Numero2849.

 

I L    T E R Z O    S E G R E T O    D I    F A T I M A

 

Non metto, né metterò mai, la mano sul fuoco per niente o per nessuno, ma sembra che il Terzo Segreto di Fatima, oltre al contenuto rivelato ufficialmente dalla Chiesa Cattolica nell’anno 2000, per volontà di Papa Paolo Giovanni II, (invito a leggerlo nelle documentazioni ufficiali), abbia anche una frase finale che riporta queste semplici ed esplicite parole, scritte in portoghese:

IN  PORTOGALLO  SI  CONSERVERA’  SEMPRE  IL  DOGMA  DELLA  FEDE

L’interpretazione dei più agguerriti esegeti, accreditati o meno, sembra presagire che la fede cristiana sparirà, come la neve al sole, ovunque tranne che in Portogallo.
Esiste profezia peggiore di questa?

Numero2847.

G  O  T  H  A

 

da QUORA

pubblicato da Joannis, un corrispondente di QUORA:

 

Nel 1763 nella città tedesca di Gotha, l’editore Johann Christian Dieterich pubblicò, su idea del teologo e intellettuale Emanuel Christoph Klüpfel, un curioso Almanacco.

Comprendeva la genealogia di tutte le case regnanti e delle più importanti famiglie aristocratiche d’Europa.

Il successo fu immediato e da allora fino al 1941, quando l’Armata Rossa che occupò la città ne distrusse gli archivi, l’opera conobbe ben 181 edizioni e così anche la parola “Gotha” passò ben presto a indicare la crema dell’aristocrazia del tempo.

Asserire ad esempio, che a un certo evento mondano partecipava “tutto il gotha” significava sottolinearne l’importanza e l’esclusività. Anche vantarsi di “far parte del gotha” equivale a rivendicare di essere entrati nella ristretta cerchia dei potenti.

Le pubblicazioni dell’Almanacco furono riprese ufficialmente nel 1998, dopo alcuni tentativi infruttuosi.

Nonostante ciò, l’uso dell’espressione è andato via via generalizzandosi per allargarsi a tutti i settori della vita sociale e intellettuale: far parte di un “gotha” indica una persona molto importante e influente.

Numero2846.

 

Da  QUORA

 

Scrive Julia Otaku, corrispondente di QUORA:

 

Sì, al punto da influenzare pesantemente molti aspetti e situazioni della nostra vita. Ad es. un esperimento del 2001 di Badr e Abdallah ha trovato che l’aspetto dei neonati nati prematuri negli ospedali di Beirut prediceva le valutazioni delle infermiere sul loro stato di salute meglio della loro condizione medica: i bambini più belli aumentavano di peso più velocemente e venivano dimessi prima. Questo perché le infermiere rispondevano di più ai bambini con un aspetto più bello e fornivano cure migliori.

Un altro beneficio dell’aspetto fisico è che le persone di bell’aspetto tendono a guadagnare dal 10 al 15% in più degli altri.

 Inoltre, come mostra uno studio del 2006 di Poutvaara, Berggren e Jordahl, l’aspetto aiuta anche in politica. Mostrarono delle foto di politici finlandesi a soggetti di altre nazioni che non li conoscevano e chiesero loro di valutarli riguardo l’aspetto fisico e altri attributi. Trovarono che l’attrattività era il miglior predittore del numero di voti che il candidato otteneva realmente alle elezioni e l’effetto valeva sia per per i politici uomini che per le donne, ma era più forte per queste ultime. Essere giudicati più attraenti portava ad un aumento tra il 2,5 e il 2,8% dei voti totali per le candidate donna e l’1,5 e il 2,1% per gli uomini, quantità decisive in un’elezione reale.

Ma l’aspetto fisico influenza i giudizi delle persone, anche in altre aree. In particolare le persone tendono ad attribuire a chi è attraente altre qualità positive che non riguardano l’aspetto fisico, tendenza che ha il nome di “stereotipo secondo cui ciò che è bello è buono”.

 Delle metanalisi hanno mostrato che l’effetto maggiore dell’attrattività fisica riguarda le competenze sociali, ovvero si pensa che le persone attraenti siano più socievoli, estroverse, di successo, sexy, felici e assertive di quelle meno attraenti.

 Tuttavia ci sono due aree importanti per cui questo stereotipo non vale: l’integrità morale e l’empatia.

Questo stereotipo è confermato dal fatto che effettivamente sembra che le persone più attraenti abbiano relazioni sociali più soddisfacenti, ma probabilmente è perché ricevono più attenzione. Ciò porta ad un effetto profezia che si auto-adempie, come mostrato da un esperimento di Snyder, Tanke e Berscheid nel 1977. Mostrarono a degli studenti maschi un fascicolo con foto e informazioni di una partecipante all’esperimento, ma in realtà la foto era finta e nella metà dei casi la foto ritraeva una bella donna, nell’altra metà no. Fecero avere ai soggetti che erano disposti una conversazione telefonica con la donna e trovarono che gli studenti che credevano di parlare con la donna attraente la trovavano più calorosa, socievole ed equilibrata di quelli che credevano di parlare con la donna non attraente. In pratica, gli uomini che pensavano di parlare con una donna attraente rispondevano in modo più caloroso e socievole degli altri e il loro comportamento influenzava a sua volta il modo in cui la donna rispondeva. Facendo ascoltare le conversazioni solo da parte della donna a degli ascoltatori esterni, trovarono che anche questi ritenevano più attraente, calorosa e sicura di sé la donna che i soggetti credevano fosse attraente.

Andersen e Bem nel 1981 replicarono l’esperimento coi ruoli invertiti e trovarono che, proprio come nell’altro esperimento, le donne e gli sconosciuti agivano in accordo con la “profezia”.

 Questi risultati, insieme a varie metanalisi condotte su centinaia di studi, sfatano il mito secondo cui la bellezza fisica conti molto di più per le donne e mostrano che la bellezza fisica è importante sia per le donne, sia per gli uomini.

Numero2844.

 

F E M M I N I C I D I

 

da QUORA

 

Riporta Flavio T. , corrispondente di QUORA.

 

un autorevole appello ai Padri e a tutti i maschi contro la piaga dei femminicidi nel nostro paese..

