U N C A S O C H E S I S T A R I A P R E N D O 12 Aprile 2023
da I L M O N D O Rivista Italiana Illustrata di Politica, Economia, Cultura, Società.
Cold Case – Dall’altra parte del velo, il caso Emanuela Orlandi
PUBLISHED ON : BY MICAELA FERRARO
Quando il Vaticano chiude i suoi cancelli, alla mezzanotte del 22 giugno 1983, intrappola per sempre tra le ombre dei suoi vicoli Emanuela Orlandi: un segreto che dura da 39 anni e intreccia i capitoli più oscuri della storia italiana
Il problema del tempo è che erode ogni cosa: non c’è roccia, costruzione, elemento, essere umano o storia che possa resistere a quel tipo di eterno logorio. Il tempo scorre su tutto come acqua e non c’è modo di fermarlo: cancella i confini, appanna la realtà, smorza i sentimenti, la paura, il dolore, persino l’amore. Il tempo è come un velo bianco che alziamo su un viso senza vita per celare la realtà ed è il primo, vero, nemico della verità.
Sono passati 39 anni dal giorno della scomparsa di Emanuela Orlandi. Suo padre, Ercole, è morto nel 2004: «sono stato tradito da chi ho servito» sono state le sue ultime parole; anche Papa Wojtyla è morto, l’anno seguente. Sono scomparsi il boss mafioso Enrico De Pedis e Giulio Gangi, l’ex agente del Sisde che per primo si occupò delle indagini. Per ogni bocca che si chiude per sempre, una manciata di terra viene gettata sulla tomba vuota di Emanuela, che oggi avrebbe circa 54 anni. Emanuela, che il 22 giugno del 1983, in una giornata caldissima, uscì di casa diretta alla scuola di musica e scomparve per sempre. La giovane Orlandi era forse un’adolescente comune ma non una ragazzina qualunque: cittadina vaticana, figlia del commesso della Prefettura della casa pontificia Ercole Orlandi, aveva 15 anni e suonava il flauto. Quel pomeriggio entrò in ritardo alla sua lezione: era stata fermata da un uomo con una Bmw verde che le aveva offerto un lavoro come rappresentante Avon. Era un tragitto che faceva tutte le settimane, quello da casa sua alla scuola dove studiava musica, andata e ritorno; ma al ritorno quella sera non prese l’autobus con le sue amiche: telefonò a sua sorella per spiegarle il curioso incontro appena avuto e poi scomparve nel nulla, senza lasciare traccia.
Le amiche di Emanuela, che prendevano l’autobus con lei ogni giorno, sono un’entità quasi eterea in questa storia: nessuna di loro aveva visto o sentito niente, nessuna sapeva nulla. Chiunque ricordi la propria adolescenza o abbia semplicemente a che fare con un adolescente durante le sue giornate sa quanto questo appaia curioso: i ragazzi non si fidano di genitori o fratelli a 15 anni; non è in casa che si raccontano i misteri più profondi della propria giovinezza, non è alla famiglia che si svelano gli arcani più insondabili della propria mente non ancora perfettamente comprensibile. C’è sempre una persona speciale: qualcuno a cui non si ha vergogna di raccontare ciò che non si oserebbe dire a nessun altro. Eppure nelle indagini sulla scomparsa di Emanuela quest’amica “del cuore” è rimasta nell’ombra, come se non esistesse, fino a pochissimo tempo fa quando, ancora spaventata e scegliendo la via dell’anonimato, confessò che Emanuela le aveva telefonato poco prima della scomparsa, dicendole che durante uno dei suoi giri nei giardini vaticani una persona molto vicina al Papa l’aveva infastidita. E non erano attenzioni innocenti quelle che le aveva rivolto. Erano attenzioni perverse. Sessuali. Oggi le chiameremmo abusi.
Quando sul Vaticano scese la notte in quella torrida giornata dell’83, i genitori di Emanuela Orlandi, nel panico, si rivolsero alle forze dell’ordine. Ma era troppo presto per sporgere denuncia, insomma, dissero, la ragazza “non era nemmeno così bella” da poter far pensare a un rapimento; si era sicuramente allontanata “volontariamente“. Non c’era di che preoccuparsi, sarebbe tornata da sola, così come da sola era sparita. Nei giorni successivi arrivarono agli Orlandi due telefonate: due giovani uomini raccontarono di aver visto una ragazza che corrispondeva alla descrizione di Emanuela a Campo dei Fiori. Si faceva chiamare Barbara e vendeva cosmetici. Le indagini erano bloccate e la polizia non sembrava ancora persuasa a perseguire alcuna pista seria: per tutti quanti tranne per i suoi genitori, Emanuela si era allontanata per sua volontà, probabilmente per un moto di ribellione adolescenziale. Domenica 3 luglio 1983 Papa Giovanni Paolo II durante l’Angelus pronunciò per la prima volta il nome della ragazza e rivolse un appello, un appello ai “responsabili della scomparsa di Emanuela Orlandi“. Fu così che venne ufficializzata l’ipotesi di un sequestro, e venne fatto dal Vaticano. Le parole del Papa aprirono la porta sul corridoio oscuro che sarebbero state le indagini da quel momento in avanti, un buio perpetuo di negazioni, omissioni e incertezze che ancora oggi condiziona la famiglia di Emanuela.
Nel corso del tempo, vennero seguiti tre filoni d’indagine. La pista del terrorismo internazionale; quella della mafia e del Banco Ambrosiano; e infine quella legata al caso Vatileaks.
Dopo le parole di Papa Giovanni Paolo II, che per primo parlò di sequestro, alla sala stampa vaticana giunse una telefonata da parte di un uomo con un forte accento anglosassone che fu subito rinominato “l’Americano“; quest’uomo richiese l’attivazione di una linea diretta con il Vaticano e dichiarò che Emanuela era stata rapita dai Lupi Grigi e che sarebbe stata rilasciata solo in cambio della liberazione di Mehmet Ali Ağca, l’attentatore di Papa Wojtyla. Aveva senso: i “Lupi Grigi” erano un movimento turco ultranazionalista, responsabile di molti attacchi terroristici. Il 13 maggio 1981 Ağca aveva sparato contro il Papa in Piazza San Pietro, colpendolo all’addome. Nel caos che era seguito all’attentato, il terrorista era quasi riuscito a scomparire in mezzo alla gente: era stata una suora a bloccarlo e a permettere alla polizia italiana di arrestarlo. L’Americano fissò un ultimatum: Ağca doveva essere liberato entro il 20 luglio altrimenti Emanuela sarebbe morta. La famiglia chiese delle prove, che arrivarono, sempre a mezzo stampa, tramite pacchetti che i terroristi fecero trovare in giro per la città: venne rinvenuta una fotocopia della tessera di musica di Emanuela, il pagamento di una retta, e un messaggio da parte della ragazza che recitava “con tanto affetto la vostra Emanuela“. Il contenuto di questo pacco provava che i rapinatori avevano accesso agli effetti personali della ragazza, non che la stessa fosse ancora viva. Un’altra prova fu una cassetta audio: da una parte c’era il messaggio dei rapinatori che chiedevano lo scambio, dall’altra un terrificante messaggio di Emanuela, in cui si sentiva una ragazza gemere e lamentarsi. Controlli successivi dimostrarono che quel nastro era stato preso da un film porno, non era la voce della giovane scomparsa. Il giorno della scadenza dell’ultimatum arrivò e se ne andò: si portò via l’ultimo comunicato dell’Americano, che disse “ancora poche ore e uccideremo Emanuela“. Poi, il silenzio. Eppure, Ağca cominciò a parlare con le autorità italiane ed emerse qualcosa di strano: il terrorista confessò che non voleva uccidere il Papa su ordine dei Lupi Grigi ma perché era in contatto con i bulgari. Il KGB, i servizi segreti dell’Unione Sovietica. Un Papa polacco era visto come una sfida al blocco orientale in Polonia e, di conseguenza, a Mosca. La polizia pensò che ora che Ağca aveva cominciato a rivelare chi c’era dietro all’operazione, l’Unione Sovietica volesse liberarlo per farlo tacere per sempre. Ma dell’Americano nessuno seppe più nulla.
Ci sono diverse zone d’ombra in questa prima pista perseguita dalle forze dell’ordine e dal Sisde, domande a cui non è possibile rispondere. La richiesta dei Lupi Grigi è arrivata solo dopo che il Papa aveva parlato, non prima; inoltre, per la prima volta si era davanti a un caso di terrorismo internazionale e non si sapeva chi fosse il mandante. E per concludere, come sottolineò una fonte segreta a Andrea Purgatori, uno dei giornalisti che per primo e più approfonditamente si occupò del caso Orlandi, i presunti “rapitori” sembravano muoversi senza una strategia. A tutti gli effetti, la pista terroristica sembrava un diversivo.
22 anni dopo la scomparsa, arrivò inattesa una nuova fonte che rimase anonima ma dichiarò alla trasmissione Chi l’ha visto? che se si voleva risolvere il mistero di Emanuela bisognava scoprire chi fosse sepolto nella basilica di Sant’Apollinare, a Roma. Un luogo dove nessuno può ricevere sepoltura a meno che non abbia un permesso speciale o non abbia fatto un grosso favore al Vaticano. E a Sant’Apollinare era sepolto Enrico De Pedis, il criminale più potente di Roma, il boss della banda della Magliana. Fu così che si aprì la seconda pista, confermata nel 1997 dalla compagna di De Pedis, Sabrina Minardi, che svelò alle forze dell’ordine come Emanuela fosse stata segregata per alcuni giorni in un appartamento a Roma. Minardi disse che non sapeva nulla del caso ma finì per riconoscere la ragazza per via dei manifesti affissi per la città. Secondo la donna, Emanuela rimase con loro per qualche giorno, venne spostata in due appartamenti diversi e poi fu riconsegnata a un uomo, dentro le mura vaticane, oltre quel cancello che si chiudeva – e ancor si chiude – ogni notte a mezzanotte: un uomo con un abito talare. Un prete, che venne a prenderla con un’auto con una targa della città del Vaticano. Perché la banda della Magliana era coinvolta con il Vaticano e nel rapimento Orlandi? Qual era il favore che De Pedis stava facendo al papato e che gli sarebbe valso il permesso di essere sepolto a Sant’Apollinare? La risposta arrivò da un altro boss della Magliana, Maurizio Abbatino, che rivelò qualche anno più tardi che il motivo del rapimento era legato al denaro. I soldi della mafia arrivavano regolarmente nelle casse del Vaticano tramite il Banco Ambrosiano in un giro di riciclaggio, ma qualcosa in quel periodo era andato storto e questi soldi erano rimasti bloccati oltre le mura del papato. E la mafia li rivoleva indietro.
Nel 2013 viene eletto Papa Francesco: si tratta di una nuova speranza per la famiglia Orlandi perché Bergoglio viene visto come un grande riformatore, un uomo di Dio che desiderava trasparenza nella Chiesa. Due settimane dopo la sua elezione, Francesco incontra gli Orlandi e dice solo quattro parole: “Emanuela sta in cielo“. La delusione si mischia alla paura e alla rabbia: la ragazza, ormai una donna, non è mai stata ritrovata. Come fa questo nuovo Papa a sapere che è morta? Significa che dentro il Vaticano qualcuno sa qualcosa in più su questa torbida vicenda, come i parenti di Emanuela hanno sempre sospettato. Eppure nulla emerge fino allo scandalo Vatileaks: nel 2016 c’è un’enorme fuga di dati, migliaia di documenti segreti su corruzione e cattiva gestione finanziaria del Vaticano vengono recuperati. E salta fuori un fascicolo, rimasto in cassaforte per più di 30 anni: un dossier sulle “spese sostenute dallo Stato Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi“. Nelle cinque pagine rese pubbliche si susseguono date e cifre: rette, spese mediche, vitto, alloggio, spese di trasferimenti tra il Vaticano e Londra. Viene fuori che Emanuela è stata in Inghilterra dal 1983 al 1997, ricoverata al 176 di Clapham Road, in un ostello della gioventù per ragazze di proprietà dei Padri Scalabrini, una congregazione religiosa cattolica con un fortissimo legame con il Vaticano. L’ultima voce recita “disbrigo pratiche finali” e relativo trasferimento in Vaticano. Significa che Emanuela è morta ed è stata sepolta proprio qui, a casa sua, senza che la famiglia ne fosse mai informata? È un interrogativo a cui è impossibile rispondere con certezza, perché la certezza dipende da prove e testimonianze mai ottenute. Su una cosa, però, non si possono avere dubbi: dentro il Vaticano qualcuno sa da sempre cosa è successo a Emanuela Orlandi. Forse il prete che, come denuncia l’amica della vittima, aveva rivolto “attenzioni discutibili” a Emanuela, o forse il Papa, che ha cercato di chiudere la storia confessando implicitamente alla famiglia che Emanuela fosse morta. Forse i banchieri dell’Ambrosiano, forse la mafia che ha fatto da corollario a questa storia, o forse l’intero sistema della Chiesa, una Chiesa corrotta, pericolosa, al centro di uno dei regni più controversi della storia del mondo, che conserva i suoi segreti sotto la troneggiante, inquieta, immortale cupola di piazza San Pietro. Il Vaticano.
