Numero2565.

 

C O L T E   A L   V O L O   D A   U N A   C O N F E R E N Z A   D I   P A O L O   C R E P E T

 

Ciò che è comodo è stupido.

Le cose belle sono difficili.

Se vuoi una cosa bella devi faticare.

Non te la regala nessuno.

Quello che ti regalano è la banalità,

la mediocrità: quella è gratis.

 

Dare sempre la colpa agli altri

non è molto intelligente.

 

I soldi non fanno venire idee,

sono le idee che fanno venire i soldi.

 

Non esiste la razza bianca

o la razza nera, o gialla:

esiste la razza umana.

Tutti quei colori della pelle

hanno lo stesso genoma.

 

Circondatevi di persone

migliori di voi.

 

Mi intriga l’idea

che la mia vita

non è servita

soltanto a me stesso.

 

Fate una rivoluzione, stupitevi!

Studiate.

Dopo vi diremo a cosa serve,

intanto fatelo. È rivoluzionario.

 

Siccome nelle scuole

è stata abolita ogni forma

d’intelligenza, anche

l’ironia, che è una forma

d’intelligenza, è stata abolita.

 

 

Numero2470.

 

I L    D I L E M M A

 

1980
Pressione Bassa

 

Giorgio Gaber – musica e interpretazione
Alessandro Luporini – testo        (N.d.R. : per me, il migliore paroliere Italiano di testi per canzoni)

 

In una spiaggia poco serena
Camminavano un uomo e una donna
E su di loro la vasta ombra di un dilemma

L’uomo era forse più audace
Più stupido e conquistatore
La donna aveva perdonato, non senza dolore

Il dilemma era quello di sempre
Un dilemma elementare
Se aveva o non aveva senso il loro amore

In una casa a picco sul mare
Vivevano un uomo e una donna
E su di loro la vasta ombra di un dilemma

L’uomo è un animale quieto
Se vive nella sua tana
La donna non si sa se è ingannevole o divina

Il dilemma rappresenta
L’equilibrio delle forze in campo
Perché l’amore e il litigio sono le forme del nostro tempo

Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Come una cosa normale e ricorrente
Perché morire e far morire
È un’antica usanza
Che suole aver la gente

Lui parlava quasi sempre
Di speranza e di paura
Come l’essenza della sua immagine futura

E coltivava la sua smania
E cercava la verità
Lei l’ascoltava in silenzio, lei forse ce l’aveva già

Anche lui curiosamente
Come tutti era nato da un ventre
Ma purtroppo non se lo ricorda o non lo sa

In un giorno di primavera
Quando lei non lo guardava
Lui rincorse lo sguardo di una fanciulla nuova

E ancora oggi non si sa
Se era innocente come un animale
O se era come instupidito dalla vanità

Ma stranamente lei si chiese
Se non fosse un’altra volta il caso
Di amare e restar fedele al proprio sposo

Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Con le parole che ognuno sa a memoria
Sapevan piangere e soffrire
Ma senza dar la colpa
All’epoca o alla Storia

Questa voglia di non lasciarsi
È difficile da giudicare
Non si sa se è cosa vecchia o se fa piacere

Ai momenti di abbandono
Alternavano le fatiche
Con la gran tenacia che è propria delle cose antiche

E questo è il succo di questa storia
Per altro senza importanza
Che si potrebbe chiamare appunto resistenza

Forse il ricordo di quel Maggio
Gli insegnò anche nel fallire
Il senso del rigore, il culto del coraggio

E rifiutarono decisamente
La nostra idea di libertà in amore
A questa scelta non si seppero adattare

Non so se dire a questa nostra scelta
O a questa nostra nuova sorte
So soltanto che loro si diedero la morte

Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Non per una cosa astratta
Come la famiglia
Loro scelsero la morte
Per una cosa vera
Come la famiglia

Io ci vorrei vedere più chiaro
Rivisitare il loro percorso
Le coraggiose battaglie che avevano vinto e perso

Vorrei riuscire a penetrare
Nel mistero di un uomo e una donna
Nell’immenso labirinto di quel dilemma

Forse quel gesto disperato
Potrebbe anche rivelare
Come il segno di qualcosa che stiamo per capire

Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Come una cosa normale e ricorrente
Perché morire e far morire
È un’antica usanza
Che suole aver la gente

 

Significato di Il Dilemma

 

 Il Dilemma è una storia d’amore d’altri tempi, dei bei tempi andati, forse, ma c’è da sperare di no. É più facile dire cosa non sia questa meraviglia, perché è talmente tanto che sarebbe impossibile dire tutto qui e ora.