Condivido questo articolo dello psichiatra psicoterapeuta, ricercatore e divulgatore Alberto Pellai, che ha dedicato la maggior parte del suo impegno all’adolescenza e alle sue fragilità, con una particolare attenzione a quella maschile:

LETTERA A NOI PADRI

La morte di Giulia ci interpella tutti, noi maschi, uomini, padri, compagni di vita. Non possiamo non sentirci addosso tutto il dolore del mondo. Giulia è anche nostra figlia. Così come il suo assassino. Sono i figli e le figlie che cresciamo nelle nostre vite, nelle nostre famiglie. Sono i figli e le figlie a cui consegniamo la vita con cui li abbiamo messi al mondo perché la rendano quel territorio in cui diventare chi davvero vogliono essere. In questo progetto educativo, devono imparare che non possono esistere parole come possesso, sopruso, sopraffazione. Lo devono sapere le nostre figlie, prima di tutto. Perché se solo un amore si contamina con queste parole allora da lì si deve fuggire. E denunciare. Lo devono però prima di tutto imparare i nostri figli. La sfida enorme con i nostri figli maschi non è solo insegnare loro a non essere violenti, cosa fondamentale, sia chiaro. La vera sfida è quella di insegnare loro ad essere “veri” con se stessi. A comprendere che costruire una storia d’amore significa esercitare tre competenze fondamentali dentro una relazione: rispetto, responsabilità ed empatia. Che vanno insegnate ancora prima della non violenza. Perché se apprendi queste tre competenze, allora la violenza non entrerà mai nella tua vita, il possesso non comparirà mai come bisogno dentro una storia d’Amore.

Cari padri, il cambiamento nella vita dei nostri figli maschi può avvenire a partire da noi. Siamo figli di padri che ci hanno amati e cresciuti, ma che quasi mai sono riusciti a dirci: “Ti voglio bene, figlio mio”. Siamo figli di padri che quasi mai sono stati capaci di vedere le nostre lacrime, anche quando era impossibile non farlo. Siamo figli di uomini che non hanno quasi mai saputo parlarci del sesso, dell’amore, del corpo che cambia, della pubertà. Eppure questi temi sono di importanza cruciale nella vita di un ragazzo.

Noi padri siamo i compagni di viaggio che stanno davanti, di fianco e dietro a un figlio che a sua volta diventerà uomo. Nel vivergli accanto possiamo mostrargli cosa vuol dire per noi uomini essere persone vere. Possiamo aiutarlo a non temere la tristezza e a trasformare la paura in coraggio. Possiamo educarlo a tenere alto lo sguardo sugli altri e sulla vita facendo del nostro sguardo uno specchio in cui lui stesso può riflettersi per cercare quell’immagine identitaria che ancora gli appare sfocata e poco definita, così come deve essere alla sua età.

Noi padri possiamo rendere la relazione con i nostri figli un’occasione di allenamento al rispetto e alla verità, un laboratorio dove si discute dell’amore e della sessualità, uno spazio di vita in cui – aiutando loro a diventare gli uomini che vogliono essere – diventiamo noi stessi uomini più completi e più veri.

Siamo noi padri gli scultori di un nuovo modo di essere maschi e uomini in questo terzo millennio, in cui i nostri figli si trovano spesso sospesi tra il falso mito del vero uomo e il bisogno profondo di diventare uomini veri.

(Tratto da “Ragazzo mio. Lettera agli uomini veri di domani” di A. Pellai, De Agostini ed.).

Con un enorme dolore, oggi, mi sento padre di Giulia e anche padre del suo assassino. Sento dentro di me tutto il dolore del mondo. E comprendo che la rivoluzione più necessaria oggi è quella che dobbiamo fare noi padri.

Se volete e potete condividete questo messaggio con un uomo.

Numero2843.

 

 

F E M M I N I C I D I

 

Da  QUORA

 

Scrive Flavio T., corrispondente di QUORA.

 

Giulia è stata uccisa da chi diceva di amarla.

E’ stata buttata come uno straccio vecchio giù da un burrone.

Come un oggetto.

Perché è così che molti uomini vedono la donne.

  • Oggetti da possedere.

Non c’è età o origine culturale che possano fare la differenza.

Si uccide la donna quando non si riesce più a controllarla.

Giulia aveva una colpa.

  • Quella di pensare per il suo futuro.

Un futuro che e’ stato barbaramente interrotto per sempre.

Non trovo piu’ parole degne per rappresentare il genere maschile quando compie questi atti.

Sono disgustato e mi vergogno di essere un uomo.

Inutile oggi predicare cosa bisogna o non bisogna fare.

Inutile oggi polemizzare.

Giulia e’ morta, ammazzata da un ragazzo di “buona famiglia” e di aspetto mite.

Giulia, come tutte le altre donne uccise, non è morta.

Vive per urlare che la libertà vale più di mille parole.

Amen.

 

 

Numero2841.

 

R E L A Z I O N I    A S I M M E T R I C H E

 

Autore: Ana De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
Autore dei bestseller «Riscrivi le pagine della tua vita» e «d’Amore ci si Ammala, d’Amore si Guarisce»

 

Sei brava/o a distinguere chi ti vuole genuinamente bene da chi, invece, ti usa per alimentare il suo insaziabile ego? In teoria, discernere il bene dal male non dovrebbe essere così difficili ma in pratica lo è, e anche tanto. Falliamo in questa impresa tutte le volte che riponiamo la nostra fiducia nella persona sbagliata, tutte le volte che sistematicamente ci deludono, tradiscono e che, in qualche modo, ci fanno sentire usati, sviliti e ignorati. Ignorati nei nostri bisogni di stima, validazione e affetto. Già, perché chi ti sta accanto per rinforzare il suo ego, ignora completamente cosa vuoi tu: è dannatamente concentrato su se stesso.