Queste parole si possono considerare il compendio del pensiero filosofico, sociale e morale di Giordano Bruno (Nola 1548 – Roma 1600) filosofo, scrittore e frate domenicano.
Lui, uomo di Chiesa, scriveva questo indicando proprio nella Chiesa la “mente fallace, menzognera”.
Per le sue teorie filosofiche, giudicate eretiche ed essendosi rifiutato di rinnegare i propri principi e le convinzioni maturate nella sua esperienza di vita clericale, dal Tribunale dell’Inquisizione fu condannato al rogo e arso vivo a Roma, in Piazza di Campo dei Fiori, il 17 Febbraio 1600.
P A P A R O N C A L L I (Giovanni XXIII) (fatto storico)
Certamente uno dei pontefici più amati e ricordati è Angelo Roncalli. Soprannominato il “papa buono”, è stato riconosciuto santo nel 2014.
Un curioso aneddoto lo vide protagonista nel 1958, quando era il patriarca di Venezia; in visita a Lodi per le celebrazioni degli 800 anni di rifondazione della città, accompagnato dal vescovo Tarcisio Benedetti si reca a visitare la sala dei ritratti.
Giunto di fronte al quadro di Giovanni XXIII, ha un sussulto: “Vescovo non dovete tenere questo ritratto, questo fu un antipapa”.
Al rimprovero, il povero vescovo appare mortificato: conosce la grande cultura storica di Roncalli, anche se all’annuario dei papi, Giovanni XXIII (Risposta alla domanda: Quale papa fu l’unico ad essere destituito dalle autorità ecclesiastiche? Fu scomunicato da Papa Gregorio XII) risultava legittimo fino a qualche anno prima.
Benedetti si limita a controbattere: “Baldassarre Cossa fu un antipapa è vero, ma dopo 40 anni di scisma ebbe il merito di indire il Concilio di Costanza (1430) e ridare così unita alla Chiesa. Patriarca, ma se il futuro papa volesse prendere come nome Giovanni, sarebbe XXIII o XXIV?”.
“Ventitreesimo, ma vedremo chi avrà il coraggio di chiamarsi così!”
Dopo un mese Angelo Roncalli venne eletto papa e scelse come nome Giovanni…XXIII ovviamente.
Nel libro di Dan Brown INFERNO, a pagina 121, viene riportato il grafico sottostante che, ancora più sotto, ho corredato con altri dati forniti dai preposti Centri Studi Statistici dell’ONU. Nel romanzo si fa riferimento alla Bartlett’s Beaker Theory: la riassumo attraverso un monologo di uno dei protagonisti del libro che dice:
La popolazione umana della terra ci ha messo 100.000 anni per arrivare ad 1 Miliardo. E poi altri 100 anni per arrivare a 2 Miliardi. E solo 50 anni per raddoppiare ancora: 4 Miliardi negli anni 70. Siamo quasi a 8 Miliardi, ora. Prendiamo la Bartlett’s Beaker (coppa chiusa di Bartlett) e mettiamoci 1 solo batterio alle ore 11. Questo si divide in due, cioè raddoppia e prolifica in ogni singolo minuto. Il contenitore è completamente pieno alle ore 12.
A che ora la coppa era mezza piena?
ALLE 11.59.
Intanto continuiamo ad aggradire il nostro ambiente. Abbiamo avuto cinque grandi estinzioni nella nostra storia sulla terra e, se non prendiamo coraggiosi provvedimenti, la sesta estinzione sarà la nostra.
Siamo a 1 minuto dal riempimento totale!
World population, billions = Popolazione Mondiale in miliardi.
BC = Before Christ = anni prima di Cristo.
AD = Anno Domini = Anno del Signore, nascita di Cristo. Anno Zero della nostra Datazione Storica.
Human Population in billions = Popolazione Mondiale in Miliardi.
Years passed = Anni passati
Year = Anno
Pop. (billions) = Popolazione in Miliardi.
Years
passed
Year
Pop.
(billions)
–
1800
1
127
1927
2
33
1960
3
14
1974
4
13
1987
5
12
1999
6
12
2011
7
12
2023*
8
14
2037*
9
18
2055*
10
33
2088*
11
*World Population Prospects 2017
(United Nations Population Division)
Previsioni sulla Popolazione Mondiale 2017.
(Divisione delle Nazioni Unite sulla Popolazione)
World human population estimates from 1800 to 2100, with estimated range of future population after 2020 based on “high” and “low” scenarios. Data from the United Nations projections in 2019.
Stime della Popolazione Umana Mondiale dal 1800 al 2100, con intervallo stimato della Popolazione futura dopo il 2020, basato su scenario “basso” e “alto”. Dati dalle Proiezioni delle Nazioni Unite del 2019.
N.d.R. Dal grafico risulta che, nel 2050, la Popolazione Mondiale potrebbe essere: nello scenario “basso”, di 8,5 Miliardi; nello scenario “alto”, di 11 Miliardi. Nel 2100, potrebbe essere: nello scenario “basso”, di 7,3 Miliardi; nello scenario “alto”, di 15,6 Miliardi.
RIPORTO DAL ROMANZO DI DAN BROWN, pagina 119:
La popolazione della terra ha impiegato migliaia di anni, dagli albori dell’umanità fino all’inizio dell’Ottocento, per arrivare ad un miliardo di persone. Poi, incredibilmente, sono bastati cento anni per raddoppiare e arrivare a due miliardi, negli anni Venti del secolo scorso. Dopodiché, in cinquant’anni, la popolazione è nuovamente raddoppiata e, negli anni Settanta, è arrivata a quattro miliardi. Come si può immaginare, raggiungeremo presto gli otto miliardi. Solo oggi, la razza umana ha aggiunto un altro quarto di milione di persone sul pianeta. Un quarto di milione. E questo accade ogni giorno, ogni singolo giorno. Attualmente, ogni anno aggiungiamo l’equivalente dell’intera popolazione della Germania.
…. “Lei quanti anni ha?”
“Sessantuno”.
“Lo sa che se dovesse vivere altri diciannove anni e arrivare agli ottanta, nell’arco della vita la popolazione mondiale sarebbe triplicata? Il tempo di una vita… un accrescimento pari a tre volte. Rifletta sulle implicazioni. Come lei ben sa, la sua organizzazione ha già rivisto al rialzo le previsioni, pronosticando che prima della metà di questo secolo, ci saranno qualcosa come nove miliardi di persone sulla terra. Le specie animali si estingueranno a un ritmo vorticoso. La richiesta di risorse naturali sta già salendo alle stelle. È sempre più difficile reperire acqua pulita. Secondo tutti gli indicatori biologici, la nostra specie ha superato ogni condizione di sostenibilità.
“…lei sa perfettamente che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) prende molto sul serio il problema della sovrappopolazione. Di recente abbiamo speso milioni di dollari per inviare medici in Africa a distribuire profilattici gratis e a educare le popolazioni al controllo delle nascite”.
“Ah, certo! E dopo di voi un esercito ancora più numeroso di cattolici si è precipitato ad ammonire gli africani che se avessero usato i profilattici sarebbero finiti all’inferno. Adesso l’Africa ha una nuova emergenza ambientale… discariche che straripano di preservativi inutilizzati”.
N.d.R.: Nella Bibbia, in Genesi 9 e in Numeri 35, vi sono alcuni versetti che richiamano il comando di Dio alla famiglia umana di “allargarsi” il più possibile. Eccoli: “Dio benedisse Noè ed i suoi figli e disse loro: “Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra. Avranno timore e spavento di voi tutti gli animali sulla terra e tutti gli uccelli del cielo. Essi sono dati in vostro potere con tutto ciò che striscia sulla terra e con tutti i pesci del mare…..”.
Permettete una mia considerazione. C’è forse qualcuno che ha aggiunto alle numerose e diversificate fonti di inquinamento ambientale, che viene ovunque indicato come aumento di CO2 (anidride carbonica), le emissioni di questo composto chimico gassoso provocate dalla respirazione di ogni uomo sulla terra e per la media di oltre 70 anni ciascuno? 100 anni fa, respiravano sulla terra circa 2 miliardi di esseri umani, e la loro vita media era di circa 32 – 35 anni. Oggi questo numero di abitanti della terra è quadruplicato e, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’aspettativa di vita è salita a 72,6 anni, cioè è più che raddoppiata. Ripeto la domanda: c’è qualcuno che ha mai indicato l’essere umano come il maggior inquinatore della terra? No, mai! Perché? Come si fa a contraddire la Bibbia? Ma non è la Bibbia che diceva “Fermati, o sole” indicando come verità rivelata che la terra era al centro dell’Universo? E che condannò all’abiura Galileo Galilei che aveva dimostrato, confermando la teoria eliocentrica di Copernico, che l’ipotesi geocentrica era falsa, in tutta evidenza scientifica?
Miserabile ipocrisia umana!
N.B. Secondo una ricerca del 29 Novembre 2019, ogni Italiano emette, in media, ogni anno. 5.533 Kg di CO2, solo respirando. Non si prendono in considerazione tutte le emissioni che produce per vivere la vita normale di oggi che sono un’altra enormità: per mangiare una bistecca, per andare al lavoro con la macchina, per produrre un qualunque manufatto, per guardare la Tv, per tutto ciò che riguarda la sopravvivenza e l’attività umana e la normale vita moderna, la quantità di CO2 è spaventosa per ogni singolo uomo. E quanti più sono gli uomini….
5.533 Kg X 70 anni (semplificando) di vita media = 387.310 Kg. Se moltiplicate questa cifra per 8 miliardi …. e questo SOLO PER RESPIRARE!
Potrei riferire degli studi statistici compendiati appunto nella Teoria del Prof. Albert Allen Bartlett che riguarda la crescita esponenziale della popolazione mondiale, sulla quale, però, anch’io ho molto da eccepire. Infatti non la riporto. Mi sono fatto, come tanti la domanda: la crescita della popolazione mondiale è veramente esponenziale? La risposta è no. Affinché la crescita della popolazione sia esponenziale, il tasso di crescita non sarebbe lo stesso nel tempo (es. 2% di crescita ogni anno). In termini assoluti, ciò comporterebbe un aumento non esponenziale del numero di persone. Nella realtà, secondo i grafici e le previsioni di crescita esposti sopra, l’incremento demografico ha un andamento costante, ma non secondo la logica esponenziale.
Ciò nonostante, il numero di esseri umani viventi sulla terra entro la fine di questo secolo pone gravosissimi problemi di coabitazione e di sopravvivenza. Per questo, la limitazione delle nascite è un tema sul tavolo e nel letto della popolazione ora fertile sulla terra. E la terra non ha posto per tutti.
L’intossicazione da ergot, detta «ergotismo», era conosciuta nel medioevo con il nome di «fuoco di Sant’Antonio» (soprannome in seguito attribuito anche all’herpes zoster), «fuoco sacro» o «male degli ardenti». Il fenomeno era noto già fin dal XVII secolo, tanto che nel 1676 gli scienziati francesi riuscirono a convincere le autorità a proibire l’uso della segale in luogo del frumento per preparare il pane.
Claviceps purpurea è un ascomicete del genere Claviceps parassita delle graminacee. Il suo nome comune è il termine francese ergot, che in italiano significa “sperone” Detta specie, infatti, genera nelle piante infette degli sclerozi simili a speroni o spesso — come nel caso della segale — delle escrescenze a forma di corna, da cui anche il nome comune di segale cornuta per indicare il cereale affetto da ergotismo.
