Numero3336.

R I F L E S S I O N I

Nella storia dell’esperienza umana, si dice che alcune persone trovano consolazione nel sonno, poiché nei sogni esiste un regno che supera la bellezza del mondo reale.

Nel vasto oceano di 8 miliardi di esseri umani, qualcuno può trovarsi a vivere in solitudine.

La felicità che si condivide con gli altri cresce, mentre il dolore, se condiviso, si riduce.

La più grande ricompensa è il recupero della propria serenità interiore.

Si dice che l’età migliora con il tempo, acquisendo una distintività unica.

Il concetto di “per sempre” potrebbe essere stato pensato per il regno della memoria, piuttosto che per le vite mortali.

Non dovremmo mai minimizzare una sofferenza che non abbiamo personalmente vissuto.

Nel fluire del tempo, la vera natura delle nostre perdite viene sempre alla luce.

Se vivi solo per gli altri, finirai per alienare te stesso, non ti riconoscerai più nella gioia di vivere.

Non sentirti in colpa se desideri di essere felice, perché la ricerca della felicità è propria della natura umana: chi dice il contrario è un ipocrita e un …. infelice.

Alcuni si lanciano alla ricerca di tesori e, nel farlo, perdono di vista ciò che è veramente prezioso, inseguendo solo semplici pietre.

Valorizza ogni attimo prima che svanisca, divenendo un ricordo lontano.

Se queste riflessioni ti hanno toccato, concedi loro la tua approvazione.

Numero3333.

 

10 frasi di Arthur Schopenhauer che ci insegnano a essere felici

Alessia Alfonsi

 

Parlare di felicità con Arthur Schopenhauer può sembrare un paradosso. Filosofo del pessimismo, pensatore lucido e radicale, autore dello straordinario, Il mondo come volontà e rappresentazione, Schopenhauer ha dedicato gran parte della sua vita a studiare il dolore, l’illusione, l’insoddisfazione come tratti costitutivi dell’esistenza.

Eppure, proprio per questo, le sue riflessioni sul come essere felici sono tra le più oneste, concrete e utili che si possano leggere.

La felicità secondo Schopenhauer

Per lui, la felicità non è euforia né trionfo, ma assenza di dolore, equilibrio interiore, capacità di bastarsi.

Non esiste un segreto magico, ma un modo sobrio e consapevole di attraversare il mondo senza farsi travolgere. Non si può possedere la felicità, ma si può imparare a coltivarla come una forma di intelligenza, una disciplina dello spirito.

In tempi in cui la felicità è spesso trattata come un dovere da esibire, Schopenhauer ci libera da ogni illusione, e ci insegna a riconoscere il valore dei piccoli piaceri, della solitudine creativa, della moderazione.

E a capire che, forse, essere felici non significa avere tutto, ma volere meno.

Aforismi sulla saggezza della vita: un testo fondamentale per chi vuole conoscere il pensiero più “pratico” del filosofo.

In queste pagine, Schopenhauer si distacca dal sistema teorico per parlare della vita quotidiana, del carattere, del piacere, del dolore e sorprendentemente della felicità.

Alcune curiosità su Arthur Schopenhauer: 

Detestava la società, ma amava i cani. Schopenhauer viveva spesso in solitudine, ma era sempre accompagnato dal suo barboncino, Atma. Diceva che era l’unico essere veramente sincero.

Non si fidava dei filosofi troppo ottimisti. Considerava Rousseau, Hegel e compagnia bella dei venditori di fumo. Per lui, il dolore era parte strutturale della vita, non un errore da correggere.

Leggeva i testi buddhisti e gli Upanishad. Era affascinato dalla filosofia orientale, che influenzò profondamente la sua idea di felicità come liberazione dal desiderio.

Sapeva ridere, ma solo con sarcasmo. La sua ironia era tagliente, ma spesso geniale.

Nei suoi scritti sul come essere felici non manca mai un fondo di humour nero, terapeutico.

Arthur Schopenhauer: 10 frasi che insegnano a essere felici

In un mondo che ci bombarda di stimoli e promesse, Schopenhauer è quasi una voce controcorrente.