A tutti può capitare di riporre fiducia e speranze nella persona sbagliata, tuttavia, una volta notato il gap relazionale, chi sa discernere il bene per sé dal male per sé, sa come correre ai ripari e impara dall’esperienza. Al contrario, chi non riesce a fare agilmente questa distinzione, si ritrova spesso in relazioni del tutto sbilanciate e fa fatica a uscirne. A volte, distinguere ciò che è davvero bene per sé non è facile, perché nella nostra storia personale, nessuno ce l’ha mai mostrato davvero, in più, chi tenta di sminuirci, spesso lo fa in modo subdolo ed è molto bravo a camuffare i suoi reali scopi. Allora vediamo quali sono le caratteristiche tipiche di chi, per stare bene con se stesso, ha bisogno di farti sentire sbagliato e quali sono le frasi che potrebbero fungere da campanellino d’allarme.

Le caratteristiche di chi ha un «ego insaziabile»

Chi ha un ego insaziabile, dà un’immagine di sé irrealistica e, in parallelo, usa il riconoscimento esterno per compensare i propri vuoti e gli inaccettabili fallimenti personali. Tutti noi cerchiamo accettazione e consenso all’esterno, e fin qui è tutto bene: siamo animali sociali, abbiamo bisogno di sperimentare senso di appartenenza e gratificazione interpersonale e questi bisogni possono essere soddisfatti instaurando rapporti paritetici fatti di stima reciproca. Il problema insorge quando il riconoscimento esterno viene ricercato con la svalutazione, il controllo e il dominio sull’altro.

Queste persone, infatti, stanno bene con se stesse solo quando possono sentirsi migliori degli altri, le ho definite con un «ego insaziabile» perché è talmente grande la precarietà affettiva che si portano dentro, da essere impossibile da colmare, almeno non dall’esterno, almeno senza una profonda presa di consapevolezza. In realtà, queste sono così barricate nel loro stesso ego, da perdere ogni lucidità: esistono solo loro, ciò che pensano e ciò che vogliono. Gli altri non sono altro che strumenti e guai a farli sentire incompresi: uno dei tanti modi che hanno per piegare l’identità altrui e il non accettare che si possano avere valori diversi dai propri. Nelle relazioni che stringono, se l’altro ha idee diverse, semplicemente non ha valore, non viene accettato. L’accettazione, infatti, può passare solo per l’accondiscendenza più totale.

Quel grande ego smisurato e insaziabile, finisce per dissipare le energie altrui, per esercitare controllo, umiliare, disprezzare e distruggere tutto ciò che ha a tiro, fino a sminuire anche la più nobile e benevola delle intenzioni. Si nutre delle attenzioni degli altri ma non lo fa sempre in modo palese: l’ego insaziabile, infatti, è ben nascosto sotto una scintillante armatura costruita ad hoc. In più, l’ego insaziabile può indossare diverse armature, tante quanto sono le occasioni: più che una persona, ti ritrovi davanti un prestigiatore che fa giochi di magia distorcendo fatti ed emozioni. L’armatura più usata è quella del cavaliere senza macchia e senza paura, che si prodiga per gli altri. Un’armatura mantenuta scintillante per raccogliere consensi.

Esistono, poi, molte variabili, spesso l’armatura scintillante proietta un’immagine sempre affaccendata: tempo e risorse, all’apparenza, sono investiti in una «più alta causa»: il lavoro, la famiglia, il volontariato… Attenzione! È bellissimo dedicare del tempo ai propri affetti, avere ambizioni lavorative o fare volontariato, ma queste persone, enfatizzano il sacrificio. In fondo, se si sacrifica e se si sta impegnando così tanto per gli altri e non per sé, come potrebbe essere accusato di egocentrismo?

Frasi tipiche di chi vuole sminuirti

Queste persone, nelle relazioni, possono essere estremamente caustiche, corrodono anche la personalità più forte e tenace. La difficoltà sta nel fatto che all’apparenza non sono «persone tossiche» (estremamente lamentose, che parlano male di tutti…), sono piuttosto degli affabulatori, dei racconta storie che condiscono la realtà a loro piacimento, che possono dartela vinta al momento ma che poi hanno sempre in serbo per te una frecciatina, un rimprovero, un’osservazione scomoda da fare. Per queste persone c’è sempre un però, c’è sempre un ma, «Sì, tutto è bello ma…»; c’è sempre un modo più o meno velato per farti pesare tutto, ciò che hai fatto e ciò che non hai fatto. Come premesso, riescono a sentirsi soddisfatte, solo facendoti sentire in difetto.

Le critiche nascoste di chi dice di volerti bene

Chi ha un ego vuoto può sfruttare falsi complimenti per screditarti. I falsi complimenti finiscono spesso con un punto interrogativo, un punto di domanda che però non solleva un dubbio concreto, piuttosto sottolinea un’ipotetica fragilità.

  • Bellissimo questo appartamento, sicuro di potertelo permettere?
  • Ti sta bene questo cappotto, ma non è un po’ troppo stravagante per te?
  • Sei meravigliosa con quel vestito ma mi chiedo, non avresti dovuto prenderlo di una taglia più grande?
  • Ora hai ottenuto questo nuovo lavoro, ma ne vale la pena?

Altre frasi possono svalutare qualcosa che fai, sfruttando una generalizzazione o riportando casi reali o fittizi. Per esempio, ti sei laureato e, dopo repentine congratulazioni, ecco che arriva: «anche Tizio ha la tua stessa laurea, ora lavora nella paninoteca in fondo alla strada, speriamo che a te vada meglio». Oppure, hai vinto un concorso «beh, ormai tutti possono farlo, non è più come una volta…» o ancora «beato te, a me queste fortune non capitano mai», per sottintendere che non hai alcuna abilità, che sei solo stato baciato dalla fortuna mentre lei/lui, le cose, deve sudarsele. Sì, perché l’armatura scintillante che mostrano è quella di una persona che non ha mai avuto alcuno sconto dalla vita, come se tutti gli altri, invece, avessero trovato realizzazioni pronte all’uso in confezioni regalo! E, come se non bastasse, le realizzazioni degli altri sono sempre banali e scontate ma non le sue, le sue sono sempre imprese epiche!

Altri esempi di svalutazioni vertono sull’invalidazione di un’esperienza o un traguardo. Per esempio: «ho fatto un corso d’inglese, mi è piaciuto tantissimo». La replica: «Sì, sono contentissima per te, ma l’hai fatto con un madrelingua? Dovresti trascorrere qualche mese all’estero come ho fatto io, è l’unico modo vero per imparare la lingua». Lo scopo è quello di spegnere l’entusiasmo e la validità dell’impresa dell’altro.