Claviceps purpurea è la specie più studiata e conosciuta per i suoi rilevanti effetti nella contaminazione di alimenti confezionati con cereali da essa attaccati. Gli speroni della segale cornuta sono corpi fruttiferi del fungo stesso contenenti diversi alcaloidi velenosi o psicoattivi del gruppo delle ergotine (tra cui l’acido lisergico) che presentano vari tipi di effetti sui soggetti che li assumono. Tali alcaloidi, essendo vasocostrittori, compromettono la circolazione; inoltre interagiscono con il sistema nervoso centrale, agendo in particolare sui recettori della serotonina.
L’ergotismo era spesso fatale e aveva sempre effetti devastanti sulle comunità che ne erano colpite. Esso poteva presentarsi in due forme: ergotismus convulsivus, caratterizzato da sintomi neuroconvulsivi di natura epilettica, oppure ergotismus gangraenosus, che provocava gangrena alle estremità fino alla loro mummificazione.
Gli alcaloidi della segale cornuta sono resistenti anche alle alte temperature dei forni di cottura del pane e ciò è ritenuto essere all’origine di molti fenomeni di allucinazione e superstizione tipici di realtà campestri in epoca preindustriale. Pare infatti riconducibile a ergotismo l’ondata di fenomeni registrati a fine Seicento a Salem, nel Massachusetts, che diedero origine alla più grande caccia alle streghe mai vista sul suolo americano. Parimenti attribuibili a effetti allucinatori da ergotismo sono, altresì, presunti eventi soprannaturali quali le cosiddette apparizioni (si citino a esempio Lourdes o Fátima), caratterizzate dall’accadere, sempre in un contesto socio-economico di estrema povertà e di scarsa alfabetizzazione, in cui il nutrimento più diffuso era il pane di segale verosimilmente infetto da ergotismo e in cui i fenomeni allucinatori erano pesantemente influenzati dalle esperienze pregresse e dalla credulità popolare.
Una possibile ipotesi circa il nome “Fuoco di Sant’Antonio” è che nel Nord Europa, dove il pane veniva fatto con la segale, spesso si contraeva questa malattia, dovuta al fungo che infettava la segale. I malati, recandosi in pellegrinaggio verso i santuari di sant’Antonio in Italia, man mano che scendevano verso Sud cambiavano alimentazione mangiando pane di grano, e ciò attenuava o eliminava i sintomi dell’intossicazione. Tale effetto veniva attribuito a un miracolo per opera di sant’Antonio.
N.d.R. : Rilevo con stupore che spiegazioni scientifiche (che riguardano medicina, tossicologia, chimica, nutrizionismo) di questo tipo siano così poco conosciute, anche oggi. Io stesso sono venuto a conoscenza di questi fatti storici solo per vie traverse, senza un preciso intento o preconcetto.
Ho approfondito un termine e mi sono imbattuto in un’ipotesi storica che spiegherebbe gli stati allucinatori di “miracoli” come quelli di Lourdes e Fàtima, come dovuti al tipo di alimentazione con il consumo quotidiano di pane di segale cornuta. Capisco, tuttavia, molto bene perché questa ipotesi, che continuo a considerare tale, non sia di pubblico dominio. Su ciò che non conviene parlare, non si parli.
Ratzinger: “grandissima colpa” se non si affrontano abusi
Ratzinger, in una lettera sugli abusi a Monaco, parla di “grandissima colpa” per chi commette abusi ma anche per chi non li affronta. Negli incontri con le vittime “ho guardato negli occhi le conseguenze di una grandissima colpa e ho imparato a capire che noi stessi veniamo trascinati in questa grandissima colpa quando la trascuriamo o quando non l’affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità, come troppo spesso è accaduto e accade”.
“Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica. Tanto più grande è il mio dolore” e “ogni giorno mi domanda se anche oggi io non debba parlare di grandissima colpa”.
Il Papa emerito Benedetto XVI torna a chiedere “perdono”, a nome della Chiesa, considerati gli importanti ruoli che lui stesso ha ricoperto, per gli abusi commessi dal clero.
Nella Lettera a commento del rapporto sulla pedofilia nella diocesi di Monaco ricorda i suoi incontri con le vittime nei viaggi apostolici da Pontefice e scrive: “Come in quegli incontri, ancora una volta posso solo esprimere nei confronti di tutte le vittime di abusi sessuali la mia profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera domanda di perdono. Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica. Tanto più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi. Ogni singolo caso di abuso sessuale è terribile e irreparabile. Alle vittime degli abusi sessuali va la mia profonda compassione e mi rammarico per ogni singolo caso”.
Dal caso Spotlight fino al coinvolgimento di Ratzinger: ecco come gli scandali dei cardinali hanno svelato la pedofilia nella Chiesa, riscrivendone la storia recente
Appelli, riforme e nuove leggi, ma a che punto è la Chiesa cattolica nel contrasto della pedofilia del suo clero? La domanda diventa sempre più pressante dopo la pubblicazione dei rapporti sugli abusi sessuali sui minori commessi dai preti in Francia e Germania. Cifre spaventose che hanno scalfito perfino Benedetto XVI, accusato di quattro casi di negligenza quando era arcivescovo di Monaco e Frisinga, dal 1977 al 1981. Proprio sulla scrivania di Ratzinger, chiamato dopo il breve episcopato bavarese da san Giovanni Paolo II in Vaticano come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sono arrivati per decenni i dossier mondiali della pedofilia. Una pentola difficilissima, se non impossibile da scoperchiare durante gli anni del pontificato wojtyliano, nonostante la storica denuncia di Ratzinger sulla “sporcizia nella Chiesa” riferita proprio alla piaga degli abusi. Divenuto Papa, il tappo che per decenni ha insabbiato migliaia di questi crimini è saltato, con il rischio di minare per sempre l’immagine del cattolicesimomondiale.
Law –A dire il vero qualcosa si era iniziato a muovere negli ultimi anni del lungo regno di Karol Wojtyla. Nel 2002, ovvero tre anni prima della morte del Papa polacco, l’allora arcivescovo di Boston, il cardinale Bernard Francis Law, fu letteralmente travolto da un’accurata inchiesta del The Boston Globe. Inchiesta che vinse il Premio Pulitzer nel 2003 e che fu poi oggetto del film Il caso Spotlight vincitore del Premio Oscar nel 2016. Un lavoro che ebbe, tra l’altro, il merito di sfondare il muro di gomma dell’omertà sulla pedofilia nella Chiesa cattolica con lobby potentissime che rendevano quasi impossibile la ricostruzione degli abusi. Law, che guidava l’arcidiocesi di Boston dal 1984, fu smascherato per aver coperto per decenni centinaiadi casi di pedofilia, occultando le denunce delle vittime e spostando gli abusatori di parrocchia in parrocchia. Ma fu semplicemente trasferito a Roma da Wojtyla con l’incarico onorifico di arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore. Incarico che mantenne fino al compimento degli 80 anni come previsto dalle normecanoniche. Nessun processo e nessuna sanzione. Nel conclave del 2005 entrò regolarmente nella CappellaSistina per votare il successore del Papa polacco.
Maciel – Altrettanto inquietante è la vicenda del fondatore dei Legionari di Cristo, padre Marcial Maciel Degollado. Un prete messicano morto con tutti gli onori nel 2008, che aveva il merito di aver fondato una delle congregazionireligiosemaschili con il maggior numero di vocazioni al mondo e che, invece, si era macchiato di crimini inenarrabili, costantemente coperti dai vertici della Curiaromana. Le denunce arrivavano, ma venivano puntualmente occultate. Lo stesso cardinale Ratzinger, nel ruolo di prefetto dell’ex Sant’Uffizio, aveva provato ad agire contro Maciel, scontrandosi, però, contro il muro di altre figure apicali della Santa Sede. Un uomo potentissimo e con una disponibilità economica talmente alta da assicurarsi l’omertà del Vaticano. Alla sua morte il suo patrimonio personale segreto fu stimato intorno ai trenta milioni di dollari. Maciel aveva abusato dei suoi seminaristi, coperto centinaia di casi di pedofilia all’interno dei LegionaridiCristo, avuto diverse donne che gli avevano dato alcuni figli e assunto numerose identitàfalse. Uno scenario satanico più che l’immagine perfetta del fondatore di una congregazionereligiosa. Eppure per decenni, nonostante tutto, il ritratto a dir poco edulcorato, per usare un eufemismo, del santo sacerdote aveva prevalso sulla realtà criminale.
Eletto Papa, Benedetto XVI volle una radicale purificazione dei Legionari e ammise le colpe: “Purtroppo abbiamo affrontato la questione solo con molta lentezza e con grande ritardo. In qualche modo era molto ben coperta e solo dal 2000 abbiamo iniziato ad avere dei punti di riferimentoconcreti. Era necessario avere prove certe per essere sicuri che le accuse avessero un fondamento. Per me, Marcial Maciel rimane una figuramisteriosa. Da un lato c’è un tipo di vita che, come ormai sappiamo, è al di là di ciò che è morale: un’esistenza avventurosa, sprecata, stramba. Dall’altro vediamo la dinamicità e la forza con cui ha costruito la comunità dei Legionari”. Proprio i suoi seguaci, una volta venuta alla luce la tristeverità, fecero un mea culpa per i reati commessi dal loro fondatore: “Vogliamo esprimere il nostro profondo dolore per l’abuso di seminaristi minorenni, per gli atti immorali perpetrati verso uomini e donne, per l’uso arbitrario della sua autorità e dei beni, per il consumo smisurato di sostanze stupefacenti e per l’aver presentato come propri scritti pubblicati da terzi. Ci risulta incomprensibile l’incoerenza di essersi continuato a presentare per decenni come sacerdote e testimone della fede, mentre occultava questi comportamentiimmorali”.
McCarrick – Uno scenario simile a quello che avveniva negli Stati Uniti dove, nonostante le gravissime accuse di pedofilia, nel 2000 l’ex cardinale Theodore Edgar McCarrick fu promosso arcivescovo di Washington e l’anno successivo ricevette la porpora da san Giovanni Paolo II. Anche in questa vicenda le coperture e la rete di omertà tra gli Usa e il Vaticano avevano nascosto una realtà terrificante. Francesco ha voluto far luce con un’inchiesta che, per la prima volta, ha svelato le numerose complicità di cui McCarrick godeva presso i vertici della Santa Sede. Complicità che, però, non hanno impedito a Bergoglio, una volta appurata la condotta criminosa dell’ex porporato, di ridurlo allo statolaicale. Un provvedimento radicale mai preso prima. Ciò che è inquietante nella vicenda di McCarrick è che la promozione, prima alla guida della prestigiosa sede di Washington e poi alla porpora, avvenne nonostante le denunce dei suoi crimini di pedofilia.
Pell – Diverso è il caso del cardinale australiano George Pell, travolto da un lungo processo per abusi nel suo Paese, che lo ha costretto a lasciare frettolosamente il ruolo di prefetto della Segreteria per l’economia. Il porporato, condannato in primo e secondo grado a sei anni di reclusione e costretto a 13 mesi di carcere in isolamento, è stato poi assolto con formula piena ed è ritornato a Roma. “Il mio processo – commentò Pell uscendo dal carcere – non è stato un referendum sulla Chiesa cattolica, né un referendum su come le autorità della Chiesa in Australia hanno affrontato il crimine della pedofilia nella Chiesa. Il punto era se avevo commesso questi terribili crimini e non l’ho fatto”. Aggiungendo che “l’unica base per la guarigione a lungo termine è la verità e l’unica base per la giustizia è la verità, perché giustizia significa verità per tutti”.
Benedetto XVI – Per anni l’ordine della Santa Sede era quello di insabbiare la pedofilia. Lo ammise lo stesso Benedetto XVI: “Perché in passato non si è reagito allo stesso modo di oggi? Anche la stampa prima non ha dato rilievo a queste cose, la coscienza a quel tempo era diversa. Sappiamo che le stesse vittime provavano grande vergogna e all’inizio non sempre vogliono essere messe subito sotto la luce dei riflettori. Molte sono state in grado di raccontare quello che era loro accaduto soltanto dopo decenni”. E aggiunse: “Quello però che non deve mai succedere è che si fugga e si faccia finta di non vedere e si lasci che i colpevoli continuino nei loro misfatti. È necessaria quindi vigilanza da parte della Chiesa, che punisca chi ha mancato e soprattutto che lo escluda da qualsiasi altra possibilità di entrare in contatto con dei bambini”.
