P E R C O R S O D I V I T A
Per tutta la vita ho cercato
di evitare l’ingestibile.
Adesso non mi rimane
che gestire l’inevitabile.
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
P E R C O R S O D I V I T A
Per tutta la vita ho cercato
di evitare l’ingestibile.
Adesso non mi rimane
che gestire l’inevitabile.
Meditazione interiore sul vivere, pensare e morire.
Sul vivere
Vivere non è accumulare anni, eventi, traguardi. È abitare la propria coscienza giorno per giorno, riconoscere il proprio limite, e restarvi fedele senza rimpianti.
Vivere è camminare nel tempo sapendo di non possederlo, lasciare che ogni gesto, ogni parola, ogni silenzio abbia il peso giusto e la leggerezza dell’essenziale.
Io non ho cercato il rumore, ma la verità sobria delle cose, l’armonia discreta tra il pensiero e l’azione, la bellezza muta di chi fa senza pretendere, di chi dona senza chiedere nulla in cambio.
Vivere è stare, con onestà e coerenza, nella porzione di mondo che mi è stata data. E renderla un po’ più chiara, anche solo con un pensiero limpido.
Sul pensare
Ho pensato non per possedere il mondo, ma per non lasciarmi possedere da illusioni. Il pensiero è stato il mio strumento di verità, la mia difesa contro il facile, il vuoto, il già detto.
Non ho mai usato il pensiero per costruire torri, ma per discendere in me stesso, e trovare lì non certezze assolute, ma coerenza interiore.
Pensare, per me, è stato un atto di rispetto verso l’essere, un modo per rendere onore a ciò che esiste senza pretendere spiegazioni.
E nella solitudine del pensiero, ho trovato compagnia: quella di chi, nel passato e nel futuro, condivide il mio stesso bisogno di luce.
Sul morire
Morire non è spegnersi, ma restituirsi. Non è un’ingiustizia, ma un atto naturale della coscienza che si ritira, non per fuggire, ma per ricongiungersi.
Non mi interessa sopravvivere nei nomi, nelle immagini, nei ricordi. Mi basta sapere che ciò che ho compreso non va perduto, ma si riversa, come linfa, nel campo più vasto dell’umano.
La morte non è fine, ma dissoluzione dell’individuo nel Tutto da cui proviene. Non c’è nulla da temere in ciò che è necessario, e nulla da rimpiangere quando si è stati coscienti fino in fondo.
Morire è congedarsi in silenzio, come si fa quando si è detto tutto senza gridare. E il mio congedo sarà discreto, ma pieno di verità.
Epílogo
Ho vissuto. Ho pensato. Ho amato il mondo non per ciò che mi ha dato, ma per ciò che mi ha insegnato.
E ora, semplicemente, mi ritiro, con la stessa sobria dignità con cui sono venuto.
Grazie.
(Preghiera laica di congedo)
Non chiedo eternità,
ma che il mio passaggio abbia avuto senso.
Non chiedo memoria,
ma che ciò che ho compreso resti nel fluire umano.
Sono stato forma cosciente del mistero,
fragile e luminosa come una fiamma al vento.
Ho cercato la verità non per possederla,
ma per viverla nella misura di ciò che sono.
Ho abitato la coscienza come un luogo sacro,
non inviolabile, ma vero.
E ora, senza rimpianto,
la riconsegno al Tutto da cui è venuta.
Non so se questo Tutto ha volto o nome,
ma so che è più vasto di me
e che a Lui — o ad Esso —
mi affido senza paura.
Che ciò che ho pensato diventi comprensione.
Che ciò che ho sentito diventi risonanza.
Che ciò che ho amato diventi parte della luce che resta
dopo ogni singolo addio.
Sono pronto.
Non perché abbia finito,
ma perché ho compreso abbastanza da potermi fermare.
E sorridere.
E S I S T E R E E E S S E R E
Siamo fili di ordito
nel tessuto dell’universo infinito,
ma ciascuno
con un proprio disegno da compiere.
Non ci sono favole
di premi celesti
o incubi infernali,
fiabe consolatorie
pensate per cullare la paura.