«Carina quella borsa, ormai si vedono tanti falsi in giro». Una velata frecciatina sull’autenticità dell’accessorio che indossi. Queste persone hanno sempre da mettere becco su come gestisci il tuo tempo, il tuo denaro, le scelte che fai… lo fanno sentendosi legittimati. Si prendono anche più confidenze del dovuto e non si inalberano se tu provi a mettere distanze: sono bravissimi a fare gli offesi e si vendono egregiamente come vittime.

In tutte le frasi c’è una costante: una netta incongruenza. Quando un complimento non è esattamente un complimento e quando una domanda in realtà nasconde un’allusione scomoda, l’interlocutore è disorientato e, nella più calda ingenuità, si tende a ignorare il messaggio sgradito che però, avrà sortito il suo effetto: avrà istillato dubbi, avrà creato una crepa, avrà fatto sentire l’altro migliore.

Un breve aneddoto per comprendere meglio fin dove si spingono alcune persone per non affrontare i propri limiti

Condivido con voi un’esperienza personale: un episodio vero e molto emblematico. Sono nella sala d’attesa di un centro medico. Un uomo non sa come azionare la macchinetta automatica che eroga bibite. La moglie mi chiede di aiutarlo. L’uomo è restio ma dopo qualche minuto e diversi tentativi falliti, accetta suo malgrado il mio aiuta: la moglie aveva sollecitato il mio intervento in quanto aveva un forte calo di pressione.

Mi avvicino alla macchinetta, inserisco una moneta, immetto il codice e la bibita esce puntuale: porgo la bibita alla moglie. Sto per andare via quando l’uomo esordisce: «Senta, qui ci sono 50 centesimi di resto, ma non è capace neanche a prendersi il resto?». Un uomo decisamente corrosivo, troppo preso da se stesso e dalle sue paure per ammettere una banale difficoltà. Pur di non accettare un limite (in questo caso, una palese difficoltà con la tecnologia), quell’uomo stava causando disagio a sua moglie e ha sentito il bisogno di sminuire il mio gesto.

Alcune persone sono così rigide che, per loro, ammettere un limite, significa ammettere di non valere. Vivono una precarietà interiore tale da dover riversare tutto il loro malessere nel mondo che li circonda. Una condizione molto triste che solo raramente riesce a trovare un aiuto adeguato: come premesso, queste persone mancano completamente di capacità introspettiva. Non potendo leggersi dentro, spostano tutto all’esterno.

A volte, le critiche sono spudorate, altre volte sono nascoste ma in tutti i casi, non raccontano nulla su chi le riceve, raccontano piuttosto il mondo emotivo di chi le muove. Chi sta in pace con se stesso non sente il bisogno di sminuire il tuo nuovo lavoro, non sente il bisogno di dire «acquistare un’auto super-accessoriata è una cazzata, fai lievitare il prezzo per nulla, è da fessi», dopo che ha saputo del tuo ultimo acquisto full optional.

Ma se non è un’auto, è lo smartphone, il vestito, le scarpe, il tuo aspetto, i tuoi capelli… queste persone trovano sempre il modo di disprezzarti, e lo fanno! Lavorare sui propri confini, sul proprio valore personale e senso di auto-efficacia, è l’antidoto migliore per qualsiasi critica, anche alla più distruttiva e subdola di tutte!

Un libro per affermare il tuo valore

Dobbiamo stabilire dei limiti. Non bisogna tollerare critiche e disprezzo celato. Il disprezzo costante è un abuso psicologico che può danneggiare chi ha già delle fragilità di fondo. Non possiamo normalizzare il disprezzo. Permettere agli altri di sminuirci significa precipitare in un abisso in cui perdiamo di vista il nostro valore. Allora cosa fare? Per cambiare radicalmente la tua vita, inizia a formarti e a capire come funzionano davvero le cose.

Esiste una realtà ben concreta in cui tu sei al centro della tua vita. In cui tutti i tuoi bisogni hanno un senso, vanno ascoltati e appagati! Una realtà in cui puoi affermare te stesso, accoglierti e amarti. In tal modo, attrarrai a te solo persone che sono capaci di darti la considerazione che meriti. Che, come nel mio esempio, hanno cura del legame che instaureranno con te. Non si tratta di un’utopia. Tutto questo è possibile e puoi averlo in tutti i rapporti. Ho scritto un libro sull’argomento che, per il suo approccio pratico, è annoverato tra i libri più consigliati dagli psicoterapeuti: s’intitola «d’Amore ci si Ammala, d’Amore si Guarisce». Non farti ingannare dal titolo, ti assicuro che non parla di cuori infranti ma ti prende per mano e ti guida nel percorso di affermazione di sé! Lo puoi trovare in tutte le libreria o su Amazon.

Numero2840.

 

P E R S O N E    I N S T A B I L I

 

Autore: Ana De Simone, psicologo esperto in psicobiologia.

 

 

L’equilibrio emotivo è un elemento fondamentale per il benessere individuale e la qualità della vita. Eppure, nessuno di noi ha un umore costantemente stabile: è del tutto normale e naturale che vi siano delle oscillazioni capaci di fare emergere tonalità diverse del nostro stato d’animo e che possono essere causate da eventi specifici, fattori biologici ed anche ormonali. La cosa importante è che tali oscillazioni non abbiano una durata, una intensità e una frequenza tali da compromettere il nostro funzionamento e la nostra quotidianità.

Puoi entrare in punta di piedi, usare tutta la tua empatia ma nella relazione con una persona instabile, finirai per sentirti come quel famoso elefante nella stanza dei cristalli: decisamente poco delicato! Per le persone instabili, la delicatezza è tutto e non è mai abbastanza, ecco perché nella loro vita è meglio muoversi in punta di piedi. Fare poco rumore, esprimersi con chiarezza e usare un linguaggio tenue, senza termini ridondanti. Vediamo insieme quali sono gli atteggiamenti tipici delle persone emotivamente instabili e come relazionarsi con tutto quel subbuglio psicoaffettivo.