Francesco – Il suo successore ha fatto molti passi avanti nella tolleranza zero della pedofilia del clero. Norme severissime non solo per i colpevoli, ma anche per coloro che insabbiano gli abusi. Provvedimenti a molti indigesti all’interno della Chiesa perché mettono i vescovi con le spalle al muro davanti alle loro responsabilità e alle loro omertà, ma resi necessari da una piaga decisamente devastante all’interno del cattolicesimo. Nel febbraio 2019 Bergoglio convocò in Vaticano i presidenti delle Conferenzeepiscopali di tutto il mondo in un inedito summit sulla pedofilia del clero. Il Papa volle che a parlare fossero anche alcune vittime. Da quell’evento sono scaturiti provvedimenti concreti, come l’abolizione del segreto pontificio per gli abusi. Ma i passi da compiere sono ancora tanti. Nell’ultima assemblea generale straordinaria della Cei, nel novembre 2021, il vescovo di Ravenna-Cervia, monsignor Lorenzo Ghizzoni, che è anche presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa, aveva proposto un’indagine sulla pedofilia del clero anche in Italia. La stragrande maggioranza dell’episcopato italiano si è subito opposta con il timore di uno tsunamiingestibile e richieste risarcitorie impossibili da sostenere. L’ennesimo muro che fa ben comprendere quanto l’omertà sulla pedofilia nella Chiesa sia ancora difficile da far crollare.
Scandalo nella Chiesa di Francia: 216mila casi di pedofilia dal 1950 ad oggi. La commissione: “Indifferenza profonda e crudele per vittime”
5 Ottobre 2021
La Chiesa cattolica ha manifestato “fino all’inizio degli anni 2000 un’indifferenza profonda e anche crudele nei confronti delle vittime”. È con queste parole dure, categoriche, che Jean-Marc Sauvé, presidente della commissione indipendente voluta dagli stessi vescovi transalpini, ha commentato il rapporto diffuso dal suo gruppo di lavoro sui casi di pedofilia nella Chiesa francese. Parole dovute ai numeri impressionanti emersi dalla ricerca della commissione, secondo la quale sono state 216mila le vittime di pedofilia ad opera degli ecclesiastici transalpini dal 1950 ad oggi, con un numero di preti pedofili che si è aggirato tra i 2.900 e i 3.200 nello stesso periodo.
Secondo il rapporto della commissione diretta da Sauvé, alto dirigente francese già membro del Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia Ue, il numero delle vittime sale addirittura a “330mila se vi si aggiungono gli aggressori laici che lavorano nelle istituzioni della Chiesa cattolica”, come sagrestani, insegnanti nelle scuole cattoliche, responsabili di movimenti giovanili. “Queste cifre sono ben più preoccupanti, sono agghiaccianti e non possono in nessun caso rimanere senza conseguenze”, ha aggiunto spiegando che questi numeri sono il risultato di una stima statistica comprendente un margine di circa 50mila persone.
Sauvé ha poi aggiunto nel suo intervento che dal 1950 al 2000 “le vittime non vengono credute, ascoltate. Si ritiene abbiano un po’ contribuito a quello che è loro accaduto” e propone di “riconoscere la responsabilità della Chiesa”: “Il primo principio raccomandato dalla commissione – ha detto – consiste nel riconoscere la responsabilità della Chiesa in ciò che è successo dalle sue origini”. Questo perché l’intera istituzione ha dimostrato negli anni che i “silenzi” e le “mancanze” dinanzi agli atti di pedocriminalità perpetrati al suo interno presentano un carattere “sistemico”: “La commissione ha lungamente deliberato ed è giunta a una conclusione unanime. La Chiesa non ha saputo vedere, non ha saputo sentire, non ha saputo captare i segnali deboli”.
Da parte sua, il presidente della Conferenza episcopale francese, Eric de Moulins-Beaufort, esprime “vergogna” e “spavento” e chiede “perdono” alle vittime della pedocriminalità: “Il mio desidero, oggi, è di chiedervi perdono, perdono ad ognuna ed ognuno di voi”, ha dichiarato davanti alla stampa, aggiungendo che la voce delle vittime “ci sconvolge, il loro numero ci devasta”.
In questo BLOG, di quando in quando, di qua e di là, ho buttato giù delle “poesiole” su diversi argomenti, anche i più strampalati, così, senza pretese. Mi sono cimentato qui, in un’impresa un po’ greve: parlare di cose molto serie ed importanti che mi riguardano: la vita, la morte, la fede, l’aldilà. Ma appunto perché gli argomenti sono molto severi ed impegnativi, ho deciso, per parlarne, di ricorrere alla composizione, in strofe di quattro versi, di senari in rima alternata. Questo perché ho inteso togliere all’esposizione il tono austero, aulico e un po’ ridondante, che avrebbe avuto discorsivamente.
Scrivere versi non è facile. A me piace scriverli in maniera semplice, con un verseggiare magari banale e un po’ nazionalpopolare, proprio quando l’argomento è serioso e pedantesco. Per l’amor del cielo, non parliamo di poesia, ma, casomai, di filastrocca. Riesco, così, ad alleggerire il messaggio ed i concetti, rendendoli più scorrevoli e comprensibili: i versi, specialmente quelli corti, sono un concentrato, un nucleo, di pensieri appena accennati da sviluppare con la riflessione. La lettura poi è favorita dal ritmo della metrica. Sì, perché, oltre alle rime sono molto importanti le metriche, ossia le scansioni sillabiche di ogni verso. In questo caso ogni verso è composto di una successione di sei sillabe (senario). Mi raccomando, bisogna tener conto delle elisioni vocaliche.
Il duplice condizionamento della rima, in questo caso alternata (A B A B) e della scansione sillabica sempre uguale a se stessa, forma una specie di piano Cartesiano bidimensionale di ascisse e ordinate, oppure un tessuto, contesto di trama e ordito, che ingabbiano la composizione entro uno schema predefinito. Le parole, poi, cercano di restare quelle del senso comune e di immediata comprensione, evitando voli pindarici o afflati lirici che lascio a ben altri tipi letterari.
Provo così a devitalizzare, sdrammatizzare e rendere più accessibile la prosopopea delle affermazioni didascaliche od apodittiche.
Mi piace ricordare che questo modo di scrivere o verseggiare è tornato e resta di gran moda, tutt’oggi, fra i giovani con i loro idoli cantautori, i RAPPER, che scrivono e tentano di cantare dei versi rimati e ritmati. Di quello che dicono mi taccio, di come lo dicono, beh, ho qualcosa da dire: i versi hanno, magari, una rima o una assonanza, ma hanno una metrica, cioè una scansione ritmica, molto zoppicante ed approssimativa, per nulla rigorosa ed uniforme. Ci sono versi più lunghi, altri più corti, altri stiracchiati e pasticciati. Ma sembra che vada bene così. Parlando, poi, della musica, eviterei di chiamarla tale perché, tale non è. È solo ritmo ossessivo e tampinante senza un motivo musicale conduttore, con forse alcuni accordi per l’orchestrazione ritmica. Ma non so bene neanch’io di cosa sto parlando. So solo che, ascoltando, non ci capisco niente e che, delle loro canzonette, non ricordo un solo motivetto da fischiettare. E ai giovani ricordo, infine, che i testi delle composizioni epiche antiche, come l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, come anche tutte le produzioni poetiche e liriche, erano composte in versi solo scanditi ritmicamente e senza alcuna rima. Probabilmente perché si potevano raccontare meglio, senza leggere alcunché, perché gli Aedi, i cantautori dell’epoca, e Omero era uno di questi, li sapevano recitare, erano migliaia di versi, tutti a memoria. La carta era rara e la scrittura ancora di più.
LA VITA, LA MORTE, LA FEDE, L’ ALDILÀ
Mi sento onorato
e orgoglioso, certo,
per essere stato
me stesso, Alberto.
Ma sono invecchiato,
come tutti anch’io,
non sono malato
ma non sono più mio.
Il corpo è diverso
e non m’ubbidisce,
il filo s’è perso,
il fiore appassisce.
La morte è qui intorno,
ed attende anche me:
arriverà il giorno,
senza ma e senza se.
Grazie alla mia vita,
a chi me l’ha data,
a chi l’ha tradita,
a chi l’ha amata;
a chi voglio bene
e mi ha ricambiato,
alle gioie e alle pene
che abbiamo passato.
E grazie per tutto,
il dato e l’avuto,
il bello ed il brutto,
che ho conosciuto.
E ancora ringrazio,
ne sono sicuro,
se resta lo spazio,
in un certo futuro,
di un’altra presenza,
dove credo varrà
la mia esperienza
che ho avuto qua.
La vita è energia
che non muore mai,
qualunque cosa sia,
qualunque cosa fai.
Ma la morte esiste?
È una vita nuova
e non mi rende triste
mettermi alla prova.
Però non mi sfugge,
Lavoisier m’informa,
nulla si distrugge,
tutto si trasforma.
Se nell’universo
sono quasi zero,
che cosa avrò perso
in quel buco nero
che chiamano morte?
Il dono ch’ho avuto,
toccatomi in sorte,
non andrà perduto.
È un dono di vita
che per sempre resta,
anche se è finita
la corsa di questa.
L’anima non muore
e, se ho ben vissuto,,
diventa migliore
e nulla è perduto.
A chi devo la grazia
non lo so neppur io.
Dicono: “Ringrazia
sempre il buon Dio”
Una volta ho creduto,
ma ora non più,
da quando ho saputo
che è morto Gesù,
ma dopo è risorto
alla vita eterna.
Perché era morto?
Volontà paterna!
Il padre suo, forse,
si sarà pentito:
come lui risorse
non si è mai capito.
Io credo e penso
che noi risorgiamo:
se la vita ha senso
io le dico “Ti amo!”.
L’energia vitale
che sentiamo ora
rende naturale
il vivere ancora.
Lo spirito è anelo
di tornare in vita,
scendendo dal cielo
con forza infinita.
E così la natura
rinnova se stessa,
così s’assicura
che la vita non cessa.
N.d.R. : da qui in avanti, mi complico le cose, ricorrendo per ogni strofa ad una coppia di versi con rima fissa e ripetuta.
Non voglio morire,
non ancora, lo spero,
voglio solo dire
questo mio pensiero.
“Se vivi, morirai”.
Ma sono sincero:
questo non è mai
stato un gran mistero.
Alle fiabe non credo,
ciò che sembra vero
è quello che vedo
sia bianco, sia nero.
La Chiesa c’insegna
col suo magistero:
“La persona è indegna”
Non è proprio vero.
Perché il peccato,
detto per intero,
per me è sempre stato
invenzione del clero.
La mia protesta,
non come Lutero,
soltanto contesta
ciò ch’è menzognero.
Di ogni menzogna,
lo dico davvero,
io provo vergogna
e ne vado fiero.
Coi falsi e gli scaltri
sarò veritiero:
la fede degli altri
non è il mio sentiero.
Venite a trovarmi
là al cimitero
solo per portarmi
un fiore ed un cero.
Di preghiere pie,
non ditemi altero,
lasciatemi le mie,
con me sono severo.
Della mia libertà,
libertà di pensiero,
anche nell’aldilà
sarò messaggero.
E la pena che avrò
dal giudice austero
è che diventerò
“di luce prigioniero”.
N.d.R. : Del personaggio storico di Gesù Cristo mi hanno sempre affascinato il messaggio di giustizia sociale e la metafora (adoperata, però, a fini fideistici) della resurrezione dello spirito: per me è l’esempio emblematico della resurrezione di tutte le anime. Se è stata possibile per lui, perché non dovrebbe accadere per ogni uomo?
Tentare di capire, con il discernimento umano, è stato e sarà sempre considerato un atto di superbia, poiché a noi non è dato altro che credere acriticamente, come unico atto di fede possibile. Consideratemi pure un uomo superbo.