Provandoci, potremmo dire che è una delle più belle riflessioni su un amore in crisi, e sarebbe vero, ma come un riflesso, appunto, sarebbe fugace e superficiale.

Il Dilemma è figlia del suo tempo. Giorgio Gaber, questa è una mia opinione per cui potete sgridarmi, o fustigarmi, compose gran parte delle sue canzoni migliori a partire da fine ann’70 in poi, quando aveva raggiunto una maturità umana e artistica di altri livelli.

Come con Io Se Fossi Dio, i suoi brani nascono da riflessioni personali ma diventano molto più universali di quello che sembrano. Più o meno negli stessi anni della bomba contro tutto e tutti, fingendosi Dio, Gaber vede una nuova forma d’amore tra la gente comune.

E lo comunica.

Due coppie. Nella prima, è lui l’audace animale da conquista, lei invece l’ha perdonato nonostante la sofferenza; nella seconda, lui è tranquillo e dedito alla famiglia, lei è una splendida illusione vivente. Nei versi convivono le vite di entrambe le coppie, il cui fattore comune è l’enorme dilemma che incombe sulle loro vite

Ha senso o non ha senso il nostro amore?

Gaber parla dell’amore moderno, libero dalle repressioni dei “tempi antichi”, gli anni precedenti agli ’80, un decennio con una libertà individuale, politica, culturale così trasversale che anche il concetto di amore sta cambiando. Una coppia può vedere nell’infedeltà la sicurezza della propria sopravvivenza.

L’amore giovane ha “la smania di ascoltare i brividini del cuore”, come dirà lui stesso in un esibizione del 1991, una smania che divide le coppie e moltiplica gli amori.

Nella canzone una coppia si sfalda e l’altra resiste. Quest’ultima si suicida, togliendo il loro amore dal destino della morte, un gesto estremo che forse sposta l’attenzione dalla crisi di coppia a qualcosa di molto più profondo e generale. Quasi cosmico, forse.

Un elogio alla fedeltà, al coraggio di fare una scelta e resistere, difendendola nel tempo, con pazienza, adattandosi e modellando la pazienza e le forze contro vento e nelle giornate di sole, quando il cielo è a un passo o quando tutto è nero, affrontando le difficoltà per la semplice voglia di non lasciarsi.

Ma non solo tra due persone che stanno insieme, ma in tutto.

“Resistenza” come concetto generale, verso qualsiasi scelta facciamo nella nostra vita. Che sia una scelta che sia una, in un mondo che non ci lascia possibilità di scegliere o ci illude di permetterci di scegliere.

Che sia una dannata scelta.

La società crea stereotipi di persone e prototipi di relazioni, nelle coppie e in un singolo individuo. Nasce un nuovo concetto d’amore, moderno e libero dal concetto di impegno, e una persona può sentirsi obbligata a scegliere, ed essere obbligati a scegliere allora vuol dire non avere scelta.

La vita diventa un concentrato di azioni indipendenti dalla propria volontà, una nuova versione di destino o, come le parole della canzone, una “nuova sorte”, l’esatto opposto di “scelta”.

Allora la coppia ha preferito morire, e non si sa se “a questa nostra scelta” o a questa “nuova sorte”, appunto perché non c’è alcuna differenza tra le due. Una forza che regola in modo imprevedibile le vicende umane è paragonabile a un impulso che non ti lascia scelta.

C’è una crisi di mentalità. a grattare un po’ la superficie di questo delizioso brano sulla crisi di coppia. Giorgio Gaber forse sta cantando la crisi di coppia tra uomo e donna solo perché è lo strumento più efficace per comunicare una crisi con radici molto più profonde, quella tra uomo e la propria morale.

Una crisi che si può correggere assumendosi una responsabilità, impegnandosi a difenderla dalle normali interferenze esterne della vita, restando fedeli ai propri principi e coerenti con le proprie azioni.

Se necessario, difendendo i propri valori anche con gesti estremialla morte, proprio come hanno fatto la coppia (o le coppie?) di questa canzone.

Tutti segnali che Gaber non vede in una società italiana con una crisi morale viscerale, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80.

Quel “segno di qualcosa che stiamo per capire” forse è proprio la nostra involuzione morale. E amore e litigio, le “forme del nostro tempo”, forse non sono intese nei confronti di una persona, perché con una persona esiste anche l’indifferenza, una terza forza in campo che annulla ogni forma, semplicemente: il nulla.