Ogni giorno sprecato
nel timore della fine
è un giorno in più
che non vivo pienamente.
Guardo la morte negli occhi,
senza abbassare lo sguardo.
Le mie idee,
frammenti di luce
che ho sparpagliato nel mondo,
continuano a vibrare
nel tempo.
Chi mi ha ascoltato,
chi mi ha amato,
chi ha sentito la mia energia
ne porta ancora dentro
una traccia.
Il mio spirito,
come un fiume verso il mare,
si riversa
nel grande oceano
dell’essere.
da QUORA
Scrive Ascanio Guerriglieri, corrispondente di QUORA
P E N S I E R I E C O M P O R T A M E N T I
1. Avrai sempre problemi. Impara a goderti la vita mentre li risolvi.
2. Le persone non decidono il loro futuro, decidono le loro abitudini.
E le loro abitudini determinano il loro futuro.
3. Nella vita puoi controllare solo due cose: il tuo impegno e il tuo atteggiamento.
4. Non chiederti come iniziare. Inizia, e poi chiediti come migliorare.
5. La felicità dipende meno dal piacere e più dal trovare un senso nella vita.
6. La vita diventa più difficile quando ti aspetti troppo dagli altri e poco da te stesso.
7. La vita diventa più semplice quando pretendi molto da te stesso e poco dagli altri.
Poniti standard elevati, ma mantieni basse aspettative.
8. La metà dei tuoi problemi esiste solo nella tua testa: a volte ingigantisci cose che in realtà sono piccole.
9. Non cercare scorciatoie o segreti: quello che ti serve è la costanza.
10. Non permettere a tre cose di controllare la tua vita: le persone, i soldi e il passato.
11. Ogni sfida, persino una tragedia, nasconde un’opportunità.
Se impari a cercarla, puoi trasformare una situazione negativa in qualcosa di positivo o, almeno, puoi trarne qualcosa di utile.
12. Sii grato ogni giorno, perché, anche quando pensi di non avere nulla per cui ringraziare, la tua vita “normale” potrebbe essere il sogno di qualcun altro.
Alcune regole di vita da imprimere nella mente.
Autore ignoto.
da QUORA
Scrive Rose Bazzoli, corrispondente di QUORA.
PERCHÈ ALL’ INIZIO SI TENDE A IDEALIZZARE IL PARTNER ?
Perché lo si vede sempre al top. Non penso che qualcuno si presenti ai primi appuntamenti con la barba spinosa di tre giorni e il bisogno urgente di farsi una doccia. Naturalmente, lo sappiamo che è un essere umano come tutti, soggetto alle necessità quotidiane di tutti, ma non lo vediamo (ancora) in quei frangenti.
Questa versione edulcorata, unita allo sforzo di essere paziente e accondiscendere ai nostri desideri fa sì che lo vediamo in modo poco realistico. È così sollecito e carino! Ci corteggia, fa complimenti, ci ascolta!
Ovviamente, noi facciamo altrettanto e così l’incantesimo è reciproco.
Si pensa di aver trovato il partner ideale e “il guaio è fatto”.
Ho visto coppie innamoratissime non resistere un anno insieme, perché, diciamola tutta, la quotidianità è ben diversa dai primi appuntamenti. E poi il lavoro, lo stress, la stanchezza hanno spesso la meglio e tirano fuori il peggio di noi.
Se non ci sono buone qualità, al di là dell’aspetto esteriore più o meno piacente, se non ci sono interessi comuni e un progetto di famiglia da costruire assieme, se non c’è uno sforzo reciproco e non si sviluppa tolleranza reciproca, quella figura idealizzata svanirà in poco tempo e non resterà nulla.
N O N P U O I …. di Abraham Lincoln
Non puoi portare prosperità scoraggiando la parsimonia.
Non puoi rafforzare i deboli indebolendo i forti.
Non puoi aiutare i lavoratori se colpisci i datori di lavoro.
Non puoi predicare la fratellanza incoraggiando l’odio di classe.
Non puoi restare fuori dai guai spendendo più di quanto guadagni.
