ci trovo bene.

Non “credere”, ma “dubitare” è il paradigma di ogni mio passo nel cammino dell’esistenza e, tuttavia, ho passato il mio tempo alle prese con il feroce e martellante assillo del problem solving (metodo per risolvere i problemi), che è per me, in definitiva, il vero e giusto modo di saper vivere. Parodiando Renè Descartes (Cartesio), grande uomo di scienza e filosofo della prima metà del XVII secolo, invece che “Cogito, ergo sum” (Penso, dunque esisto), dico semplicemente: “Dubito, ergo sum” (Dubito, quindi esisto).

Modestamente e umilmente, considero le “certezze” ( non dico solo quelle della fede) un lusso intellettuale che non mi appartiene e che non ho mai preso in considerazione, ancor più quando e perché esse sono dogmatiche, apodittiche, indimostrabili e indimostrate. Esse sono persino un approccio fasullo, una distorsione della realtà ed un allontanamento da essa che inducono a inquadrare l’esistente entro schemi preconfezionati, entro scatole chiuse dove il diverso della natura, l’inatteso della morale, il nuovo del sociale, il razionale del contraddittorio speculativo non trovano mai ospitalità.

Sono un “comodo” rifugio preservativo e consolatorio ed affrancano apparentemente da ogni rischio ed azzardo: sono una specie di salvifica “assicurazione sulla vita”, risarcitoria a beneficio indeterminato, illusorio e tranquillizzante antidoto contro le sorprese squilibranti delle vicende umane.
E queste sono un pericoloso, ma meraviglioso “divenire” in costante aggiornamento.

Oggi semplificherei col dire: “sono agnostico”. Forse in fondo, oltre i miei filtri critici, spero davvero che ci sia “qualcosa” di più grande e vivo, di conseguenza, in pace con me stesso, se non altro perché non vorrei che la vita fosse priva di un significato, se non di un sogno. Se ce n’è uno anche per me, non sia il delirio reazionario di chi ha gli occhi per contemplare la propria natura e la coscienza di non accettarla coerentemente.

E questo é, forse, un modo saggio di vedere la vita. Ma ho, come sempre, i miei dubbi: sono ancora  e tuttora un apprendista degli imperscrutabili algoritmi di questo stupendo viaggio che è la mia esistenza. E di questo itinerario, il percorso è non meno importante e affascinante della sua destinazione e della sua meta che rimane, per quanto certa, sconosciuta e misteriosa.

 

O sol che sani ogne vista turbata,

tu mi contenti sì quando tu solvi,

che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.

 

O sole (riferito a Virgilio), che rendi chiara ogni vista disturbata,

tu mi soddisfi tanto quando risolvi (i dubbi)

che dubitare mi piace non meno che sapere.

 

Dante, Inferno canto XI, vv 91-93

Numero2903.

 

da  QUORA

 

Perché oggi sempre più fedeli cristiani si allontanano dalla Chiesa?

 

Risponde Stefano Valenti, corrispondente di QUORA

 

Mi vengono in mente almeno tre motivi.
Primo: minor pressione sociale.
Secondo: lo sviluppo delle conoscenze scientifiche fa sì che un minor numero di persone creda nel soprannaturale (anche se questo non le rende necessariamente né meno ignoranti, né più razionali).
Terzo: le nostre società sono più individualiste e si tollera meno l’idea di dover obbedire a regole dettate da altri.

La fede religiosa può spingere alla superstizione, al fanatismo e alla prevaricazione; ma questo vale anche per la fede politica, per il pregiudizio, per l’avidità, per la sete di potere e per altri strumenti di controllo e di sfruttamento delle masse.
Le fedi religiose non sono tutte uguali. Alcune enfatizzano il rispetto per gli altri, la responsabilità nei confronti di sé stessi e degli altri, l’integrità personale, l’onestà, la fedeltà. Questi elementi sono, in generale, presenti nel cristianesimo (in alcune versioni più che in altre) e anche in altre fedi religiose (non in tutte). Da questo punto di vista, se non credere significa buttare a mare anche questi valori etici, che però si possono possedere anche senza professare una fede religiosa, la perdita della fede non è un fenomeno positivo.
Se, invece, professare una fede religiosa significa alimentare il fanatismo e l’intolleranza, allora meglio non professarne alcuna.

In definitiva, comunque, si deve professare una fede religiosa perché ci si crede, non perché è “utile”.