Ma se guardiamo oltre alla crisi di coppia, l’amore e il litigio possono significare il valore di assumere un impegno e difendere un principio. E, al contrario, il valore di scontrarsi contro un idea sbagliata e accusare l’ingiusto.

Dovremmo amare o litigare con un’idea, queste le uniche due forze in campo e le nostre uniche scelte, e dovremmo arrivare a morire per essa o a far morire a causa di essa, un “antica usanza che suole avere la gente”.

Sempre più antica e lontana da noi.

 

ALTRA  INTERPRETAZIONE:

 

Davide 28 Ottobre 2020

Condivido in gran parte il tuo commento, ma vorrei aggiungere alla discussione un altro punto di vista, che sicuramente non ha la pretesa di essere quello giusto.
Gaber parla di una sola storia d’amore e di una sola coppia, ma, raccontando la storia attraverso vari flash-back, che inquadrano la coppia in diverse fasi della loro relazione, si potrebbe pensare che si parli di due o più coppie.

Il punto a mio parere fondamentale, è che questa storia d’amore deve essere inquadrata all’interno dell’eterno ciclo della vita, che coinvolge tutti gli esseri viventi incluso l’uomo, in cui c’è un continuo affannarsi in cerca di un miglioramento (nel testo questo ruolo viene affidato alla figura dell’Uomo), mentre la cosa davvero essenziale nel ciclo della vita è la possibilità che la vita si rigeneri, generando nuova vita (nel testo questo ruolo viene affidato alla figura della Donna).
A sua volta, il ciclo della vita deve essere inserito all’interno del grande ciclo della Storia, in cui si ha sempre l’impressione che certi valori siano superati, antiquati, senza rendersi conto che in realtà sono eterni, proprio perché sono punti fermi all’interno di questa ciclicità (nel testo questo ruolo viene affidato alla Famiglia). Questo rende il messaggio della canzone, che giustamente è da contestualizzare negli anni immediatamente successivi alla liberazione sessuale, valido sempre, anche ai nostri giorni.

Nella prima immagine si vede la coppia verso la fine della loro storia.
L’Uomo ha già compiuto il suo percorso di “affermazione personale”, che verrà descritto in seguito, ma Gaber lo definisce come uno “stupido”.
La Donna, che ha dovuto subire il tradimento del suo Uomo, dimostra la sua superiore statura attraverso il perdono. Specialmente perché il perdono non è stato indolore.

La seconda immagine è un flash-back, che ci mostra l’inizio di tutta la storia.
L’Uomo, novello sposo, è appena passato dalle braccia della madre alle braccia della sua sposa. È poco più che un cucciolo.
Mentre la Donna, che è la depositaria del ciclo della Vita, al suo confronto è molto più matura, quasi “divina”.

Proseguendo nel racconto, l’Uomo, o sarebbe quasi meglio definirlo “il maschio”, intraprende il suo percorso di affermazione personale, che è tipico anche di altre specie animali.
La Donna, o “la femmina”, semplicemente lo osserva nel suo affannarsi da una posizione di superiorità, perché lei la “verità” già la possiede. Ovvero lei sa cosa è davvero importante.

Ma l’affermazione personale e sociale del maschio, lo portano a credere di essere diventato superiore alla sua sposa, fino al punto di tradirla, come se lei fosse un qualcosa di vecchio, inutile, ormai superato.
E qui la bellissima immagine che Gaber ci regala è quella dell’uomo, nato dal ventre di donna, crede di essere diventato onnipotente, infinitamente superiore alla sua donna.
Mi verrebbe da citare il modo di dire toscano: “ecché tu voi insegnare al tu babbo a trombare?”.
Non si rende conto l’Uomo, che questa sua tracotanza lo rende in effetti ridicolo?

A questo punto il Grande Amore di questa coppia è sul punto di morire. Come succede a tutti gli altri. Banalmente.
Magari per dare origine ad un nuovo “grande amore” tra l’uomo e la “fanciulla nuova”, destinato anch’esso a sciogliersi al sole…
Invece no.
La forza della Donna, che sceglie di perdonare, segna la strada da seguire.
Una strada che non è facile come nelle Telenovelas.
Lei mostra la strada della resistenza, del rigore, del coraggio. E il suo sposo sceglie di seguire assieme a lei quella strada.
L’uomo e la donna decidono di tornare ad essere una coppia. Decidono di restare legati ai famosi vecchi valori che sembrano sorpassati e che invece sono eterni.
E qui ritorna alla mente l’immagine iniziale: la coppia si trova su di una spiaggia tormentata, non è tutto rosa e fiori, c’è un enorme dilemma che li opprime, ma la coppia sceglie di lottare, di rifiutare la banalità e la miseria della “libertà in amore”.