Ci spoglia delle illusioni, ci invita alla misura, alla sobrietà, al ritorno all’essenziale.

Ma non lo fa per renderci tristi, al contrario, lo fa per aiutarci a distinguere ciò che è inutile da ciò che conta davvero.

Le sue frasi sono come piccole spine che pungono l’anima, ma dopo il dolore portano chiarezza.

Ci insegnano che la felicità non è il contrario del dolore, ma la sua gestione intelligente.

Che la serenità vale più dell’euforia.

E che, per essere felici, forse non dobbiamo cercare di aggiungere, ma imparare a togliere.

 

1. La felicità appartiene a coloro che bastano a se stessi.
– Aforismi sulla saggezza della vita, par. I

Per Schopenhauer, l’autosufficienza è la vera base della felicità. Chi dipende poco dagli altri, soffre meno.

 

2. Ogni felicità è di natura negativa, ossia consiste nell’assenza di dolore.
– Il mondo come volontà e rappresentazione, 68

Una delle sue idee chiave: la vera felicità non è eccesso di gioia, ma pace, tregua, respiro.

 

3. Il sommo bene è la serenità.
– Aforismi sulla saggezza della vita, par. III

La serenità non fa rumore, ma dura. È lo stato più vicino alla felicità per chi conosce il dolore.

 

4. Il segreto della felicità è: avere interessi, ma non dipendere da essi.
– Parerga e paralipomena

Appassionarsi, ma senza attaccamento. Un equilibrio difficile, ma liberatorio.

 

5. La salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente.
– Aforismi sulla saggezza della vita, par. II

La felicità inizia dal corpo. Senza una base fisica stabile, tutto il resto vacilla.

 

6. Chi ha poca volontà ha poca sofferenza.
– Il mondo come volontà e rappresentazione, 57

Volere troppo è fonte di infelicità. Chi sa limitare i desideri, soffre meno e vive meglio.

 

7. La vita oscilla come un pendolo fra dolore e noia.
– Il mondo come volontà e rappresentazione, 57

Una frase amara ma illuminante: la felicità sta forse nel trovare un ritmo sostenibile tra queste due forze.

 

8. Una delle più grandi libertà sta nel non dover compiacere nessuno.
– Parerga e paralipomena

Essere liberi dallo sguardo altrui è già una forma di felicità. Autenticità come forma di pace.

 

9. Nulla contribuisce più alla felicità che una buona disposizione d’animo.
– Aforismi sulla saggezza della vita, par. II

Il nostro carattere conta più delle circostanze. Coltivare serenità è più utile che inseguire eventi.

 

10.L’uomo felice è colui che vive in armonia con la propria natura.
– Parerga e paralipomena

Non c’è felicità impersonale: ognuno deve capire la propria forma, e viverla con coerenza.

Numero3318.

 

da  QUORA

 

Scrive Federica Bagwell, corrispondente di QUORA.

 

D O V’ È    L O    S B A G L I O ?

 

In fila al supermercato, il cassiere dice a un uomo anziano di portare la propria borsa, perché le buste di plastica non fanno bene all’ambiente.

Il signore si scusa e spiega: “Ai miei tempi non esisteva una moda così ecologica”. Il dipendente ha risposto: “Questo è il nostro problema adesso. La tua generazione non si è presa abbastanza cura di preservare l’ambiente”.

Hai ragione, gli dice l’uomo: la nostra generazione non aveva quella moda green di quei tempi:

– Allora, le bottiglie del latte, delle bibite gassate e dellea birra venivano restituite al negozio e rispedite al produttore per essere lavate e sterilizzate prima di essere riempite nuovamente, in modo che le stesse bottiglie potessero essere utilizzate più e più volte. In realtà le stavano riciclando.

– Abbiamo preso le scale, perché non c’erano scale mobili in ogni negozio o ufficio, quindi abbiamo risparmiato elettricità.

– Andavamo alle aziende a piedi invece di guidare auto da 300 cavalli ogni volta che dovevamo percorrere 1 miglio.