 

Risponde Michele Cini, corrispondente di QUORA

 

Hanno fatto il possibile, l’inverosimile e l’impossibile per cacciare i fedeli dalle loro chiese. Sessuofobia ossessiva con divieto di tutto, anche dei pensieri, con esaltazione assurda della castità come virtu’, con preti solo maschi e solo celibi, e divieto anche nel matrimonio dell’amore fine a se stesso; divieto di controllo delle nascite, madonne di gesso che piangono sangue maschile, apparizioni quotidiane e altre truffe per fare soldi, insistenza sulle favole bibliche (anche a me hanno insegnato che Darwin era cattivo ), svalutazione del sapere, della scienza e di tutto ciò che di piacevole offre la vita, accordi col duce ma negazione del liberalismo e del socialismo, scandali frequenti. Un tempo la gente subiva tutto ciò per ignoranza, ma ora i tempi sono cambiati.

 

Risponde Giancarlo Aureli, corrispondente di QUORA

 

Le motivazioni sono molteplici: il rapporto tra religione e morale rientra tra queste.

Tra le più rilevanti, la forte crescita della popolazione che oggi si dichiara favorevole all’eutanasia, intesa in senso generale come alla possibilità di porre fine alla vita di un malato incurabile: il 63%.

L’accettazione, da parte della maggioranza degli italiani, della condizione omosessuale e di alcuni suoi diritti: era condannata dal 62% della popolazione di venticinque anni fa, mentre oggi viene ritenuta ammissibile dalla maggioranza delle perone (56%).

Ciò significa che, in un Paese in cui il legame cattolico è ancora diffuso, cresce la distanza dalla morale proposta dal magistero ecclesiale, come già avvenuto sulle questioni del divorzio, dell’aborto, delle convivenze fuori dal matrimonio.

Già le indagini del recente passato avevano segnalato le difficoltà degli italiani non soltanto a seguire, ma persino a comprendere le indicazioni della gerarchia in questo campo, ritenute troppo restrittive e anacronistiche, ad esempio sui temi della contraccezione e della procreazione.

L’indebolimento dei legami con la Chiesa cattolica emerge anche dalle modalità con le quali la Chiesa agisce nella nostra società. Sul versante sociale le denunce sono quelle note: riguardano un’organizzazione religiosa accusata di troppo potere, di indebita influenza in campo politico, di incoerenza tra il dire e il fare, in pratica di rappresentare una realtà che “predica bene ma razzola male”, come evidente anche nella questione della pedofilia clericale, ma non solo.

Questi giudizi negativi vengono oggi condivisi da oltre i due terzi della popolazione, circa un 10-15% in più di quanto succedeva venti-venticinque anni or sono.

Anche in altri Paesi cattolici, come la Polonia, la situazione è la medesima: tra i problemi più gravi della Chiesa sono considerati: la pedofilia del clero (60%) e il coinvolgimento in politica (37%).

Quasi la metà della popolazione dei credenti nutre l’idea che “non c’è bisogno dei preti e della Chiesa, ognuno può intendersela da solo con Dio”. Cresce dunque l’idea che sia plausibile avere una “fede senza Chiesa”, agendo in proprio sulle questioni di fede.

Il disaccordo con la Chiesa si manifesta anche a proposito di alcune normative interne al campo religioso, in particolare quelle relative alla vita sacerdotale, che prevedono ancor oggi sia il divieto alle donne di esercitare questo ministero, sia l’obbligo del celibato per il clero maschile.

Secondo Andrea Riccardi (La Chiesa brucia, Laterza, 2021) la crisi è talmente grave che alcuni analisti e sociologi hanno parlato di “fase terminale” della Chiesa cattolica.

Jérôme Fourquet scrive severamente sul cattolicesimo in Francia: «C’è una scristianizzazione crescente, che sta conducendo alla “fase terminale” della religione cattolica». E continua: «se questo trend sarà confermato, si stima (chiaramente come linea tendenziale) che nel 2048 possa esserci l’ultimo battesimo, mentre nel 2031 l’ultimo matrimonio cattolico. Addirittura potrebbe esserci anche la totale scomparsa di sacerdoti francesi nel 2044» (J. Fourquet, L’archipel français. Naissance d’une nation multiple et divisée, Seuil, Paris 2019).

«Per centinaia di anni è la religione cattolica che ha strutturato profondamente l’inconscio collettivo della società francese. Oggi questa società è l’ombra di quello che era. È in corso un grande cambiamento di civiltà».