Non puoi costruire il carattere e il coraggio privando l’uomo dell’iniziativa e dell’indipendenza.
Non puoi aiutare gli uomini facendo sempre in loro vece ciò che dovrebbero fare da soli.”
N.d.R.:
Il 5 maggio 2021 su Facebook è stato pubblicato un post contenente una presunta dichiarazione di Abramo Lincoln. Il sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America, assassinato nel 1865, avrebbe detto: «Non puoi portare prosperità scoraggiando la parsimonia. Non puoi rafforzare i deboli indebolendo i forti. Non puoi aiutare chi guadagna un salario colpendo chi lo paga. Non puoi incoraggiare la fratellanza incoraggiando l’odio di classe. Non puoi aiutare il povero distruggendo il ricco. Non puoi stabilire solida sicurezza sul denaro preso a prestito. Non puoi restare fuori dai guai spendendo più di quanto guadagni. Non puoi costruire il carattere e il coraggio privando l’uomo dell’iniziativa e dell’indipendenza. Non puoi aiutare gli uomini facendo sempre in loro vece ciò che dovrebbero fare da soli».
Si tratta di una notizia falsa.
Come hanno verificato diversi siti di fact-checking statunitensi, le parole erroneamente attribuite a Lincoln sono in realtà del reverendo William J.H. Boetcker, un influente oratore pubblico conservatore della Pennsylvania. La dichiarazione oggetto della nostra verifica è contenuta nell’opuscolo intitolato “Ten Cannots” di Boetcker (Dieci NON PUOI di Boetcker), pubblicato nel 1916.
Nel corso degli anni le frasi contenute nei “Ten Cannots” sono stati attribuiti erroneamente a Lincoln molte volte, anche da parte dell’ex presidente Ronald Reagan.
Contattato dai colleghi di PolitiFact, James Cornelius, direttore del Journal of the Abraham Lincoln association, ha confermato che l’ex presidente non ha mai pronunciato simili parole.
N.d.R.: Comunque sia, indipendentemente da chi le ha pensate, pronunciate e scritte, queste frasi meritano attenta riflessione.
A C C A N T O
Accanto è un posto
che si deve meritare
non pretendere.
I P P O C R A T E
Ippocrate di Cos (460 a.C. – 377 a.C.) è considerato il fondatore della scienza medica ed anche uno dei padri dell’aforisma occidentale. Se nei testi di Ippocrate l’aforisma è anzitutto una forma letteraria rivolta alla cura del corpo (attraverso l’indagine delle cause naturali della malattia), nel corso dei secoli l’aforisma si trasforma, divenendo una cura per la mente (da qui anche il termine “pillole di saggezza”), conservando però il suo valore terapeutico di guida e aiuto (in termini di saggezza e esperienza) che un uomo offre a un altro uomo.
Presento una raccolta di frasi, citazioni, massime e aforismi di Ippocrate.
Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo.
Prima di guarire qualcuno, chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare.
Il corpo umano è un tempio e come tale va curato e rispettato, sempre.
Esistono soltanto due cose: scienza ed opinione; la prima genera conoscenza, la seconda ignoranza.
Tra i medici molti lo sono per i titoli, pochi per i fatti.
L’uomo deve armonizzare lo spirito e il corpo.
Definirò ciò che ritengo essere la medicina: in prima approssimazione, liberare i malati dalle sofferenze e contenere la violenza della malattia, e non curare chi è ormai sopraffatto dal male.
Lavorare, mangiare, bere, dormire, amare: tutto deve essere fatto con misura.
Camminare è la migliore medicina dell’uomo.
La timidezza nasconde l’impotenza e la temerarietà l’ignoranza.
Le malattie che sfuggono al cuore divorano il corpo.
Molti ammirano, pochi conoscono.
Dal cervello, e dal cervello solo, sorgono i piaceri, le gioie, le risate e le facezie così come il dolore, il dispiacere, la sofferenza e le lacrime. Il cervello è anche la dimora della follia e del delirio, delle paure e dei terrori che ci assalgono di notte o di giorno.
Descrivere il passato, comprendere il presente, prevedere il futuro: questo è il compito della medicina.