Siamo ciò che siamo per una moltitudini di ragioni rintracciabili nei nostri vissuti

Ciò che cerco spesso di spiegare a tutti quelli che mi conoscono (compresi i miei lettori) è che se oggi siamo come siano, se facciamo determinate scelte e abbiamo tratti di personalità caratteristici, un motivo c’è. Il nostro carattere non viene fuori dal nulla ma è la sintesi di tutti i nostri vissuti e, in quanto tale, racconta la nostra storia personale. Ciò che significa? Che se ti senti sbagliato, è solo perché hai vissuto esperienze sbagliate, che ti hanno indotto a sentirti così. Quella sensazione non parla di te ma di qualcosa che hai vissuto nel tuo passato. Analogamente, gli atteggiamenti che vedremo tra poco sono il riflesso di determinati vissuti. Ci raccontano la storia di persone che non hanno mai avuto modo di apprendere stabilità, sicurezza, calma, un senso del sé integro e coeso. Non posso chiederti di comprendere queste persone, ne’ di farti carico di loro. Non è tuo dovere salvarle. Se ne incroci una sulla tua strada, semplicemente, non giudicarla. Non tenerla nella tua vita per biasimarla e amplificare le sue sofferenze… Se non sai come rapportarti, semplicemente, lasciala andare. Vediamo insieme quali sono i comportamenti tipici delle persone instabili.

Inciampano nel bias tutto/nulla

N.d.R. :

Cosa vuol dire il termine bias?
I bias sono delle forme particolari di euristiche (metodologia di ricerca di fatti o verità), usate per generare opinioni o esprimere dei giudizi, su cose di cui non si è mai avuto esperienza diretta. Per questo, i bias consentono di parlare e giudicare comportamenti spesso sulla base di cose apprese per sentito dire.
Che differenza c’è tra euristiche e bias?
In sintesi, se le euristiche sono scorciatoie comode e rapide estrapolate dalla realtà che portano a veloci conclusioni, i Bias cognitivi sono euristiche inefficaci, pregiudizi astratti che non si generano su dati di realtà, ma si acquisiscono a priori senza critica o giudizio.

L’instabilità emotiva fa anche questo: induce a vivere le cose in modo assolutistico. Però, nel vivere tutto intensamente, si perdono le sfumature che si trovano nel mezzo perdendosi tutta la bellezza e le opportunità della vita.

Questo atteggiamento tutto nulla si manifesta molto anche nella coppia. Se l’altro dice un «no» e fissa un confine, chi è instabile lo vive come una prova della mancanza di amore! Invece di integrare quel piccolo “no” in un panorama molto più ampio, lo generalizza pensando che si tratta della prova schiacciante del disinteresse altrui. Per questo motivo, chi è instabile, finisce per fraintendere intenzioni, azioni e parole! Diventa davvero difficile comunicare con loro anche quando si hanno le miglior intenzioni.

Prendono tutto sul personale

Qualsiasi cosa parla di loro! Così, una leggera conversazione può trasformarsi in un campo minato. L’interlocutore è messo in difficoltà tanto che inizia a dover pensare molto alle parole da scegliere. Vedono doppi significati anche quando non ce ne sono e tendono a interpretare tutto in senso negativo. Ritengono che nessuno sia capace di capirle e additano gli altri di essere insensibili quando, in realtà, hanno solo una sensibilità differente dalla loro. Per legittimare se stesse, sentono il bisogno di delegittimare l’altro.

Sono irrequiete

Proprio non sanno essere inattive. Se sono ferme con il corpo, la loro mente non lo è affatto! Vaga, rimugina, fa giri enormi, voli pindarici, macina e rimacina lo stesso argomento. Vivono con una tensione di sottofondo associata al bisogno di attivarsi, muoversi o di fare qualcosa. Queste persone hanno bisogno di imparare a praticare la calma, attività come lo yoga o sport come il bowling e il golf (che richiedono un’ottima dose di pazienza) possono essere molto utili. La calma, infatti, è qualcosa che va praticato e alimentato, è un po’ come un muscolo da esercitare.

Nelle relazioni, questo stato di irrequietezza si trasforma in estenuanti richieste e nella volontà di sperimentare con il partner nuovi orizzonti. Quando l’irrequietezza è associata a paura dell’abbandono, paura del rifiuto e altre insicurezze affettive, allora nella relazione insorgono veri e propri momenti drammatici. Queste persone, infatti, tendono a fare dei costanti tira e molla. Mettono alla prova l’altro, la sua pazienza e purtroppo anche la sua fiducia.

Si annoiano subito

Nel percorso individuale, l’irrequietezza si trasforma spesso in noia. Le persone instabili, infatti, hanno bisogno sempre di nuovi stimoli. La facilità alla noia le porta a sperimentare sempre nuove attività, in casi estremi, anche rischiose.

Si distraggono facilmente

Qualsiasi stimolo può diventare distraente. Queste persone, spesso, manifestano un problema legato al mantenimento dell’attenzione, della concentrazione e della costanza nel portare a termine dei compiti. La distraibilità si riflette in molti aspetti: perde oggetti, dimentica le chiavi di casa, di pagare le bollette, mentre le si parla, sembra assente e… ha imparato ad agire con il pilota automatico. Per ovviare alla distraibilità, queste persone hanno imparato a portare a termine anche lavori complessi “in assenza mentale”, cioè usando una sorta di pilota automatico.

Esercizi di attenzione focalizzata potrebbero essere molto utili per recuperare questo aspetto carente. È sempre opportuno rivolgersi a un professionista della salute mentale, intanto, per iniziare in autonomia, potrebbe essere utile impegnarsi in esercizi di ascolto attivo, può essere utile iniziare con le persone affettivamente più vicine.

Si autosabotano

Sentono di voler chiudere il cerchio, di voler portare a termine o trovare una fonte stabile di appagamento… tuttavia non sanno come fare perché i loro schemi disfunzionali li inducono ad autosabotarsi. Questo succede nella vita professionale così come in quella affettiva.

