Scrive Armando La Torre, corrispondente di QUORA.
Hanno calcolato che esistono non meno di 4000 religioni sulla faccia della terra.
Poni la domanda come se stessi cercando una falla logica in un teorema matematico, quando in realtà stai fissando il più grande e sanguinoso monumento all’arroganza e al tribalismo umano.
La tua premessa, “Se Dio è uno”, è l’errore di partenza, il peccato originale del tuo ragionamento.
Tu presumi che le religioni siano il risultato di un Dio che cerca di comunicare con l’umanità.
Le religioni non sono un messaggio divino imperfetto. Sono un prodotto umano, al 100%.
Sono il più antico e geniale sistema di controllo sociale mai inventato, un’arma, una bandiera e una coperta di Linus cosmica, tutto in uno.
La risposta alla tua domanda non è teologica. È geografica, politica e psicologica.
Dio non ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza.
È l’uomo che, terrorizzato dal buio, dalla morte e dalla sua stessa insignificanza, ha creato Dio a immagine e somiglianza del proprio capotribù.
Un padre severo, un re geloso, un legislatore paranoico.
E siccome le tribù sono diverse, anche i loro dèi lo sono.
È così brutalmente semplice.
Sei nato a Roma, e ti è toccato il Dio con la barba e il figlio carpentiere.
Fossi nato a Benares, avresti avuto un pantheon di divinità blu con sei braccia.
Fossi nato a La Mecca, il tuo Dio sarebbe stato così trascendente da non poter essere nemmeno raffigurato.
Fossi nato nelle Ande, avresti adorato il Sole.
La tua fede non è una scelta spirituale, è un incidente geografico.
Sei un prodotto del tuo ambiente, e il tuo Dio è semplicemente il cadavere di un dio tribale che ha avuto più successo degli altri nel tuo angolo di mondo.
Le religioni non sono diverse perché Dio si è spiegato male. Sono diverse perché sono in competizione.
Sono come “franchise”, catene di fast food spirituale che lottano per la stessa quota di mercato: la tua anima.
Dio è il marchio, e le religioni sono i vari “franchise” in competizione, ognuno con il suo menù (i dogmi), il suo manuale operativo (i testi sacri), la sua gerarchia manageriale (il clero) e la sua campagna pubblicitaria (il proselitismo).
Il Papa, il Dalai Lama, il Gran Mufti non sono umili servitori di Dio. Sono gli amministratori delegati delle loro rispettive multinazionali della salvezza.
E come ogni buon manager, sanno che per mantenere il controllo devono insistere sul fatto che il loro prodotto è l’unico autentico, e tutti gli altri sono imitazioni scadenti o, peggio, velenose.
I leader e i rappresentanti delle principali religioni del mondo si riuniscono allegramente ogni tre anni ad Astana, in Kazakistan
Le “varianti”, le sette, le eresie?
Non sono altro che lotte di potere interne, come quando un manager regionale decide che può fare meglio della sede centrale e apre la sua catena di ristoranti.
Martin Lutero non ha avuto un’illuminazione divina; era un monaco furioso con la gestione finanziaria e morale corrotta della sede centrale di Roma e ha deciso di lanciare un’OPA ostile, dando vita a un nuovo, fortunatissimo “franchise”: il Protestantesimo. I Sunniti e gli Sciiti non si combattono da 1400 anni per una sottigliezza teologica; si combattono per una questione di successione politica, per decidere chi dovesse essere l’amministratore delegato dopo la morte del fondatore. È una faida familiare glorificata a scontro cosmico.
E i testi sacri? La Bibbia, il Corano, la Torah? Pensi che siano manuali d’istruzioni chiari e coerenti dettati da un essere onnisciente?
Sono raccolte di miti, leggi tribali, poesie, propaganda politica e cronache storiche, scritte, redatte, tradotte e manipolate da decine di uomini diversi nel corso di secoli, ognuno con la propria agenda politica e culturale.
La loro proverbiale ambiguità non è un difetto, è la loro più grande forza.
Permette a ogni generazione di preti, rabbini e imam di reinterpretarli a proprio piacimento, mantenendo così il loro potere come unici e indispensabili intermediari tra te e il divino.
Loro sono quelli che ti spiegano cosa Dio “voleva dire veramente”.
Quindi, smettila di porti la domanda dal punto di vista di Dio. Non c’entra nulla.
La diversità delle religioni non è la prova della confusione di Dio, ma la prova cristallina della frammentazione dell’uomo.
È il suono di miliardi di individui spaventati che urlano il proprio nome nel buio, sperando disperatamente che qualcuno risponda.
E quando non risponde nessuno, si inventano un Dio che lo faccia, un Dio che, guarda caso, odia le stesse persone che odiano loro, ama la loro tribù sopra ogni altra e promette loro un posto speciale nell’eternità.
Non c’è un solo Dio e tante religioni.
Ci sono miliardi di persone terrorizzate e un’infinità di maschere che hanno dipinto il vuoto sul volto.