Relazione tra convenzioni, bias cognitivi e abitudini.
Il bias cognitivo (pronuncia inglese [ˈbaɪəs]) o distorsione cognitiva è un pattern (modello) sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nei processi mentali di giudizio. In psicologia indica una tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppata sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio.
I bias cognitivi sono forme di comportamento mentale evoluto: alcuni rappresentano forme di adattamento, in quanto portano ad azioni più efficaci in determinati contesti, o permettono di prendere decisioni più velocemente quando maggiormente necessario; altri invece derivano dalla mancanza di meccanismi mentali adeguati, o dalla errata applicazione di un meccanismo altrimenti positivo in altre circostanze. Questo fenomeno viene studiato dalla scienza cognitiva e dalla psicologia sociale.
L’etimologia del termine bias è incerta: in italiano arriva dall’inglese, col significato di “inclinazione”, ma a sua volta discende dall’antico francese biais e ancora prima dal provenzale, col significato di “obliquo” o “inclinato”.
Aspetti cognitivi
Il bias è una forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio. La mappa mentale di una persona presenta bias laddove è condizionata da concetti preesistenti non necessariamente connessi tra loro da legami logici e validi.
Il bias, contribuendo alla formazione del giudizio, può quindi influenzare un’ideologia, un’opinione e un comportamento. È probabilmente generato in prevalenza dalle componenti più ancestrali e istintive del cervello.
Dato il funzionamento della cognizione umana, il bias non è eliminabile, ma si può tenerne conto “a posteriori” (per esempio in statistica e nell’analisi sperimentale) o correggendo la percezione per diminuirne gli effetti distorsivi.
Un’applicazione alla sociologia è il modello di propaganda, che vuole spiegare le distorsioni (dette media bias) delle notizie nei mezzi d’informazione.
Cause e condizioni
In ogni momento della vita l’individuo deve utilizzare le proprie facoltà cognitive per decidere cosa fare o per valutare la situazione che ha di fronte. Questo processo è influenzato direttamente dai seguenti fattori:
esperienza individuale;
contesto culturale e credenze;
giudizio altrui;
schemi mentali;
paura di prendere una decisione che causi danno.
Se da una parte questi fattori consentono di prendere una decisione in tempi piuttosto brevi, dall’altra ne possono minare la validità.
La correttezza può dipendere da ulteriori fattori, tra cui, ad esempio, il tempo disponibile per acquisire informazioni o per prendere una decisione.
Esperienza individuale
Ogni persona cerca di valutare la situazione presente in funzione delle esperienze passate, omettendo le differenze ove possibile, al fine di poter riutilizzare gli stessi criteri adottati in una situazione passata simile. Omettere tali differenze può essere determinante nell’invalidazione della valutazione finale.
Contesto culturale, credenze e giudizio altrui
L’individuo tende a omettere certi parametri se nella sua cultura di appartenenza tali aspetti sono visti come tabù, mentre tenderà ad esaltare il ruolo di quelli che sono ritenuti valori positivi.
Schemi mentali
Il cervello agisce sulla base di mappe o schemi mentali validi per affrontare larga parte delle situazioni. Esiste, però, un certo numero di situazioni che possono essere affrontate correttamente solo uscendo dalle mappe mentali consolidate. L’individuo che si limita a utilizzare tali mappe cade in errore quando affronta nuovi scenari.
Paura di prendere la decisione errata
La paura di prendere la decisione errata può portare a prendere la decisione errata, per il famoso paradosso della profezia che si autoavvera.
Tipi di bias cognitivi
Il bias di ancoraggio
L’ancoraggio è un metodo euristico psicologico che descrive la propensione a prendere decisioni basandosi sulle prime informazioni trovate. Secondo questo metodo, gli individui cominciano da un punto di riferimento implicito (l’àncora) e vi fanno aggiustamenti per raggiungere la propria valutazione. Per esempio, il primo prezzo offerto per un’automobile di seconda mano imposta lo standard per il resto della negoziazione, nel senso che un prezzo inferiore sembra ragionevole anche se è comunque superiore al valore dell’automobile. Oppure una caratteristica da considerare diventa talmente dominante in un tutto più ampio tale da informare tutte le sue parti: ad esempio una persona non viene considerata per la sua interezza ma in quanto donna, uomo, nero, bianco, criminale, poliziotto, prima di qualsiasi altra cosa si possa pensare di questa.
L’ancoraggio influisce sul processo decisionale nelle negoziazioni, nelle diagnosi mediche e nelle sentenze giudiziarie.
Apofenia
L’apofenia, nota anche come patternicity, o agenticity, è la tendenza umana a percepire pattern significativi tra dati casuali. L’apofenia è ben documentata come razionalizzazione per il gioco d’azzardo. I giocatori d’azzardo immaginano di vedere pattern nei numeri che compaiono in lotterie, giochi di carte o roulette. Una delle manifestazioni di questo fenomeno si chiama gambler’s fallacy.
La pareidolia è la forma visiva o uditiva dell’apofenia. Si è ipotizzato che la pareidolia combinata con la ierofania fosse d’aiuto nelle società antiche a organizzare il caos e limitare l’entropia al fine di rendere intelligibile il mondo.
Il bias di conferma
Il bias di conferma è un fenomeno cognitivo al quale l’essere umano è soggetto. È un processo mentale che consiste nel selezionare le informazioni possedute in modo da porre maggiore attenzione, e quindi maggiore credibilità, su quelle che confermano le proprie convinzioni e, viceversa, ignorare o sminuire quelle che le contraddicono.Questo processo, se abilmente sfruttato, è uno strumento di potere sociale, in quanto può portare un individuo o un gruppo a negare o corroborare una tesi voluta, anche quando falsa. A tal proposito può farsi riferimento al concetto di argomento fantoccio.
Lo hindsight bias o bias del senno di poi
Un altro tipo di bias cognitivo è lo hindsight bias (Bias del senno di poi), che consiste nell’errore del giudizio retrospettivo. Lo hindsight bias è la tendenza delle persone a credere, erroneamente, di aver saputo prevedere un evento correttamente, una volta che l’evento è ormai noto. Il processo si può sintetizzare nell’espressione: “Ve l’avevo detto io!”. Nella cultura popolare questo processo ha preso forma, nel tempo, con il proverbio “Del senno di poi son piene le fosse”.
Outcome bias o bias di risultato
Con “bias di risultato” s’intende la tendenza a rileggere il passato sulla base di conoscenze acquisite in momenti successivi che modificano la qualità della visione di quello stesso passato.
Bias dei dettagli seduttivi
Se un argomento è supportato da dettagli con informazioni vere e magari importanti, ma non pertinenti o legate all’argomento, questo viene valutato più convincente. Si tende cioè a considerare implicitamente una qualche forma di correlazione con le informazioni vere aggiuntive anche quando, a pensarci bene, non c’è.
Bias di memoria
Esistono molti tipi di bias di memoria, tra cui:
Bias di supporto della scelta: il ricordo di scelte effettuate in passato è migliore del ricordo di possibilità di scelta scartate (Mother, Shafir, Johnson, 2000)
Bias del cambiamento: dopo uno sforzo atto a produrre un cambiamento, il ricordo della propria azione è più difficile di quanto lo era al momento
Amnesia infantile: presenza di pochi ricordi relativi al periodo di vita precedente ai quattro anni (l’età è puramente indicativa)
Bias della coerenza: tendenza a ricordare in modo errato di propri comportamenti, atteggiamenti o opinioni passati, in modo da farli assomigliare a propri comportamenti, atteggiamenti, opinioni presenti
Effetto del contesto: attività passate vengono ricordate più velocemente e/o più accuratamente se, al momento del recupero, ci si trova nello stesso contesto dell’attività in questione (ad esempio, ricordi collegati al proprio lavoro, vengono ricordati peggio se si è a casa)
Effetto del gruppo etnico: tendenza a riconoscere in modo migliore le persone del proprio gruppo etnico, rispetto a quelle degli altri gruppi etnici
Bias dell’egocentrismo: ricordare un evento in modo che soddisfi dei criteri di autostima
Bias della dissolvenza dell’affetto: lo stato affettivo collegato a ricordi spiacevoli si attenua più rapidamente di un affetto relativo ad un ricordo piacevole
Hindsight bias: impressione, ad uno sguardo retrospettivo, di aver predetto un evento, quando in realtà non lo si era predetto, almeno in modo sicuro. Sintetizzabile nell’espressione “Ve l’avevo detto!”
Effetto dell’umorismo: gli eventi a contenuto divertente vengono ricordati meglio di eventi neutri da questo punto di vista. Questo effetto può essere spiegato con l’incremento dei processi cognitivi (sia a livello temporale che come profondità dell’elaborazione) atti a comprendere il messaggio umoristico o con attivazione emozionale causata dall’evento divertente
Effetto dell’auto-produzione: informazioni (ricordi, affermazioni) auto-prodotte sono ricordate meglio di informazioni prodotte da altri e di cui si è venuti a conoscenza
Effetto dell’illusione di verità: il grado di familiarità di un’informazione (ovvero il fatto di possedere in memoria una certa informazione precedentemente acquisita, anche se in modo inconsapevole), porta la persona a crederla come vera, in un compito di riconoscimento, a prescindere dal reale stato di verità dell’informazione.
Effetto del ritardo
Livellamento e affinatura: per livellamento si intende una perdita di dettagli, durante il tempo, dell’evento ricordato. Spesso il livellamento è accompagnato dall’affinatura, ovvero la selezione di certi dettagli in modo tale che i dettagli ricordati assumono un’importanza esagerata rispetto ai dettagli non rievocati. Entrambi i bias possono rinforzarsi vicendevolmente lungo ripetute rievocazioni e narrazioni.
Effetto del livello di elaborazione: differenti modalità di codifica delle informazioni hanno un differente grado di efficacia nella capacità di rievocazione delle informazioni stesse
Effetto della lunghezza della lista: più la lista è lunga, maggiore è il numero assoluto di elementi ricordati
Attribuzione erronea o amnesia della fonte: mancato richiamo della fonte di un’informazione, ovvero il contesto spazio-temporale dell’evento ricordato.