Sono rigide

Quando hanno un’idea sulla realtà o su come dovrebbero andare le cose, quest’idea è rigida e vivono con ostilità tutto ciò che può deviare da quell’idea! Questo è un bel problema perché gli imprevisti della vita possono trasformarsi in splendide opportunità e non tutti gli imprevisti sono dannosi. Le persone instabili per rassicurarsi, hanno bisogno di controllare la realtà, aspettativa del tutto irrealistica. In questa aspettativa, costruiscono idee su come dovrebbero essere i rapporti, su come dovrebbe andare una giornata… e così, le giornate finiscono per “andare storte” molto facilmente.

La rigidità si ripercuote fortemente sulle relazioni interpersonali. Queste persone, infatti, vogliono decidere loro e, al fine di portare avanti la loro idea, finiscono per prevaricare sull’altro. Non riescono ad accettare compromessi (anche se morbidi), ne’ cambiano idea ne’ tollerano chi ha un’idea diversa dalla propria. La loro rigidità è tale da rendere qualsiasi relazione difficile e spinosa. Costringono l’altro a fare mille passi indietro quando in realtà dovrebbero imparare a mettersi in discussione e accettare le variazioni sul tema. È in quelle variazioni che risiede la loro possibilità di crescita!

Moltissimi dei nostri comportamenti quotidiani sono frutto di automatismi rinforzati da stimoli positivi o negativi, sono il frutto di apprendimenti inconsapevoli. Nella nostra vita, impariamo continuamente cose nuove o andiamo a confermare nozioni che rinforzano vecchi schemi di comportamento, se non diamo spazio alle diversità, se rigidamente pretendiamo che la realtà rispetti le nostre idee, non ci diamo la possibilità di imparare ciò che per noi è ancora inedito.

Si conoscono poco

Le persone instabili non hanno un chiaro senso di chi sono e dove sono dirette. Si limitano a reagire agli stimoli esterni senza però avere la minima idea di quali stimoli interni la muovono! Presumono di conoscersi ma in realtà non hanno mai esplorato la moltitudine di complessità che si portano dentro. Non conoscono l’origine dei loro comportamenti e sono del tutto inconsapevoli circa i loro vissuti interiori. Questa inconsapevolezza fa emergere un mucchio di meccanismi di difesa.

Riprendere il controllo della propria vita

E’ chiaro, chi è emotivamente instabile conosce poco se stesso e, seppur è dura da ammettere, nonostante la sua apparente attitudine al controllo, non ha la minima padronanza della sua vita perché è in balia degli eventi e delle emozioni. Dover lavorare sulla propria emotività potrebbe sembrare un lavoro estenuante: districare una matassa di vissuti, significati nascosti, emotività e ferite, non è affatto semplice… ma non deve spaventare. Tutti dovrebbero avere la volontà di conoscersi davvero e di aprire gli occhi su quella che è la propria vita!

Chi rinuncia all’idea di essere responsabile di se stesso, rinuncia anche alla possibilità di una vita appagante. Ecco, allora ognuno di noi dovrebbe prendere in carico se stesso, prendersi in carico la responsabilità del proprio benessere! Questa assunzione di responsabilità finirà per fare una cernita nella propria vita, una selezione naturale dei legami, trattenendo solo persone genuine.

 

Numero2839.

 

da  QUORA

 

Esiste una persona con un Q.I. basso che è più intelligente di una con un Q.I. alto?   (Q.I. = Quoziente d’Intelligenza)

 

Risponde Luca Tartaro, corrispondente di QUORA:

 

Brevemente, la risposta è NO. Il QI misura l’intelligenza ed un valore più alto banalmente indica una intelligenza più alta. Come, per fare un esempio, parlassimo di statura.

Sembra un discorso liscio ma c’è un inghippo: cosa si intende per intelligenza? I normali test possono valutare tutte le capacità logico matematiche letterali mnemoniche formali etc. ma questo può non significare niente. NIENTE.

Conosciamo tutti persone molto intelligenti che fanno vite mediocri, impegolati in relazioni sentimentali disastrose o lavori sottopagati. Ne hanno tratto anche una famosa sit-com, Big Bang Theory, con 4 intelligentoni che fanno vite da sfigati. E giù risate a vederli così impacciati.

Viene un sospetto: l’intelligenza oggi è sopravvalutata. Da sola non basta. E’ come dire che basta l’altezza per fare un buon giocatore di pallacanestro. Ci vuole ben altro.

Può certo essere d’aiuto all’inizio come dote ma spesso conta ben poco. Altre doti emergono: l’intraprendenza, il coraggio, la fantasia, l’ambizione, l’equilibrio, l’empatia, la simpatia etc. Tutte doti che con la pura intelligenza non c’entrano (e che non vengono mai valutate nei test) ma che risultano spesso per non dire sempre vincenti. Vincenti.

Gli antichi romani non consideravano l’intelligenza se non come una delle tante doti di un individuo. Piuttosto stavano attenti al CARATTERE di una persona, molto più difficile da definire, e che è un poco l’unione di tutte le doti dette prima.

Se vuoi valutare bene una persona devi stare insomma attento al suo carattere generale, non alla sua intelligenza particolare. “Formare un buon carattere” ritengo che sia l’obiettivo finale di ogni educazione.

 

Quali sono le caratteristiche di chi ha un Q.I. basso?

 

Scrive Jeia Plissken, corrispondente di QUORA:

 

A mio modesto parere chi accetta qualunque cosa gli venga detta senza alcuno spirito critico.

Ovviamente una cultura più approfondita fa sembrare chiunque più intelligente ma a volte senti ragionamenti molto interessanti da persone di scarsa cultura solo perché si fanno domande su qualunque cosa.

Viceversa “chi ha studiato” a volte (ho detto “a volte”) tende ad adagiarsi sulle nozioni frutto di ragionamenti altrui usandole come dogmi.

Ci siamo evoluti grazie a chi si è costantemente posto delle domande.

 

N.d.R. : Impariamo a considerare le persone in base alle loro domande e non alle loro risposte.

Numero2838.

 

da QUORA

 

I neri hanno un Q.I. (Quoziente d’Intelligenza) inferiore alla media?

 

N.d.R. : chissà se è possibile pubblicare questa domanda /curiosità, con relativa risposta, basata su dati di fatto obiettivi, senza essere tacciati di razzismo? La domanda non è mia, la risposta neanche: mia è soltanto la curiosità e l’onestà intellettuale di riportare cose che non sapevo, ma che ritengo meritevoli di conoscenza ed approfondimento, È lo spirito di questo BLOG. Nessuna malevola sottolineatura. Grazie per la comprensione.

