L’invecchiamento non è solo un processo biologico, ma anche psicologico e spirituale.
I segni e i concetti legati alla vecchiaia:
L’invecchiamento inizia quando la mente smette di essere dinamica, entusiasta e orientata al servizio e all’espansione della coscienza.
Quando una persona diventa eccessivamente conservatrice, legata a vecchie abitudini e incapace di adattarsi, questo è segno di invecchiamento mentale, anche se il corpo è ancora giovane.
Il rifiuto di nuove idee, la chiusura verso il cambiamento e la rigidità nei pensieri sono considerati segni di “vecchiaia della coscienza”.
L’identificazione eccessiva con il corpo porta sofferenza nella vecchiaia. Un sadhaka (praticante spirituale), invece, rimane giovane spiritualmente anche quando il corpo invecchia.
La vera giovinezza, è mantenuta coltivando ideali elevati, meditazione e servizio disinteressato. Quando questi vengono meno, inizia la vera vecchiaia.
Non sei vecchio finché non rinunci a lottare per l’ideale.
Se Dio è uno perchè ci sono tante religioni o varianti di esse?
Hanno calcolato che esistono non meno di 4000 religioni sulla faccia della terra.
Poni la domanda come se stessi cercando una falla logica in un teorema matematico, quando in realtà stai fissando il più grande e sanguinoso monumento all’arroganza e al tribalismo umano.
La tua premessa, “Se Dio è uno”, è l’errore di partenza, il peccato originale del tuo ragionamento.
Tu presumi che le religioni siano il risultato di un Dio che cerca di comunicare con l’umanità.
Le religioni non sono un messaggio divino imperfetto. Sono un prodotto umano, al 100%.
Sono il più antico e geniale sistema di controllo sociale mai inventato, un’arma, una bandiera e una coperta di Linus cosmica, tutto in uno.
La risposta alla tua domanda non è teologica. È geografica, politica e psicologica.
Dio non ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza.
È l’uomo che, terrorizzato dal buio, dalla morte e dalla sua stessa insignificanza, ha creato Dio a immagine e somiglianza del proprio capotribù.
Un padre severo, un re geloso, un legislatore paranoico.
E siccome le tribù sono diverse, anche i loro dèi lo sono.
È così brutalmente semplice.
Sei nato a Roma, e ti è toccato il Dio con la barba e il figlio carpentiere.
Fossi nato a Benares, avresti avuto un pantheon di divinità blu con sei braccia.
Fossi nato a La Mecca, il tuo Dio sarebbe stato così trascendente da non poter essere nemmeno raffigurato.
Fossi nato nelle Ande, avresti adorato il Sole.
La tua fede non è una scelta spirituale, è un incidente geografico.
Sei un prodotto del tuo ambiente, e il tuo Dio è semplicemente il cadavere di un dio tribale che ha avuto più successo degli altri nel tuo angolo di mondo.
Le religioni non sono diverse perché Dio si è spiegato male. Sono diverse perché sono in competizione.
Sono come “franchise”, catene di fast food spirituale che lottano per la stessa quota di mercato: la tua anima.
Dio è il marchio, e le religioni sono i vari “franchise” in competizione, ognuno con il suo menù (i dogmi), il suo manuale operativo (i testi sacri), la sua gerarchia manageriale (il clero) e la sua campagna pubblicitaria (il proselitismo).
Il Papa, il Dalai Lama, il Gran Mufti non sono umili servitori di Dio. Sono gli amministratori delegati delle loro rispettive multinazionali della salvezza.
E come ogni buon manager, sanno che per mantenere il controllo devono insistere sul fatto che il loro prodotto è l’unico autentico, e tutti gli altri sono imitazioni scadenti o, peggio, velenose.
I leader e i rappresentanti delle principali religioni del mondo si riuniscono allegramente ogni tre anni ad Astana, in Kazakistan
Le “varianti”, le sette, le eresie?
Non sono altro che lotte di potere interne, come quando un manager regionale decide che può fare meglio della sede centrale e apre la sua catena di ristoranti.