L’attribuzione erronea è stata divisa in:
confusione della fonte: è una forma di attribuzione erronea (o amnesia della fonte) in cui il contesto spazio-temporale di un’esperienza viene scambiato con un altro contesto. Per esempio, credere di aver assistito ad un evento per strada, mentre invece lo si è visto al televisore
criptomnesia
falso richiamo/riconoscimento
Effetto della modalità: il richiamo di una lista di argomenti è migliore se la lista è stata presentata in forma orale invece che in forma scritta
Bias della congruenza dell’umore: le informazioni congruenti con l’umore al momento del ricordo, vengono richiamate più facilmente
Effetto del prossimo a turno: in una discussione a turno in un gruppo, i ricordi di ciò che è stato detto dalla persona immediatamente precedente e quella successiva a sé sono ricordati peggio
Effetto Osborn: L’intossicazione con sostanze psicoattive diminuisce la capacità di richiamo di pattern di movimento dai gangli della base
Effetto di indizio parte-lista
Effetto dell’informazione errata: un’informazione errata data al soggetto prima del richiamo di un evento, porta a delle modifiche nel ricordo che tendono ad essere coerenti con l’informazione errata
Effetto picco-fine: di un’esperienza, vengono ricordati meglio i momenti emotivamente intensi e il come si è conclusa
Persistenza di un ricordo: ricordo consapevole involontario e indesiderato di ricordi, spesso traumatici. La presenza di questo processo è uno dei criteri diagnostici del disturbo post-traumatico da stress
Effetto della superiorità dell’immagine visiva: uno stesso elemento è più facilmente richiamabile alla memoria se è stato presentato in forma visiva rispetto che in forma scritta
Effetto della positività: le persone anziane richiamano più facilmente i ricordi piacevoli che quelli negativi
Effetto primacy ed effetto recency: di una lista di item, vengono ricordati più facilmente gli elementi finali e quelli iniziali, seppur in misura minore. Gli elementi centrali sono quelli ricordati peggio
Effetto della difficoltà di elaborazione
Balzo della reminiscenza: gli eventi autobiografici relativi alla propria adolescenza e alla prima età adulta vengono ricordati meglio rispetto agli eventi di altri periodi della propria vita
Retrospettiva rosea: quando il passato viene ricordato in modo più positivo di quello che è stato in realtà
Effetto della rilevanza per il Sé: le informazioni che sono collegate alla propria persona sono ricordate meglio di informazioni simili ma riferentesi ad altre persone
Effetto dell’intervallo: più l’arco di tempo di esposizione a un’esperienza è lungo, migliore sarà il successivo richiamo
Bias dovuto allo stereotipo: si ha quando vengono aggiunti o distorti elementi di un ricordo, in modo tale che questi elementi siano coerenti con uno stereotipo (ad esempio, di genere o di razza)
Effetto del suffisso: indebolimento dell’effetto di recency allorquando viene aggiunto, in fondo alla lista, un item che non è richiesto di rievocare (Morton, Crowder & Prussin, 1971)
Suggestionabilità: forma di attribuzione erronea con la quale idee suggerite da un interlocutore sono scambiate come ricordi propri
Effetto telescopio: tendenza a posizionare cronologicamente gli eventi in memoria, in modo che gli eventi recenti risultino più lontani nel tempo rispetto a ciò che erano veramente, e quelli più remoti più vicini
Effetto della verifica: materiale da ricordare sottoposto frequentemente a verifica viene ricordato meglio
Fenomeno “sulla punta della lingua”: si ha quando viene rievocato parte dell’item o informazioni correlate allo stesso ma non si riesce a rievocare l’intero item. È caratterizzato da un senso di frustrazione. Si pensa sia una forma di blocco mentale dovuta all’interferenza prodotta dalla rievocazione simultanea di elementi con caratteristiche simili
Effetto “parola per parola”: il senso generale di un discorso, viene ricordato meglio delle parole precise dette (Poppenk, Walia, Joanisse, Danckert & Köhler, 2006).
Effetto von Restorff: un item che si distingue dagli altri per qualche caratteristica è ricordato meglio (von Restorff, 1933).
Effetto Zeigarnik: azioni o compiti non completati o interrotti vengono ricordati meglio rispetto a quelli portati a termine
Survivorship bias: è un errore logico che consiste nel concentrarsi su persone o cose che in passato hanno superato dei processi di selezione ed ignorare completamente coloro che non li hanno superati solo perché poco conosciuti. È un bias che può comportare errori di valutazione estremamente gravi soprattutto in ambito finanziario, economico ed ingegneristico (ad esempio si può credere che gli edifici vecchi fossero fatti meglio perché più “resistenti”, quando invece al giorno d’oggi noi vediamo solo una piccolissima parte degli edifici antichi poiché la maggior parte sono crollati o comunque ritenuti inagibili nel corso dei decenni)
Applicazioni
Nel metodo scientifico
Nella scienza sperimentale e applicata, i bias costituiscono dei fattori psicologici che intervengono nella verifica delle ipotesi, influenzando ad esempio la registrazione dei risultati. Possono essere d’origine culturale, cognitiva, percettiva, e tendono in particolare a confermare una certa previsione al di là di quella che può essere l’evidenza.
Il bias può essere considerato come un errore sistematico. Nelle pubblicazioni scientifiche si cerca di escludere queste distorsioni tramite la revisione specialistica (detta peer review).
Nelle scienze sociali
Molte ricerche scientifiche, soprattutto nel campo delle scienze sociali, sono viziate dal fatto che i risultati dei test rappresentano solo una piccola fetta di popolazione mondiale, chiamata con l’acronimo WEIRD (Western, Educated, Industrializated, Rich, Democratic), ovvero persone occidentali, istruite, ricche e democratiche. Tale distorsione prende il nome di WEIRD bias.
Nel marketing
Il meccanismo del bias può essere utilizzato al fine di ottenere un vantaggio nella negoziazione e/o nella vendita. Il settore della pubblicità si basa largamente sull’uso di bias piuttosto che sulle reali capacità dei prodotti offerti.
Il negoziatore o il venditore possono far cadere il cliente in una trappola cognitiva utilizzando tecniche che fanno leva sui fattori di bias. Al fine di indurre il cliente a cadere in trappola, il venditore può accorciare i tempi, fare leva sul contesto culturale e sulle credenze del compratore e fornire informazioni addizionali, non sempre veritiere, che hanno lo scopo di oscurare le informazioni già a disposizione del compratore.
Anche le truffe ai danni delle persone anziane si basano sull’innesco di trappole cognitive. Gli anziani tendono infatti a essere più soggetti a cadere nel bias, a causa della minore adattabilità dei processi cognitivi.
Il giorno 6 del mese di Novembre del 2018, cioè tre anni fa, nasceva questo BLOG.
Colgo questa occasione per fare gli auguri di Buon Anniversario al BLOG, a me stesso, e dire il mio grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno gratificato e onorato della loro presenza come seguaci ( i followers sono un’altra cosa), ai più o meno assidui lettori che hanno dedicato un po’ del loro tempo, non solo alla semplice lettura, ma anche alla partecipazione con commenti che ho sempre, immancabilmente e volentieri, pubblicato. Ad maiora.
Green Pass sì, Green Pass no. Green Pass obbligatorio, dove, quando, Questioni e dibattiti a non finire.
Il Green Pass è diventato un passaporto, equivalente ad un permesso e, per questo, sarebbe limitativo della libertà personale.
Ci sono persone che non digeriscono alcuna limitazione della libertà. Non recepiscono, forse, il principio, universalmente riconosciuto, che la libertà assoluta non esiste, perché quella individuale confligge con quella collettiva. Anche gli altri vorrebbero godere della stessa libertà di cui godi tu.
Io sono un liberista convinto, ma intendo che la mia libertà possa venir condizionata da quella degli altri, o dalle loro necessità. Perciò faccio una riflessione metodologica e pongo, innanzitutto a me stesso, e poi a tutti, una semplice, stupida domanda, che, però, è in cerca di una risposta intelligente.
Domani mattina, io devo montare in macchina, per uscire, andare al lavoro, andare in un posto qualunque, mettendomi sulla strada.
Sarei contento di sapere che gli altri conducenti di milioni di macchine sono sprovvisti della patente e dell’assicurazione?
Non è rilevante che io abbia patente ed assicurazione: è una sicurezza per me ed anche per gli altri. Ma come faccio io a sentirmi sicuro, circolando per strada a stretto contatto con le altre macchine, di cui non conosco la capacità di gestire correttamente le regole della circolazione? Fatevi, anche voi, questa domanda e cercate di darvi la risposta intelligente che riscatti la stupidità della domanda stessa.
Quando Gandhi studiava giurisprudenza all’Università di Londra, aveva un professore, Peters, che non lo sopportava.
Gandhi, però, non era tipo da lasciarsi intimidire.
Un giorno il professore stava mangiando nel refettorio e Gandhi gli si sedette accanto.
Il professore disse: – “Signor Gandhi, lei sa che un maiale e un uccello non possono mangiare insieme?”
“OK, Prof, sto volando via ….” – rispose Gandhi, che andò a sedersi ad un altro tavolo.
Il professore, profondamente infastidito, decise di vendicarsi al successivo esame, ma Gandhi rispose brillantemente a tutte le domande.
Allora decise di fargli la domanda seguente: – “Signor Gandhi, immagini di stare per strada e di notare una borsa; la apre e vi trova la saggezza e molto denaro. Quale delle due cose tiene per se?”
“Certamente il denaro, Prof!”
“Ah, io invece, al posto suo, avrei scelto la saggezza”.
“Lei ha ragione, Prof, in fondo, ciascuno sceglie quello che NON ha!”
Il professore, furioso, scrisse sul libretto la parola IDIOTA e glielo restituì.
Gandhi lesse il risultato della prova e tornò subito indietro ….
