Numero2082.

 

M O V I D A   E   C O V I D A

 

  • Movida madrileña – movimento sociale ed artistico diffuso in Spagna dalla fine degli anni settanta con la caduta della dittatura franchista, fino ai primi anni novanta. Il termine movida ha poi via via perso tale connotazione culturale e socio-artistica ed in Italia è stato, ed è tuttora, utilizzato per indicare l’animazione, il “divertimento” e  la vita notturni.

Chiarito il suo significato e ricordata la sua origine, passo alla sua attualità di abitudine e fenomeno di costume e di comportamento largamente diffusi tra i giovani.
È un tipo di socializzazione e di incontro fra ragazzi e giovani che ha luogo, praticamente con cadenza quotidiana, dentro e fuori i locali che promuovono la cosiddetta “happy hour” (ora felice), mescita a prezzi popolari di alcolici a bassa gradazione (il famigerato “aperitivo”, lo “spriz” oppure la “birretta”).
Sul far della sera, seduti intorno ad un tavolino, o in piedi con il bicchiere in mano, centinaia, migliaia di ragazzi consumano i loro drink ed il loro tempo, come in un rito tribale.
E ” mi sovviene” il passo della indimenticabile ode di Giacomo Leopardi, Il passero solitario, là dove recita:
“Tutta vestita a festa,
la gioventù del loco
lascia le case
e per le vie si spande,
e mira ed è mirata
e in cor s’allegra”.

  • Questo accadeva due secoli fa. Perché mai dovremmo adontarci se, anche oggi, i nostri giovani indulgono in questo passatempo? Ma diciamola tutta: a noi anziani, di una generazione largamente superata, che impiegavamo il nostro tempo libero, magari dopo il lavoro, in un secondo lavoro per arrotondare il magro stipendio, oppure per un supplemento o recupero di studi, ovvero per una attività sportiva, e mai senza impegno e fatica, questi ragazzi d’oggi, che non trovano lavoro, ma nemmeno lo cercano, fanno un po’ di tenerezza ma anche di rabbia.
  • Io non lo so, ma sospetto che non di una sola “ora felice” si tratti, non di un bicchiere o due da bere con gli amici.  Mi si dice che le ore che si passano ai bar sono tante, che non si rincasa se non a notte inoltrata, che l’alcool non è controllato e limitato, ma scorre a fiumi, che, arrivata anche l’ora della fame e della cena, si mangiano stuzzichini e manicaretti che la moderna dietetica definisce “junk food” (cibo spazzatura) che, però, forniscono l’alibi per bere ulteriormente.
    A loro piace , alla gente normale, no.

Ecco, dunque, l’istinto di incolpare e condannare i giovani della movida di incontri ravvicinati, di assembramenti pericolosi in questi ultimi tempi di emergenza sanitaria per COVID-19.
Si coglie l’occasione delle restrizioni governative, per censurare e vietare questa abitudine, malvista dalla popolazione comune, in nome della sicurezza collettiva.

E allora, come in una tragedia greca, ecco il coro dei bempensanti, delle beghine, dei tartufi.
“Questa, della movida è una scellerata consuetudine, pericolosa come una droga, da cui si diventa dipendenti per assuefazione, che porta danni alla salute e all’equilibrio della personalità. In essa i giovani…..

le libertà si permettono,

le norme non rispettano,

e in pericolo ci mettono,

eppure non lo ammettono

e su questo non riflettono,

d’infischiarsene non smettono

d’imprudenze che commettono

per il virus che trasmettono.”

 

Ecco, sembra proprio un coro di donne del popolo che, nella tragedia della Grecia classica, cantano recitando il malumore e il dissenso della gente. Così Eschilo, Sofocle, Euripide davano voce all’opinione comune, al plauso o alla riprovazione dei protagonisti..

Così, la MOVIDA è diventata la COVIDA.

Numero2053.

 

The more you have, the more occupied you are.

The less you have, the more free you are.

You never have to throw away that which you never buy.

You’re never too important to be nice to people.

Intelligence is the ability to adapt to change.

Clutter is nothing more than postponed decisions.