L’aggettivo “terminale”, molto duro, è usato anche da due studiosi di vaglio: Emmanuel Todd (che in passato ha preconizzato la fine del sistema sovietico e poi la crisi dell’egemonia americana) e il demografo Hervé Le Bras. Quest’ultimo è figlio di Gabriel Le Bras, uno dei padri della sociologia religiosa francese, cui tanto si deve per una lettura del fenomeno della “scristianizzazione” della società, compiuta attraverso i flussi della pratica religiosa. Ebbene nel 2013, in Le mystère français, entrambi gli autori, Todd e Hervé Le Bras, parlano di «crisi terminale» della Chiesa, anche qui avendo presente la Francia.

La gravità della crisi della Chiesa europea non si può considerare neppure lontanamente attenuata o mitigata da eventuali incrementi delle chiese decentrate, in quanto si tratta della “testa”, del cardine, del fondamento dell’intera Chiesa. Se viene meno il “capo” viene meno l’intero corpo. Le Chiese extraeuropee sono inoltre spesso minoritarie nei propri paesi. Ad esempio in Cina i cattolici rappresentano circa lo 0,7% della popolazione, pur contando circa dieci milioni di fedeli. Una minoranza irrilevante e insignificante.

Eppure molti componenti del gregge cattolico continuano ad immaginare un futuro roseo, autoconvincendosi di essere in ascesa anziché in discesa, un po’ come coloro che continuavano a ballare e cantare mentre il Titanic affondava. Tra non molto, per poter ammirare da vicino un esemplare di pecorone cattolico sarà necessario recarsi nel museo delle cere di Madame Tussauds a Londra.

 

N.d.R. : Io non frequento le chiese. Ci entro, assai di rado, solo per partecipare ad eventi rituali come battesimi, comunioni, funerali che riguardano parenti o persone care. Registro i cambiamenti in atto che si stanno verificando ultimamente, rispetto a quando, ragazzino e chierichetto, appartenevo anch’io agli addetti ai lavori. Soprattutto, l’atmosfera che si respira durante una celebrazione o cerimonia non ha molto più a che fare con il clima ecumenico e partecipativo di diversi decenni fa. E l’aria di crisi è rappresentata in prima persona proprio dal prete celebrante. Gli addetti ai sacri uffici che io ho visto sull’altare o al fonte battesimale o al cimitero, nelle ultime tre, quattro volte che ero presente, erano preti molto vecchi, quasi prostrati e stanchi, con ambulazione precaria e difficoltà espressive e di verbalizzazione. Non avevano più nulla di carismatico che potesse, in qualche modo, interpretare la sacralità della funzione che stavano rappresentando. Erano l’immagine della Chiesa cadente.

 

 

Numero2900.

 

U N    G R A N D E    T E M A

 

Voglio qui improvvisare un breve “excursus”, una dissertazione azzardata ma lucida su una quaterna di personaggi  ed esponenti importanti del pensiero umano, nella storia del mondo e della civiltà occidentali, per affrontare uno degli argomenti più stimolanti, ponderosi e difficili della nostra cultura: il rapporto fra fede e ragione.

Lo faccio in maniera spicciola, proprio perché non intendo renderlo eccessivamente dottrinale, pesante e astruso. Riporterò i pareri di questi pensatori che, a mio modesto avviso, possono ben rappresentare le posizioni e le angolazioni diversificate quanto basta per dare un senso esaustivo alla mia breve ricerca.

 

Il primo personaggio, il cui pensiero intendo proporre, è Guglielmo di Ockham (detto comunemente di Occam).

È stato un teologo, filosofo e religioso francescano inglese (1285 – 1347).

Di lui viene ricordato un “principio” chiamato dagli addetti ai lavori “rasoio di Occam”. Cosa dice? Si tratta del “principio metodologico di economia (o parsimonia)”. Eccone la tesi:

“Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” = Non bisogna moltiplicare gli elementi più del necessario.

Detto in poche parole: a parità di fattori, la soluzione più semplice è quella da preferire, ovvero, è inutile fare con più, ciò che si può fare con meno.

Allora, proviamo ad applicare questo principio alla “vexata questio” (dibattuta domanda) sul cosmogonico problema se Dio abbia creato l’universo o se l’universo sia sempre esistito per sé.

IPOTESI MENO ECONOMICA: Dio è eterno. Crea un universo non eterno.

IPOTESI PIU’ ECONOMICA: Dio è eterno. È l’universo ad essere eterno.

Secondo il “rasoio di Occam” dunque, si dovrebbe preferire la seconda ipotesi. E Guglielmo di Occam era un uomo di religione e di Chiesa.