“Professore, lei ha firmato l’esame ma si è dimenticato di mettere il voto!”
P I A C E R E E D E V O L U Z I O N E Le endorfine, motore della civiltà e del progresso.
C’è poco da meravigliarsi e, ancor meno, da fare. È sempre più evidente, alla luce dei recenti studi e delle conoscenze acquisite, che l’animale uomo ha un codice genetico prescritto, nel senso che è scritto prima: fin dalla nascita di un individuo umano, saremmo in grado di conoscere praticamente tutto il suo percorso esistenziale, le sue caratteristiche fisiche e psicologiche, addirittura la data della sua morte.
Siamo davanti ad un determinismo quasi tragicomico, che ci potrebbe indurre nella banale e, al tempo stesso, ridicola considerazione: ma che diavolo siamo venuti a fare in questo mondo?
Se tutto è già stabilito, se nulla ci è dato da sviluppare, da modificare, da migliorare rispetto a quanto previsto dall’algoritmo della vita, pur personalizzata e specificata, che siamo destinati ad attraversare, qual è il nostro compito di viventi mortali?
Non mi pare una domanda stupida.
Ebbene, nel pormi tale quesito, adesso che della mia vita sono verso la fine, mi si è aperto davanti uno scenario di meditazione e di riflessione che mi ha incuriosito e solleticato. E che vado a sviscerare, con tutte le cautele del caso, data l’importanza cruciale del tema.
L’analisi sommaria della storia umana ci dice, tuttavia, che, nello scorrere di decine di millenni, passi avanti se ne sono fatti, dalle condizioni primordiali di uomini delle caverne agli agi e disagi di oggi. Sì, anche disagi, e molti. C’è chi pensa che l’evoluzione dell’umanità verso condizioni di civiltà, di sicurezza, di maggior benessere sia addirittura su una china rapidamente decrescente, a causa degli usi ed abusi che l’uomo sta facendo del patrimonio naturale che aveva come dotazione di partenza.
Ma, tutto considerato, il miglioramento verso condizioni di vita molto più accettabili e godibili è un dato di fatto.
La domanda che mi pongo è questa: cosa ha spinto l’uomo a cercare, trovare e consolidare un livello di esistenza, nel vivere civile, individuale e sociale, sempre più elevato, evoluto, proteso verso la soddisfazione dei propri bisogni materiali e sogni spirituali e mentali? Insomma, qual è la molla che ha spinto l’uomo verso il progresso personale e collettivo, nel corso dei millenni, a dispetto del fatto che tutto sarebbe bloccato, già stabilito, predestinato, a partire dalla fase finale del suo percorso, cioè la morte?
La risposta, secondo la mia opinione, sta nella ostinata, pervicace, quasi maniacale ricerca del piacere.
Nel quotidiano esercizio biologico, l’essere umano ha sviluppato, all’interno dei suoi meandri cerebrali, il modo di secernere stimolanti ormonali, di implementare neurorecettori, neurotrasmettitori, impulsi elettrici pulsionali per concepire e realizzare le condizioni per vivere più felicemente.
Consapevole della limitatezza temporale della propria esistenza, ha istintivamente, ma naturalmente, concepito e coltivato il sogno e il bisogno di vivere meglio. E questo è avvenuto, e sta ancora in larga parte avvenendo, in maniera endogena, ovvero attingendo a supporti da lui stesso prodotti, dentro il corpo in dotazione.
La produzione di dopamina, di serotonina, di noradrenalina e di altre endorfine, è la chiave del progresso umano e della sua evoluzione. Sono tutte sostanze che l’uomo secerne dalle proprie ghiandole e da altri sistemi e organi predisposti e che fluiscono, attraverso il sistema sanguigno, fino a raggiungere ogni punto, pur periferico, del corpo: portano un aumento delle sensazioni di piacere e di benessere, oppure un’attenuazione delle sensazioni di dolore e di stress.
Il meccanismo di questa funzione è descritto nelle informazioni tecnico scientifiche che seguono e che invito il lettore a non trascurare, per la miglior comprensione di quanto vado esponendo.
A me rimane ancora di fare qualche altra considerazione sull’argomento. Non sempre l’uomo ha avuto il tempo e il modo di cercare la propria felicità fisica e psicologica attraverso le capacità endogene di secernere endorfine: spesso, anzi, è ricorso a delle scorciatoie molto pericolose, la cui frequentazione ed adozione comportano sempre un corrispettivo, in termini di salute complessiva, oltremodo devastante: le droghe.
Per sopperire alla propria inettitudine o malessere o disadattamento, magari solo per curiosità o per sfida o per vizio, per procurarsi i brividi di sensazioni esaltanti di benessere di poche ore o di pochi minuti, un uomo ricorre a questo surrogato di felicità perché non è in grado di organizzare autonomamente il ricorso alle sue droghe naturali che non danno mai assuefazione ma che danno sempre soddisfazione, quelle che produce in proprio: le endorfine, il “fai da te” del benessere.
Ma, tornando all’argomento di partenza, vorrei anche fare una considerazione di carattere generale sull’uomo, sulla sua storia, sul suo rapporto con il piacere e il benessere, e sui condizionamenti sociali che nei millenni sono stati messi in atto per limitare, scoraggiare, tarpare la propensione dell’uomo verso la felicità.
Il concetto formatore ed informatore delle religioni, sto pensando alle tre grandi religioni monoteiste, nei secoli passati ed anche oggi, non è mai stato a favore della felicità dell’uomo, così come la intendo e descrivo qui sopra.
L’uomo è mortale, l’uomo è peccatore, anzi,” il peccato originale” è quello di essere nato: è una tara che si porta appresso tutta la vita. Questa vita deve spenderla per espiare tale condizione, ricorrendo a rinunce, osservando rituali, obbedendo a frustrazioni innaturali che gli impediscono di perseguire la propria ricerca del benessere.
Tale stato di costrizione e di castrazione è salvaguardato da un complesso di norme etiche concepite da uomini per gli uomini, nel nome di un Dio. E ogni religione ci mette il suo.
È la natura che spinge l’uomo verso il benessere, cercando e realizzando il piacere: le religioni lo condannano.
In termini di evoluzione, mi sento di indicare un esempio storico che attiene alle espressioni figurative artistiche nell’arco dei secoli. Prendete, ad esempio, l’arte figurativa della Grecia antica, dai bronzi di Riace alle statue marmoree della bellezza classica, che ci sono rimaste, nei musei di tutto il mondo occidentale. Dal punto di vista figurativo, cioè intendendo solo la riproduzione della realtà, che era tanto più apprezzata quanto più somigliante al vero, erano artisticamente inarrivabili. Tant’è che il Rinascimento, nostro ed europeo, con uno scatto e riscatto, con una svolta epocale, aveva fatto riferimento a questi canoni di perfezione stilistica per dare al mondo le opere d’arte che conosciamo. Come pure gli affreschi pompeiani che possiamo ammirare ancora oggi sulle pareti delle ville meglio conservate della città vesuviana: erano riproduzioni di personaggi della mitologia o della vita reale o del mondo naturale con caratteri figurativi esteticamente molto belli e raffinati. E il mondo greco e romano aveva un concetto della vita privata molto liberale, per non dire libertino: la ricerca del piacere era una cosa naturale e questo traspariva anche nelle raffigurazioni senza tabù e senza censure di cui si circondavano.
Prendete, invece, le statue e i dipinti di più di mille anni dopo, le produzioni artistiche, che io chiamerei piuttosto artigianali, del Medioevo, periodo nel quale la cappa di piombo della religione Cristiana, in Europa, aveva soffocato e represso ogni slancio artistico verso il bello, fosse anche di soggetto religioso. Confrontate le rappresentazioni, che sono della stessa natura figurativa, cioè tentativi di riprodurre il reale, e vi accorgerete, a ragion veduta, che le figure della classicità greco-romana sono infinitamente più belle, dal solo punto di vista figurativo, di quella medioevali. Questo per dire che, storicamente, si era verificato un regresso delle sensibilità e delle capacità artistiche di rappresentazione indotto dall’oscurantismo delle autorità religiose Cristiane, che avevano in odio il sillogismo greco “kalòs kai agathòs” (il bello è buono), che aveva etichettato i pensieri e le opere del mondo classico aperto, anzi spalancato, a quelle che si chiamavano le “arti liberali”.
Le espiazioni, le penitenze, i castighi e le pene per i peccati commessi, non avevano bisogno di essere rappresentati in maniera elegante e ben eseguita: bastava la stucchevole approssimazione e la banalità becera dell’artigiano poco erudito, invece che la raffinatezza dell’artista acculturato e sensibile. Non avevano miglior sorte Santi, Martiri, Madonne e Cristi in croce raffigurati da artigiani senza cultura e buon gusto estetico, sotto i dettami delle commesse clericali. Per quanto riguarda le rappresentazioni “artistiche”, comprese quelle religiose, uno scadimento generale dal punto di vista qualitativo è la costante identificativa del Medioevo Cristiano in Europa.
La ricerca del piacere , nel Medioevo, era un peccato da consumare ipocritamente di nascosto.
Mentre invece, lenire il dolore e dare sollievo alla sofferenza erano una pratica che cadeva sotto la vigile gestione del clero, secondo una filosofia che non ho mai capito né condiviso, perché innaturale e disumana. Il fatto che, secondo la religione Cristiana, Gesù si era sacrificato per noi sulla croce, fra atroci sofferenze, sembra abbia conferito agli addetti ai lavori (rappresentanti religiosi a tutti i livelli, compresi quelli di bassa manovalanza) il compito e il diritto di ridistribuire le Cristiane sofferenze corporali ai fedeli, con un accanimento antiterapeutico incredibile e una libidine sadica inaudita.