 

Risponde su QUORA Silvio Vergani, un corrispondente.

 

Sì. In ogni misurazione del QI, da quando il QI è stato inventato.

Gli afroamericani hanno 85, i neri africani scendono anche sotto i 70, difatti la metà dei neri africani sarebbero da considerare MENTALMENTE RITARDATI. La cosa buffa di questi dati è che sono ASSOLUTAMENTE PLAUSIBILI, visto la storia dei popoli africani e lo stato in cui versano le nazioni africane ancora oggi, eppure esiste una vasta fascia di popolazione che nega, ostinatamente la realtà e preferisce all’evidenza dei fatti dei fumosi teoremi new age.

 

N.d.R. : Mi pare giusto dire, per una corretta valutazione, che il valore medio del Q.I. globale è intorno a 100 e che il valore del Q.I. degli Italiani, come riportato altrove, è di 97. Più o meno come quello di quasi tutti i Paesi Europei.

Numero2837.

 

Da cosa si capisce se una persona è molto intelligente

Ana Maria Sepe    Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

 

Quanto sei intelligente? Il concetto è sicuramente molto ampio, tant’è che non esiste, oggigiorno, una definizione univoca e accettata universalmente.  L’intelligenza viene spesso riconosciuta nella società come un tratto distintivo della persona, che ne è più o meno provvista se paragonata a un’altra. Considerando che, sulla Treccani, la definizione di intelligenza supera le 40 righe, capiamo bene che, nel corso della storia, il genere umano si è posto parecchie domande a riguardo. Per questo gli scienziati definiscono l’intelligenza in diversi modi. Alcune ricerche scientifiche fatte in varie università del mondo, sembrano confermare che ci sono alcuni comportamenti, segni e caratteristiche fisiche che sembrano essere associati all’intelligenza

Il termine deriva dal latino intelligentia, con derivazione da intelligĕre, ovvero «intendere». (N.d.R. : Per essere più precisi, “intelligere” è composto da “inter” (fra) e “legere” (leggere); sarebbe come dire: “leggere fra le righe”, una sorta di comprensione per intuizione). Generalmente, si intende un complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono all’individuo di pensare, comprendere o spiegare i fatti, o le azioni, ed elaborare modelli astratti della realtà. Nella psicologia umana le teorie sull’intelligenza sono molte. Secondo Charles Spearman, è una capacità comune di adattamento dell’individuo, nonché il fattore base delle attività intellettuali nel genere umano.

Come ragionano le persone molto intelligenti?

Questa domanda devo ammettere che mi affascina tantissimo. Nello specifico mi interessa la risposta non tanto per una semplice curiosità, ma perché nasconde una seconda domanda, ancora più interessante Posso migliorare drasticamente me stesso, ragionando come una persona “super intelligente”? Partiamo dalle basi: cosa c’è alla base dell’intelligenza? Guarda questo insieme di numeri e lettere:

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  • j39e8389f7777lmjbh8ihrz7777

Noti niente di strano?

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  • 39e8389f7777lmjbh8ihrz>7777

Esattamente ogni 10 lettere e numeri casuali, si ripete quattro volte il numero “7” (il pattern “7777”). Quello che ha fatto il tuo cervello per riconoscere questo schema all’interno di un insieme di numeri e cifre, all’apparenza casuali, prende il nome di “pattern recognition” (riconoscimento di pattern). Per i non avvezzi a questa terminologia tipicamente utilizzata in ambito informatico, il riconoscimento di pattern, non è altro che l’individuazione, all’interno di dati “grezzi”, di modelli/schemi che si possono ripetere.

Dal punto di vista dell’evoluzione della specie, riconoscere i pattern ha reso noi esseri umani capaci di sopravvivere e svilupparci più efficientemente rispetto ad altri animali/organismi. Quindi questa cosa la sappiamo fare bene, ma c’è chi tra di noi riesce a farla meglio.

Cosa c’entra il riconoscimento dei pattern con l’intelligenza?

“Il riconoscimento dei pattern è l’essenza dell’intelligenza umana.” – Ray Kurzweil. Per Ray Kurzweil, che per la cronaca è colui che (tra le tante altre cose) ha inventato lo scanner, l’intelligenza è in larga parte attribuibile alla nostra capacità di riconoscere pattern. Quindi siamo più o meno intelligenti a seconda di quanto sappiamo fare bene questo lavoro. Le persone con un alto QI infatti, non sono dei semplici “collezionisti” di fatti e cultura generale, ma sviluppano una profonda comprensione dei concetti.

Cosa significa?

Prima di tutto che le persone intelligenti NON memorizzano le cose. Chi ha un QI alto è bravo a connettere tra loro idee e creare costruzioni mentali tra informazioni che magari potrebbero sembrare irrilevanti o appartenenti ad altri contesti. Quindi questi “geni” trovano con facilità schemi tra dati grezzi e li collegano tra di loro. In parole povere: riconoscono e connettono pattern.

Come allenare l’intelligenza

Torniamo alla domanda chiave: posso migliorare drasticamente me stesso, ragionando come una persona “super intelligente”? Certo! Ecco una piccola linea guida che ti può tornare molto utile se devi imparare cose nuove e per migliorare qualsiasi situazione con cui interagisci quotidianamente.

1. Comincia a notare i pattern in qualsiasi contesto

Di fronte agli eventi che ti circondano, sforzati di riconoscerne il modello che ne sta alla base. Se leggi un libro, cerca sempre di sintetizzare in poche parole un capitolo. Quando hai finito prova a creare un modello dei concetti su un foglio. Cerca sempre di semplificare il più possibile. Poi vai anche più a fondo: i libri che leggi hanno una struttura simile? Se sì, qual è?

Se stai guardando un film che ti piace, fai caso alla sequenza degli eventi: è possibile che nasconda un pattern. Una tipica struttura ricorrente ad esempio è il “viaggio dell’eroe”.

2. Ama la “confusione” iniziale

È importante riflettere su un punto: quando stai cercando di trovare un pattern il primo step è la confusione. È normale essere confusi in questo momento perché il nostro cervello sta cercando la struttura tra un mare di informazioni non rilevanti.