Professore ordinario di Sociologia all’Università di Bergamo
Becciu è il malfattore, il Papa l’innocente tradito. Ho il sospetto che la realtà sia un po’ diversa
Gigantesche e oscure speculazioni finanziarie spesso finite malissimo, violentissime rivalità interne tra gerarchi in tonaca disposti a tutto pur di far del male al proprio rivale, imprenditori e finanzieri di dubbia reputazione e in qualche caso in odor di mafia divenuti negli ultimi anni abituali frequentatori delle stanze vaticane e lì ricoperti di denaro. Se giudicata dai fatti che emergono dalle cronache di questi giorni e non dalle parole delle encicliche o dei documenti pontifici, la chiesa “povera e per i poveri” annunciata da Francesco appare poco di più di una felice immagine retorica, di una formula buona forse per ottenere il plauso di qualche “ateo devoto” in cerca di identità, ma certo inadatta a descrivere il modo in cui la Chiesa agisce concretamente nel mondo.
Insomma, la Chiesa di Roma predica bene e razzola malissimo e usa molti dei denari che i poveri, direttamente o indirettamente, le donano per arricchire prelati di corte, faccendieri vari e le famiglie di tutti costoro.Quello che non convince nelle ricostruzioni giornalistiche di queste vicende è però l’individuazione delle catene di responsabilità. Sempre in casi come questo l’attenzione della pubblica opinione viene giustamente puntata in alto, in direzione del vertice dell’organizzazione, verso i capi, che non potevano non sapere. Qui invece è bastato che papa Francesco, guarda caso proprio pochi giorni prima della pubblicazione della prima inchiesta giornalistica, licenziasse brutalmente e degradasse il cardinal Becciu, implicitamente additandolo al pubblico ludibrio come traditore, perché tutta la stampa che conta si precipitasse sul cadavere politico dell’alto gerarca per sbranarne quel che resta, per dipingerlo come il più sordido dei criminali, come un infido malfattore fattosi strada con l’astuzia nelle segrete stanze per appropriarsi dei suoi tesori.Non manca giorno che non si apprenda di qualche nuova pista, invero mai approfondita e mai corredata da solide prove di colpevolezza, che porta ad arricchire il catalogo dei crimini di costui. Il fatto che il papa lo abbia solo due anni fa promosso prefetto (cioè capo) della congregazione dei santi e soprattutto nominato cardinale non ha, per la stampa, nessun rilievo. Becciu è diventato ormai il sinonimo di Giuda, capace, per qualche denaro, di vendere l’immacolato e purissimo successore argentino di Pietro. Giorno dopo giorno cadono con lui nella polvere altre figure, ma la loro disgrazia non fa che esaltare, nelle cronache, il candore della veste papale, l’innocenza tradita del Santo Padre. Più costoro sono meschini più lui appare diverso da tutti, unico e puro.
E’ lo schema usato in altre circostanze storiche per descrivere il rapporto tra i sovrani e la loro corte, tra i dittatori e il loro seguito. “Il re e è puro e ama il suo popolo – questo è l’adagio – ma i perfidi cortigiani tramano alle sue spalle e approfittano della sua immensa bontà per compiere il male”. Oppure “il duce è onesto, sono i suoi collaboratori ad essere corrotti”. E’ questo anche lo schema adoperato all’inizio di Tangentopoli da quei leader politici che cercavano disperatamente di scaricare tutte le responsabilità degli affari illeciti dei loro partiti sui “mariuoli”, sui segretari amministrativi, su chi gestiva i cordoni della borsa.
In questo scenario, la curia romana viene descritta come una sorta di associazione di liberi professionisti indipendenti, in cui ciascuno fa un po’ quel che gli pare mentre il capo pensa solo a pregare e a celebrare messa. Quando si concludono affari di centinaia di milioni di euro quest’ultimo non viene nemmeno consultato.
Ho il sospetto che la realtà sia un po’ diversa. La Chiesa Cattolica è la più centralizzata e gerarchica delle istituzioni esistenti. Il monarca che la guida è dotato di poteri immensi e assoluti e la curia è il principale apparato organizzativo al suo diretto servizio.
Se così stanno le cose, i casi sono due: o Bergoglio si trova nella stessa posizione che fu di Ratzinger e ha perso completamente il controllo della situazione e allora siamo di fronte ad un vuoto di potere che immaginiamo sarà colmato al più presto (casomai grazie a un gesto di responsabilità, un autopensionamento del monarca) oppure il papa regna e governa a tutti gli effetti e allora qualche responsabilità l’avrà anche lui nelle vicende di cui sopra.
Quel che in ogni caso sarebbe bello sentirgli dire è che, per risolvere il problema alla radice, andrebbe direttamente soppressa la curia romana, che la struttura di governo accentrata e autoritaria ereditata dall’impero romano non funziona più, che non ha senso che un’organizzazione religiosa amministri una tale quantità di denaro e che lo investa cercandone di fare profitti, che è venuto il momento per delegare poteri, risorse e responsabilità alle periferie, facendo seguire una volta tanto alle parole i fatti. Sarebbe bello. Ma temiamo di dover aspettare ancora qualche secolo.
In un telegiornale ascolto, esterrefatto, queste parole di Papa Francesco, pronunciate durante la “predica” domenicale, dal balcone su Piazza San Pietro:
“….. il clericalismo deturpa il volto della Chiesa….”.
P I A C E R E E D E V O L U Z I O N E Le endorfine, motore della civiltà e del progresso.
C’è poco da meravigliarsi e, ancor meno, da fare. È sempre più evidente, alla luce dei recenti studi e delle conoscenze acquisite, che l’animale uomo ha un codice genetico prescritto, nel senso che è scritto prima: fin dalla nascita di un individuo umano, saremmo in grado di conoscere praticamente tutto il suo percorso esistenziale, le sue caratteristiche fisiche e psicologiche, addirittura la data della sua morte.
Siamo davanti ad un determinismo quasi tragicomico, che ci potrebbe indurre nella banale e, al tempo stesso, ridicola considerazione: ma che diavolo siamo venuti a fare in questo mondo?
Se tutto è già stabilito, se nulla ci è dato da sviluppare, da modificare, da migliorare rispetto a quanto previsto dall’algoritmo della vita, pur personalizzata e specificata, che siamo destinati ad attraversare, qual è il nostro compito di viventi mortali?
Non mi pare una domanda stupida.
Ebbene, nel pormi tale quesito, adesso che della mia vita sono verso la fine, mi si è aperto davanti uno scenario di meditazione e di riflessione che mi ha incuriosito e solleticato. E che vado a sviscerare, con tutte le cautele del caso, data l’importanza cruciale del tema.
L’analisi sommaria della storia umana ci dice, tuttavia, che, nello scorrere di decine di millenni, passi avanti se ne sono fatti, dalle condizioni primordiali di uomini delle caverne agli agi e disagi di oggi. Sì, anche disagi, e molti. C’è chi pensa che l’evoluzione dell’umanità verso condizioni di civiltà, di sicurezza, di maggior benessere sia addirittura su una china rapidamente decrescente, a causa degli usi ed abusi che l’uomo sta facendo del patrimonio naturale che aveva come dotazione di partenza.
Ma, tutto considerato, il miglioramento verso condizioni di vita molto più accettabili e godibili è un dato di fatto.
La domanda che mi pongo è questa: cosa ha spinto l’uomo a cercare, trovare e consolidare un livello di esistenza, nel vivere civile, individuale e sociale, sempre più elevato, evoluto, proteso verso la soddisfazione dei propri bisogni materiali e sogni spirituali e mentali? Insomma, qual è la molla che ha spinto l’uomo verso il progresso personale e collettivo, nel corso dei millenni, a dispetto del fatto che tutto sarebbe bloccato, già stabilito, predestinato, a partire dalla fase finale del suo percorso, cioè la morte?
La risposta, secondo la mia opinione, sta nella ostinata, pervicace, quasi maniacale ricerca del piacere.
Nel quotidiano esercizio biologico, l’essere umano ha sviluppato, all’interno dei suoi meandri cerebrali, il modo di secernere stimolanti ormonali, di implementare neurorecettori, neurotrasmettitori, impulsi elettrici pulsionali per concepire e realizzare le condizioni per vivere più felicemente.
Consapevole della limitatezza temporale della propria esistenza, ha istintivamente, ma naturalmente, concepito e coltivato il sogno e il bisogno di vivere meglio. E questo è avvenuto, e sta ancora in larga parte avvenendo, in maniera endogena, ovvero attingendo a supporti da lui stesso prodotti, dentro il corpo in dotazione.
La produzione di dopamina, di serotonina, di noradrenalina e di altre endorfine, è la chiave del progresso umano e della sua evoluzione. Sono tutte sostanze che l’uomo secerne dalle proprie ghiandole e da altri sistemi e organi predisposti e che fluiscono, attraverso il sistema sanguigno, fino a raggiungere ogni punto, pur periferico, del corpo: portano un aumento delle sensazioni di piacere e di benessere, oppure un’attenuazione delle sensazioni di dolore e di stress.
Il meccanismo di questa funzione è descritto nelle informazioni tecnico scientifiche che seguono e che invito il lettore a non trascurare, per la miglior comprensione di quanto vado esponendo.
A me rimane ancora di fare qualche altra considerazione sull’argomento. Non sempre l’uomo ha avuto il tempo e il modo di cercare la propria felicità fisica e psicologica attraverso le capacità endogene di secernere endorfine: spesso, anzi, è ricorso a delle scorciatoie molto pericolose, la cui frequentazione ed adozione comportano sempre un corrispettivo, in termini di salute complessiva, oltremodo devastante: le droghe.
Per sopperire alla propria inettitudine o malessere o disadattamento, magari solo per curiosità o per sfida o per vizio, per procurarsi i brividi di sensazioni esaltanti di benessere di poche ore o di pochi minuti, un uomo ricorre a questo surrogato di felicità perché non è in grado di organizzare autonomamente il ricorso alle sue droghe naturali che non danno mai assuefazione ma che danno sempre soddisfazione, quelle che produce in proprio: le endorfine, il “fai da te” del benessere.
Ma, tornando all’argomento di partenza, vorrei anche fare una considerazione di carattere generale sull’uomo, sulla sua storia, sul suo rapporto con il piacere e il benessere, e sui condizionamenti sociali che nei millenni sono stati messi in atto per limitare, scoraggiare, tarpare la propensione dell’uomo verso la felicità.
Il concetto formatore ed informatore delle religioni, sto pensando alle tre grandi religioni monoteiste, nei secoli passati ed anche oggi, non è mai stato a favore della felicità dell’uomo, così come la intendo e descrivo qui sopra.
L’uomo è mortale, l’uomo è peccatore, anzi,” il peccato originale” è quello di essere nato: è una tara che si porta appresso tutta la vita. Questa vita deve spenderla per espiare tale condizione, ricorrendo a rinunce, osservando rituali, obbedendo a frustrazioni innaturali che gli impediscono di perseguire la propria ricerca del benessere.
Tale stato di costrizione e di castrazione è salvaguardato da un complesso di norme etiche concepite da uomini per gli uomini, nel nome di un Dio. E ogni religione ci mette il suo.
È la natura che spinge l’uomo verso il benessere, cercando e realizzando il piacere: le religioni lo condannano.
In termini di evoluzione, mi sento di indicare un esempio storico che attiene alle espressioni figurative artistiche nell’arco dei secoli. Prendete, ad esempio, l’arte figurativa della Grecia antica, dai bronzi di Riace alle statue marmoree della bellezza classica, che ci sono rimaste, nei musei di tutto il mondo occidentale. Dal punto di vista figurativo, cioè intendendo solo la riproduzione della realtà, che era tanto più apprezzata quanto più somigliante al vero, erano artisticamente inarrivabili. Tant’è che il Rinascimento, nostro ed europeo, con uno scatto e riscatto, con una svolta epocale, aveva fatto riferimento a questi canoni di perfezione stilistica per dare al mondo le opere d’arte che conosciamo. Come pure gli affreschi pompeiani che possiamo ammirare ancora oggi sulle pareti delle ville meglio conservate della città vesuviana: erano riproduzioni di personaggi della mitologia o della vita reale o del mondo naturale con caratteri figurativi esteticamente molto belli e raffinati. E il mondo greco e romano aveva un concetto della vita privata molto liberale, per non dire libertino: la ricerca del piacere era una cosa naturale e questo traspariva anche nelle raffigurazioni senza tabù e senza censure di cui si circondavano.