Non parlo, certamente, della Santa Inquisizione che ha inflitto pene e torture efferate a ipotetici indiavolati od eretici, ma parlo di una consuetudine inveterata e in vigore fino ad una cinquantina di anni fa, che io ho visto e aborrito: la funzione infermieristica e assistenziale, in nome della carità Cristiana, negli ospedali, nei luoghi di cura, negli ospizi era affidata a solerti suorine che, oltre a dare effettivamente aiuto nella gestione degli infermi, quando uno di questi si trovava in condizioni di insopportabile sofferenza ed era in preda a dolori lancinanti, persino in punto di morte, anziché dargli sollievo per mezzo di analgesici e quant’altro, che pure esistevano, si limitava a ficcargli un fazzoletto in bocca e a mettergli un rosario nelle mani. In nome dell’espiazione dei peccati che aveva commesso e a similitudine dei patimenti dell’icona Cristiana di Gesù crocifisso. Adesso le cose sono cambiate, ma si tratta dello stesso taglio mentale di coloro che, a tutt’oggi, si oppongono all’eutanasia. Un buon Cristiano deve soffrire fino alla morte.
La religione Cristiana, molto più di tutte le altre, non è favorevole al piacere, perché ha fatto della sofferenza un paradigma comportamentale di redenzione e di sublimazione. Il Cristianesimo è la religione del dolore.
Alcune religioni, come l’Induismo (che conta quasi un miliardo di fedeli), sono invece cassa di risonanza per il godimento dei piaceri fisici (vedi il Kamasutra) e non considerano peccaminoso niente che riguardi, ad esempio, la sfera sessuale.
In generale, tuttavia, le religioni monoteiste (Cristianesimo, Islam, Ebraismo) non sono amiche del piacere.
Ma, il piacere l’uomo lo concepisce e lo produce in proprio: per godere di uno stato di benessere non serve ostentarlo o dimostrarlo agli altri, magari arrecando disturbo, basta provarlo dentro di sé, perché dentro di sé, autonomamente, sono prodotte le sostanze neurochimiche che possono provocarlo.
Perché le religioni devono controllare la mia intimità, la mia privacy, la mia sfera privata?
È forse questo ragionamento un atto di superbia di chi non si vuole chinare alle autorità di controllo della persona e della personalità?
Qualcuno la chiami superbia, o insubordinazione, io la chiamo libertà.
N.d.R. Quello che sotto riporto è un articolo de IL FATTO QUOTIDIANO in data 29 Settembre 2020, pubblicato 3 giorni dopo la mia stesura del Numero2067.
L’articolista è Marco Marzano, Professore Ordinario di Sociologia all’Università di Bergamo.
Fine vita, nel duro documento vaticano noto due cose. La prima: nessuna conoscenza della realtà
Nei giorni del caso Becciu che tanto appassiona i vaticanisti di ogni parrocchia è passata quasi sotto silenzio la pubblicazione, da parte della Congregazione della Dottrina della Fede, di un lungo documento sull’eutanasia e il fine vita. Il testo è importante e solenne e fa ancora una volta chiarezza sull’impianto culturale e politico che contraddistingue gli interventi ufficiali delle autorità cattoliche.
Due elementi mi hanno colpito più degli altri nella durissima requisitoria antieutanasica redatta dall’organismo guidato dal potente cardinal Luis FranciscoLadaria, uomo di fiducia di Francesco che lo ha nominato prefetto della congregazione in sostituzione del tedesco Muller.
Il primo elemento è metodologico e consiste nella totale assenza di una seria analisi empirica. Gli estensori del documento affrontano temi enormi come le cure palliative, l’accanimento terapeutico, il suicidio assistito senza mostrare nessuna traccia di conoscenza della realtà, senza nessuna reale competenza. E’ infatti altamente improbabile che qualcuno tra le migliaia di operatori sanitari che ogni giorno affrontano la fine della vita altrui sia mai stato interpellato per redigere il documento.
Se questo fosse avvenuto, non solo sarebbero confluiti nel testo la complessità, le ambiguità, i paradossi, le mille sfumature che caratterizzano la drammatica realtà della fine della vita nel nostro tempo, ma sarebbero state evitate affermazioni puramente impressionistiche e di senso comune, del tutto prive di un solido fondamento, come quella secondo la quale solo la fede religiosa nell’esistenza dell’aldilà riduce la paura della morte. E se invece fosse vero il contrario? Se il timore dell’imminente giudizio di Dio aumentasse in modo formidabile l’angoscia di chi muore? In assenza di affidabili dati empirici è impossibile stabilire quale sia la verità e quindi se muoiano più serenamente i credenti o i non credenti. E questo è solo un esempio tra i tanti.
Il fatto è che nella Samaritanus Bonus le citazioni sono solo quelle dei pontefici e dei documenti vaticani e che il testo consiste esclusivamente di prescrizioni, obblighi e ricette tutti ricavati da un impianto dottrinale astratto e povero, immutato nel tempo e applicato meccanicamente ad una specifica realtà sociale. Per questa ragione, per il suo carattere integralmente dogmatico e ideologico, esso convince solo chi è già convinto, risultando del tutto inutile per chi deve confrontarsi con la realtà del morire, per il personale sanitario, per le famiglie dei morenti, per gli psicologi e persino per gli stessi sacerdoti impegnati nell’attività pastorale negli ospedali e negli hospices.
Il secondo elemento che mi ha colpito è la negazione alla radice di qualsiasi forma di riconoscimento dell’autonomia e della libertà dei soggetti. Si legge nel documento che “sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa affatto riconoscere la sua autonomia e valorizzarla, ma al contrario significa disconoscere il valore della sua libertà”. In altre parole, secondo gli autori del documento, quando chiede di porre termine alla sua vita, un individuo pretende di esercitare un diritto che non possiede. E’ un motivo analogo a quello che porta a negare la legittimità di richiedere un aborto o di usare degli anticoncezionali, di divorziare o di congiungersi a una persona dello stesso sesso. La voce di chi pretende di negare la legge di Dio, secondo la gerarchia cattolica, non solo non va ascoltata perché nasce da un’errata e distorta interpretazione della propria libertà, ma va messa fuori legge, va considerata empia e criminale. Ed empie e criminali devono essere giudicate quelle legislazioni che la consentono. In questo modo di procedere non rileva il fatto che, nelle nostre società, esistano tanti individui che all’esistenza di Dio non credono o che ritengono che quella annunciata dalla Chiesa Cattolica non sia la sua legge autentica.
Quello sullo sfondo del documento, e quello dell’intera dottrina morale cattolica, si conferma, in barba a tutte le promesse di rinnovamento, un orizzonte squisitamente teocratico, nel quale la legge divina deve travasarsi sic et simpliciter nella legislazione dello stato, informandola di sé e impedendo ogni pluralismo di valori, sbarrando la porta ad ogni dialogo con chi la pensa in modo diverso.
Viene da chiedersi cosa rimanga della tanto sbandierata “rivoluzione della misericordia” annunciata dai supporters di Francesco come segno distintivo e qualificante del pontificato argentino. A me sembra, al contrario, che anche qui, come su altri terreni (il celibato ecclesiastico, la presenza femminile, il ruolo della curia, eccetera) i duecento anni di ritardo della Chiesa rispetto al mondo moderno lamentati a suo tempo dal cardinal Martini si notino tutti, non uno di meno.
N.d.R. Aggiorno l’argomento pubblicando un articolo del giornalista Carlo Troilo , in data 3 Ottobre 2020, su IL FATTO QUOTIDIANO.
Fine vita, il Vaticano potrebbe ostacolare ancora la discussione in Parlamento: l’ennesima intromissione
Nel cuore dell’estate – il 14 luglio – Papa Bergoglio ha approvato una “lettera” della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla eutanasia, dal titolo Samaritanus Bonus: un documento molto ampio, in cui l’eutanasia è condannata senza eccezioni né attenuanti come un atto di crudeltà, con toni che definirei brutali.
Proprio perché nella “lettera” non vi è nulla che non sia stato detto e ripetuto infinite volte dal Papa e dalle alte gerarchie ecclesiastiche, colpisce questa uscita a freddo. E legittima il sospetto che il Vaticano si prepari ad ostacolare ancora una volta l’avvio della discussione in Parlamento della legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione della eutanasia, presentata dalla Associazione Luca Coscioni il 13 settembre del 2017 (dunque, da più di tre anni) con 76mila firme di cittadini/elettori, che nel frattempo sono diventate 136mila.
Probabilmente, preoccupa il Vaticano anche il fatto che per iniziativa della Associazione si è costituito un “Intergruppo Eutanasia”, cui si sono già iscritti 72 parlamentari, fra deputati e senatori. Per non dire del continuo aumento degli italiani favorevoli alla eutanasia e/o al suicidio assistito: il dato più recente è quello fornito da uno studio dell’Eurispes sui temi etici, da cui risulta che gli italiani favorevoli alla eutanasia sono il 75,2% (erano il 55,2% nel 2015). Ed è importante notare che questo orientamento degli italiani è comune anche alle regioni più caratterizzate da un orientamento politico di destra e da una forte tradizione cattolica: ne è prova l’indagine annuale dell’Osservatorio del Nord Ovest pubblicata dal Gazzettino.
Fortunatamente, l’ascendente della Chiesa sugli italiani è sempre meno rilevante. Franco Garelli, che insieme ad altri sociologi ha curato una voluminosa indagine per la conferenza episcopale, prova a delimitare l’area di quanti possano dirsi veramente cattolici nell’Italia di oggi. “I credenti militanti – spiega – coloro che fanno parte di gruppi, associazioni, movimenti e danno grande rilevanza all’esperienza comunitaria della fede sono circa un 10 per cento. I praticanti assidui, che però non avvertono l’esigenza di una vita religiosa collettiva e di una visibilità, sono un altro 15-20 per cento. Sommando entrambi i gruppi si arriva ad un 30 per cento di credenti regolari”.