– A quel tempo lavavamo i pannolini dei bambini perché non c’erano quelli usa e getta.

– Abbiamo asciugato i nostri vestiti su stendibiancheria, non in asciugatrici elettriche. L’energia solare ed eolica hanno effettivamente asciugato i nostri vestiti.

– Quindi avevamo un televisore o una radio a casa, non un televisore in ogni stanza.

– In cucina pestavamo nel mortaio e battevamo a mano, perché non c’erano macchine elettriche che lo facessero per noi.

– Quando imballavamo qualcosa di fragile da spedire per posta, per proteggerlo usavamo vecchi giornali spiegazzati, non il pluriball.

– A quei tempi non si usavano tosaerba elettrici per tagliare l’erba; non abbiamo usato una falciatrice elettrica.

– Ci esercitavamo lavorando, quindi non avevamo bisogno di andare in palestra per correre sui tapis roulant che funzionano con l’elettricità.

– Bevevamo direttamente dal rubinetto o da una tazza di vetro quando avevamo sete, invece di usare bicchierini o bottiglie di plastica ogni volta che avevamo bisogno di bere acqua.

– Abbiamo cambiato le lamette del rasoio invece di buttare via l’intero rasoio solo perché la lama era diventata smussata.

– Allora, i bambini andavano a scuola in bicicletta o camminavano, invece di usare la mamma o il papà come tassisti.

– Avevamo una presa in ogni stanza, non diverse prese multiple per alimentare una dozzina di elettrodomestici.

-E non avevamo bisogno di un dispositivo elettronico per ricevere segnali dai satelliti situati a migliaia di chilometri di distanza nello spazio per trovare la pizzeria più vicina.

– Prima usavamo la linea fissa e ce n’era solo una ogni dieci case. Oggi ci sono 10 cellulari per ogni casa e quando li butti via le batterie contaminano il terreno e migliaia di litri d’acqua.

– Quindi mi sembra logico che l’attuale generazione si lamenti continuamente di quanto noi, ormai anziani, fossimo IRRESPONSABILI per non avere questa moda verde ai nostri tempi.

🔸🔸🔸🔸🔸🔸🔸🔸🔸🔸🔸🔸🔸

Non dimenticare di inviarlo a qualcun altro che è stanco di ricevere lezioni di ecologia da qualsiasi “saputello” di questa nuova generazione…🤨*

Numero3270.

 

da  QUORA

 

Scrive Thierry, corrispondente di QUORA

 

 

L’anno scorso sono stato sottoposto a un intervento chirurgico a cuore aperto.

Pochi giorni dopo, il mio cuore si è fermato per 3 minuti e 55 secondi.

Poi sono rimasto in coma per 8 giorni.

Posso dirti che anche se non ho visto la luce, né il paradiso, né l’inferno, ho visto così tante cose che ricordo.

Ho visto due persone che non avevo mai visto in questa vita e che erano molto felici di vedermi.

Non parlavamo la stessa lingua, ma ci capivamo molto bene.

Il genere di amici con cui non hai bisogno di parlare per esprimere ciò che ti passa per la testa.

Ho percepito la presenza di alcuni cani che avevo tanto tempo fa, non li ho visti ma sapevo che erano lì.

Ho visto così tante cose a colori, i volti di persone.

Nessun sogno.

Avrei potuto scegliere di non tornare, ma non potevo lasciare sola la mia meravigliosa moglie in quel momento.

Ho deciso di tornare ancora per un po’.

Ora posso dirti che non ho paura di morire.

È così tranquillo e piacevole, là.

Tutto questo ci fa sentire bene, nessun dolore.

Ci sentiamo semplicemente bene.

Penso che potremmo essere reincarnati.

Mi ha fatto sentire bene per ciò che abbiamo adesso e per il fatto che c’è qualcosa dopo questa vita.

Ridi il più possibile.

Ama quanto più puoi.

Non odiare nessuno. Non ne vale la pena.

Goditi le cose semplici.

Hai un cane…o due: amali.