Prendete, invece, le statue e i dipinti di più di mille anni dopo, le produzioni artistiche, che io chiamerei piuttosto artigianali, del Medioevo, periodo nel quale la cappa di piombo della religione Cristiana, in Europa, aveva soffocato e represso ogni slancio artistico verso il bello, fosse anche di soggetto religioso. Confrontate le rappresentazioni, che sono della stessa natura figurativa, cioè tentativi di riprodurre il reale, e vi accorgerete, a ragion veduta, che le figure della classicità greco-romana sono infinitamente più belle, dal solo punto di vista figurativo, di quella medioevali. Questo per dire che, storicamente, si era verificato un regresso delle sensibilità e delle capacità artistiche di rappresentazione indotto dall’oscurantismo delle autorità religiose Cristiane, che avevano in odio il sillogismo greco “kalòs kai agathòs” (il bello è buono), che aveva etichettato i pensieri e le opere del mondo classico aperto, anzi spalancato, a quelle che si chiamavano le “arti liberali”.
Le espiazioni, le penitenze, i castighi e le pene per i peccati commessi, non avevano bisogno di essere rappresentati in maniera elegante e ben eseguita: bastava la stucchevole approssimazione e la banalità becera dell’artigiano poco erudito, invece che la raffinatezza dell’artista acculturato e sensibile. Non avevano miglior sorte Santi, Martiri, Madonne e Cristi in croce raffigurati da artigiani senza cultura e buon gusto estetico, sotto i dettami delle commesse clericali. Per quanto riguarda le rappresentazioni “artistiche”, comprese quelle religiose, uno scadimento generale dal punto di vista qualitativo è la costante identificativa del Medioevo Cristiano in Europa.
La ricerca del piacere , nel Medioevo, era un peccato da consumare ipocritamente di nascosto.
Mentre invece, lenire il dolore e dare sollievo alla sofferenza erano una pratica che cadeva sotto la vigile gestione del clero, secondo una filosofia che non ho mai capito né condiviso, perché innaturale e disumana. Il fatto che, secondo la religione Cristiana, Gesù si era sacrificato per noi sulla croce, fra atroci sofferenze, sembra abbia conferito agli addetti ai lavori (rappresentanti religiosi a tutti i livelli, compresi quelli di bassa manovalanza) il compito e il diritto di ridistribuire le Cristiane sofferenze corporali ai fedeli, con un accanimento antiterapeutico incredibile e una libidine sadica inaudita.
Non parlo, certamente, della Santa Inquisizione che ha inflitto pene e torture efferate a ipotetici indiavolati od eretici, ma parlo di una consuetudine inveterata e in vigore fino ad una cinquantina di anni fa, che io ho visto e aborrito: la funzione infermieristica e assistenziale, in nome della carità Cristiana, negli ospedali, nei luoghi di cura, negli ospizi era affidata a solerti suorine che, oltre a dare effettivamente aiuto nella gestione degli infermi, quando uno di questi si trovava in condizioni di insopportabile sofferenza ed era in preda a dolori lancinanti, persino in punto di morte, anziché dargli sollievo per mezzo di analgesici e quant’altro, che pure esistevano, si limitava a ficcargli un fazzoletto in bocca e a mettergli un rosario nelle mani. In nome dell’espiazione dei peccati che aveva commesso e a similitudine dei patimenti dell’icona Cristiana di Gesù crocifisso. Adesso le cose sono cambiate, ma si tratta dello stesso taglio mentale di coloro che, a tutt’oggi, si oppongono all’eutanasia. Un buon Cristiano deve soffrire fino alla morte.
La religione Cristiana, molto più di tutte le altre, non è favorevole al piacere, perché ha fatto della sofferenza un paradigma comportamentale di redenzione e di sublimazione. Il Cristianesimo è la religione del dolore.
Alcune religioni, come l’Induismo (che conta quasi un miliardo di fedeli), sono invece cassa di risonanza per il godimento dei piaceri fisici (vedi il Kamasutra) e non considerano peccaminoso niente che riguardi, ad esempio, la sfera sessuale.
In generale, tuttavia, le religioni monoteiste (Cristianesimo, Islam, Ebraismo) non sono amiche del piacere.
Ma, il piacere l’uomo lo concepisce e lo produce in proprio: per godere di uno stato di benessere non serve ostentarlo o dimostrarlo agli altri, magari arrecando disturbo, basta provarlo dentro di sé, perché dentro di sé, autonomamente, sono prodotte le sostanze neurochimiche che possono provocarlo.
Perché le religioni devono controllare la mia intimità, la mia privacy, la mia sfera privata?
È forse questo ragionamento un atto di superbia di chi non si vuole chinare alle autorità di controllo della persona e della personalità?
Qualcuno la chiami superbia, o insubordinazione, io la chiamo libertà.
N.d.R. Quello che sotto riporto è un articolo de IL FATTO QUOTIDIANO in data 29 Settembre 2020, pubblicato 3 giorni dopo la mia stesura del Numero2067.
L’articolista è Marco Marzano, Professore Ordinario di Sociologia all’Università di Bergamo.
Fine vita, nel duro documento vaticano noto due cose. La prima: nessuna conoscenza della realtà
Nei giorni del caso Becciu che tanto appassiona i vaticanisti di ogni parrocchia è passata quasi sotto silenzio la pubblicazione, da parte della Congregazione della Dottrina della Fede, di un lungo documento sull’eutanasia e il fine vita. Il testo è importante e solenne e fa ancora una volta chiarezza sull’impianto culturale e politico che contraddistingue gli interventi ufficiali delle autorità cattoliche.
Due elementi mi hanno colpito più degli altri nella durissima requisitoria antieutanasica redatta dall’organismo guidato dal potente cardinal Luis FranciscoLadaria, uomo di fiducia di Francesco che lo ha nominato prefetto della congregazione in sostituzione del tedesco Muller.
Il primo elemento è metodologico e consiste nella totale assenza di una seria analisi empirica. Gli estensori del documento affrontano temi enormi come le cure palliative, l’accanimento terapeutico, il suicidio assistito senza mostrare nessuna traccia di conoscenza della realtà, senza nessuna reale competenza. E’ infatti altamente improbabile che qualcuno tra le migliaia di operatori sanitari che ogni giorno affrontano la fine della vita altrui sia mai stato interpellato per redigere il documento.
Se questo fosse avvenuto, non solo sarebbero confluiti nel testo la complessità, le ambiguità, i paradossi, le mille sfumature che caratterizzano la drammatica realtà della fine della vita nel nostro tempo, ma sarebbero state evitate affermazioni puramente impressionistiche e di senso comune, del tutto prive di un solido fondamento, come quella secondo la quale solo la fede religiosa nell’esistenza dell’aldilà riduce la paura della morte. E se invece fosse vero il contrario? Se il timore dell’imminente giudizio di Dio aumentasse in modo formidabile l’angoscia di chi muore? In assenza di affidabili dati empirici è impossibile stabilire quale sia la verità e quindi se muoiano più serenamente i credenti o i non credenti. E questo è solo un esempio tra i tanti.
Il fatto è che nella Samaritanus Bonus le citazioni sono solo quelle dei pontefici e dei documenti vaticani e che il testo consiste esclusivamente di prescrizioni, obblighi e ricette tutti ricavati da un impianto dottrinale astratto e povero, immutato nel tempo e applicato meccanicamente ad una specifica realtà sociale. Per questa ragione, per il suo carattere integralmente dogmatico e ideologico, esso convince solo chi è già convinto, risultando del tutto inutile per chi deve confrontarsi con la realtà del morire, per il personale sanitario, per le famiglie dei morenti, per gli psicologi e persino per gli stessi sacerdoti impegnati nell’attività pastorale negli ospedali e negli hospices.
Il secondo elemento che mi ha colpito è la negazione alla radice di qualsiasi forma di riconoscimento dell’autonomia e della libertà dei soggetti. Si legge nel documento che “sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa affatto riconoscere la sua autonomia e valorizzarla, ma al contrario significa disconoscere il valore della sua libertà”. In altre parole, secondo gli autori del documento, quando chiede di porre termine alla sua vita, un individuo pretende di esercitare un diritto che non possiede. E’ un motivo analogo a quello che porta a negare la legittimità di richiedere un aborto o di usare degli anticoncezionali, di divorziare o di congiungersi a una persona dello stesso sesso. La voce di chi pretende di negare la legge di Dio, secondo la gerarchia cattolica, non solo non va ascoltata perché nasce da un’errata e distorta interpretazione della propria libertà, ma va messa fuori legge, va considerata empia e criminale. Ed empie e criminali devono essere giudicate quelle legislazioni che la consentono. In questo modo di procedere non rileva il fatto che, nelle nostre società, esistano tanti individui che all’esistenza di Dio non credono o che ritengono che quella annunciata dalla Chiesa Cattolica non sia la sua legge autentica.
Quello sullo sfondo del documento, e quello dell’intera dottrina morale cattolica, si conferma, in barba a tutte le promesse di rinnovamento, un orizzonte squisitamente teocratico, nel quale la legge divina deve travasarsi sic et simpliciter nella legislazione dello stato, informandola di sé e impedendo ogni pluralismo di valori, sbarrando la porta ad ogni dialogo con chi la pensa in modo diverso.
Viene da chiedersi cosa rimanga della tanto sbandierata “rivoluzione della misericordia” annunciata dai supporters di Francesco come segno distintivo e qualificante del pontificato argentino. A me sembra, al contrario, che anche qui, come su altri terreni (il celibato ecclesiastico, la presenza femminile, il ruolo della curia, eccetera) i duecento anni di ritardo della Chiesa rispetto al mondo moderno lamentati a suo tempo dal cardinal Martini si notino tutti, non uno di meno.
N.d.R. Aggiorno l’argomento pubblicando un articolo del giornalista Carlo Troilo , in data 3 Ottobre 2020, su IL FATTO QUOTIDIANO.
Fine vita, il Vaticano potrebbe ostacolare ancora la discussione in Parlamento: l’ennesima intromissione
Nel cuore dell’estate – il 14 luglio – Papa Bergoglio ha approvato una “lettera” della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla eutanasia, dal titolo Samaritanus Bonus: un documento molto ampio, in cui l’eutanasia è condannata senza eccezioni né attenuanti come un atto di crudeltà, con toni che definirei brutali.
Proprio perché nella “lettera” non vi è nulla che non sia stato detto e ripetuto infinite volte dal Papa e dalle alte gerarchie ecclesiastiche, colpisce questa uscita a freddo. E legittima il sospetto che il Vaticano si prepari ad ostacolare ancora una volta l’avvio della discussione in Parlamento della legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione della eutanasia, presentata dalla Associazione Luca Coscioni il 13 settembre del 2017 (dunque, da più di tre anni) con 76mila firme di cittadini/elettori, che nel frattempo sono diventate 136mila.
Probabilmente, preoccupa il Vaticano anche il fatto che per iniziativa della Associazione si è costituito un “Intergruppo Eutanasia”, cui si sono già iscritti 72 parlamentari, fra deputati e senatori. Per non dire del continuo aumento degli italiani favorevoli alla eutanasia e/o al suicidio assistito: il dato più recente è quello fornito da uno studio dell’Eurispes sui temi etici, da cui risulta che gli italiani favorevoli alla eutanasia sono il 75,2% (erano il 55,2% nel 2015). Ed è importante notare che questo orientamento degli italiani è comune anche alle regioni più caratterizzate da un orientamento politico di destra e da una forte tradizione cattolica: ne è prova l’indagine annuale dell’Osservatorio del Nord Ovest pubblicata dal Gazzettino.
Fortunatamente, l’ascendente della Chiesa sugli italiani è sempre meno rilevante. Franco Garelli, che insieme ad altri sociologi ha curato una voluminosa indagine per la conferenza episcopale, prova a delimitare l’area di quanti possano dirsi veramente cattolici nell’Italia di oggi. “I credenti militanti – spiega – coloro che fanno parte di gruppi, associazioni, movimenti e danno grande rilevanza all’esperienza comunitaria della fede sono circa un 10 per cento. I praticanti assidui, che però non avvertono l’esigenza di una vita religiosa collettiva e di una visibilità, sono un altro 15-20 per cento. Sommando entrambi i gruppi si arriva ad un 30 per cento di credenti regolari”.