In un articolato e duro commento alla Samaritanus bonus, il dottor Mario Riccio – il medico che aiutò a morire Piergiorgio Welby, dirigente della Associazione Coscioni – rileva che il documento vaticano arriva due settimane dopo l’annuncio del deputato del M5S Giorgio Trizzino, medico palliativista, che ha confermato la calendarizzazione del ddl entro ottobre, dopo due anni di audizioni. E Riccio esprime con forza la sua indignazione per il fatto che il Vaticano – come ai tempi dei primi aborti – torni a trattare i medici favorevoli alla eutanasia come “sicari”, ignorando una serie di fenomeni che si possono così sintetizzare:
1. Le leggi che in molti paesi del mondo – comprese due importanti comunità autonomiche della cattolicissima Spagna – hanno legalizzato l’eutanasia;
2. Lo sdegno della maggioranza degli italiani per la durezza della Chiesa in vicende (Welby, Englaro, Dj Fabo), che hanno profondamente commosso l’opinione pubblica del nostro paese;
3. Le assoluzioni di Marco Cappato nel caso del Dj Fabo e di Cappato e Welby nel caso Trentini;
4. La sentenza della Corte Costituzionale legata alla vicenda di Fabiano Antoniani, fortemente innovativa in materia di eutanasia.
Dunque, siamo di fronte ad un ennesimo episodio di intromissione della Chiesa nelle vicende politiche italiane, che purtroppo trova una sponda nell’elevato numero di parlamentari “teodem”, o comunque attenti a non contrastare apertamente queste intrusioni per il timore di perdere simpatie (e voti) fra l’elettorato cattolico.
Forse è il caso di ricordare che la Chiesa – che quando si parla di eutanasia invoca la sacralità della vita – fu l’ultimo degli Stati italiani, prima dell’Unità, ad avere nel proprio ordinamento la pena di morte. L’ultimo giustiziato fu Agabito Bellomo, un brigante condannato per omicidio e ghigliottinato a Palestrina il 9 luglio 1870, due mesi prima della conquista di Roma da parte delle truppe sabaude. E solo nel 2001 la pena capitale è stata formalmente abolita per iniziativa di Papa Giovanni XXIII (in Italia era stata abolita nel 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione). Per non parlare della Inquisizione e delle sue torture.
N.d.R. Quello che segue è un “copia e incolla” di informative che si trovano sul WEB, da me selezionate.
Non meravigliatevi di qualche ripetizione.
Segnalo, inoltre, agli interessati che molte notizie utili si possono trovare sotto il TAG “Cervello”.
Le endorfine sono un gruppo di sostanze chimiche prodotte dal cervello, nel lobo anteriore dell’ipofisi, classificabili come neurotrasmettitori. Dotate di una struttura peptidica e di proprietà analgesiche e fisiologiche simili a quelle della morfina e dell’oppio, presentano tuttavia una portata ben più ampia rispetto a queste ultime.
Caratteristiche
Quando un impulso nervoso raggiunge la colonna vertebrale, le endorfine vengono rilasciate in modo da prevenire un ulteriore rilascio di questi segnali. Sono presenti nei tessuti degli animali superiori e vengono rilasciate in particolari condizioni e in occasione di particolari attività fisiche estenuanti: atleti di livello avanzato, ad esempio, diventano “dipendenti” dall’allenamento intenso proprio perché causa un grande rilascio di endorfine. Anche una forte emozione rilascia endorfine, così come l’ingestione di certi cibi, ad esempio la cioccolata e in generale alimenti dolci o comunque ricchi di carboidrati ma anche lo strofinamento prolungato sulla pelle, come avviene durante il massaggio, permette una grande produzione di endorfine.
Numerose ricerche si stanno ancora effettuando in proposito, ma è opinione comune che le endorfine svolgano un’azione di coordinazione e controllo delle attività nervose superiori, tanto da poter essere eventualmente correlate con l’instaurarsi di espressioni patologiche del comportamento nel caso in cui il loro rilascio divenisse incontrollato.
Come anche numerosi alcaloidi di derivazione morfinica, le endorfine sono in grado di procurare uno stato di euforia (specie se unite all’adrenalina, che è un ormone secreto dalle ghiandole surrenali della categoria delle catecolammine) o di sonnolenza più o meno intenso a seconda della quantità rilasciata; questi stessi effetti si possono riscontrare anche durante l’orgasmo, da cui deriva la tipica condizione fisica correlata. Le endorfine diminuiscono anche la fatica e il dolore cronico e non troppo acuto.
L’espressione Endorphin rush (letteralmente “scarica di endorfina”) si usa per indicare una sensazione di stanchezza dovuta al dolore, specie acuto, o un’altra forma di stress. Studi collegano forme di autolesionismo e di masochismo fisico (algolagnia) al piacere derivato dal rilascio di endorfine.
Runner’s high
Con l’espressione Runner’s high (letteralmente “sballo del corridore”) si intende la sensazione di euforia, simile a quella derivante dall’assunzione di certe sostanze stupefacenti, riscontrata da molti atleti durante la pratica sportiva prolungata.
Prima che fossero compiute ricerche mirate al riguardo, questa condizione era per lo più attribuita a cause psicologiche invece che a una causa neurochimica: infatti alcune ricerche risalenti al 2008 hanno provato la dipendenza di questa sensazione euforica dal rilascio di endorfine da parte dell’ipofisi durante l’esercizio fisico di una certa durata, che varia da soggetto a soggetto ma in genere non è mai inferiore ai trenta minuti consecutivi.
Essendo necessario uno sforzo prolungato, il runner’s high è molto più frequente in atleti specializzati nelle attività aerobiche come la maratona, da cui il nome, o il ciclismo.
La produzione di endorfine nel nostro organismo può dar luogo ad una piacevole sensazione di benessere. Le endorfine inoltre aiutano ad alleviare il dolore. Queste sostanze fanno parte di antichi meccanismi di sopravvivenza, che ci hanno permesso di continuare a lottare anche quando siamo sotto stress.
Cosa sono le endorfine? Le endorfine sono delle sostanze prodotte dal cervello nel lobo anteriore dell’ipofisi. Vengono classificate come neurotrasmettitori. Hanno proprietà analgesiche che le rendono più potenti persino della morfina. Del resto il termine endorfine significa “morfine endogene”, cioè morfine prodotte dal nostro organismo. Una forte emozione o un allenamento intenso possono provocare il rilascio di endorfine.
Le endorfine ci aiutano anche a recuperare dopo un infortunio. La produzione può essere influenzata da diversi fattori, ad esempio da odori e profumi piacevoli. Sono davvero molti i modi per stimolare la produzione di endorfine nel nostro organismo in modo naturale. Ve ne suggeriamo dieci.
Indice
Allenarsi e praticare sport
L’attività fisica aiuta l’organismo a rilasciare endorfine. La sensazione di benessere provata dagli sportivi durante gli allenamenti per qualche tempo era stata correlata a motivazioni psicologiche, ma in seguito la scienza si è resa conto che il rilascio di endorfine associato ad un allenamento (di almeno trenta minuti) ha cause neurochimiche. Il fenomeno del “runner’s high”, una vera e propria euforia da sport e da corsa, è più frequente nei ciclisti e nei maratoneti perché la loro attività fisica è molto prolungata. Ma chiunque abbia mai praticato uno sport conosce bene le sensazioni di benessere che ne possono derivare.
Gustare il proprio cibo preferito
Mangiare il proprio cibo preferito aiuta l’organismo ad avvertire una vera e propria sensazione di benessere e a stimolare la produzione di endorfine. Uno degli esempi più classici da questo punto di vista è il cioccolato, ma secondo le ricerche questo fenomeno si può estendere a tutti i cibi gustosi che amiamo particolarmente. Ecco perché dopo aver mangiato qualcosa che ci piace ci sentiamo felici e appagati.
Ascoltare musica
La scienza è sempre più interessata agli effetti positivi della musica nella vita quotidiana. Spesso una semplice canzone di sottofondo ci aiuta a sentirci meglio soprattutto quando siamo tristi. È merito della produzione di endorfine, che viene stimolata dall’ascolto. Secondo uno studio scientifico dedicato a questo argomento, ascoltare musica innalza la soglia del dolore e ha degli effetti positivi sul nostro stato di benessere.
Scambiarsi baci e abbracci
Baci, abbracci, carezze e coccole ci aiutano a sentirci meglio anche perché portano il nostro corpo a rilasciare endorfine. I benefici del contatto fisico con le persone a cui vogliamo bene sono davvero numerosi. Ad esempio, un semplice abbraccio può aiutare a ridurre lo stress, a fare la pace, a rafforzare il rapporto tra mamma e figlio e persino a vincere l’ansia e a migliorare la memoria.
Accarezzare un animale domestico
Accarezzare un animale domestico è davvero benefico in ogni momento della giornata. È anche per questo motivo che alcuni ospedali in Italia e nel mondo accettano che i nostri amici a quattro zampe facciano visita a chi si trova in ospedale. Ad esempio, quando un gatto si avvicina e vi sfiorate la fronte a vicenda, ecco che vengono rilasciate endorfine sia in voi che nel vostro amico peloso. Un gesto dolcissimo che vi farà sentire subito meglio.
Sorridere
Sorridere è un toccasana per la salute e per l’umore. Aiuta il nostro corpo a rilasciare endorfine, non costa nulla e ci fa sentire subito meglio. I benefici di un sorriso sono davvero numerosi. Sorridere riduce lo stress e il rischio di ictus, aumenta la fiducia in se stessi e negli altri e ci permette di fare una pausa per poi ripartire ancora più concentrati con le nostre attività quotidiane.
Sentire profumo di vaniglia o di lavanda
Alcuni profumi più di altri stimolano il nostro organismo a produrre endorfine. Ne sono un esempio il profumo di vaniglia e di lavanda, due aromi delicati che regalano immediatamente una sensazione di benessere, portano relax e ci ricordano la nostra infanzia. Il profumo di vaniglia riduce l’ansia mentre il profumo di lavanda ci aiuta a rilassarci e a dormire meglio, tanto che a chi soffre di insonnia viene consigliato di cospargere il cuscino con qualche goccia di olio essenziale di lavanda.