 

Più hai, più sei occupato.

Meno hai, più sei libero.

Non devi mai buttare via quello che non compri mai.

Non sei mai troppo importante per essere gentile con le persone.

L’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento.

Il disordine non è altro che decisioni posticipate.

 

Your home is living space, not storage space.     Francine Jay.

Casa tua è uno spazio dove vivere, non un magazzino.

Numero2044.

 

L I F E   I S   A N   E C H O.

 

What you send out – comes back.

What you sow – you reap.

What you give – you get.

What you see in others – exist in you.

Do not judge – so, you will not be judged.

Radiate and give love – and love will come back to you.

 

L A   V I T A    È   U N’   E C O.

 

Quello che mandi – ritorna.

Quello che semini – raccogli.

Quello che dai – ottieni.

Quello che vedi negli altri – esiste in te.

Non giudicare – quindi non sarai giudicato.

Irradia e dai amore – e l’amore tornerà da te.

Numero2041.

 

S H A K E S P E A R E   S A I D ….

 

I always feel happy.. You know why?

Because I don’t expect anything from anyone.

Expectations always hurt. Life is short.

So love your life. Be happy. And keep smiling.

Just live for yourself and….

 

before you speak, listen.

Before you write, think.

Before you spend, earn.

Before you pray, forgive.

Before you hurt, feel.

Before you hate, love.

Before you quit, try.

Before you die, live.

 

S H A K E S P E A R E   H A   D E T T O…..

 

Mi sento sempre felice. Tu sai perché?

Perché non mi aspetto niente da nessuno.

Le aspettative fanno sempre male. La vita è breve.

Quindi, ama la tua vita. Sii felice. E continua a sorridere.

Vivi solo per te stesso e….

 

prima di parlare, ascolta.

Prima di scrivere, pensa.

Prima di spendere, guadagna.

Prima di pregare, perdona.

Prima di soffrire, senti.

Prima di odiare, ama.

Prima di mollare, prova.

Prima di morire, vivi.

Numero2040.

 

B E   L I  K E   A   T R E E.

 

Be like a tree.

Stay grounded.

Connect with your roots.

Turn over a new leaf.

Bend before you break.

Enjoy your unique natural beauty.

Keep growing.

 

S I I   C O M E   U N   A L B E R O

 

Sii come un albero.

Rimani con i piedi per terra.

Connettiti con le tue radici.

Trasformati in una nuova foglia.

Piegati prima di spezzarti.

Goditi la tua bellezza naturale unica.

Continua a crescere.

 

 

 

 

Numero2038.

 

P I A C E R E

 

Devo piacermi

per dare piacere.

 

Mi sono appuntato questa semplice frase, che ho sentito pronunciare, a notte inoltrata, durante una simpatica trasmissione televisiva che tratta esclusivamente di sesso e argomenti connessi, senza intenti didascalici, senza dottori o psicologi, ma che è condotta con leggerezza e senza ipocrisia, facendo parlare liberamente le persone presenti dei loro gusti, dei loro comportamenti, delle loro esperienze.
A pronunciarla era una donna che, intervistata dalla conduttrice sul tema del “piacere” e del “desiderio”, ha così, sinteticamente, espresso il proprio pensiero, che io ho percepito come illuminante, quasi folgorante. E ho tentato di prendere sonno, elucubrando e rimestando, in balia di mille considerazioni che si accavallavano nella mia mente.
Alla fine, ci ho dormito sopra, ripromettendomi di dedicare a questo argomento un numero del BLOG, per sviscerarlo meglio.