In un articolato e duro commento alla Samaritanus bonus, il dottor Mario Riccio – il medico che aiutò a morire Piergiorgio Welby, dirigente della Associazione Coscioni – rileva che il documento vaticano arriva due settimane dopo l’annuncio del deputato del M5S Giorgio Trizzino, medico palliativista, che ha confermato la calendarizzazione del ddl entro ottobre, dopo due anni di audizioni. E Riccio esprime con forza la sua indignazione per il fatto che il Vaticano – come ai tempi dei primi aborti – torni a trattare i medici favorevoli alla eutanasia come “sicari”, ignorando una serie di fenomeni che si possono così sintetizzare:
1. Le leggi che in molti paesi del mondo – comprese due importanti comunità autonomiche della cattolicissima Spagna – hanno legalizzato l’eutanasia;
2. Lo sdegno della maggioranza degli italiani per la durezza della Chiesa in vicende (Welby, Englaro, Dj Fabo), che hanno profondamente commosso l’opinione pubblica del nostro paese;
3. Le assoluzioni di Marco Cappato nel caso del Dj Fabo e di Cappato e Welby nel caso Trentini;
4. La sentenza della Corte Costituzionale legata alla vicenda di Fabiano Antoniani, fortemente innovativa in materia di eutanasia.
Dunque, siamo di fronte ad un ennesimo episodio di intromissione della Chiesa nelle vicende politiche italiane, che purtroppo trova una sponda nell’elevato numero di parlamentari “teodem”, o comunque attenti a non contrastare apertamente queste intrusioni per il timore di perdere simpatie (e voti) fra l’elettorato cattolico.
Forse è il caso di ricordare che la Chiesa – che quando si parla di eutanasia invoca la sacralità della vita – fu l’ultimo degli Stati italiani, prima dell’Unità, ad avere nel proprio ordinamento la pena di morte. L’ultimo giustiziato fu Agabito Bellomo, un brigante condannato per omicidio e ghigliottinato a Palestrina il 9 luglio 1870, due mesi prima della conquista di Roma da parte delle truppe sabaude. E solo nel 2001 la pena capitale è stata formalmente abolita per iniziativa di Papa Giovanni XXIII (in Italia era stata abolita nel 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione). Per non parlare della Inquisizione e delle sue torture.
N.d.R. Quello che segue è un “copia e incolla” di informative che si trovano sul WEB, da me selezionate.
Non meravigliatevi di qualche ripetizione.
Segnalo, inoltre, agli interessati che molte notizie utili si possono trovare sotto il TAG “Cervello”.
Le endorfine sono un gruppo di sostanze chimiche prodotte dal cervello, nel lobo anteriore dell’ipofisi, classificabili come neurotrasmettitori. Dotate di una struttura peptidica e di proprietà analgesiche e fisiologiche simili a quelle della morfina e dell’oppio, presentano tuttavia una portata ben più ampia rispetto a queste ultime.
Caratteristiche
Quando un impulso nervoso raggiunge la colonna vertebrale, le endorfine vengono rilasciate in modo da prevenire un ulteriore rilascio di questi segnali. Sono presenti nei tessuti degli animali superiori e vengono rilasciate in particolari condizioni e in occasione di particolari attività fisiche estenuanti: atleti di livello avanzato, ad esempio, diventano “dipendenti” dall’allenamento intenso proprio perché causa un grande rilascio di endorfine. Anche una forte emozione rilascia endorfine, così come l’ingestione di certi cibi, ad esempio la cioccolata e in generale alimenti dolci o comunque ricchi di carboidrati ma anche lo strofinamento prolungato sulla pelle, come avviene durante il massaggio, permette una grande produzione di endorfine.
Numerose ricerche si stanno ancora effettuando in proposito, ma è opinione comune che le endorfine svolgano un’azione di coordinazione e controllo delle attività nervose superiori, tanto da poter essere eventualmente correlate con l’instaurarsi di espressioni patologiche del comportamento nel caso in cui il loro rilascio divenisse incontrollato.
Come anche numerosi alcaloidi di derivazione morfinica, le endorfine sono in grado di procurare uno stato di euforia (specie se unite all’adrenalina, che è un ormone secreto dalle ghiandole surrenali della categoria delle catecolammine) o di sonnolenza più o meno intenso a seconda della quantità rilasciata; questi stessi effetti si possono riscontrare anche durante l’orgasmo, da cui deriva la tipica condizione fisica correlata. Le endorfine diminuiscono anche la fatica e il dolore cronico e non troppo acuto.
L’espressione Endorphin rush (letteralmente “scarica di endorfina”) si usa per indicare una sensazione di stanchezza dovuta al dolore, specie acuto, o un’altra forma di stress. Studi collegano forme di autolesionismo e di masochismo fisico (algolagnia) al piacere derivato dal rilascio di endorfine.
Runner’s high
Con l’espressione Runner’s high (letteralmente “sballo del corridore”) si intende la sensazione di euforia, simile a quella derivante dall’assunzione di certe sostanze stupefacenti, riscontrata da molti atleti durante la pratica sportiva prolungata.
Prima che fossero compiute ricerche mirate al riguardo, questa condizione era per lo più attribuita a cause psicologiche invece che a una causa neurochimica: infatti alcune ricerche risalenti al 2008 hanno provato la dipendenza di questa sensazione euforica dal rilascio di endorfine da parte dell’ipofisi durante l’esercizio fisico di una certa durata, che varia da soggetto a soggetto ma in genere non è mai inferiore ai trenta minuti consecutivi.
Essendo necessario uno sforzo prolungato, il runner’s high è molto più frequente in atleti specializzati nelle attività aerobiche come la maratona, da cui il nome, o il ciclismo.
La produzione di endorfine nel nostro organismo può dar luogo ad una piacevole sensazione di benessere. Le endorfine inoltre aiutano ad alleviare il dolore. Queste sostanze fanno parte di antichi meccanismi di sopravvivenza, che ci hanno permesso di continuare a lottare anche quando siamo sotto stress.
Cosa sono le endorfine? Le endorfine sono delle sostanze prodotte dal cervello nel lobo anteriore dell’ipofisi. Vengono classificate come neurotrasmettitori. Hanno proprietà analgesiche che le rendono più potenti persino della morfina. Del resto il termine endorfine significa “morfine endogene”, cioè morfine prodotte dal nostro organismo. Una forte emozione o un allenamento intenso possono provocare il rilascio di endorfine.
Le endorfine ci aiutano anche a recuperare dopo un infortunio. La produzione può essere influenzata da diversi fattori, ad esempio da odori e profumi piacevoli. Sono davvero molti i modi per stimolare la produzione di endorfine nel nostro organismo in modo naturale. Ve ne suggeriamo dieci.
Indice
Allenarsi e praticare sport
L’attività fisica aiuta l’organismo a rilasciare endorfine. La sensazione di benessere provata dagli sportivi durante gli allenamenti per qualche tempo era stata correlata a motivazioni psicologiche, ma in seguito la scienza si è resa conto che il rilascio di endorfine associato ad un allenamento (di almeno trenta minuti) ha cause neurochimiche. Il fenomeno del “runner’s high”, una vera e propria euforia da sport e da corsa, è più frequente nei ciclisti e nei maratoneti perché la loro attività fisica è molto prolungata. Ma chiunque abbia mai praticato uno sport conosce bene le sensazioni di benessere che ne possono derivare.
Gustare il proprio cibo preferito
Mangiare il proprio cibo preferito aiuta l’organismo ad avvertire una vera e propria sensazione di benessere e a stimolare la produzione di endorfine. Uno degli esempi più classici da questo punto di vista è il cioccolato, ma secondo le ricerche questo fenomeno si può estendere a tutti i cibi gustosi che amiamo particolarmente. Ecco perché dopo aver mangiato qualcosa che ci piace ci sentiamo felici e appagati.
Ascoltare musica
La scienza è sempre più interessata agli effetti positivi della musica nella vita quotidiana. Spesso una semplice canzone di sottofondo ci aiuta a sentirci meglio soprattutto quando siamo tristi. È merito della produzione di endorfine, che viene stimolata dall’ascolto. Secondo uno studio scientifico dedicato a questo argomento, ascoltare musica innalza la soglia del dolore e ha degli effetti positivi sul nostro stato di benessere.
Scambiarsi baci e abbracci
Baci, abbracci, carezze e coccole ci aiutano a sentirci meglio anche perché portano il nostro corpo a rilasciare endorfine. I benefici del contatto fisico con le persone a cui vogliamo bene sono davvero numerosi. Ad esempio, un semplice abbraccio può aiutare a ridurre lo stress, a fare la pace, a rafforzare il rapporto tra mamma e figlio e persino a vincere l’ansia e a migliorare la memoria.
Accarezzare un animale domestico
Accarezzare un animale domestico è davvero benefico in ogni momento della giornata. È anche per questo motivo che alcuni ospedali in Italia e nel mondo accettano che i nostri amici a quattro zampe facciano visita a chi si trova in ospedale. Ad esempio, quando un gatto si avvicina e vi sfiorate la fronte a vicenda, ecco che vengono rilasciate endorfine sia in voi che nel vostro amico peloso. Un gesto dolcissimo che vi farà sentire subito meglio.
Sorridere
Sorridere è un toccasana per la salute e per l’umore. Aiuta il nostro corpo a rilasciare endorfine, non costa nulla e ci fa sentire subito meglio. I benefici di un sorriso sono davvero numerosi. Sorridere riduce lo stress e il rischio di ictus, aumenta la fiducia in se stessi e negli altri e ci permette di fare una pausa per poi ripartire ancora più concentrati con le nostre attività quotidiane.
Sentire profumo di vaniglia o di lavanda
Alcuni profumi più di altri stimolano il nostro organismo a produrre endorfine. Ne sono un esempio il profumo di vaniglia e di lavanda, due aromi delicati che regalano immediatamente una sensazione di benessere, portano relax e ci ricordano la nostra infanzia. Il profumo di vaniglia riduce l’ansia mentre il profumo di lavanda ci aiuta a rilassarci e a dormire meglio, tanto che a chi soffre di insonnia viene consigliato di cospargere il cuscino con qualche goccia di olio essenziale di lavanda.
Assaggiare qualcosa di piccante
Chi ama il peperoncino e il sapore piccante forse inconsciamente ha capito che nonostante qualche piccolo fastidio nel consumare questi alimenti, il risultato è una sensazione di benessere. Ciò perché pare che il gusto piccante aiuti l’organismo a rilasciare endorfine come risposta alle leggere sensazioni di pizzicore e di bruciore che il peperoncino può provocare sulla nostra lingua e sul palato.
Ballare
Il ballo e la danza non sono semplicemente un divertimento o un’occasione per fare movimento. Vengono utilizzati anche come una forma di terapia per il benessere. Questo perché il ballo e la danza uniscono sia il movimento che l’ascolto della musica, due attività che insieme aiutano ancora di più il nostro organismo a produrre endorfine. Secondo alcuni studi, ballare potrebbe portare un maggior benessere anche rispetto alla pratica di uno sport.
Meditare
Secondo il Brainwave Research Institute, meditare stimola la produzione delle endorfine da parte del nostro organismo. La meditazione può garantire al nostro corpo e alla nostra mente una vera e propria sensazione di gioia e di benessere. Ciò perché grazie alla meditazione possiamo raggiungere quel punto in cui ha sede la nostra felicità interiore. Meditare e correre sono attività differenti, ma il miglioramento dell’umore dopo una corsa o dopo la meditazione è risultato molto simile, proprio grazie alla produzione di endorfine.
Le endorfine, note anche come “morfine endogene”, sono implicate nei meccanismi di controllo del piacere e del dolore: lo studio di queste molecole prodotte naturalmente dal cervello apre scenari stimolanti.
«Parlare di endorfine oggi è quanto mai attuale, dato che il benessere, il piacere, l’allontanamento del dolore costituiscono gli obiettivi che sempre di più sembrano condizionare la nostra qualità di vita» spiega il dottor Mauro Porta, neurologo presso l’Istituto Ortopedico Galeazzi IRCCS di Milano: «Le endorfine sono una sorta di “oppiaceo”, naturalmente prodotto, che comporta attenuazioni delle sensazioni dolore, “drive” positivo, cioè eccitamento, voglia di agire, buon umore».