Sii il più onesto possibile, soprattutto con te stesso, perché puoi ingannare molte persone, ma non puoi ingannare te stesso.

Numero3228.

 

da  QUORA

 

Scrive Linus, corrispondente di QUORA

 

P E N S A C I    B E N E

 

La nonna diceva:

 

– Non ti fa male la schiena, ma il peso che porti addosso.

– Non ti fanno male gli occhi, ma l’ingiustizia o quello che ti tocca vedere.

– Non ti fa male la testa, ma i pensieri che porti dentro.

– Non ti fa male il collo, ma quello che non esprimi o quello che non dici.

– Non ti fa male lo stomaco, ma ciò che non digerisce la tua anima.

– Non ti fa male il fegato, ma la rabbia che porti addosso.

– Non ti fa male il cuore, ma l’assenza di amore. Sai che l’amore è la medicina più potente.

 

Numero3223.

 

R I F L E S S I O N I

 

“Il modo con cui gestisci le cose mi ispira ad essere una persona migliore”.

Questa frase dimostra non solo ammirazione, ma anche un profondo legame con i valori della persona a cui ti rivolgi.

Il filosofo stoico Seneca ci ricorda: “Insegnare è imparare due volte”.

Ispirare qualcuno significa, in un certo senso, condividere saggezza e virtù, rendere il mondo intorno a noi un posto migliore.

Quando lodi qualcuno rinforzi l’importanza di questo suo e tuo ruolo trasformativo.

Rifletti su come ti ha influenzato in modo positivo: è stato il suo esempio a motivarti a provare qualcosa di nuovo o a vedere il mondo in modo diverso.

Mettilo in chiaro dicendo: “Quando vedo quanto ti dedichi alle cose che contano per te, mi viene voglia di dedicarmi di più anch’io”.

Quando lodi una donna per i modi i cui risolve i problemi, metti in risalto una delle qualità fondamentali della sua personalità: la sua forza nell’azione.

“Sii sempre te stesso, soprattutto quando il mondo cerca di modellarti diversamente” diceva Seneca.

“La qualità della tua vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri e dalle persone con cui cerchi di condividerli” diceva Marco Aurelio

“Gli uomini non sono turbati dalle cose, ma dalla visione che hanno di esse” diceva Epitteto.

 

Numero3175.

 

da  QUORA

 

Scrive Rose Bazzoli, corrispondente di Quora

 

NON  FUI,  FUI,  NON  SUM,  NON  CURO.   (iscrizione funeraria dell’antica Roma)

 

L’epitaffio è un compendio della vita, secondo la filosofia epicurea:

  • prima di nascere, semplicemente, non esistevo – non fui
  • poi ho vissuto – fui
  • ora sono morto, quindi non ci sono più – non sum
  • e sono libero da ogni preoccupazione – non curo

Gli epicurei non credevano in un al di là e quindi non temevano la morte, che sarebbe stata semplicemente la fine della vita, con tutte le sue preoccupazioni.

In realtà gli epicurei cercavano di raggiungere l’atarassia, cioè l’imperturbabilità, la liberazione da ogni turbamento e paura, ancora mentre erano in vita, evitando tutte le passioni (compreso l’amore) che possono far soffrire.

Numero3138.

 

M I G L I O R A R S I

 

 

“I bambini che vogliono diventare uomini buoni e generosi o donne buone e nobili, dovrebbero cercare di conoscere bene tutta la gente che incontrano. Così scopriranno che tutti hanno qualcosa di buono, e quando vedono in un’altra persona qualche follia, qualche meschinità, qualche vigliaccheria, qualche difetto o debolezza, dovrebbero esaminare attentamente se stessi. Allora vedranno che, forse, anche loro hanno in se stessi qualche difetto simile – forse non altrettanto evidente – e devono cercare di vincerlo.”