La prima considerazione che mi è balzata in testa è stato il parallelismo di questo aforisma con l’evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso” (Matteo, 22. 37-39). E anche  «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuorecon tutta l’anima tuacon tutta la forza tuacon tutta la mente tuae il tuo prossimo come te stesso» (Luca 10, 25-37) . Dopo il primo comandamento, quello di amare Dio, questo secondo è il comandamento più fondante di tutta la “morale cristiana”. Sappiamo che su di esso si è sviluppata la teoria etica  della Religione Cristiana, con la sottolineatura stringente e apodittica dell’amore per il prossimo. Non per niente, al primo posto, nell’enunciazione, viene “ama il prossimo tuo”. Tale e tanta è stata la preponderanza di questo concetto, che per duemila anni è stato messo in ombra, in secondo piano e, dico io, accuratamente, volutamente, intenzionalmente trascurato il “come te stesso”.
Ebbene, io intendo riesumare il paragone del vangelo, ribaltando i termini della questione: ama te stesso, per amare meglio gli altri.
La frase della signora intervistata, è la trasposizione esatta, sul piano della sessualità, di questo elementare enunciato. Al primo posto, in una sana ed equilibrata visione della vita, io ci metto l’amore per se stessi.
Non voglio mica fondare una Controreligione! Voglio solo riabilitare una esigenza primaria e naturale della personalità umana, che è quella di occuparsi della propria salute mentale, morale e fisica e, vivaddio, anche della propria felicità, prima di abbracciare supinamente ogni dettato altruistico, per quanto cogente possa essere: è l’istinto di sopravvivenza, ma di buona sopravvivenza.

Nella frase evangelica, quello che viene collocato al primo posto è l’amore per gli altri. Nella frase mia, che pur mantiene l’esortazione e l’ammonimento all’amore, al primo posto ho messo l’uomo, l’individuo pensante, responsabile, sensibile, empatico, pronto alla fraternità, alla collaborazione, alla generosità, alla misericordia. Ma solo dopo aver fatto proprio, compiutamente, il bagaglio di questi valori, inglobandolo nel proprio DNA esistenziale.
Sì, perché l’uomo non nasce, secondo natura, dotato di questi buoni principi.

L’amore per se stessi è una categoria naturale, insita nell’uomo. L’amore per gli altri è una dotazione culturale acquisita nel corso dell’evoluzione sociale ed esistenziale.

Per completare la nozione del radicamento di questi principi, nel tempo e nello spazio dell’umanità, invito il lettore a consultare brevemente il numero seguente (Numero2037.).

“Homo homini lupus” (l’uomo è un lupo per l’uomo) è una espressione latina che troviamo nella commedia di Plauto, L’Asinaria. 

Il concetto dell’ “homo homini lupus” è stato ripreso dal filosofo britannico Thomas Hobbes nella sua opera De Cive (Il cittadino); secondo Hobbes, la natura dell’uomo è essenzialmente egoistica e a determinare le azioni umane sono solamente l’istinto di sopravvivenza e quello di sopraffazione; egli ritiene impossibile che l’uomo si senta spinto ad avvicinare un proprio simile in virtù di un amore naturale; i legami di amicizia o di società degli uomini sono dovuti solamente al timore reciproco.
Nello stato di natura, ovvero in quello stato non regolato da alcuna legge, ogni persona, mossa dal suo più recondito istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare tutti coloro che rappresentano un ostacolo al raggiungimento dei propri scopi; in altri termini, ogni individuo vede nel proprio prossimo un nemico.
Fuori dall’ambito puramente filosofico, l’espressione latina è ancora oggi utilizzata, talvolta ironicamente, talvolta sconsolatamente, per sottolineare la malvagità, l’egoismo e la malizia dell’uomo; in questo senso ha pressoché il valore dell’altrettanto celebre detto mors tua vita mea (la tua morte è la mia vita).