Il finale della storia, ovvero la scelta di darsi la morte, come segno estremo di rifiuto di una “nuova sorte” quasi obbligatoria, riporta ad illustri precedenti, quali i filosofi greci, i patrioti italiani, Jan Palach…
Ovvero non è una morte fine a se stessa, ma una morte come strumento di illuminazione, di rivelazione per gli altri.
Che chissà se capiranno davvero l’insegnamento, perché far male e farsi del male è la nostra specialità della casa…e della vita.

Numero2436.

 

Relata refero   (Riferisco cose riferite):

 

I O    V I    A C C U S O

 

Barbara d’Urso, Maria De Filippi, Alfonso Signorini, Alessia Marcuzzi e tutta la schiera della vostra bolgia infernale …. io vi accuso.

Vi accuso di essere fra i principali responsabili del decadimento culturale del nostro Paese, del suo imbarbarimento sociale, della sua corruzione e corrosione morale, della destabilizzazione mentale delle nuove generazioni, dell’impoverimento etico dei nostri giovani, della distorsione educativa dei nostri ragazzi.
Voi, con la vostra televisione trash (immondizia), i vostri programmi spazzatura, i vostri pseudo spettacoli artefatti, falsi, ingannevoli, meschini, avete contribuito, in prima persona e senza scrupoli, al Decadentismo del terzo millennio che, stavolta, purtroppo, non porta con sé alcun valore ma solo il nulla cosmico.
Siete complici e consapevoli promotori di quel perverso processo mediatico che ha inculcato la convinzione di una realizzazione di se stessi basata esclusivamente sull’apparenza, sull’ostentazione della fama, del successo e della bellezza, sulla costante ricerca dell’applauso, sull’approvazione del pubblico, sulla costruzione di ciò che gli altri vogliono e non di ciò che siamo.
Avete sdoganato la maleducazione, l’ignoranza, la povertà morale e culturale come modelli di relazione e riconoscimento sociale, perché i vostri programmi abbondano, con il vostro consenso, di cafoni, ignoranti e maleducati. Avete regalato fama e trasformato in modelli da imitare personaggi che non hanno valori, non hanno cultura, non hanno alcuno spessore morale.
Rappresentate l’umiliazione dei laureati, la mortificazione di chi studia, di chi investe tempo e risorse nella cultura, di chi, frustrato, abbandona infine l’Italia perché la ribalta e l’attenzione sono per i teatranti dei vostri programmi.

Parlo da insegnante,
che vede i propri alunni emulare esasperatamente gli atteggiamenti di boria, di falsità, di apparenza, di provocazione, di ostentazione, di maleducazione che diffondono i personaggi della vostra televisione;

che vede replicare nelle proprie aule le stesse tristi e squallide dinamiche da reality, nella convinzione che sia questo e solo questo il modo di relazionarsi con i propri coetanei e di guadagnarsi la loro accettazione e la loro stima;

che vede lo smarrimento, la paura, l’isolamento negli occhi di quei ragazzi che, invece, non si adeguano, non cedono alla seduzione di questo orribile mondo, ma per questo vengono ripagati con l’emarginazione e la derisione.

Ho visto, nei miei anni d’insegnamento, prima con perplessità, poi con preoccupazione, ora con terrore, centinaia di alunni comportarsi come replicanti degli imbarazzanti personaggi che popolano le vostre trasmissioni, per cercare di essere come loro. e provo orrore per il compiacimento che trasudano le vostre conduzioni al cospetto di certi personaggi.

Io vi accuso, dunque, perché di tutto ciò siete responsabili in prima persona.

Spero nella vostra fine professionale e nella vostra estinzione mediatica, perché solo queste potranno essere le giuste pene per gli irreparabili danni causati al Paese.

Prof. Marco Galice.

Numero2278.

 

PERCHÈ  GLI  STUPIDI  SI CREDONO  INTELLIGENTI    (Effetto Dunning – Kruger)

 

L’unica vera saggezza
è sapere
di non sapere nulla.