Bram Stoker e la possibilità di automigliorarsi

 

Stoker suggerisce che per diventare adulti “buoni e generosi” sia necessario non solo entrare in contatto con molte persone, ma anche imparare da ciascuna di esse. L’autore ci ricorda che nessuno è esente da difetti e debolezze: queste imperfezioni sono ciò che ci accomuna. Vedere una debolezza negli altri diventa, allora, un’opportunità di riflessione personale. Quando ci troviamo di fronte a qualità come la meschinità o la vigliaccheria, dobbiamo ricordarci che siamo tutti potenzialmente inclini a manifestarle.

 

Stoker, con grande sensibilità, esorta a non giudicare superficialmente, ma a fare dell’osservazione un esercizio di auto-miglioramento. Egli propone una forma di umiltà in cui riconoscere che i difetti non ci rendono “peggiori,” ma semplicemente più umani. Secondo Stoker, il vero cammino di crescita si basa su un continuo sforzo di comprensione degli altri e su un’analisi personale delle proprie mancanze, così da trasformare ogni incontro in una lezione che ci avvicini alla nostra versione migliore.

L’idea di Stoker evidenzia una visione matura e profonda del cammino morale: la bontà non nasce solo da una condotta impeccabile, ma dalla capacità di guardare con gentilezza sia agli errori altrui che ai propri. Questo approccio sottolinea un ideale di bontà privo di presunzione, basato sull’accettazione di sé e degli altri come persone imperfette. Riconoscendo i nostri difetti, possiamo meglio accogliere quelli degli altri, senza condannare né emettere giudizi affrettati.

 

La sfida dell’introspezione

 

L’invito di Bram Stoker a una costante introspezione è anche una sfida. Scoprire in noi stessi qualità che talvolta critichiamo negli altri può essere scomodo, persino doloroso. Eppure, è proprio in questa vulnerabilità che risiede la possibilità di crescita. È come se Stoker ci spingesse a lavorare continuamente su noi stessi, non per raggiungere la perfezione, ma per diventare persone più consapevoli e comprensive.

Bram Stoker invita alla generosità d’animo e all’empatia, elementi che, se praticati, rendono i rapporti più autentici. L’autore sembra proporre una “terapia” sociale, un modo per coltivare il miglioramento di sé attraverso l’apertura agli altri. Essere consapevoli dei nostri difetti ci rende più tolleranti e pazienti. In un mondo spesso frenetico e competitivo, la frase di Stoker è un invito a rallentare, a osservare con rispetto, a vivere con umanità.

 

La citazione di Stoker è un insegnamento che invita a guardare con rispetto agli altri e a noi stessi. Il nostro viaggio per diventare “buoni e generosi” non è una semplice strada dritta verso la perfezione, ma un continuo adattamento, una crescita attraverso il riconoscimento delle debolezze comuni. La bontà, per Stoker, è una conquista silenziosa, costruita sulla riflessione e sull’empatia, con la consapevolezza che ogni persona che incontriamo è uno specchio delle nostre stesse imperfezioni.

Inoltre l’automiglioramento è l’unica via per comprendere sé stessi e di conseguenza il mondo che ci circonda, che altro non è che una delle molteplici sfaccettature insite già nella nostra vita.

Numero3003.

 

B I L A N C I O    D I    U N A    V I T A

 

Il più grande rimorso che possiamo avere nella vita

non è per le cose sbagliate che abbiamo fatto,

ma per le centinaia di cose giuste

che abbiamo fatto per le persone sbagliate.

Io non voglio cancellare il mio passato,

perché, bene o male, mi ha reso quello che sono oggi.

Anzi, ringrazio chi mi ha fatto scoprire

l’amore e il dolore, chi mi ha amato e usato,

chi mi ha detto “ti voglio bene” credendoci,

e chi, invece, l’ha fatto solo per i suoi sporchi comodi.

Io ringrazio me stesso per aver trovato

la forza di rialzarmi e andare avanti, sempre.

 

Oscar  Wilde.

 

N.d.R.: in questa lucida riflessione di una grande mente

ritrovo il compendio di tutta la mia vita.

Numero2917.

 

Come si fa a capire chi è veramente un buon amico?