Egoismo, egocentrismo, soggettivismo, individualismo, egotismo, solipsismo, narcisismo. Sono tutti termini che, con sottili sfumature a differenziare l’uno dall’altro, si riferiscono allo stesso concetto. Ma si badi bene, non hanno niente a che fare con il contenuto del mio pensiero.
L’amore per se stessi, come lo intendo io, o amor proprio, è occuparsi di sé, non trascurando gli altri, ma per meglio occuparsi degli altri.
Una personalità equilibrata ed armonica, consapevole e partecipativa non potrà mai erigere steccati, ma solo costruire ponti verso gli altri da sé. Probabilmente, nella costruzione del proprio “taglio mentale” e nella messa a fuoco della propria “Weltanschauung”, o “concezione, visione del mondo e della vita”, il compito più difficile è quello di predisporsi un filtro critico agguerrito e ben attrezzato. Per ottenere questo, è necessaria una straordinaria serie di azioni e di impegni, che non tutti trovano né possibili, né utili, né agevoli: studi, fino ad alti livelli, esperienze, le più disparate, interessi, impegnativi e formativi, frequentazioni, a volte selettive e non facili, stili di vita, talvolta costrittivi e, comunque, di elevato spessore umano e sociale.
Insomma, amare se stessi, per prepararsi alla vita, non è una cosa da ridere, anzi, è un percorso pieno di sacrifici, di difficoltà, di rinunce. Un percorso per nulla autocelebrativo, bensì autoformativo, spesso affrontato con mezzi propri ed inadeguati, combattendo battaglie dove le sconfitte sono sempre più frequenti, ma, comunque, più illuminanti delle vittorie.
Il traguardo di arrivo è una personalità matura, consapevole, preparata ad affrontare la vita, il lavoro, la famiglia, la società con una corazza temprata, con armi affilate, non con  “lo spirto guerrier ch’entro mi rugge” (Ugo Foscolo – Alla sera), ma con animo determinato e motivato, ricco della propria autostima.
Pensate che questa personalità sia ben predisposta verso gli altri, o che si manifesti e si imponga attraverso l’arroganza o la sopraffazione?
Il mio punto di vista, è quello che mi auguro di aver interpretato nella mia vita: è la prima delle due alternative appena citate. Per questo ne parlo, come esperienza personale, senza profferire sentenze o sprecare giudizi sul comportamento di altri.

D’altra parte, qualche secolo prima della frase evangelica, l’oracolo di Delfi, ripreso e sottolineato da Socrate, aveva raccomandato il “conosci te stesso”, come la chiave per aprire le porte del mondo, per interagire e misurarsi con esso. Non ho mai conosciuto, in tutto lo scibile umano, un precetto più illuminante ed esaustivo di questo.
Su quanto detto finora, segnalo e raccomando la lettura dei seguenti Numeri: 1758, 1559, 1400, 1396, 1370.

 

Tornando alla frase di partenza, mi ha stuzzicato una curiosità: ma una donna che dà piacere (sessuale) ad un uomo, dà piacere (orgasmo) anche a se stessa, perché si piace? Vuol dire perché è più disinibita, per il fatto di piacersi?
Allora, l’uomo che funzione avrebbe? E l’atto sessuale, è un darsi piacere reciprocamente, oppure è un'(auto)masturbazione attraverso il corpo del partner? Mio Dio, che guazzabuglio!
Con l’aiuto della vostra pazienza ed attenzione, tento di fare chiarezza: in realtà, non so dove questo discorso andrà a parare.
Quando una donna ha la consapevolezza di avere un bel corpo, armonioso, gradevole, curato, seducente (non solo agli occhi del partner, ma anche ai propri) è sicuramente ben disposta all’atto sessuale e predisposta a goderne lei stessa, oltre che a dare piacere sessuale al compagno. Fin qui, tutto potrebbe quadrare. E questa è la “conditio sine qua non” ( condizione imprescindibile), per instaurare un rapporto sessuale. Almeno da parte femminile.
Ribaltiamo i termini della questione. Una donna che non ha un corpo di suo gradimento, che è consapevole di non essere tanto sexy, non mi dilungo ad appurarne i motivi, ma che si concede ugualmente al proprio partner, per un’attrattiva sessuale di non precisata alchimia, vuol dire, forse, che può non essere così disinibita, come le circostanze richiederebbero? E che, pur facendo arrivare all’orgasmo il compagno, che compie decorosamente il suo dovere, senza tante fisime, può risentire di un freno inibitorio, che deriva dalla coscienza della propria condizione, e non godere appieno del rapporto, impedendosi di suo, in qualche modo, l’orgasmo?
So bene che molte donne non raggiungono mai, o quasi mai, l’orgasmo facendo l’amore col proprio compagno, e che il colpevole di questa “défaillance”, sarebbe proprio lui, il maschio egoista o inadeguato che, pensa a soddisfare le proprie voglie, senza pensare al piacere della compagna.
Ma, in presenza di un rapporto normale, come durata ed intensità, per la prestazione del maschio, può accadere che la femmina manifesti una partecipazione psicologicamente impedita da una scarsa autostima?
Dicono tutti che, nell’altro campo, quello maschile, l’eiaculazione precoce ha motivazioni sintomatiche di carattere psicologico. Perché non potrebbe essere dello stesso tipo, intendo psicologico, in campo femminile, la mancanza di orgasmo (anorgasmia)? E la causa potrebbe essere proprio la scarsa considerazione delle proprie fattezze muliebri?
Quello che, sul piano puramente fisico, la moderna medicina ha riscontrato essere una patologia autoimmune, ovvero, detto in soldoni, il corpo si fa male da solo, non potrebbe verificarsi, attraverso la somatizzazione, anche in ambito psicologico o psichiatrico? Cioè la mente cerca una espiazione, un’autopunizione, negandosi ciò che desidera, cioè la soddisfazione sessuale?