Martin Lutero non ha avuto un’illuminazione divina; era un monaco furioso con la gestione finanziaria e morale corrotta della sede centrale di Roma e ha deciso di lanciare un’OPA ostile, dando vita a un nuovo, fortunatissimo “franchise”: il Protestantesimo. I Sunniti e gli Sciiti non si combattono da 1400 anni per una sottigliezza teologica; si combattono per una questione di successione politica, per decidere chi dovesse essere l’amministratore delegato dopo la morte del fondatore. È una faida familiare glorificata a scontro cosmico.
E i testi sacri? La Bibbia, il Corano, la Torah? Pensi che siano manuali d’istruzioni chiari e coerenti dettati da un essere onnisciente?
Sono raccolte di miti, leggi tribali, poesie, propaganda politica e cronache storiche, scritte, redatte, tradotte e manipolate da decine di uomini diversi nel corso di secoli, ognuno con la propria agenda politica e culturale.
La loro proverbiale ambiguità non è un difetto, è la loro più grande forza.
Permette a ogni generazione di preti, rabbini e imam di reinterpretarli a proprio piacimento, mantenendo così il loro potere come unici e indispensabili intermediari tra te e il divino.
Loro sono quelli che ti spiegano cosa Dio “voleva dire veramente”.
Quindi, smettila di porti la domanda dal punto di vista di Dio. Non c’entra nulla.
La diversità delle religioni non è la prova della confusione di Dio, ma la prova cristallina della frammentazione dell’uomo.
È il suono di miliardi di individui spaventati che urlano il proprio nome nel buio, sperando disperatamente che qualcuno risponda.
E quando non risponde nessuno, si inventano un Dio che lo faccia, un Dio che, guarda caso, odia le stesse persone che odiano loro, ama la loro tribù sopra ogni altra e promette loro un posto speciale nell’eternità.
Non c’è un solo Dio e tante religioni.
Ci sono miliardi di persone terrorizzate e un’infinità di maschere che hanno dipinto il vuoto sul volto.
“Nemmeno al tuo migliore amico”, psicologo indica 9 cose che non devi condividere con nessuno
di Edoardo Ciotola
Indice dei contenuti
Tore Kesicki, psicologo, mental coach e volto noto di TikTok, ha acceso il dibattito con un video diventato virale in poche ore.
In un video di 2 minuti, ha elencato nove aspetti della propria vita che andrebbero tenuti segreti.
Nessuna eccezione.
Nemmeno per il migliore amico, nemmeno per la persona amata e – a suo dire – nemmeno ai genitori.
Secondo lui, certe cose vanno custodite gelosamente, per evitare delusioni, giudizi o – peggio ancora – sabotaggi.
Le sue parole hanno raccolto centinaia di migliaia di visualizzazioni, ma anche commenti contrastanti.
C’è chi lo considera troppo diffidente, quasi cinico.
Ma molti utenti, soprattutto adulti, hanno ammesso di rivedersi in quelle riflessioni.
Un commento molto apprezzato dice tutto: “Ieri ho detto troppo di me stesso a una persona e me ne sono già pentito”.
Sogni e obiettivi: meglio tacere finché non li realizzi
Kesicki è diretto: “Quando condividi i tuoi sogni, qualcosa si inceppa”.
Secondo lui, raccontare i propri obiettivi prima di averli raggiunti può bloccare il processo.
Come se le parole togliessero energia al progetto.
Ma c’è di più. Una volta rivelato un sogno, entrano in gioco dinamiche esterne, aspettative, pressioni e – soprattutto – giudizi non richiesti.
Finché un obiettivo non è realtà, tenerlo per sé potrebbe proteggerlo. Anche dalle influenze negative delle persone più vicine.
Soldi e situazioni finanziarie: parlare di denaro crea distanza
Uno dei passaggi più forti del video riguarda la sfera economica.