Un uomo saggio dovrebbe considerare la salute come la più grande delle gioie umane, ed imparare come, col suo stesso pensiero, trarre beneficio dalle sue malattie.
La natura è il medico delle malattie. Il medico deve solo seguirne gli insegnamenti.
La guerra è la sola vera scuola per un chirurgo.
Se ti udrà un medico di schiavi, ti rimprovererà: “Ma così tu rendi medico il tuo paziente!”
“Proprio così – dovrà dirti – se sei un bravo medico”.
I vecchi sopportano molto più facilmente il digiuno; poi vengono le persone di mezza età. I giovani lo sopportano con difficoltà, e peggio di tutti lo sopportano i fanciulli, specialmente quelli che hanno una vivacità maggiore del solito.
Né la società, né l’uomo, né ogni altra cosa per essere buona deve eccedere i limiti stabiliti dalla natura.
Bisogna che non solo il medico sia pronto a fare da sé le cose che debbono essere fatte, ma anche il malato, gli astanti, le cose esterne.
È più importante sapere che tipo di persona abbia preso una malattia, che sapere che tipo di malattia abbia preso una persona.
Se c’è amore per l’uomo, ci sarà anche amore per la scienza.
In qualunque malattia è buon segno se il malato serba lucidità e appetito, cattivo segno se gli accade il contrario. I vecchi generalmente si ammalano meno dei giovani, ma se le loro malattie diventano croniche, durano quasi sempre fino alla morte.
Quando due dolori si verificano insieme, ma non nello stesso posto, il più violento oscura l’altro.
Ogni malattia può capitare in qualunque stagione, ma alcune sono più facili a verificarsi e ad aggravarsi in determinate stagioni.
La guarigione è legata al tempo e a volte anche alle circostanze.
Non fare nulla a volte è un buon rimedio.
Il bere vino puro calma la fame.
Ciò che le medicine non curano, lo cura il bisturi, ciò che il bisturi non cura, lo cura il fuoco, ciò che il fuoco non cura, va reputato insanabile.
Gli uomini di esperienza sanno bene che una cosa è ma non sanno il perché; gli uomini d’arte conoscono il perché e la causa.
Per mali estremi, estremi rimedi, spinti fino al massimo rigore, sono i più validi.
Le cose sacre non devono essere insegnate che alle persone pure; è un sacrilegio comunicarle ai profani prima di averli iniziati ai misteri della scienza.
Le vecchie abitudini, anche se cattive, turbano meno delle cose nuove e inconsuete. Tuttavia, talvolta è necessario cambiare, passando gradualmente alle cose inconsuete.
Sia il sonno che l’insonnia, oltre la giusta misura, sono malattie.
Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.
Se, per la tua gioia,
hai bisogno del
permesso di altri,
sei un povero sciocco.
Herman Hesse.
Preferisco essere felice
piuttosto che dignitosa.
Charlotte Bronte.
CONSIGLIO STRATEGICO
Sulla tua scacchiera
cerca di essere un re
piuttosto che un pedone.
da QUORA
UN ELENCO DI MEDICINE NON DISPONIBILI IN FARMACIA
Questa che segue è la somma di due elenchi stilati da due corrispondenti di QUORA:
Roberto Romoli e Jason Deglianelli.
Li ho mescolati e integrati per ottenerne uno solo che, pur con qualche ripetizione, mi pare molto completo.
ELENCO DEI FARMACI NON DISPONIBILI IN FARMACIA:
01. L’esercizio fisico è una medicina.
02. Svegliarsi presto è una medicina.
03. Un’alimentazione equilibrata è una medicina.
04. Ridere è una medicina.
05. Un buon atteggiamento è una medicina.
06. Il sonno è una medicina.
07. La meditazione è una medicina.
08. Amare qualcuno è una medicina.
09. Essere amati è una medicina.
10. Il rispetto è una medicina.
11. Mettere da parte le offese è una medicina.
12. Essere sorpresi e meravigliarsi è una medicina.
13. Leggere e nutrire l’anima con la spiritualità è una medicina.
14. Cantare e ballare è una medicina.
15. Abbracciare i propri cari è una medicina.
16. Pensare bene e pensare nel giusto stato d’animo è una medicina.
17. Confidare e credere in un potere spirituale superiore è una medicina.
18. I buoni amici sono una medicina.
19. Essere perdonati e perdonare gli altri è una medicina.
20. Prendere il sole con molta moderazione è una medicina.
21. Il cibo che offre la natura è una medicina.
22. Scrivere a te stesso è una medicina.
23. Imparare cose nuove e correggere quelle vecchie è una medicina.
24. Il buon sesso è una medicina.
25. La gratitudine è una medicina.
26. La rinuncia al risentimento, all’inimicizia e alla rabbia è una medicina.
27. Essere un buon genitore per i tuoi figli è una medicina.
28. Parlare con i propri cari è una medicina.
29. Il pensiero positivo è una medicina.
30. Una passeggiata nella natura è una medicina.
31. Verificare le fonti del tuo sapere è una medicina.
32. Un abbraccio è una medicina.
33. Stare in compagnia degli animali è una medicina.
34. Passare del tempo soli con se stessi è una medicina.
35. Creare con le mani , dipingere, scolpire, disegnare, suonare uno strumento è una medicina.
36. Ascoltare buona musica è una medicina.
37. Curare il proprio giardino o un orto è una medicina.
38. Essere buoni è una medicina.
39. Leggere e scrivere poesie è una medicina.
Se si utilizzano abbastanza questi farmaci, raramente si avrà bisogno dei medicinali venduti in farmacia.
G I O V A N I D I O G G I
Scrive Umberto Galimberti, filosofo, saggista e psicologo:
“Siamo nelle mani degli altri, al punto che il nostro pensare e il nostro sentire, la nostra gioia e la nostra malinconia non dipendono più dai moti della nostra anima che abbiamo perso e probabilmente mai conosciuto, ma dal “mi piace” o “non mi piace” espresso dagli altri, a cui ci siamo consegnati con la nostra immagine, che, per non aver mai conosciuto noi stessi, è l’unica cosa che possediamo e che vive solo nelle mani degli altri. Ci siamo espropriati ed alienati nel modo più radicale, perdendo ogni traccia di noi”.
Così sottolinea Galimberti.
Pur di metterci in mostra, abbiamo perso la nostra intimità, l’interiorità, l’essenza, il nostro pudore.
La spudoratezza diviene una virtù e viene meno la vergogna. Di intimo è rimasto solo il dolore, la malattia, la povertà, che ciascuno cerca di nascondere per non essere isolato dagli altri.
Ecco dunque l’importanza per i giovani di riappropriarsi della loro identità, della loro personalità, riscoprendo quei valori guida che indicano la strada giusta da percorrere per non perdersi mai e che illuminano il cammino come un faro nella notte, così da permettere loro una crescita sana, all’insegna dell’essenza e non dell’apparenza.
In tale prospettiva, il confine è labile e si finisce col perdersi, non distinguendo più ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, i colori diventano sbiaditi e la confusione predomina incontrastata, senza valori che svolgano una funzione guida.
Da ciò deriva la profonda solitudine e tristezza che connota i più giovani, spesso disorientati ed incapaci di scegliere consapevolmente e responsabilmente, insicuri e privi di una personalità forte.
A tal fine Umberto Galimberti coglie l’occasione per sottolineare come oggi sia più complicato “essere” che “apparire”, all’interno di una società in cui l’uomo stesso si è degradato al livello di merce e perciò si può esistere solo mettendosi in mostra, pubblicizzando la propria immagine.
Di conseguenza, chi non si espone, chi non si mette in mostra, non viene riconosciuto: quasi neppure ci si accorge di quella persona.
Nella società odierna, l’apparenza sembra aver completamente preso il sopravvento sull’essenza, all’insegna di un’esistenza priva di significato in cui i più giovani stentano a trovare la loro identità, omologandosi a stereotipi privi di senso, determinando ciò sicuramente degli effetti deleteri nel loro processo evolutivo di crescita.