Messa così, un po’ semplicisticamente, la cosa potrebbe riassumersi in questo modo: le donne che si piacciono, che sono contente di sé, hanno molto probabilità di soddisfare sessualmente il partner e anche se stesse.
Le donne che hanno problemi di gradimento del proprio stato fisico, pur soddisfacendo il compagno, potrebbero avere grossi problemi a provare il proprio orgasmo.
L’altra faccia della medaglia, in campo maschile, potrebbe dirci che gli uomini che sono sicuri di sé, delle proprie “performances” e delle dimensioni del loro apparato sessuale, hanno, almeno, normali rapporti, soddisfacenti per se e per la compagna; mentre gli uomini che manifestano insicurezze e problematiche di varia natura, è più probabile che cadano vittime dell’eiaculazione precoce.
Fatto sta, in entrambi i casi, che l’autostima gioca un ruolo di primaria importanza in ambito sessuale.
Ed è proprio giusto e vero che l’apparato sessuale che conta e vale, di gran lunga, di più non sta in mezzo alle gambe, ma in mezzo alle orecchie.

Sono stati scritti migliaia di libri e trattati su questi temi. Darete voi ascolto ad un povero disinformato, ma disinibito, come me? Come sempre, a me interessa gettare il sassolino nello stagno.

 

 

 

 

 

Numero2023.

 

S C O N T E N T O    P O P O L A R E    E    A S T E N S I O N I S M O

 

Tutti gli avvenimenti di questi ultimi vent’anni, ciascuno a modo suo, sradicano nei cittadini l’idea di poter indirizzare, attraverso le elezioni, le scelte della comunità nazionale: di fatto indicano che le decisioni cruciali per la vita collettiva sono indipendenti dal voto (e quindi dalla volontà popolare) e si collocano in un altrove indefinito, ignoto e per questo minaccioso.
La crisi economica, venuta da fuori e refrattaria nella sua persistente durata a rimedi concepiti dalla politica, segnala l’inefficacia delle istituzioni nazionali. La caduta del governo costituito sulla base di un limpido esito elettorale, sostituito da una formazione di minoranza, indica la fragilità della politica legittimata dal giudizio dei cittadini e la forza dei vincoli esterni che condizionano l’Italia (paesi alleati, strutture economiche).

Se si svolge in termini di comunicazione questa sequenza di eventi, sono almeno cinque i messaggi di grande potenza evocativa che arrivano ai cittadini elettori:

 è interrotta la catena di fiducia che connette la scelta degli elettori alle decisioni del governo: si perde la continuità della traiettoria istituzionale e la volontà dei cittadini rimane sospesa nell’aria, evaporata nell’emergenza (spread, influenze della Bce): si può definire la rimozione degli elettori;

 le forze politiche, la cui missione è raccogliere intenti e bisogni degli elettori rappresentandoli entro le istituzioni, si rivelano inefficaci rispetto al compito ed inermi di fronte agli interventi esterni. La loro fragilità sfocia nell’inutilità: si può definire l’impotenza dei partiti;

 le competizioni elettorali in cui i partiti sono impegnati si rivelano alla fine inconsistenti, poco più che un gioco di specchi: si può definire il teatrino del voto;

 le decisioni politiche, staccate da una radice popolare, appaiono dipendenti da un nebuloso complesso di poteri che non sembra avere al primo posto l’interesse degli italiani: si può definire come l’altrove delle decisioni;

 le istituzioni, alla fine di questa lunga collana di deviazioni e fratture, producono risultati che peggiorano la vita dei cittadini e per questo appaiono sempre più inaffidabili: si può definire la nocività delle istituzioni.