 

Mettiamoci insieme anche il postulato di Bertrand Russel filosofo britannico (1872 – 1970), espresso sotto il titolo di “Teiera di Russel” di cui parlo al Numero2875.

La “teiera di Russel” dice che se tu non hai prove per dimostrare una tesi, io non ho bisogno di prove per confutarla.

Il “Rasoio di Occam” dice che, se una spiegazione funziona anche senza una variabile, quella variabile può anzi DEVE essere rimossa.

IN  ALTRE  PAROLE:

Se tu, credente, non hai prove per dimostrare l’esistenza di Dio, io non ho bisogno di prove per dimostrarne l’inesistenza.

Non ci sono prove dell’esistenza di Dio perché egli non esercita alcuna influenza osservabile sul mondo. Ergo, è una variabile che può anzi DEVE essere rimossa.

 

Salto a piè pari se non in un altro secolo, ad un altro personaggio. Si tratta questa volta di Stephen Hawking (1942 – 2018), cosmologo, fisico, astrofisico, matematico e divulgatore scientifico, britannico pure lui, fra i più autorevoli e conosciuti fisici teorici del mondo, noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri, sulla cosmologia quantistica e sull’origine dell’universo.

Secondo questa mente scientifica eccelsa, (aveva un Q.I. di 160, sembra), religione e scienza non sono in alcun modo conciliabili.

Egli afferma, infatti:

 

C’è una fondamentale differenza

tra la religione,

che è basata sull’autorità,

e la scienza,

che è basata su osservazione e ragionamento.

 

E, alla domanda: Dio ha creato il mondo? risponde con un secco: no.

 

Resta il dubbio.
Dubbio che dovremmo avere tutti se fossimo umili ed intellettualmente onesti.
Affermare invece che le cose siano andate indubitabilmente in uno specifico modo, per fede, per obbedienza, per adesione incondizionata ad un mito biblico di qualche millennio fa, credo che sia un atto di arroganza non più compatibile con le categorie del pensiero contemporaneo.

 

Nella peggiore delle ipotesi, e qui faccio un altro salto nel tempo storico, potrebbe averci visto giusto il Barone d’Holbach che, in pieno XVIII secolo, scriveva:

“Ci dicono, in tono grave, che non c’è effetto senza causa; ci ripetono, ogni momento, che il mondo non si è fatto da sé. Ma l’universo è una causa, non è per niente un effetto, non è per niente un’opera, non è stato per niente “fatto”, poiché era impossibile che lo fosse. Il mondo è sempre esistito, la sua esistenza è necessaria. La materia si muove per la sua stessa energia, per una conseguenza necessaria della propria eterogeneità”.

Paul Henri Thiry d’Holbach (1723 -1789), nome francesizzato di Paul Heinrich Dietrich, Barone d’Holbach, filosofo, enciclopedista, traduttore e divulgatore scientifico tedesco naturalizzato francese.

Questo scrive nella sua opera: “Il buon senso, ossia idee naturali opposte alle soprannaturali”.

Numero2890.

da QUORA

 

C O M E   S P I E G H I   I   M I R A C O L I   D E I   S A N T I ?

 

 

Come quelli che avrebbe compiuto padre Pio, ad esempio?

Ebbene, devi sapere che tra aprile e maggio del 1921, i vertici del Sant’Uffizio, insospettiti da quel che accadeva nel Gargano, si decisero ad inviare un visitatore apostolico a San Giovanni Rotondo, che si premurasse di studiare la personalità di padre Pio, sceverare la questione delle stigmate, verificare la natura dei rapporti del frate con le donne, valutare la natura dei presunti miracoli che al padre Pio si attribuivano. La scelta del Vaticano cadde su un carmelitano scalzo quarantacinquenne, che era stato lui stesso un giovane consultore del Sant’Uffizio e aveva assunto da poco la guida della diocesi di Volterra: Raffaele Carlo Rossi.

Ora, cerca di seguire attentamente quanto segue, perché si tratta di informazioni estremamente importanti: non tornare a rifugiarti nel caldo tepore del gregge di pecoroni assetati di miracolismo a buon mercato, giacché ne va della tua dignità di essere umano, razionale e senziente.