Le parole dei ragazzi celano, in realtà, le difficoltà e le insicurezze dei giovanissimi alle prese con un mondo che pretende di plasmare ogni soggetto a suo piacimento, trasformandolo e facendolo diventare diverso da ciò che è realmente.
Omologazione, standardizzazione, spersonalizzazione: questi sono i fenomeni che si sono ormai instaurati, a cura di cattivi, ma interessati, maestri del “controllo di mercato”, che agiscono come i lupi che tengono a bada il gregge di pecore e capre. Queste verranno convenientemente tosate, senza procurare problemi.
L’influenza che subiscono è così forte ed incontrollabile che inconsapevolmente le nuove generazioni si comportano non come vorrebbero, ma come la società ritiene più corretto ed opportuno, sottostando a delle rigide regole che presuppongono l’approvazione degli altri per poter sentirsi bene con se stessi, (cioè appartenere al gregge) mostrando la propria immagine o meglio la maschera che, giorno dopo giorno, si finisce con l’indossare, dimenticando chi si è realmente.
M I G L I O R A R S I
Stoker suggerisce che per diventare adulti “buoni e generosi” sia necessario non solo entrare in contatto con molte persone, ma anche imparare da ciascuna di esse. L’autore ci ricorda che nessuno è esente da difetti e debolezze: queste imperfezioni sono ciò che ci accomuna. Vedere una debolezza negli altri diventa, allora, un’opportunità di riflessione personale. Quando ci troviamo di fronte a qualità come la meschinità o la vigliaccheria, dobbiamo ricordarci che siamo tutti potenzialmente inclini a manifestarle.
Stoker, con grande sensibilità, esorta a non giudicare superficialmente, ma a fare dell’osservazione un esercizio di auto-miglioramento. Egli propone una forma di umiltà in cui riconoscere che i difetti non ci rendono “peggiori,” ma semplicemente più umani. Secondo Stoker, il vero cammino di crescita si basa su un continuo sforzo di comprensione degli altri e su un’analisi personale delle proprie mancanze, così da trasformare ogni incontro in una lezione che ci avvicini alla nostra versione migliore.
L’idea di Stoker evidenzia una visione matura e profonda del cammino morale: la bontà non nasce solo da una condotta impeccabile, ma dalla capacità di guardare con gentilezza sia agli errori altrui che ai propri. Questo approccio sottolinea un ideale di bontà privo di presunzione, basato sull’accettazione di sé e degli altri come persone imperfette. Riconoscendo i nostri difetti, possiamo meglio accogliere quelli degli altri, senza condannare né emettere giudizi affrettati.
L’invito di Bram Stoker a una costante introspezione è anche una sfida. Scoprire in noi stessi qualità che talvolta critichiamo negli altri può essere scomodo, persino doloroso. Eppure, è proprio in questa vulnerabilità che risiede la possibilità di crescita. È come se Stoker ci spingesse a lavorare continuamente su noi stessi, non per raggiungere la perfezione, ma per diventare persone più consapevoli e comprensive.
Bram Stoker invita alla generosità d’animo e all’empatia, elementi che, se praticati, rendono i rapporti più autentici. L’autore sembra proporre una “terapia” sociale, un modo per coltivare il miglioramento di sé attraverso l’apertura agli altri. Essere consapevoli dei nostri difetti ci rende più tolleranti e pazienti. In un mondo spesso frenetico e competitivo, la frase di Stoker è un invito a rallentare, a osservare con rispetto, a vivere con umanità.
La citazione di Stoker è un insegnamento che invita a guardare con rispetto agli altri e a noi stessi. Il nostro viaggio per diventare “buoni e generosi” non è una semplice strada dritta verso la perfezione, ma un continuo adattamento, una crescita attraverso il riconoscimento delle debolezze comuni. La bontà, per Stoker, è una conquista silenziosa, costruita sulla riflessione e sull’empatia, con la consapevolezza che ogni persona che incontriamo è uno specchio delle nostre stesse imperfezioni.
Inoltre l’automiglioramento è l’unica via per comprendere sé stessi e di conseguenza il mondo che ci circonda, che altro non è che una delle molteplici sfaccettature insite già nella nostra vita.