In sintesi, i cittadini si sentono: espropriati della capacità di indirizzare la politica; penalizzati dall’operato di istituzioni che rispondono a logiche separate; illusi da giochi di scena privi di rilievo.
Per completare la lista dei motivi domestici che incentivano i comportamenti di astensione, va ricordato un tema di forte incidenza comunicativa che viene alla ribalta anni prima della cesura 2011-13 (Governo Monti): nel 2007 parte una serie di articoli sul Corriere della Sera che denunciano i privilegi della Casta (composta per l’essenziale da uomini politici) e ottengono un grande successo di pubblico, come dimostra il boom di vendite del libro che sviluppa per esteso l’argomento (si calcolano 1,3 milioni di copie vendute). La messa in primo piano dei privilegi parlamentari e amministrativi, associata alla percezione di una politica irrilevante e di istituzioni dannose, crea una miscela esplosiva che produce rancore e rabbia: si può definire risentimento contro i privilegi.

Le tendenze di lungo periodo formano la tela di fondo, lo schema generale di idee su cui poi si innestano i fattori nazionali che operano in tempi più stretti e con forza concentrata. Si possono indicare, come già si è accennato, quattro principali tendenze.

La prima è l’interdipendenza globale dei mercati che muove dinamiche su larga scala, sincronizzate per diversi paesi e quasi sempre vincolanti per il quadro economico – politico nazionale.

La seconda tendenza, molto rilevante in Europa (occidentale) ma significativa anche negli Stati Uniti, è la crescente importanza di norme e di istituzioni giuridiche, dedicate a dar loro attuazione, che assorbono quote crescenti di decisioni pubbliche: si restringe lo spazio della scelta strategica e si estende al suo posto l’ambito dell’applicazione normativa. Entro questa tendenza si può ricomprendere un duplice fenomeno che negli ultimi vent’anni ha conosciuto notevole espansione: anzitutto la proliferazione degli organismi sovranazionali dotati in moltissimi casi di cospicui poteri decisionali e quasi sempre costituiti e operanti su una base tecnico-giuridica, sganciata da forme di legittimazione popolare; quindi la diffusa formazione di autorità indipendenti, nell’Unione Europea più o meno connesse alla Commissione, che sottraggono molteplici competenze ai ministeri e agiscono con modalità riparate in linea di principio dalla politica.

La terza tendenza è l’idea che il processo delle decisioni politiche possa seguire metodi differenti da quelli codificati nella tradizione della democrazia rappresentativa: nel momento in cui attraverso la rete ogni cittadino può acquisire un pubblico e trasformarsi in una fonte, diventa plausibile, almeno in via teorica, immaginare forme di democrazia diretta aggiornate in chiave tecnologica. In questo modo si rafforza la convinzione, presente in molte ideologie utopiche, secondo cui la politica dei partiti e delle mediazioni istituzionali può essere superata con strumenti tecnici che puntano sulle capacità dell’individuo.
La svalutazione degli intermediari, ovvero delle strutture che collegano decisori di alto livello e singoli individui, è un’onda di lungo periodo che investe economia politica e società: l’individuo amplia il suo raggio d’azione nei consumi (internet allarga enormemente il campo di scelta), nella produzione (molte attività diventano più facili e possono essere svolte direttamente, per esempio operazioni finanziarie e test medici, oppure in concorrenza con strutture organizzate: Uber, Airbnb) e per estensione anche nella cosa pubblica.