Assaggiare qualcosa di piccante
Chi ama il peperoncino e il sapore piccante forse inconsciamente ha capito che nonostante qualche piccolo fastidio nel consumare questi alimenti, il risultato è una sensazione di benessere. Ciò perché pare che il gusto piccante aiuti l’organismo a rilasciare endorfine come risposta alle leggere sensazioni di pizzicore e di bruciore che il peperoncino può provocare sulla nostra lingua e sul palato.
Ballare
Il ballo e la danza non sono semplicemente un divertimento o un’occasione per fare movimento. Vengono utilizzati anche come una forma di terapia per il benessere. Questo perché il ballo e la danza uniscono sia il movimento che l’ascolto della musica, due attività che insieme aiutano ancora di più il nostro organismo a produrre endorfine. Secondo alcuni studi, ballare potrebbe portare un maggior benessere anche rispetto alla pratica di uno sport.
Meditare
Secondo il Brainwave Research Institute, meditare stimola la produzione delle endorfine da parte del nostro organismo. La meditazione può garantire al nostro corpo e alla nostra mente una vera e propria sensazione di gioia e di benessere. Ciò perché grazie alla meditazione possiamo raggiungere quel punto in cui ha sede la nostra felicità interiore. Meditare e correre sono attività differenti, ma il miglioramento dell’umore dopo una corsa o dopo la meditazione è risultato molto simile, proprio grazie alla produzione di endorfine.
Le endorfine, note anche come “morfine endogene”, sono implicate nei meccanismi di controllo del piacere e del dolore: lo studio di queste molecole prodotte naturalmente dal cervello apre scenari stimolanti.
«Parlare di endorfine oggi è quanto mai attuale, dato che il benessere, il piacere, l’allontanamento del dolore costituiscono gli obiettivi che sempre di più sembrano condizionare la nostra qualità di vita» spiega il dottor Mauro Porta, neurologo presso l’Istituto Ortopedico Galeazzi IRCCS di Milano: «Le endorfine sono una sorta di “oppiaceo”, naturalmente prodotto, che comporta attenuazioni delle sensazioni dolore, “drive” positivo, cioè eccitamento, voglia di agire, buon umore».
Quando sono state scoperte le endorfine?
L’avventura inizia in un oscuro mattatoio sulle coste scozzesi, dove il ricercatore John Hughes, insieme al team della Unit for Research on Addictive Drugs del Marischal College dell’Università di Aberdeen, ogni giorno si procurava cervelli di maiale da analizzare.
Muove le ricerche il tentativo di individuare una sostanza simile alla morfina, alcaloide estratto dall’oppio che in medicina è sfruttato per le proprietà analgesiche. L’ipotesi era che l’azione della morfina imitasse sostanze che forse erano già presenti nell’organismo. Esisteva davvero un oppioide endogeno? Oggi sappiamo che è così.
Come funzionano le endorfine?
«Le endorfine vengono prodotte nell’ipofisi, nel surrene e a livello del sistema gastrointestinale, il nostro “secondo cervello“» chiarisce il dottor Mauro Porta «Si tratta di ormoni proteici che vengono rilasciati nel torrente sanguigno e che ritroviamo implicati nelle situazioni di benessere, di felicità, di gioia oppure in situazioni algogene (che procurano dolore) come il parto, il ciclo mestruale, gli eventi traumatici. Si ritrovano elevati livelli endorfinici anche dopo un rapporto sessuale o dopo l’attività sportiva».
«Le endorfine entrano nei meccanismi determinanti il ciclo sonno-veglia, la termoregolazione, l’appetito e comportano un aumento dei livelli ACTH, l’ormone adrenocorticotropo (Adreno Cortico Tropic Hormone – ACTH), conosciuto anche come corticotropina, è un ormone proteico prodotto dalle cellule dell’ipofisi anteriore (adenoipofisi), cortisone, prolattina, ormone della crescita e catecolamine, agendo così indirettamente su target diversi da quelli sinaptici. Molti sono i trattamenti, medici e non, che comportano liberazione di endorfine: non da ultime l’agopuntura e altre tecniche di rilassamento così come anche le esperienze sensoriali “piacevoli” come la musica o altre collegate alla vista e all’olfatto» prosegue l’esperto.
Fisiologicamente le molecole attive sui recettori peptidi oppiodi naturali sono le encefaline, le endorfine e le dinorfine. Per peptide oppioide si intende una sostanza sintetica o prodotta naturalmente dall’organismo con gli effetti dell’oppio e della morfina, suo costituente principale. Attualmente conosciamo tre tipi di recettori, tutti caratterizzati da un’azione di tipo analgesico. Il loro meccanismo di funzionamento è legato alla modificazione dell’elettrofisiologia del potassio e del calcio.
Verso una medicina endogena
Sapendo che la modalità di comunicazione fra cellule nervose avveniva tramite composti chimici, le prime indagini si erano focalizzate sui neurotrasmettitori che mostravano di attivare determinati siti cellulari di natura proteica, detti neurorecettori, fondamentali, quindi, per la modulazione e trasmissione degli impulsi nervosi.
Nel 1974 Hughes isolò dal cervello dei maiali le tracce di una sostanza con un’attività analgesica: sarà il primo passo verso la scoperta di un vero e proprio laboratorio di chimica endogena, presente nel nostro corpo e le cui implicazioni nel processo di cura sono un argomento su cui c’è ancora moltissimo da scoprire.
L’azione degli oppiacei endogeni che iniziazialmente Hughes riesce a isolare dura pochi minuti, per poi essere distrutta dagli enzimi cellulari, in accordo con la sua natura proteica. A differenza della morfina, essi non creano assuefazione poiché prodotti naturalmente dall’organismo. Attualmente le ricerche effettuate dalle industrie farmaceutiche per realizzare un farmaco utilizzando l’endorfina rimangono un’ipotesi in corso d’opera, tuttavia ciò che sappiamo è che questo gruppo di peptidi di catena corta chiamati “endorfine”, sono morfine endogene con proprietà simili alla morfina.
Esse agiscono come neurotrasmettitori a livello del sistema nervoso. Insieme all’azione analgesica rispetto al dolore, le endorfine giocano un ruolo chiave nella risposta al piacere e nel processo di rilassamento.
Dagli studi, infatti, emerge che a livello cerebrale le alterazione del sistema dopaminergico, proprio dei neuroni dopaminergici, i quali risultano associati con l’amigdala, potrebbero essere implicati con i disturbi della memoria e l’insorgenza di malattie come Parkinson e Alzheimer, tema indagato dal neurofisiologo Marcello D’Amelio insieme all’unità di ricerca dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e della Fondazione S. Lucia.
L’importanza delle endorfine nel controllo del dolore, così come nei processi legati alla gratificazione e al piacere, può costituire un campo di indagine prezioso per la gestione dello stress.
Qual è il ruolo delle endorfine?
Come spiega il dottor Mauro Porta «le endorfine, che sono oppioidi naturali, interagiscono con una dei mediatori maggiormente coinvolti nel determinismo del buon umore: la serotonina. Si tratta di veri e propri mediatori che sono molti di più di quelli che normalmente si pensa: serotonina appunto, dopamina, noradrenalina, gaba etc. I mediatori attivano certe sinapsi (punto di contatto tra due neuroni) appartenenti a circuiti specifici, oppure a circuiti “polivalenti”, cioè che funzionano con più neuromediatori».
Insieme all’aumento della soglia di tolleranza al dolore, le endorfine mostrano di essere coinvolte nell’attività di termoregolazione dell’organismo, ritmi sonno-veglia, controllo dell’appetito, regolazione dell’umore, senso di benessere e appagamento.
Durante terapie come l’agopuntura si è potuto osservare un innalzamento della concentrazione di queste sostanze nel sangue. Sì, perché a seconda di ciò che viviamo può verificarsi un rilascio di endorfine: succede quando svolgiamo attività in grado di regalarci piacere, ecco perché appaiono fortemente connesse alla sfera sessuale e psicologica.
Quando ci sentiamo innamorati, al termine di un rapporto sessuale o mentre incontriamo una persona cara o viviamo una situazione felice il livello di endorfine è più alto. Succede anche quando facciamo attività sportiva: la sintesi di oppiodi endogeni, infatti, mostra un forte incremento durante il movimento. Grazie a questo possiamo comprendere meglio la profonda sensazione di benessere e appagamento che ogni sportivo avverte durante una performance: un’euforia che a livello fisiologico ci aiuta a sopportare meglio la fatica e dal punto di vista psicologico stimola le nostre doti in fatto di resistenza, capacità di superare gli ostacoli e, in fondo, resilienza. Una qualità naturale che fa parte di noi? Forse sì, anche a livello biochimico.
Quali sono i trucchi più diffusi per trarre in inganno le persone e indurre la mente in errore?
Adesso vi faccio un esempio per farvi capire come la forma di un’espressione può valere più del contenuto e come la collocazione delle parole sia molto importante nella manipolazione linguistica.
Ecco l’esempio, noto a tutti gli esperti.
Un novizio chiese al priore. “Padre, posso fumare mentre prego?”. E fu severamente rimproverato.
Un secondo novizio chiese allo stesso priore: “Padre, posso pregare mentre fumo?” E fu lodato per la sua devozione.
Questo esempio ci fa capire come l’arma del manipolatore linguistico non sia il contenuto, ma la forma e, cioè, la posizione delle parole. Ovvero, qualcosa che sfugge all’interlocutore. Infatti, ciò che persuade il Padre priore, è qualcosa che lui non nota. La diversa collocazione delle parole dà luogo ad un effetto differente.
Gli esempi che si possono fare sono tanti. Un esempio: “Daniela è una ragazza bruttina ma ricchissima” è molto diverso dal dire: “Daniela è una ragazza ricchissima ma bruttina”.
In realtà, stiamo dicendo la stessa cosa, ma l’effetto è diverso.
Così come c’è un effetto diverso se dico: “Lui uscì con lei dal locale” piuttosto che: “Lei uscì con lui dal locale”. È chiaro che stiamo dicendo la stessa cosa, ma basta spostare di poco la collocazione di chi compie un atto e di chi lo subisce o vi partecipa, per ottenere significati ed effetti diversi su chi ascolta.