Quando sono state scoperte le endorfine?
L’avventura inizia in un oscuro mattatoio sulle coste scozzesi, dove il ricercatore John Hughes, insieme al team della Unit for Research on Addictive Drugs del Marischal College dell’Università di Aberdeen, ogni giorno si procurava cervelli di maiale da analizzare.
Muove le ricerche il tentativo di individuare una sostanza simile alla morfina, alcaloide estratto dall’oppio che in medicina è sfruttato per le proprietà analgesiche. L’ipotesi era che l’azione della morfina imitasse sostanze che forse erano già presenti nell’organismo. Esisteva davvero un oppioide endogeno? Oggi sappiamo che è così.
Come funzionano le endorfine?
«Le endorfine vengono prodotte nell’ipofisi, nel surrene e a livello del sistema gastrointestinale, il nostro “secondo cervello“» chiarisce il dottor Mauro Porta «Si tratta di ormoni proteici che vengono rilasciati nel torrente sanguigno e che ritroviamo implicati nelle situazioni di benessere, di felicità, di gioia oppure in situazioni algogene (che procurano dolore) come il parto, il ciclo mestruale, gli eventi traumatici. Si ritrovano elevati livelli endorfinici anche dopo un rapporto sessuale o dopo l’attività sportiva».
«Le endorfine entrano nei meccanismi determinanti il ciclo sonno-veglia, la termoregolazione, l’appetito e comportano un aumento dei livelli ACTH, l’ormone adrenocorticotropo (Adreno Cortico Tropic Hormone – ACTH), conosciuto anche come corticotropina, è un ormone proteico prodotto dalle cellule dell’ipofisi anteriore (adenoipofisi), cortisone, prolattina, ormone della crescita e catecolamine, agendo così indirettamente su target diversi da quelli sinaptici. Molti sono i trattamenti, medici e non, che comportano liberazione di endorfine: non da ultime l’agopuntura e altre tecniche di rilassamento così come anche le esperienze sensoriali “piacevoli” come la musica o altre collegate alla vista e all’olfatto» prosegue l’esperto.
Fisiologicamente le molecole attive sui recettori peptidi oppiodi naturali sono le encefaline, le endorfine e le dinorfine. Per peptide oppioide si intende una sostanza sintetica o prodotta naturalmente dall’organismo con gli effetti dell’oppio e della morfina, suo costituente principale. Attualmente conosciamo tre tipi di recettori, tutti caratterizzati da un’azione di tipo analgesico. Il loro meccanismo di funzionamento è legato alla modificazione dell’elettrofisiologia del potassio e del calcio.
Verso una medicina endogena
Sapendo che la modalità di comunicazione fra cellule nervose avveniva tramite composti chimici, le prime indagini si erano focalizzate sui neurotrasmettitori che mostravano di attivare determinati siti cellulari di natura proteica, detti neurorecettori, fondamentali, quindi, per la modulazione e trasmissione degli impulsi nervosi.
Nel 1974 Hughes isolò dal cervello dei maiali le tracce di una sostanza con un’attività analgesica: sarà il primo passo verso la scoperta di un vero e proprio laboratorio di chimica endogena, presente nel nostro corpo e le cui implicazioni nel processo di cura sono un argomento su cui c’è ancora moltissimo da scoprire.
L’azione degli oppiacei endogeni che iniziazialmente Hughes riesce a isolare dura pochi minuti, per poi essere distrutta dagli enzimi cellulari, in accordo con la sua natura proteica. A differenza della morfina, essi non creano assuefazione poiché prodotti naturalmente dall’organismo. Attualmente le ricerche effettuate dalle industrie farmaceutiche per realizzare un farmaco utilizzando l’endorfina rimangono un’ipotesi in corso d’opera, tuttavia ciò che sappiamo è che questo gruppo di peptidi di catena corta chiamati “endorfine”, sono morfine endogene con proprietà simili alla morfina.
Esse agiscono come neurotrasmettitori a livello del sistema nervoso. Insieme all’azione analgesica rispetto al dolore, le endorfine giocano un ruolo chiave nella risposta al piacere e nel processo di rilassamento.
Dagli studi, infatti, emerge che a livello cerebrale le alterazione del sistema dopaminergico, proprio dei neuroni dopaminergici, i quali risultano associati con l’amigdala, potrebbero essere implicati con i disturbi della memoria e l’insorgenza di malattie come Parkinson e Alzheimer, tema indagato dal neurofisiologo Marcello D’Amelio insieme all’unità di ricerca dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e della Fondazione S. Lucia.
L’importanza delle endorfine nel controllo del dolore, così come nei processi legati alla gratificazione e al piacere, può costituire un campo di indagine prezioso per la gestione dello stress.
Qual è il ruolo delle endorfine?
Come spiega il dottor Mauro Porta «le endorfine, che sono oppioidi naturali, interagiscono con una dei mediatori maggiormente coinvolti nel determinismo del buon umore: la serotonina. Si tratta di veri e propri mediatori che sono molti di più di quelli che normalmente si pensa: serotonina appunto, dopamina, noradrenalina, gaba etc. I mediatori attivano certe sinapsi (punto di contatto tra due neuroni) appartenenti a circuiti specifici, oppure a circuiti “polivalenti”, cioè che funzionano con più neuromediatori».
Insieme all’aumento della soglia di tolleranza al dolore, le endorfine mostrano di essere coinvolte nell’attività di termoregolazione dell’organismo, ritmi sonno-veglia, controllo dell’appetito, regolazione dell’umore, senso di benessere e appagamento.
Durante terapie come l’agopuntura si è potuto osservare un innalzamento della concentrazione di queste sostanze nel sangue. Sì, perché a seconda di ciò che viviamo può verificarsi un rilascio di endorfine: succede quando svolgiamo attività in grado di regalarci piacere, ecco perché appaiono fortemente connesse alla sfera sessuale e psicologica.
Quando ci sentiamo innamorati, al termine di un rapporto sessuale o mentre incontriamo una persona cara o viviamo una situazione felice il livello di endorfine è più alto. Succede anche quando facciamo attività sportiva: la sintesi di oppiodi endogeni, infatti, mostra un forte incremento durante il movimento. Grazie a questo possiamo comprendere meglio la profonda sensazione di benessere e appagamento che ogni sportivo avverte durante una performance: un’euforia che a livello fisiologico ci aiuta a sopportare meglio la fatica e dal punto di vista psicologico stimola le nostre doti in fatto di resistenza, capacità di superare gli ostacoli e, in fondo, resilienza. Una qualità naturale che fa parte di noi? Forse sì, anche a livello biochimico.
Il Cristianesimo, come il Giudaismo e l’Islamismo, è stato progettato per realizzare un altro punto fondamentale del Ordine del Giorno Rettiliano: la soppressione dell’energia femminile, cioè del legame intuitivo con i livelli superiori della nostra coscienza multidimensionale. Se sopprimi la tua energia femminile, la tua intuizione, spegni la tua coscienza superiore e finisci per essere dominato dalla coscienza inferiore.
Così facendo, non puoi accedere alla tua più elevata dimensione di amore, saggezza e conoscenza, e sei in balia di informazioni “manipolate” che ti bombardano occhi ed orecchie.
È questo il motivo per cui la Confraternita Babilonese ha cercato di creare un mondo in cui l’energia maschile fosse dominante, almeno a livello superficiale. L’atteggiamento che noi definiamo da “uomo macho” è quello tipico di una persona privata dell’energia femminile e, quindi, profondamente squilibrata.
Notate che, nel Credo Niceno di Costantino, non vi è alcun riferimento alle donne. Si dice che Dio si è incarnato in Gesù “per noi uomini e per la nostra salvezza”.
Il Cristianesimo fu una roccaforte maschile fin dalle sue fondamenta, creata per sopprimere la riequilibrante energia femminile. I padri fondatori della Chiesa, come Quinto Tertulliano, bandirono le donne dall’ufficio sacerdotale, proibendo loro persino di parlare in chiesa.
Fu solo al Concilio di Trento, nel 1545, che la Chiesa Cattolica decise ufficialmente che anche le donne avevano un’anima, e questa decisione fu presa con un margine di soli 3 voti!
I semi di questo dogma antifemminile tipico della Chiesa Cristiana si riscontrano anche in quello specchio del Cristianesimo che è lo Zoroastrismo, la setta del profeta (mitico Dio-Sole) Zoroastro.
Questa religione nacque, ancora una volta, in Persia, in una zona oggi appartenente alla Turchia, dove sorgono le montagne del Taurus e la città di San Paolo, Tarso.
(N.d.R. Si vede che, da quelle parti, era diffusa questa mentalità).
Zoroastro mostrava un violento atteggiamento misogino e affermava che “nessuna donna può entrare in Paradiso, eccetto quelle che si sottoponevano al controllo da parte dell’uomo e che consideravano Signori i loro mariti“.
Quest’intera filosofia è quasi una ripetizione letterale del Brahamanesimo, l’orrendo credo induista introdotto in India dagli Ariani molti secoli prima.
San Paolo continuò ad attuare il suo piano ostile alle donne, in conformità con i dettami Cristiani, aprendo la strada alla tremenda persecuzione delle donne che si consumò nei quasi duemila anni successivi.
Tra le perle di San Paolo si legge:
“Mogli, sottomettetevi ai vostri mariti, poiché il marito è il capo della moglie, come Cristo è capo della Chiesa. Ora, se la Chiesa si sottomette a Cristo, allo stesso modo le mogli si devono sottomettere, in ogni cosa, al marito“.
(N.d.R. Cristo non era il capo di nessuna Chiesa. È stato proprio Paolo di Tarso a fondare la Chiesa Cristiana, ma non aveva il mitico carisma di Cristo. Inoltre trovo il parallelismo del tutto fuori luogo, capzioso e arrogante).
E:
“Non tollero né che una moglie educhi, né che usurpi l’autorità dell’uomo, ma solo che resti in silenzio”.
Sant’ Agostino di Ippona, come la maggior parte dei personaggi della Chiesa, proveniva dall’Africa del Nord.
Da giovane nutrì insaziabili voglie sessuali, ma, all’età di 31 anni, dopo la presunta conversione al Cristianesimo, cambiò drasticamente condotta di vita e decise che il sesso era una cosa orrenda. Sapete, un po’ come fanno i fumatori quando smettono. Non permetteva a nessuna donna di entrare in casa sua se non accompagnata, e questo valeva persino per sua sorella. Ma non riuscì ad escogitare un modo alternativo di procreare, per cui fu costretto ad accettare il sesso, per evitare l’estinzione dell’umanità.
Tuttavia, insistette sul fatto che, per nessuna ragione, esso dovesse essere una fonte di piacere.
Io ci ho provato, ma non funziona.
Ma questa era l’idea della sessualità che aveva Agostino:
“I mariti amino le loro mogli, ma le amino castamente. Indugino nella carne solo nella misura in cui ciò è necessario per la procreazione dei figli. Dal momento che non è possibile generare figli in alcun altro modo, dovete abbassarvi a ciò contro la vostra volontà, poiché questo è il castigo di Adamo”.
Queste posizioni portarono, per gradi, all’imposizione del celibato al clero da parte di Papa Gregorio VII nel 1074.
Esatto, oggi nella Chiesa Cattolica i sacerdoti sono celibi perché questo è quello che ha deciso un Papa un migliaio di anni fa, e un’infinità di bambini, violentati da uomini di Chiesa, frustrati e squilibrati, ne hanno pagato le conseguenze.
Agostino collegava il sesso al peccato originale, all’idea, cioè, che nasciamo tutti peccatori, poiché discendiamo da Adamo ed Eva. Gesù, secondo la sua teoria, fu l’unico a nascere senza peccato originale, poiché fu concepito da una vergine.
Miliardi di persone sono state controllate e manipolate in questo modo, poiché il Credo Cristiano ha insinuato la paura, il senso di colpa e la violenza nel profondo dello spirito umano.
A dire il vero, anch’io credo nel peccato originale. Alcuni dei miei “peccati” sono stati molto originali.
Se dovete proprio peccare, fatelo in modo originale, questo è ciò che vi dico.
David Icke Il segreto più nascosto.
N.d.R. Mi piacerebbe raccogliere qualche commento da parte delle rappresentanti del gentil sesso.