Vi è poi un’ultima onda di opinione nella quale sfociano come componenti le tre tendenze precedenti: la si può definire come la progressiva perdita di valore della politica che restringe la propria efficacia e smarrisce prestigio. Soffre al contempo della crisi che colpisce intermediari e mediazioni, della riduzione di campo decisionale che deriva dall’incidenza sempre più diffusa e capillare dei mercati globali, del vorace impulso che spinge gli organismi sovranazionali a incorporare competenze e attività: ciò fa apparire la politica nel tempo poco comprensibile (troppi rituali che consumano tempo ed energie) e troppo pretenziosa (costi e privilegi in eccesso rispetto ai risultati).
Se si comparano le tendenze globali di lungo periodo con i fattori domestici si riscontrano nessi e vincoli. L’interdipendenza globale è il presupposto per l’altrove delle decisioni rispetto alla vita nazionale. L’imperialismo giuridico incarnato in strutture tecniche (nazionali e no) fa da premessa alla rimozione degli elettori. La caduta degli intermediari e l’esaltazione del ruolo giocato dai singoli può sfociare a lungo termine nell’idea della nocività istituzionale.

La svalutazione della politica si declina facilmente come impotenza dei partiti e teatrino del voto e alla fine può alimentare il risentimento.

Numero2022.

 

Segnalata da Alexis

 

Quello che mi ha sempre

sorpreso di più negli

uomini dell’Occidente,

è che perdono la salute

per fare i soldi

e poi perdono i soldi

per recuperare la salute.

Pensano tanto al futuro

che dimenticano di vivere

il presente, in maniera tale

che non riescono a vivere

né il presente né il futuro.

Vivono come se

non dovessero morire mai

e muoiono come se

non avessero mai vissuto.

 

Dalai  Lama.

Numero2016.

 

R I F L E S S I O N E

 

Il mondo non sarà mai

dei cretini istruiti,

sarà, bensì, retaggio

dei saggi istruiti.

Non sembri una banalità,

perché la parola chiave,

quella che fa la differenza,

non è “cretini” o “saggi”,

ma, piuttosto, “istruiti”.

Di solito, un giovane

è più cretino che saggio;

di converso, un vecchio

è più saggio che cretino.

Comunque sia, la loro istruzione

sarà sempre discriminante.

Talvolta accade che un giovane,

cretino, abbia successo.

Se non sarà istruito, questo

successo sarà effimero,

perché dipende solo

dalla sua gioventù.

Ma, più spesso, un vecchio,

saggio, non avrà séguito,

pur essendo istruito,

perché non cercherà il successo,

gli basterà l’istruzione,

che sarà il premio a se stesso.

La sua “cultura di vita” è

il suo successo autoappagante.

Ma, in questo rinchiudersi

nella sua “turris eburnea”,

c’è un anello debole

nella catena di trasmissione

della cultura di un popolo, che

è una continua sedimentazione,

una stratificazione dei “saperi”

condivisi perché comunicati.

Un vecchio saggio non può

permettersi il lusso di portare

con sé, nella tomba, il “tesoro”

della sua cultura, cioè le conoscenze,

le sensibilità, le esperienze migliorative,

che hanno accompagnato il suo

personale percorso di vita.

Deve spargerlo ed espanderlo,

per condividerlo e metterlo

a disposizione degli altri,

se non di tutti, almeno di coloro

che ne sapranno cogliere la traccia.

Solo così, potrà ritagliarsi

una piccola fetta di eternità.

 

Numero2015.

 

Segnalata da mio nipote Stefano

 

D E T T O   I N D I A N O

 

Una sera un anziano capo Cherokee

raccontò al nipote la battaglia

che avviene dentro di noi.

Gli disse: “Figlio mio, la battaglia è

fra due lupi che vivono dentro di noi.

Uno è infelicità, paura, preoccupazione,

gelosia, dispiacere, autocommiserazione,

rancore, senso d’inferiorità.

L’altro è felicità, amore, speranza,

serenità, gentilezza, generosità,

verità, compassione”.

…. Il piccolo ci pensò su un minuto,

poi chiese: “Quale lupo vince?”

L’anziano Cherokee rispose semplicemente:

“Quello a cui dai da mangiare”.