Grazie a questi effetti linguistici, il manipolatore può influenzare la mente di chi ascolta, semplicemente organizzando ciò che dice in un modo piuttosto che in un altro. L’ordine delle parole suggestiona il pensiero e lo induce in errore.
Spesso, l’efficacia della persuasione si nasconde all’inizio della frase. Infatti, ciò che viene detto per primo influenza la percezione di chi ascolta.
A questo riguardo, è noto un meccanismo molto usato dai mezzi di comunicazione di massa,, che possono far pendere la bilancia a favore di uno dei due contendenti politici che si affrontano, senza dare l’impressione di farlo, ma, anzi, sbandierando la propria oggettività. In pratica, si fa parlare per prima la parte politica che si vuole danneggiare, invitando successivamente quella di cui si tutelano gli interessi. Perché? Perché la mente umana registra entrambi i messaggi, ma l’ultimo rimane sempre più impresso.
Un’altra tecnica molto diffusa per screditare qualcuno, consiste nel mettere le sue parole tra virgolette. Le virgolette trasformano le frasi in espressioni un po’ ridicole e le parole diventano, automaticamente, sarcastiche, senza che sia stato detto o fatto nulla.
Un’altra tecnica manipolativa è quella di dire cose scontate, ma ammantandole di termini tecnici e, quindi, attraenti e suggestivi. Ad esempio, inserendo nel discorso l’espressione famosa – espressione ad effetto – cioè “al gusto di cioccolato”. In pratica, succede che l’ascoltatore viene distratto da questa immagine attraente e scambia per cioccolato ciò che, in realtà, è solo un surrogato. Quando si dice che un prodotto è “al gusto di cioccolato”, la nostra mente focalizza l’attenzione sulla parola “cioccolato” e già immagina che ciò che gusterà sarà cioccolato.
Il gusto, però, è legato al naso e non alla bocca, come spesso noi crediamo, per cui, quando mangiamo qualcosa, difficilmente la bocca se ne renderà conto, ma al naso non sfugge il suo sapore.
Perciò, il prodotto “al gusto di cioccolato” sarà solo un surrogato che avrà l’odore del cioccolato, ma non è cioccolato.
La pubblicità televisiva è piena di questi trucchetti.
Ad esempio, si dice: i biscotti X non contengono nitrati. In effetti, nessun tipo di biscotti contiene nitrati, quindi, in questo caso, il manipolatore inganna dicendo il vero. Ultimamente si leggono frasi simili, sulle confezioni dei dolciumi. Chi legge si sente rassicurato per il fatto che il prodotto non contiene nitrati, perché i nitrati non fanno bene alla salute. Per cui, il compratore si sentirà spinto a mangiare i biscotti X piuttosto che i biscotti Y, che non contengono questa informazione e che, forse, quindi, contengono i nitrati. Ma la frase nasconde un inganno: questi biscotti non contengono nitrati e, ad essere sinceri, neanche gli altri biscotti li contengono. E non contengono neanche uranio radioattivo o il batterio della peste. Ma questo non viene detto.
Un altro famoso esempio, che è un altro espediente per manipolare, è quello di dire cose ovvie, cioè la cosiddetta “scoperta dell’acqua calda”.
Ad esempio, quando si dice di un’acqua minerale che “facilita la diuresi”, in realtà, non si dice che bere qualsiasi acqua facilita la diuresi, questo è ovvio, ma la mente di chi ascolta o legge completa la frase immaginando che “quell’acqua facilita la diuresi”, a causa di una sua caratteristica che altre acque non hanno, ma questo non è stato detto. Molte acque minerali sono spesso reclamizzate con questa espressione, indicando che “aiutano a fare pipì”. Dov’è il tranello? Ogni tipo di acqua facilita la diuresi e non solo l’acqua sulla cui confezione è riportata questa espressione. Tuttavia, la mente di chi acquista è indotta a pensare che le acque, che non riportano questa informazione, non facilitano la diuresi.
Un altro modo di indurre una falsa convinzione è quello in cui si lascia intuire l’efficacia di un prodotto, indicandone una componente, anche se quello non ha nessuna influenza sull’azione che quel prodotto compie. Ad esempio,il classico dentifricio X che contiene una certa sostanza: quindi, deduciamo che quella sostanza fa bene ai denti. In realtà, la sostanza in questione non ha nessun potere benefico sui denti e quindi, se non ci fosse, il dentifricio avrebbe le stesse caratteristiche. Alcuni pubblicitari possono aggiungere la precisazione che una tale sostanza “aiuta” a raggiungere un certo risultato. In questo modo, nessuno potrà dire che tale affermazione è falsa. È molto difficile. Un altro trucco usato dai pubblicitari consiste nell’affermare una verità, omettendo, però, di completarla con affermazioni che ne limiterebbero il significato.
Pertanto, indurre la mente in errore non è così difficile, in quanto le parole creano la realtà. Usando le parole nel modo giusto, possiamo creare la realtà che meglio ci aggrada.
Pensiamo che, sulle parole, si basano anche le relazioni tra le persone. all’interno di un contesto sociale.
Il manipolatore sa usare il potere magico del linguaggio.
Ad esempio, in ambito militare, pensiamo a certe espressioni tipo “fuoco amico”. Questa frase viene usata per dire che dei soldati sono stati ammazzati per errore dai loro compagni o alleati. E così la mente crea un’immagine innocua. Addolcisce la pillola. Pensiamo ad un’altra espressione come “conflitto a bassa intensità”. Questa frase veniva usata per dire che pochi esseri umani erano morti, ma la mente crea, comunque, un’immagine edulcorata latente della sparatoria. Sorvolando sui cadaveri che ci sono stati.
Insomma, le armi invisibili del persuasore sono molte.
Ci sono, poi, tutti quegli esempi che hanno come sfondo le aule dei tribunali.
Consideriamo,ad esempio, le seguenti espressioni: “Quando è entrato nella banca, l’imputato aveva UNA pistola?” , oppure, “Quando è entrato nella banca, l’imputato aveva LA pistola?”. Nella prima frase, è chiara la domanda sull’esistenza della pistola. Nella seconda versione, si dà per scontata la detenzione dell’arma da parte dell’imputato.
Nella nostra lingua esistono parole semplicissime, e apparentemente innocue, che possono stravolgere il significato della frase.
Come delle semplici congiunzioni: e, ma , se, sebbene. Mescolando l’ordine delle parole e delle congiunzioni, si ottengono miscele linguistiche molto diverse. Il cambiamento dell’ordine delle parole può modificare il senso della frase e, quindi, il concetto che sta dietro. Alcune congiunzioni innescano delle reazioni automatiche alle quali una persona reagisce senza rendersene conto. Una di queste congiunzioni è la parola “perché”. La sensibilità della parola “perché” è dovuta ad un nesso di causalità, con cui cerchiamo di spiegarci le cose. E più argomenti si accompagnano ad un “perché”, più è probabile che ci sia volontà di manipolazione.
(N.d.R. : intervengo con una considerazione fuori contesto: “perché” è una congiunzione che introduce una domanda ma anche una risposta. Da un po’ di tempo, è molto in uso, nel linguaggio corrente, una espressione, per introdurre una risposta, che vorrebbe essere esplicativa, che suona così: “perché comunque” .
Quando, io voglio dare una risposta che sia valida, convincente, esaustiva, dovrei evitare di usare questo “comunque”, che vuol dire: in qualche modo, per sì e per no, in qualche caso,forse… cioè una formula dubitativa che toglie o attenua la certezza all’attendibilità della mia asserzione in risposta. La credibilità dell’argomentazione che segue sarà inficiata o sminuita in partenza. È una formula lubrificante che, magari, dà un attimo di tempo in più per raccogliere le idee, che lì per lì sono confuse, e per trovare gli argomenti più validi. Ma, forse, è soltanto una moda.
C’è da aggiungere che il contesto emotivo orienta il significato delle percezioni e certe parole creano un contesto emotivo. Ad esempio, se parliamo ad una persona ed accenniamo alla paura di sbagliare, si creano, nella mente di questa persona, delle connessioni e delle interconnessioni sulla proiezione della paura, quindi sull’ansia, sulle sensazioni spiacevoli, sui ricordi di esperienze sgradevoli e quindi, indirettamente, sulla visione pessimistica del futuro, sui ricordi di punizioni, sui sensi di colpa, sui sensi di inferiorità o di inadeguatezza.
Basta una sequenza di parole specifiche per orientare una certa visione del mondo. Questo perché il potere delle parole è pressoché infinito. Basta, certe volte, usare termini vaghi ed ambigui per creare un certo effetto.
Alcune parole sono piene di …. vuoto e diventano, così, il ricettacolo di qualunque contenuto di desiderio da parte dell’ascoltatore.
Ad esempio, la medicina è un settore molto fertile, da questo punto di vista.
A questo proposito, anche i cartomanti usano parole “passe partout” e danno l’impressione di leggere nella mente dei loro clienti. Ad esempio, possono dire. “Vedo che hai un problema”, “Il problema riguarda te”….(beh, certo!). “C’è di mezzo un’altra persona”, oppure possono dire: “Vedo tensione”, “È stato fatto qualcosa”. C’è un vuoto intorno e dentro queste espressioni, perché non dicono niente di specifico, In realtà, non viene detto niente, eppure la vittima ha la sensazione che venga detto qualcosa proprio su di lui.
Anche gli stereotipi sono molto persuasivi e sono parole che contengono molte connotazioni psicologiche ed emotive, tutte ben scolpite nell’immaginario collettivo. Ad esempio, i termini “fascista”, “comunista”, “reazionario”, “moralista”, “integralista”, “terrorista”, sono tutte delle etichette che incasellano l’avversario con una forza molto particolare. Una volta utilizzate queste etichette, scatta una serie di pregiudizi.