 

da QUORA

 

Scrive Emanuele De Feo, corrispondente di QUORA

 

Papà mi diceva…
per capire chi è un buon amico
organizza una festa
fai una festa bellissima
prendi buone birre
e dei vini sopra i tredici
prendi del buon cibo
e che la musica di sottofondo
sia bella, che possa accogliere tutti
mettila alta
ma non troppo
lascia che i vostri dialoghi
non vengano coperti dagli assoli,
invita amici, mi diceva, invitane tanti,
invita tutti gli amici che conosci

e poi finita la festa
lascia che ognuno prenda la via
che preferisce,
non forzare nessuno a rimanere
non convincere
non prolungare mai la festa
che le feste hanno origini più antiche di noi,
sanno loro quando finire,
tu saluta e augura la buonanotte a tutti
e osserva

osserva bene chi di sua volontà
resta ad aiutarti,
chi ti aiuterà a lavare i piatti
chi ti aiuterà a rimettere a posto
a sistemare le cose,
questi saranno i tuoi buoni amici,
quelli che non ti staranno accanto
solo quando la musica e il vino
gioiranno con le tue buone lune,

i buoni amici
sono quelli che rimarranno
anche quando la tua vita
avrà da offrire solo briciole e disordine

e alla fine di tutto,
mi diceva papà
ricorda, alla fine di ogni bellissima festa
alla fine di ogni momento epico
di ogni grande successo
e di ogni impresa riuscita,
vedrai che accanto a te
resteranno sempre pochissime persone,
ma quelle pochissime
ricordalo sempre,
valgono tutto.

Questo è il metodo che suggerisce Gio Evan, noto scrittore italiano.

Se capisci chi rimane quando la vita ha da offrire solo disordine, allora capirai veramente chi potrai chiamare “amico”.

Numero2911.

 

da QUORA

 

Scrive Heisenberg, corrispondente di QUORA

 

In che modo gli atei dimostrano che non esiste Dio?

 

L’onere della prova spetta a chi afferma che esiste e, come insegna il buon Russell, non è tecnicamente possibile dimostrare l’inesistenza di un umanoide con poteri divini che gioca a nascondino nei dintorni della nostra stella madre.

Ma poi quale Dio? Ne “esistono” letteralmente a migliaia.

Se intendi il Dio delle religioni abramitiche, cioè il tizio onnipotente, quello che ti posso obiettare è al massimo l’illogicità della cosa, ma puntualmente verrei smentito dai fedeli con il solito bla, bla, bla della mente che non può capire Dio. Big Bang, evoluzione, relatività e meccanica quantistica, ma capire una superstizione no; vabbè annuiamo e sorridiamo.

Rivolgendomi però a chi volesse eventualmente utilizzare gli oltre dieci miliardi di neuroni del lobo frontale per qualcosa di più consono alla sua funzione specifica, propongo invece la seguente riflessione.

Onnipotente al mio paese vuol dire ” di potere illimitato”. E potere illimitato, significa energia infinita.

Per cui, se esiste un Dio onnipotente, dev’esserci di conseguenza una quantità infinita di energia; il tutto però non si osserva allo stato attuale delle cose, anche perché una condizione del genere farebbe collassare con ogni probabilità l’intero Universo.

Ergo, in questo contesto, un Dio onnipotente non può esistere.

E se anche esistesse al di fuori non potrebbe comunque interagire, poiché in qualsiasi modo lo faccia trasferirebbe energia infinita e l’Universo, come lo conosciamo, smetterebbe di esistere.

Tra l’altro, pur ammesso che esista al di fuori, il fatto stesso di non poter interagire con la nostra realtà, lo renderebbe irrilevante e pertanto praticamente inesistente anche in questo caso.

Questo è solo uno dei tanti paradossi che vengono a generarsi quando la mente associa proprietà impossibili a determinati personaggi letterari. Io ne ho pensato uno un attimo più interessante, ma basterebbe una riflessione da prima media del tipo:

Dio può creare un muro indistruttibile che neanche lui può distruggere?

No → non è onnipotente. Si → non è onnipotente.

Cioè boh. Sarò strano io, ma non ho mai capito come fa la gente a credere in certe cose.