La cosa peggiore che puoi fare è dire che la cosa su cui stai ragionando è impossibile da studiare / imparare e non c’è un pattern chiaro. Non devi assolutamente mollare e passare alla memorizzazione dei concetti perché non sei ancora riuscito a trovare un modello. C’è solo un modo per andare avanti: pensa e cerca di esporti a quante più possibili varianti / spiegazioni di qualità del concetto o dell’evento che stai analizzando. Ci sarà un momento in cui troverai un “aggancio”. Sarà come una sorta di click mentale che ti darà un primo possibile mini-modello del tutto.

3. Usa spesso metafore ed analogie

Una volta che hai capito qualcosa in maniera generale, prova ad utilizzare metafore od analogie con situazioni simili che conosci, ma che fanno parte di altri contesti. Questo ti permette di creare connessioni con zone differenti del tuo cervello e di mettere in pratica quei collegamenti di cui ti parlavo all’inizio (collegamenti tra pattern). “Come“, “tipo“, “uguale a” sono le parole chiave da usare. Puoi cominciare con una serie di domande aperte tipo:

  • Questa idea mi ricorda….?
  • Questa idea è usata in situazioni di vita vera come…?
  • Che fenomeno simula questa idea?

Prendiamo ad esempio i numeri complessi: i numeri mi hanno sempre ricordato il camminare lungo una linea come se fosse una strada dritta. Grazie ai numeri interi puoi camminare avanti ed indietro rispetto ad un punto di partenza (che è lo zero). Con i numeri complessi, la linea diventa una piazza in cui puoi girare liberamente, ruotando intorno al punto di partenza.

4. Metti in discussione il modello

Le persone molto intelligenti sono molto brave a creare modelli e connessioni ma anche a tagliare queste ultime se non funzionano e non si applicano a dovere. Fai l’avvocato del diavolo con l’idea che hai appena creato: analizzane le implicazioni, i limiti ed i difetti e modifica il tutto. Sii scettico al massimo.

Lo scetticismo è sano se applicato nel giusto contesto. Essere scettici “tanto per” invece è da stupidi. Ma per arrivare a delle connessioni potenti devi farne tante e tagliare quelle che non funzionano. Solo in questo modo puoi farcela.

5. Anche l’esercizio aerobico fa bene al cervello

Camminare per 30 minuti al giorno 5 giorni alla settimana stimola ad esempio la produzione di Bdnf (fattore neutrofico derivato dal cervello), una molecola che favorisce la produzione di nuovi neuroni e sinapsi e migliora le capacità di apprendimento.

Altre attività che funzionano benissimo?

Studiare una nuova lingua, ad esempio, non solo migliora il QI, ma rimanda di 5 anni in media il rischio di demenza senile nelle persone esposte. Anche il cibo fa la sua parte: la dieta mediterranea (ricca di frutta, verdura, pesce, olio di oliva) migliora le capacità di apprendimento. L’intelligenza è spesso stata correlata alla corteccia prefrontale laterale del nostro cervello, se questa struttura si mantiene molto attiva, allora il gioco è fatto. Sai come allenare la tua corteccia prefrontale laterale? Lavorando su te stesso!

Perché la corteccia prefrontale laterale sembra giocare un ruolo predominante nell’intelligenza? Perché è mediante questa struttura che le varie funzioni cerebrali vengono integrate, in pratica è da essa che dipende la capacità di comunicare efficacemente con il resto del cervello. Hai presente quando senti dire “la mia parte irrazionale ed emotiva vorrebbe fare questo, ma la mia parte razionale sa che è sbagliato?” Beh, questo capita quando c’è poca integrazione tra la neocorteccia e le strutture più ancestrali del cervello, quelle legate alla ricompensa immediata. Se ci pensi ha tutto senso: a che serve essere intelligenti se non si può utilizzare questa dote per migliorare la propria qualità della vita?

Allora noi ti invitiamo a migliorare la tua intelligenza allenando proprio la tua corteccia prefrontale laterale! Sai, pochi mesi fa abbiamo pubblicato un nuovo libro che propone un percorso di auto-analisi e crescita personale, con lo scopo di massimizzare l’integrazione tra le parti di sé. Nel volume troverai diversi esercizi che ti spiegheranno come allenare la tua corteccia prefrontale per cambiare gli aspetti di te che non ti piacciono, migliorare la relazione che hai con te stesso e stabilire rapporti appaganti. Il titolo è un po’ fuorviante: «d’Amore ci si ammala, d’Amore si guarisce», ma ti garantiamo che non tratta solo di cuori infranti! È il libro più consigliato dagli psicoterapeuti, lo puoi trovare su Amazon o in tutte le librerie. Ah, se lo leggi, scoprirai che tutto (dalla soddisfazione personale al benessere di coppia) è una questione di corteccia prefrontale! 

Insomma: hai diverse soluzioni per nutrire e arricchire la tua mente. E ricorda, l’intelligenza non significa saperne di più o accumulare conoscenza. Si tratta di stimolare il cervello, essere in grado di risolvere problemi quotidiani e inserire nella propria struttura cerebrale cose nuove (apprendimenti inediti, nuovi modi di essere, di sentire, di comunicare…). Ripeto: a cosa serve essere intelligenti se poi non applichiamo questa dote in modo pratico, al miglioramento della nostra vita?!

Numero2836.

 

A T E I S M O    E    F E D E

 

Un credente, dopo aver tentato invano di spiegare ad un ateo perché crede, alla fine, in sintesi, può solo dire:
“Credo e basta, e mi va bene così”.

La stessa Chiesa, alla fine della messa, enuncia: “Mistero della fede”.
Se è un “mistero” ciò in cui credono i fedeli…. auguri!

Per un ateo non è tanto un mistero: a lui le religioni interessano moltissimo e le studia, di solito, più di molti credenti, in quanto sono un fenomeno che riguarda la natura umana.

Per l’ateo la curiosità è una virtù, per il credente è un pericolo: quello di mettere in dubbio il proprio bagaglio di “certezze” che si è caricato sulla schiena senza guardarci dentro, magari per pigrizia o per quieto vivere, per tradizione o per volontà di “buoni educatori”.