 

Socrate

 

 

…. il problema è che
sappiamo ciò che sappiamo
e non sappiamo ciò
che non sappiamo.
Chi è perfettamente cosciente
delle proprie conoscenze,
è altrettanto cosciente che
ci sono cose che non consce.
L’errore che costui commette
è quello di dare per scontato
che le altre persone sappiano
ciò che sa lui, principalmente
perché queste mostrano così
tanta fiducia in loro stesse, che
è facile essere tratti in inganno.
Tendono, perciò, a sottovalutarsi
in relazione agli altri.

Dunning e Kruger hanno,
inoltre, notato che le persone
più incompetenti tendono
a rifiutare totalmente
ogni forma di criticismo,
e non hanno nessun
interesse a migliorarsi.
Questa è la ragione per cui
molte persone vivono la loro
intera esistenza nella mediocrità.
Avere fiducia in se stessi
è importante, ma ancora più
importante è essere auto-coscienti
e capire in cosa realmente siamo
bravi ed in cosa non lo siamo.
Solo in questo modo potremo
apportare i giusti cambiamenti
e compiere le azioni necessarie
per migliorarci.

Numero2135.

 

Rita, che è una smanettona, e che mi sa attento e interessato a questi argomenti, mi segnala e mi passa un articolo che le è capitato sotto gli occhi, girovagando per il net.

 

Da AFFARITALIANI. IT  Il primo quotidiano digitale dal 1996

 

“Barbara D’Urso, De Filippi, Signorini: io vi accuso del decadimento italiano”

La lettera di un insegnante, Marco Galice, che attacca alcuni noti personaggi della tv che ritiene i “principali responsabili del decadimento culturale del nostro Paese, del suo imbarbarimento sociale”

IO VI ACCUSO

“Barbara D’Urso, Maria De Filippi, Alfonso Signorini, Alessia Marcuzzi e tutta la schiera della vostra bolgia infernale… io vi accuso. Vi accuso di essere tra i principali responsabili del decadimento culturale del nostro Paese, del suo imbarbarimento sociale, della sua corruzione e corrosione morale, della destabilizzazione mentale delle nuove generazioni, dell’impoverimento etico dei nostri giovani, della distorsione educativa dei nostri ragazzi. Voi, con la vostra televisione trash, i vostri programmi spazzatura, i vostri pseudo spettacoli artefatti, falsi, ingannevoli, meschini, avete contribuito in prima persona e senza scrupoli al Decadentismo del terzo millennio che stavolta, purtroppo, non porta con sé alcun valore ma solo il nulla cosmico.

Siete complici e consapevoli promotori di quel perverso processo mediatico che ha inculcato la convinzione di una realizzazione di sé stessi basata esclusivamente sull’apparenza, sull’ostentazione della fama, del successo e della bellezza, sulla costante ricerca dell’applauso, sull’approvazione del pubblico, sulla costruzione di ciò che gli altri vogliono e non di ciò che siamo. Questo è il vostro mondo, questo è ciò che da anni vomitate dai vostri studi televisivi.

Avete sdoganato la maleducazione, l’ignoranza, la povertà morale e culturale come modelli di relazioni e riconoscimento sociale, perché i vostri programmi abbondano con il vostro consenso di cafoni, ignoranti e maleducati. Avete regalato fama e trasformato in modelli da imitare personaggi che non hanno valori, non hanno cultura, non hanno alcuno spessore morale. Rappresentate l’umiliazione dei laureati, la mortificazione di chi studia, di chi investe tempo e risorse nella cultura, di chi frustrato abbandona infine l’Italia perché la ribalta e l’attenzione sono per i teatranti dei vostri programmi.

Parlo da insegnante, che vede i propri alunni emulare esasperatamente gli atteggiamenti di boria, di falsità, di apparenza, di provocazione, di ostentazione, di maleducazione che diffondono i personaggi della vostra televisione; che vede replicare nelle proprie aule le stesse tristi e squallide dinamiche da reality, nella convinzione che sia questo e solo questo il modo di relazionarsi con i propri coetanei e di guadagnarsi la loro accettazione e la loro stima; che vede lo smarrimento, la paura, l’isolamento negli occhi di quei ragazzi che invece non si adeguano, non cedono alla seduzione di questo orribile mondo, ma per questo vengono ripagati con l’emarginazione e la derisione.