Kesicki racconta: “A 22 anni guadagnavo più di mio padre. Gliel’ho detto e ho visto la gelosia nei suoi occhi. Non lo dimenticherò mai”.
Non tutti riescono a gioire per il successo altrui.
Parlare apertamente di soldi, stipendi o patrimoni personali può generare disagio, invidia o competizione, anche nei rapporti più stretti.
In un mondo che tende a misurare il valore personale in base al conto in banca, meglio evitare dettagli superflui.
Debolezze e problemi personali: il rischio è che vengano usati contro di te
“Le tue debolezze possono diventare armi nelle mani sbagliate”, avverte Kesicki.
Confidare fragilità emotive, paure o limiti a qualcuno può sembrare un gesto di fiducia. Ma è anche un rischio.
Oggi si è amici, domani magari no.
E quello che un tempo era uno sfogo intimo, può trasformarsi in un punto debole esposto.
Vale anche per i problemi familiari: “Magari tu li vivi come gravi, ma per altri sono sciocchezze. E ti giudicano”.
Non tutto va raccontato, perché non tutti hanno la sensibilità per capirlo o il rispetto per custodirlo.
Progetti futuri e “grandi mosse”: la gelosia non dorme mai
“Molte persone non hanno piani per il futuro. Se racconti i tuoi, li fai sentire inadeguati”, spiega Kesicki.
Parlare della propria prossima “mossa” – un cambio di lavoro, un lungo viaggio, un trasferimento, un progetto ambizioso – può accendere meccanismi di invidia in chi si sente fermo o insoddisfatto.
Non tutti saranno felici dei tuoi traguardi.
Per alcuni, il tuo entusiasmo è un fastidio. E lo mostrano con frecciatine, disinteresse o sabotaggi sottili.
Meglio coltivare i progetti in silenzio, almeno finché non si concretizzano.
Segreti, vita privata e oggetti personali: la fiducia ha un limite
Un altro tema delicato toccato dallo psicologo riguarda la fiducia.
“Oggi il partner può diventare il tuo peggior nemico nel giro di un secondo”, afferma senza mezzi termini.
Non è paranoia, dice: è esperienza. Troppe storie finite con rancori e tradimenti partiti da una confidenza sbagliata.
Vale per i segreti personali, ma anche per la vita privata: dettagli intimi, storie passate, dinamiche familiari.
“Non dirlo a nessuno. Se oggi ti fidi, domani potresti pentirtene”.
E poi c’è la questione dei beni materiali: “Se hai una barca, un’auto o un elicottero, non dirlo. Anche lì scatta la gelosia. Pensi che tutti siano felici per te? Non è così”.
A volte basta un dettaglio per cambiare lo sguardo di qualcuno su di te.
Gentilezza silenziosa: il vero bene non ha bisogno di spettatori
Infine, un consiglio che Kesicki definisce personale: non condividere gli atti di gentilezza.
Nessuna foto, nessun post, nessun racconto autocelebrativo.
“Fallo per te stesso. Non per vantarti. La bontà vera è silenziosa”.
In un’epoca in cui tutto viene documentato e condiviso, questo suggerimento suona quasi rivoluzionario.
Forse perché tocca una verità più profonda: non tutto deve diventare condiviso.
Alcune cose, forse le più preziose, meritano di restare solo nostre.
Cinico o realistico? Il dibattito divide i social
Il video di Tore Kesicki ha ricevuto migliaia di commenti.
Alcuni utenti lo definiscono esagerato, pessimista, incapace di fidarsi. Ma c’è anche chi lo appoggia:
“Con l’età, aumentano le delusioni. E diminuisce la voglia di aprirsi con chiunque”, scrive una donna di 47 anni.
Altri ammettono di aver imparato la lezione a proprie spese.
Il contenuto, per quanto semplice, ha toccato un nervo scoperto: quanto possiamo davvero fidarci degli altri?
Quanto raccontare di noi stessi ci espone a rischi invisibili?
E soprattutto: siamo davvero sicuri che chi ci ascolta voglia il nostro bene?