Un altro modo per persuadere gli altri delle nostre idee, è fornire delle spiegazioni globali, che siano in grado di dare un senso ad ogni cosa, a tutto. Sono un tipo di spiegazioni che noi tendiamo a preferire, perché ci risparmiano la fatica di analizzare criticamente la realtà, quindi ci fanno risparmiare tempo.
Più risposte una teoria ci sembra in grado di fornire, più è gradita ed attraente ai nostri occhi. Ma non è importante che essa sia del tutto vera, perché la cosa importante è che ci permetta di interpretare il più alto numero di eventi possibili. Questo ci fa capire che, col linguaggio, si possono creare anche dei paradossi, ovvero delle situazioni senza alcuna via d’uscita., che intrappolano la logica mandando in tilt la mente. E possono, alla lunga, spingere una persona verso la follia.
Le frasi che ingabbiano la mente, impedendole di capire dov’è la verità, sono dette “autoimmunizzanti”, cioè si autogiustificano a priori, rendendo impossibile una loro confutazione. Una di queste frasi, ad esempio, è: “La più riuscita strategia del diavolo è far credere che non esiste”. Se ci pensate bene, qui esiste una struttura ritorsiva che è impossibile da confutare.
Dunque, iniziamo a capire come, attraverso il linguaggio, attraverso espressioni apparentemente innocue, la volontà può essere manipolata, incidendo sulla capacità che una persona ha di decidere.
Oltre che nelle campagne pubblicitarie, questa manipolazione si trova dappertutto. Facciamo, intanto, degli esempi nell’ambito pubblicitario.
Ci sono tante pubblicità che si basano sullo stesso concetto. Prendiamo la frase tipica: “Nessuno lava più bianco di me”. Con questa affermazione il pubblicitario vorrebbe che il detersivo sponsorizzato fosse l’unico sul mercato. In realtà, non si sta dicendo che il detersivo è il migliore in assoluto, la frase è parziale. Infatti, dovrebbe dire: “Nessun detersivo lava più bianco di me, anche se ci sono altri detersivi che lavano bene quanto me”. La seconda parte della frase è stata omessa.
La nostra mente arriva alla conclusione che, solo quel detersivo può fornire quelle prestazioni.
Un’altra frase tipica è quella che dice che un certo cibo non contiene colesterolo. Ora, anche ammettendo che dei ricercatori siano riusciti ad estrarre il colesterolo da quel prodotto, l’inganno sta nel fatto che il suddetto cibo, appena disciolto in bocca, e poi nello stomaco, si scinde in molecole di amido e questo si trasforma in zucchero. Dopo un po’, una parte di queste dolci molecole si trasforma in qualche altra cosa, fino a formare il colesterolo. Allora, è vero che in quel certo cibo, ad esempio, i crackers, non c’è colesterolo, ma il pubblicitario non dice nulla di quanto avviene dopo che il prodotto è stato ingerito.
Tutti questi stratagemmi, queste tattiche comunicative fanno leva su errori logici e risultano manipolative, in quanto sono un po’ scorrette.
Le fallacie illogiche più comuni, utilizzate dai manipolatori linguistici sono:
L'”argomento fantoccio” che consiste nel rappresentare scorrettamente l’argomentazione dell’avversario, esagerandola e riportandola in modo caricaturale.. Arrivando, persino, a mettergli in bocca parole che non ha detto, allo scopo di confutare più facilmente la sua tesi.
Per fare un esempio, immaginate un politico che dice. “Avremmo dovuto spendere più soldi nella sanità e nell’istruzione”. E immaginate l’opposizione che risponde dicendo: “Siamo sorpresi che voi odiate così tanto il vostro paese, da volerlo lasciare senza difesa, tagliando le spese militari”. Notate il gioco manipolativo?
Un’altra strategia manipolativa è quella che afferma che una relazione tra due eventi sia necessariamente di tipo causale. Spesso, si tende a presentare due cose accadute contemporaneamente o in sequenza, come se l’una fosse la causa dell’altra. Mentre la loro relazione potrebbe, semplicemente, essere una coincidenza. Oppure, potrebbero essere provocate, tutte e due, da una diversa stessa causa. Ad esempio, e questo è un esempio famoso, Mario, indicando un grafico, spiega come le temperature si siano alzate negli ultimi secoli, mentre, nello stesso tempo, il numero dei pirati è diminuito. Perciò, sono i pirati che raffreddano il mondo e il riscaldamento globale è una grande bufala. Notate l’irrazionalità di questa argomentazione?
Un’altra tattica manipolativa è l’argomento “ad hominem” ( verso la persona), che consiste nell’obiettare alle argomentazioni di qualcuno, senza rispondergli nel merito, ma attaccandolo sul piano personale, con lo scopo di indebolire la sua posizione. Per fare un esempio: dopo che Maria aveva presentato un convincente ragionamento in favore di un sistema fiscale più equo, Carlo chiese al pubblico se si fidasse di una donna non sposata, che era stata arrestata in passato e che aveva un odore un po’ strano. Qui si attacca la persona e non le sue idee, che sarebbero, altrimenti, inattaccabili.
Anche con Einstein fecero, più o meno la stessa cosa: lo attaccarono sulla sua vita privata, in particolare sulla sua relazione con la moglie, proprio perché le sue idee erano, invece, inattaccabili.
Poi, c’è un altro accorgimento manipolativo: quando la propria tesi viene smentita, si cerca di avere ragione inventando eccezioni:. Facciamo un esempio. Rocco sostiene di essere un sensitivo, ma quando le sue abilità vengono messe alla prova scientificamente, queste, magicamente, spariscono. E allora Rocco cosa fa? Spiega che la gente deve avere “fede” nei suoi poteri, perché questi funzionino, altrimenti non funzionano. Ma allora, così, è facile.
Poi ci sono le famose “domande accusatorie”, cioè, in sostanza, si fa una domanda che contiene un’affermazione, in modo che l’interpellato non possa rispondere con un sì o con un no, ma deva contestare la domanda. E quindi, in questo modo, appare sulla difensiva, oppure potrebbe sembrare colpevole, proprio perché contesta la domanda. Ad esempio: “Hai smesso di picchiare tua moglie?” Questo è un celebre esempio da aula di tribunale.
Poi c’è il famoso “carro del vincitore”, cioè cercare di avvalorare una tesi dicendo che è molto popolare, anche se, in realtà, può essere una vecchia superstizione.
Poi, ancora, abbiamo i cosiddetti “falsi dilemmi” che consistono nel far credere che esistono solo due alternative, costringendo la vittima a scegliere fra queste due sole alternative. A sceglierne una quando, in realtà, avrebbe la possibilità di scegliere fra più opzioni. Questo è tipico delle dittature. I dittatori chiedono alla gente se è dalla sua parte o dalla parte del nemico, come se la scelta possibile fosse solo fra queste due alternative.
E, ancora, ci sono i cosiddetti “ragionamenti circolari”, in cui la conclusione è già contenuta nelle premesse. Una frase tipica è: “La giustizia impone che nessun uomo possa comprare un altro uomo, perché non è giusto che un uomo possa essere messo in vendita”. Ma questa non è un’argomentazione valida.
Un’altra tattica manipolativa è l’appello ad una autorità, che consiste nel dire che una cosa è vera perché lo dice l’esperto (N.d.R. : “ipse dixit” ( l’ha detto lui) detto da Cicerone riferendosi ad Aristotele), senza fornire ulteriori argomenti.
Un altro classico errore logico sfruttato dai manipolatori è quello di ritenere che ciò che è valido per una parte sia valido per il tutto. O, viceversa, che ciò che è valido per un intero, sia valido per tutte le sue componenti. Sarebbe come se dicessi: “Siccome gli atomi sono invisibili e noi siamo fatti di atomi, allora noi dovremmo essere invisibili”. Sarebbe un po’ strano.
Oppure, pensate se dicessi: “Siccome mio nonno fuma 80 sigarette al giorno e non ha il cancro ai polmoni, allora io non credo ai dati sulle morti causate dal fumo”. Sarebbe un po’ strano.
Eppure, molti manipolatori fanno uso di queste strategie e fanno leva sui sentimenti dell’interlocutore , senza avere delle valide argomentazioni.
Alcuni manipolatori usano la “tecnica dell’incredulità” che consiste nel rispondere ad una argomentazione, dicendo che è difficile a credersi e, perciò, non può essere vera. Pensiamo, ad esempio, ad un pesce e ad un essere umano. Sono molto diversi e ci chiediamo come un pesce possa essersi trasformato in un uomo, come vorrebbe la teoria evoluzionista che è stata sperimentata. Oppure, pensate se dicessimo che la teoria evoluzionista non è accettabile perché è una pratica usata dai nazisti. Sarebbe curioso.
I produttori di una nota bevanda gassata mostravano delle ricerche secondo cui, dei 5 paesi dove la bibita era più venduta, 3 erano nella classifica dei primi 10 paesi al mondo per le condizioni di salute. Quindi, la loro bibita era salutare.
Ma questa è una conclusione azzardata, non è affatto logica.
Un altro errore logico, sfruttato sempre dai manipolatori linguistici, consiste nel sostenere che un compromesso, oppure un punto d’intesa tra due estremi, sia sempre la verità. Ma non è sempre così. Spesso la verità sta nel mezzo, ma questo non è sempre, necessariamente vero e, a volte, capita che la verità sia in uno dei due estremi. Ad esempio: Alice dice che i vaccini causano l’autismo nei bambini, ma la sua amica Marta, esperta di scienza, obietta che questa tesi è stata smentita ed è infondata. Alice, allora, cosa fa? Propone un compromesso: i vaccini possono causare “un po’ d’autismo” nei bambini.
Ma questo è un errore logico.
(N.d.R. : insomma, tutto ciò che non ci piace o è non attendibile o è falso.
Specularmente, solo ciò che ci piace potrebbe essere vero e credibile.
Su questa lacuna cognitiva della mente umana, sono basati atteggiamenti fideistici e comportamenti come il negazionismo e la credulità).