Dal rapporto finale che il vescovo Rossi consegnò al Sant’Uffizio – un testo lungo centocinquanta pagine, intitolato “Sul P. Pio da Pietrelcina” e datato 4 ottobre 1921 – risulta che il visitatore apostolico si trattenne a San Giovanni per una settimana esatta. Dopo aver interrogato numerosi testimoni e aver esaminato a lungo il padre cappuccino, si iniziano ad avere alcune smentite – dallo stesso frate – riguardo le voci miracolistiche che giravano attorno a lui. Avendo avuto notizia che sul capo del frate comparivano, a momenti, tracce lasciate come da una corona di spine, il vescovo Rossi lo interpellò: «C’è chi dice che qualche segno le viene anche in testa!», salvo registrare la replica di padre Pio: «(ridendo): Oh, per amor del Signore! Che vuol che risponda!». Un’altra volta, monsignor Rossi chiese conto al cappuccino delle voci secondo cui la sua vita terrena non sarebbe stata più lunga di quella di Gesù. «A proposito di morire a 33 anni ecc. ha detto qualche cosa?» «Ma neanche per sogno», fu la schietta risposta di padre Pio.

Ma andiamo avanti: quale fu l’atteggiamento di padre Pio, quando monsignor Rossi ne sollecitò l’avviso sui vari prodigi che gli venivano attribuiti dalla vox populi, particolarmente gli episodi di bilocazione e le guarigioni mirabili? In tali casi, il frate rispose spesso con un «non mi consta» mutuato dal non constai del latino giurisprudenziale. Richiesto se un giorno gli fosse davvero occorso di essere a Foggia, presso il comando della Divisione militare, pur senza muoversi dal convento di San Giovanni, padre Pio replicò con sintassi un po’ incerta, ma senza mezzi termini: «Eccellenza, non mi consta nulla di tutto questo. Delle imprudenzate ce ne sono state per parte di persone che hanno voluto fare il mio nome, per cose che io non avrei mai pensato né di dire, né di far sapere. C’era da impazzire e devo ringraziare il Signore che la più grande grazia che riconosco di aver ricevuto in proposito sia stata appunto quella di non aver perduto la ragione e la salute per quante frottole si dicevano».

Quindi abbiamo già delle importanti dichiarazioni del padre Pio, che smentiscono categoricamente e sistematicamente qualsiasi miracolistica diceria popolare che lo avrebbe visto protagonista di straordinari prodigi. Si tratta di fesserie e voci incontrollate propalate da pecoroni accecati da fanatismo religioso. Come confermato candidamente dallo stesso padre Pio.

Analoghe nella sostanza le repliche del cappuccino quando monsignor Rossi lo interrogò sugli effetti taumaturgici della sua intercessione per malati ritenuti incurabili: il gobbo di Lucerà, lo storpio di San Giovanni Rotondo, le due giovani mute, il cancelliere della Pretura zoppo, e quant’altra umanità sofferente si era rivolta al frate per ritrovare il sorriso. Lui, padre Pio, si limitava a pregare: erano i devoti che si abbandonavano a imprudenzate e gridavano al miracolo. «Ho pregato per i bisogni delle persone che si sono raccomandate a me, indigenti, bisognose, ecc. Questo mi consta».

Per quanto riguarda le stigmate il frate aveva ammesso di essersi procurato dell’acido fenico «per uso della Comunità», sostenendo di averlo fatto in segreto per rimediare all’assenza di una ricetta medica. L’acido – era stata la sua spiegazione – gli serviva a disinfettare le siringhe, «in un Collegio di ragazzi spesso e volentieri l’occasione occorre». La veratrina, padre Pio ricordava di averla ordinata invece «per una ricreazione»: per compiere uno scherzo ai confratelli, mischiandola al tabacco da fiuto in modo da farli starnutire irresistibilmente.

Sia nel prosieguo della visita apostolica, sia nella relazione finale da lui trasmessa alla Suprema, monsignor Rossi si dimostrò scettico sui prodigi che la vox populi accreditava al cappuccino, e quasi sarcastico sui promotori locali della sua santità. Nel suo rapporto conclusivo affermava che a differenza dei miracoli di Gesù, quelli di padre Pio andavano messi tra virgolette. «Nemmeno uno dei miracoli sussiste», fu l’impietoso bilancio del vescovo Rossi. Era falso che un «giovanetto affetto da gibbosità» si fosse «almeno in parte raddrizzato». Era falso che il claudicante cancelliere della pretura di San Giovanni Rotondo avesse avuto il piede risanato. Era falso che una bambina muta, portata al cospetto di padre Pio, si fosse vista restituire la favella. Era falsa la guarigione di un povero ebete, «di statura lillipuziana», gobbo, storpio e guercio: «L’ho veduto io stesso: è un infelice, fa pietà». Fantasia pura anche quella secondo cui la campana della chiesa parrocchiale di San Giovanni era andata improvvisamente in pezzi, a seguito di un torto commesso dall’arciprete ai confratelli di padre Pio. «Cose da ridere! E il popolino gridava al miracolo! …».