Ho visto nei miei anni di insegnamento prima con perplessità, poi con preoccupazione, ora con terrore centinaia di alunni comportarsi come replicanti degli imbarazzanti personaggi che popolano le vostre trasmissioni, per cercare di essere come loro. E provo orrore per il compiacimento che trasudano le vostre conduzioni al cospetto di certi personaggi.  Io vi accuso, dunque, perché di tutto ciò siete responsabili in prima persona.  Spero nella vostra fine professionale e nella vostra estinzione mediatica, perché solo queste potranno essere le giuste pene per gli irreparabili danni causati al Paese.”

 

N.d.R. Se volete completare il panorama, cliccate sugli altri canali RAI, SKY, TV7, ecc. .
Ce n’è per tutti.

 

Numero2070.

 

Mi manda una cara amica:

 

SCHEI  A  VENESSIA.

 

Schèi è un termine veneto con il quale viene indicato in generale il denaro.

La probabile etimologia del termine è piuttosto singolare. Ai tempi del regno Lombardo-Veneto (1815-1866), quando il Veneto si trovava sotto l’egemonia austriaca, erano in circolazione alcune monete su cui era riportata la scritta scheide münze, cioè “moneta spicciola”. Questa veniva pronunciata popolarmente come schei, leggendo come in italiano la parola (la vera pronuncia in tedesco sarebbe “sciaide münze”), da cui poi derivò anche il singolare scheo per indicare la singola moneta.

Il termine è sopravvissuto sino all’epoca contemporanea. Il singolare, inoltre, indica per estensione qualcosa di piccole dimensioni, analogo all’italiano “soldo di cacio” (picoło fa un scheo, “piccolo come un soldo di cacio”), o anche una breve lunghezza, come un centimetro (spòsteło de vinti schei, “spostalo di 20 cm”). Si usa il gergale esar sensa schei per l'”essere senza soldi”, mentre averghe quatro schei (avere “quattro soldi” – cioè non averne – in italiano) nel Veneto significa, con un eufemismo ed in senso ironico, averne molti.

La parola franco è stata usata per indicare una somma di denaro, associata più alle vecchie lire che all’euro, ma ancora in uso. Per cui trenta franchi erano trenta lire; ‘na carta da mìłe (franchi) era una banconota da mille lire, ma rimane che averghe un franco significa ancora oggi “avere dei soldi”. Il termine deriva da un’altra moneta austriaca, che riportava l’abbreviazione Franc., indicante il nome dell’imperatore Francesco Giuseppe.

 

N.d.R.   Durante la dominazione austriaca a Venezia, la moneta corrente era la Krone (corona), i cui spiccioli erano i Pfenning.: sul bordo circolare del Pfenning, c’era la scritta SCHEIDE MÜNZE. Se consultate un vocabolario tedesco, trovate il verbo scheiden che significa “separare, dividere” ad indicare che la Krone era divisa in Pfenning. Ma trovate anche scheide che significa fodero e, in anatomia, vagina. Mentre münze significa moneta.
Ho il sospetto che sia questa la vera spiegazione del detto popolare, veneziano e veneto, “5 schei de mona”.
In Veneto, la mona è, gergalmente, l’organo sessuale femminile; il mona è invece l’equivalente di sciocco, stupido.
La mona (sheide) non avrebbe niente a che fare con la moneta (münze), come invece sostiene qualcuno, mentre si tratterebbe di una traduzione in dialetto Veneto del significato del termine scheide. Infatti le due parole sono distinte nella medesima locuzione.
La legge austriaca, all’epoca, imponeva che chi avesse in tasca meno di 5 scheidemünzen, venisse arrestato per vagabondaggio. Ecco allora che nacque un famoso modo di dire Veneziano: “Ghe vol sempre 5 schei de mona in scarsea” ( Ci vogliono sempre 5 schei de mona (scheidemünze) in tasca), per non essere arrestati. Ma mi chiedo: non sarebbe più azzeccato, nel contesto specifico, dire: 5 schei del mona = 5 soldi dello sciocco? Un bel pasticcio! Qui pro quo!
La frase è ancora oggi usatissima, per indicare che, quando necessario, per evitare problemi, è meglio, tutto sommato, passare un po’ per stupidi, che in Veneziano si dice “Pasar un fià par mona”. Oppure, magari, in una importante trattativa, conviene, a volte, fingere di non capire, quale espediente strategico, per ottenere invece il risultato sperato. Ecco perché, nella vita, “ghe vol sempre 5 schei de mona in scarsea”.