Non so se hai seguito il discorso, ma questo non lo affermo io, lo afferma un vescovo della Chiesa cattolica, monsignor Rossi, inviato dalla Santa Sede ad indagare: i miracoli attribuiti a padre Pio sono in realtà un mucchio di cazzate superstiziose.  Tutto ciò di cui ti ho parlato è di dominio pubblico, non è un segreto di Stato, è scritto nero su bianco. Esiste addirittura una pubblicazione che contiene l’intero rapporto del vescovo Rossi: Francesco Castelli, Padre Pio sotto inchiesta. L’autobiografia segreta, Ares, 2008. Naturalmente tutto ciò che abbiamo appreso circa i presunti miracoli di padre Pio, può facilmente essere accostato per analogia e attribuito a tutti gli altri santi del pantheon cattolico.

Ora però non sentirti troppo depresso per aver creduto a queste miracolistiche minchiate superstiziose: molti altri pecoroni cadono in questo tranello e rimangono invischiati a vita in un meschino letamaio religioso, fraudolento, infondato e illusorio. Ti stupirà sapere che in fondo anche io credo in una qualche sorta di miracolo. Credo nel miracolo che potrebbe trasformare un ottuso pecorone religioso, con la testa stipata di minchiate dogmatiche e superstiziose, in un essere razionale e senziente. Così come da un bruco può nascere una farfalla. Certo, è quasi di impossibile attuazione, ma conviene essere fiduciosi.

Numero2875.

 

L A    T E I E R A    D I    R U S S E L L

 

La teiera di Russell (in inglese Russell’s teapot) o teiera celeste è una metafora introdotta dal filosofo britannico Bertrand Russell per confutare l’idea che spetti allo scettico, anziché a chi le propone, l’onere della prova in merito ad affermazioni non falsificabili, in particolare in ambito religioso. Essa rappresenta una delle più efficaci controargomentazioni all’assunto che spetti al non credente dimostrare l’inesistenza di una qualsiasi divinità, in quanto stabilisce che nessuna affermazione può essere aprioristicamente creduta soltanto basandosi sul fatto che non se ne può provare l’inesattezza.

Molti benpensanti si esprimono come se fosse compito dello scettico smentire i dogmi e non del credente dimostrarli.

 

Gli atei hanno prove scientifiche e tangibili che Dio non esiste?

Non servono. Perché uno dovrebbe impegnarsi a dimostrare la non esistenza di tutto ciò che non esiste?

Servirebbe che portasse prove chi ne afferma l’esistenza. Ma nessuno lo ha mai fatto.

Numero2849.

 

I L    T E R Z O    S E G R E T O    D I    F A T I M A

 

Non metto, né metterò mai, la mano sul fuoco per niente o per nessuno, ma sembra che il Terzo Segreto di Fatima, oltre al contenuto rivelato ufficialmente dalla Chiesa Cattolica nell’anno 2000, per volontà di Papa Paolo Giovanni II, (invito a leggerlo nelle documentazioni ufficiali), abbia anche una frase finale che riporta queste semplici ed esplicite parole, scritte in portoghese:

IN  PORTOGALLO  SI  CONSERVERA’  SEMPRE  IL  DOGMA  DELLA  FEDE

L’interpretazione dei più agguerriti esegeti, accreditati o meno, sembra presagire che la fede cristiana sparirà, come la neve al sole, ovunque tranne che in Portogallo.
Esiste profezia peggiore di questa?

Numero2836.

 

A T E I S M O    E    F E D E

 

Un credente, dopo aver tentato invano di spiegare ad un ateo perché crede, alla fine, in sintesi, può solo dire:
“Credo e basta, e mi va bene così”.

La stessa Chiesa, alla fine della messa, enuncia: “Mistero della fede”.
Se è un “mistero” ciò in cui credono i fedeli…. auguri!

Per un ateo non è tanto un mistero: a lui le religioni interessano moltissimo e le studia, di solito, più di molti credenti, in quanto sono un fenomeno che riguarda la natura umana.

Per l’ateo la curiosità è una virtù, per il credente è un pericolo: quello di mettere in dubbio il proprio bagaglio di “certezze” che si è caricato sulla schiena senza guardarci dentro, magari per pigrizia o per quieto vivere, per tradizione o per volontà di “buoni educatori”.